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Autore: Chtsara    09/01/2014    4 recensioni
STORIA IN REVISIONE
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Florentia, XVII secolo d.C.
Le sorti del regno stanno per cambiare: una studentessa di nome Elenoire diventa l'artefice del destino dell'intera popolazione, ancorata alla vita da un semplice ciondolo a forma di cuore che porrebbe fine ai suoi giorni se solo si rifiutasse di obbedire agli ordini di un demone dagli occhi di ghiaccio e l'espressione omicida.
Ma ben presto altri problemi prenderanno d'assalto Elenoire: rivelazioni sul suo passato, sparizioni, seduzioni a tradimento, battaglie, duelli, un amore improvviso e ossessivo, da cui sembrerà impossibile uscire; non quando la sua anima gemella risulterà essere proprio il suo nemico per eccellenza, nonché la fonte dei suoi problemi e dei suoi guai, che nel bene e nel male le cambierà la vita.
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Non c'era più niente a separarli, nemmeno l'aria: i suoi occhi affondarono in quelli di Elenoire, talmente scuri da sembrare un mare di ombre e così espressivi da lasciarlo senza fiato; le labbra semichiuse esalavano dei respiri corti e veloci, in sincrono con i suoi battiti del cuore, mentre lo sguardo continuava a caderle ad intervalli regolari sulla bocca di lui.
Genere: Dark, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Leonardo continuò a rigirarsi la rosa tra le mani tentando di immaginare ciò che sarebbe successo l’indomani mattina, in collegio. Elenoire l’avrebbe guardato? Si sarebbero rivolti la parola? O lei avrebbe sparso la voce ovunque per gettargli fango addosso?
Era stato assolutamente stupido farsi dominare dall’eccitazione, non avrebbe dovuto farlo e stava seriamente iniziando a pentirsene. Se le avesse parlato chiedendole di tenersi tutto per sé lei gli avrebbe dato semplicemente le spalle? Era proprio sicuro che quel piccolo fiore significasse ciò che lui aveva pensato? E se invece volesse fargli capire che quel che di lei gli sarebbe rimasto sarebbe stata solo quella rosa?
Uscì sul balconcino della stanza per respirare un po’ di aria fresca e sorrise sentendo una brezza di vento scompigliargli i capelli; fin quando due persone non uscirono dalla locanda, uno con il braccio attorno alla vita dell’altra, e restarono in piedi a guardarsi negli occhi.
Riconobbe Elenoire giusto in tempo per tornare dentro la camera e mezzo secondo dopo la sentì chiaramente urlare: “No!”, infuriata.
Non poteva uscire allo scoperto rischiando di farsi vedere, nonostante la curiosità, e decise di rimanere nell’ombra alla finestra: purtroppo per lui, però, non gli arrivarono altre frasi a causa del rumore della folla che ancora ballava al piano di sotto e fu con notevole sforzo che riuscì a sentire soltanto le parole “abbastanza” e “mia”.
Si avvicinò ancora un po’ alla finestra e tese l’orecchio origliando con ancora più attenzione; con ribrezzo udì chiaramente le frasi incomplete “... nessun rispetto verso di me, nessun diritto sulla mia vita” urlate a squarciagola.
Il cuore di Leonardo saltò un battito: non voleva sentire più niente, quello che aveva origliato era abbastanza.
Si allontanò dal balconcino, si sedette sul letto e si prese il viso tra le mani, preda dei sensi di colpa e del disgusto verso se stesso. Elenoire aveva ragione: aveva abusato di lei senza il suo permesso e non avrebbe dovuto pensare nemmeno lontanamente che avrebbe accettato, che sarebbe stata d’accordo.
Essere cresciuto tra sale da ballo, corone e troni gli aveva da sempre assicurato un bel numero di pretendenti, anche se nessuna di loro era riuscita ad entrare nelle sue simpatie: era gentile con tutti, prestava loro il suo cuore, ma non aveva mai incontrato una ragazza capace di rubarglielo davvero.
Si era chiuso nel castello per apprendere senza alcuna distrazione tutto ciò che gli veniva insegnato sul suo passato, sulle sue capacità e sui nemici della sua specie: non aveva mai avuto abbastanza tempo da pensare ad altro, almeno fino a quando non aveva deciso di iscriversi al collegio sotto gli sguardi sbalorditi degli abitanti per recuperare gli anni passati nell’isolamento e con l’intenzione di trovare una moglie adeguata; del resto, l’intero popolo raramente aveva visto il suo viso ed era giunto il momento che le persone si abituassero alla sua presenza per avere più sostenitori.
Le urla cessarono. Leonardo si avvicinò cautamente alla finestra, ma si ritirò subito dopo alla vista del corpo di Elenoire così vicino a quello del demone, la testa posata sulla sua spalla, i singhiozzi che non la lasciavano stare nemmeno per un attimo.
Ma era sicuro che quel ragazzo fosse semplicemente un suo amico? Che non fosse il suo fidanzato o roba del genere?
Leonardo fece una smorfia vedendo il modo in cui lui la stringeva a sé tentando di calmarla e non si accorse di aver staccato quasi tutti i petali dalla rosa stretta ancora nella mano fin quando non aprì il pugno e guardò sconvolto ciò che la sua ira aveva provocato.
Si era ancora lasciato dominare dalle emozioni, dall’istinto, e non se n’era accorto.
Ricominciò a guardare ipnotizzato le carezze del demone sulla schiena di Elenoire e sperò ardentemente che quella mano prendesse fuoco semplicemente con la forza del pensiero.
Perché lui poteva toccarla in quel modo e Leonardo non ne aveva il permesso? Il titolo di re non gli conferiva anche diritti del genere, lo sapeva, ma era sicuramente una persona più importante e più famosa. E sapeva anche di essere più bello.
E se invece il demone potesse stringerla a sé così solo perché avevano davvero un legame che andava oltre all’amicizia?
Elenoire iniziò a calmarsi e la sua schiena smise di andare su e giù per colpa dei singhiozzi: poco dopo si raddrizzò sul posto e abbassò lo sguardo, rialzandolo solo quando il ragazzo le disse qualcosa che Leonardo a quell’altezza non riuscì a sentire; fu però in grado di vedere la mano di lui accarezzarle una guancia e subito dopo il sorriso di lei spuntarle sul volto; una fitta al cuore trafisse Leonardo all’istante, ma si costrinse a continuare a guardare e seguì il demone con lo sguardo fin quando non andò dietro Elenoire, la prese per la vita, si fece spuntare sulla schiena un enorme paio di ali nere e si diede la spinta per poter volare.
Ancora una volta, Leonardo reagì senza pensare: si fece nascere a sua volta le ali, tanto diverse e tanto più chiare rispetto a quelle del demone ma al tempo stesso grandi ed efficaci in egual modo, e spiccò il volo.
Voleva seguirli a tutti i costi, ma non aveva nessuna intenzione di farsi scoprire: decise così di stare a distanza di sicurezza, però sempre in grado di vederli volare in direzione del collegio. Da quel punto non era in grado di scorgere l’espressione del viso di Elenoire e non se ne preoccupò affatto: se l’avesse vista sorridere tra le braccia di quel demone non l’avrebbe sopportato e nulla gli assicurava che si sarebbe trattenuto dal compiere qualche sciocchezza di cui si sarebbe sicuramente pentito il giorno dopo. Aveva già commesso abbastanza errori, non era il caso di peggiorare la situazione.
Il demone atterrò sul balcone appartenente a quella che evidentemente era la stanza di Elenoire e Leonardo pensò fosse meglio nascondersi allo stesso punto, ma qualche piano più in basso.
Contò i secondi che seguirono con tanta impazienza che si mise a battere il piede sul pavimento, ignorando il fatto che se il demone l’avesse sentito non ne sarebbe stato molto contento; ma del resto non vedeva l’ora di sfidarlo a duello ed avere la meglio, avendo quindi Elenoire tutta per sé. Sempre se avesse ricominciato a rivolgergli la parola.
Finalmente, dopo un arco di tempo che gli sembrò infinitamente lungo, Leonardo vide il demone librarsi in aria, lontano dal collegio, lontano da lei.
Ma la ragione lo fermò prima che potesse compiere qualche passo: e se Elenoire l’avesse visto? E se l’avesse scoperto? E se fosse entrato in camera sua ancor prima che si fosse addormentata? E se avesse pensato che voleva solo completare l’opera che non era riuscito a portare a termine nella stanza da letto della locanda?
Con riluttanza, decise di aspettare un altro po’. Passarono quelle che gli sembrarono ore, nonostante il cielo non accennasse a schiarirsi per annunciare l’alba, e volò silenziosamente fino ad atterrare sul balconcino della sua camera.
Ringraziò Dio nel vedere la finestra ancora aperta e, attento ad ogni singolo passo, entrò.
Elenoire era distesa nel suo letto, avvolta nelle coperte, a pancia in giù: sembrava così piccola e delicata che Leonardo si sentì persuaso dalla voglia di correre ad abbracciarla, ma stavolta non avrebbe commesso gli stessi errori, avrebbe ragionato prima di agire. Capì che quel gesto non sarebbe mai stato la scelta giusta da fare e continuò a camminare, sempre più piano, temendo di svegliarla.
Dopo aver distolto lo sguardo da lei, si concesse una rapida occhiata intorno: la scrivania traboccava di libri, piume e pergamene in un ordine quasi impeccabile, degno di una ragazza; il vestito che aveva indossato alla locanda era stato gettato senza problemi sul paravento e le scarpe giacevano immobili accanto alla porta che dava sul dormitorio. L’armadio era ancora aperto e Leonardo vi si avvicinò per sbirciarvi all’interno: quasi sorrise alla vista dell’abito celeste che aveva messo alla festa del suo compleanno e lo accarezzò senza nemmeno accorgersene ripensando all’unica volta in cui aveva avuto una conversazione decente e civile con lei; lo stesso giorno in cui aveva intravisto altri due demoni, uno dei quali se n’era andato poco prima da quella stanza.
Un movimento alle sue spalle lo costrinse a voltare la testa, interrompendo il flusso dei suoi ricordi: Elenoire si era solo girata su un fianco e sembrava ancora profondamente addormentata.
Fu allora che Leonardo vide un luccichio sul suo collo e si avvinò con estrema cautela per guardarlo da vicino: indossava ancora quella collana dal ciondolo a forma di cuore? Non la toglieva nemmeno per andare a dormire?
Spostò gli occhi sul viso di lei e la vide fare una smorfia, come se fosse preda di un brutto sogno: si rimise a fissare la collana e alla luce della luna scorse un lieve rossore che si espandeva esattamente dal punto in cui il ciondolo era posato.
Doveva andare via da lì prima che Elenoire potesse svegliarsi: aveva già corso il rischio di incontrare il suo amico demone e non voleva continuare a tentare la sorte; e qualcosa gli diceva che, se ci avesse provato, non sarebbe andata affatto bene.
Fu seriamente tentato dalla voglia di accarezzarla un’ultima volta, ma si costrinse ugualmente a girare i tacchi e dirigersi verso la finestra. Passando accanto alla scrivania, però, decise di lasciarle un pensierino: non poteva toccarla, certo, ma perlomeno aveva il permesso di scriverle un messaggio.
Afferrò una delle pergamene infilate ancora nella borsa capendo che, se ne avesse scelto una nuova, lei avrebbe capito benissimo che qualcuno era stato lì quella stessa notte e del resto aveva visto con i suoi stessi occhi il demone uscire dalla stanza prima che si addormentasse; poi Leonardo prese una piuma dalla scrivania, la intinse delicatamente nel calamaio e in fondo alla pagina scrisse: “Sei speciale e perfetta così come sei. Non dimenticarlo mai”.
E lo era davvero, solo che lui non avrebbe mai potuto dirglielo di persona, lei stessa non gliel’avrebbe permesso, non dopo quello che aveva fatto; però avrebbe comunque saputo di essere nel cuore di qualcuno che non fosse necessariamente un essere demoniaco e che sarebbe stato capace di amarla incondizionatamente se solo lei gli avesse anche soltanto rivolto la parola.
Mentre Leonardo rimetteva la pergamena nella borsa e si gettava un’ultima occhiata alle spalle in direzione di Elenoire, uscì in volo dalla stanza continuando a pensare alle sue mosse future. Sarebbe stato meglio non forzarla e aspettare che cambiasse idea autonomamente sulla promessa che si erano fatti entrambi, senza la sua insistenza, e questo lo sapeva benissimo: lei avrebbe ricominciato a degnarlo di uno sguardo quando e se si fosse sentita pronta, non prima.
Non sotto costrizione, non di nuovo.
 
“Elenoire! Sveglia, dobbiamo muoverci! Siamo già in ritardo!”.
In quel momento tentai di dominare (a fatica) l’impulso di scendere dal letto e uscire dalla stanza solo per strangolare Hannah. Ma riuscii a contenermi e mi stiracchiai, per poi iniziare a vestirmi mentre lei continuava ad urlare ripetutamente: “Svegliati!”.
Presi la borsa, aprii la porta e fissai Hannah con sguardo interrogativo, aspettandomi una spiegazione per tutto quel baccano: la luce del sole indicava che era ancora presto per le lezioni, ma gli occhi di Hannah sprizzavano impazienza e ansia da tutti i pori.
“Posso sapere cosa ti è preso?”, chiesi e incrociai le braccia, senza però muovermi dalla soglia della porta.
“Oggi per colazione daranno le torte. Non posso mica rischiare di non riuscire a prendere le migliori!”. Alzò gli occhi al cielo come se quella frase potesse giustificare la sua ostinazione nel volermi svegliare così presto e senza un motivo evidentemente valido.
Mi incamminai dietro di lei tra uno sbadiglio e l’altro, passando davanti alle porte chiuse delle stanze di tutti gli altri studenti; come sospettavo, la mensa era totalmente vuota e fu per miracolo che trovammo la signora Jane dietro il bancone della colazione.
Hannah, ovviamente, decise di prendersi almeno una piccola porzione di ogni singolo dolce presente; io invece mi accontentai di una fetta di torta al cioccolato.
“Sai”, iniziò lei a fatica, sovrappensiero, con la bocca ancora piena. “stanotte ho sognato la tua morte”.
Quasi mi strozzai sentendo la sua frase. “Davvero?”. Mi pulii la bocca con un tovagliolo e aspettai che continuasse.
“Sì”, rispose. “Eri distesa sul letto, priva di vita, e tutto ciò che rimaneva di te era la spina dorsale avvolta in un panno: eri davvero orrenda, senza offesa. Poi è arrivato quel tuo amico bello, Jonathan, no? Ecco, ha preso la tua spina dorsale, l’ha messa sull’altare di una chiesa e ti ha fatto risorgere sottoforma di fantasma”.
“A proposito di fantasmi, chi abbiamo alla prima ora?”, domandai, cogliendo al volo l’occasione per cambiare argomento. Quella situazione mi stava mettendo a disagio più di quanto pensasse, visto che non aveva idea di quanto le mie preoccupazioni fossero fondate al riguardo.
“Domina Maria”, sbuffò Hannah. “E la relazione su tutti quei papi”.
“Che io ovviamente ho dimenticato di fare”, disse una voce alle mie spalle, e Samantha si sedette accanto a me e ad Hannah. “Buongiorno a tutte. Avete visto Carol, per caso?”.
Scossi la testa, rendendomi conto solo in quel momento che la mensa si era improvvisamente riempita e tutte le torte sul bancone erano sparite, sostituite da piatti ormai vuoti ma pieni di briciole. Con un tuffo al cuore intravidi dei capelli biondi accanto alla finestra e mi voltai quasi di scatto in direzione di Samantha per poterle rispondere con nonchalance: “Mmm, no. Di solito non scende con te?”.
“Sì, infatti. Per questo sono preoccupata”. Samantha sospirò e incrociò le braccia sul grembo. “Ho bussato alla sua porta e non mi ha risposto, probabilmente starà ancora dormendo...”.
“Oh, molto probabilmente, sì”, la interruppe Hannah lanciandomi subito un’occhiataccia. “Nemmeno la signorina qui presente aveva intenzione di svegliarsi: ho dovuto urlare per costringerla ad alzarsi. Sembra quasi che ieri sera i loro accompagnatori abbiano voluto... come dire, tenerle occupate tutta la notte e che di conseguenza non abbiano dormito abbastanza”.
Al pensiero della sera precedente repressi a malapena un brivido. Hannah dovette accorgersene, perché aggrottò le sopracciglia come se si aspettasse una spiegazione; Samantha invece continuò a guardarsi intorno nell’evidente speranza di scorgere la sua  migliore amica.
“Per tua informazione, ho dormito benissimo”. Mi strinsi nelle spalle. “Sei stata tu a costringermi ad alzarmi prima del dovuto perché volevi avere l’onore di assaggiare tutte le torte sul bancone”.
Hannah abbassò immediatamente lo sguardo e iniziò a fissare con ostinazione il suo piatto arrossendo sempre di più. Non rispose.
“Samantha, non ti preoccupare”, dissi poi rivolta a quest’ultima. “Non credo che Carol voglia rischiare di arrivare in ritardo alla lezione di Domina Maria. O meglio, se avesse un po’ di buonsenso e istinto di sopravvivenza non lo farebbe”.
Ma di Carol non c’era traccia nemmeno in classe. Il suo banco accanto a quello di Samantha rimase vuoto, mentre Domina Maria iniziava a parlare ininterrottamente senza perciò notare l’assenza di una sua allieva. Nessun altro sembrò accorgersene, occupati com’erano a prendere pergamena, piuma e calamaio dalla borsa a terra.
Mi abbassai a mia volta per seguire il loro esempio, estraendo il necessario e posandolo sul banco: la mia voglia di studiare era crollata miseramente e continuava a precipitare ad ogni minima parola di Domina Maria.
Fu quando intinsi la penna nel calamaio, preparandomi psicologicamente a scrivere tutto quello che pronunciava l’insegnante, che vidi una scritta elegante in fondo alla pagina: “Sei speciale e perfetta così come sei. Non dimenticarlo mai”.
Sentii le mie guance diventare ancora più rosse di quelle di Hannah a colazione. Avevo davvero un ammiratore segreto? Oppure qualcuno voleva semplicemente farmi uno scherzo di cattivo gusto?
Mi guardai intorno per individuare la persona che probabilmente aveva avuto la presunzione di sfilarmi la pergamena dalla borsa in mensa solo per lasciarmi quel messaggio: ma, ancora intenti a prendere appunti, nessuno si accorse dei miei occhi indagatori che ispezionavano ogni singolo studente della classe per trovare il presunto colpevole. Tranne il ragazzo angelico dai capelli biondi, naturalmente.
Per il momento decisi di lasciar correre e mi misi a passo con gli altri per recuperare il tempo perso: avrei pensato dopo a come scovare l’idiota a cui darle di santa ragione.
Dopo la prima mezz’ora, la mia mano pregava per avere un po’ di tregua: Domina Maria continuava a parlare senza fermarsi e in classe si sentiva solo il suono delle piume che scorrevano sulle pergamene.
Solo Samantha ogni tanto si concedeva una pausa, dando un’occhiata veloce alla porta dell’aula per poi tornare ogni volta a concentrarsi sui suoi appunti. Infatti, come mi aspettavo, appena finì l’ora di storia si alzò dalla sedia e uscì di corsa dalla stanza, sicuramente diretta ai piani dei dormitori.
Hannah mi venne vicino e, aspettando che mettessi tutto a posto nella borsa, disse: “Non credevo che Domina Maria potesse dimenticarsi della relazione sui papi”.
“Ma meno male”, sussurrai, guardando di sottecchi l’insegnante riordinare i suoi appunti senza badare più di tanto a tutti gli studenti che uscivano dall’aula come se non vedessero la luce del sole da decenni. “Comunque qualcuno ha pensato di scrivermi una falsa dedica sulla pergamena e non vedo l’ora di prenderlo a pugni”.
“Cosa ti hanno scritto?”.
Sospirai: “Che sono speciale e perfetta così come sono e che non devo dimenticarlo mai. È stato solo uno scherzo, ci scommetto quello che vuoi”.
Hannah, però, scoppiò a ridere. “E chi ti dice che sia uno scherzo? È ovvio che tu abbia un pretendente. Pensi che ti abbia sfilato la pergamena a colazione, per poi rimetterla a posto? C’era un sacco di gente, più del solito: quelle torte erano davvero ottime”.
“Sì”, risposi, ignorando l’ultima frase. “Ma non ho mai visto una grafia come quella, quindi non ho idea di chi possa essere stato”.
“Qualcuno che ti ha vista ieri al ballo e che ti ha notata davvero per la prima volta?”.
“Forse, non ne ho idea. Però ricorda che io ero con Jonathan”, le feci notare.
Hannah si strinse nelle spalle. “Maggior ragione per cui il tuo ammiratore abbia deciso di scriverti in anonimo, non credi?”.
Ci pensai su per la prima volta: Hannah non aveva tutti i torti, ma avere uno spasimante in un periodo del genere non era proprio la cosa migliore che potesse capitarmi.
“Carol non è nella sua stanza”, sussurrò Samantha dietro di me, visibilmente allarmata e preoccupata mentre si torceva le mani. “Ho chiesto alle suore il permesso di ricevere le chiavi della sua camera per accertarmi che stesse ancora dormendo, ma non è lì ed io non so che cosa fare”.
“Ieri sera l’hai vista rientrare dalla festa alla locanda?”, chiesi, col tono più calmo che possedessi nella speranza di tranquillizzarla, inutilmente.
“No, appunto”. Non mi sarei sorpresa affatto se le mani di Samantha avessero iniziato a sanguinare copiosamente per colpa delle unghie.
“Avverti le autorità”, proposi. Solo in quel momento mi accorsi di quanto mi risultasse difficile pronunciare le parole “re” o “Leonardo”. Lo shock e la delusione della sera prima sembravano essere passati, eppure...
Samantha annuì e corse via, senza degnarci di un ulteriore sguardo. Ma, quando Hannah si mise a seguirla, andai decisamente nel panico.
“Dove vai?”, le urlai con tono infermo, guardandola allontanarsi sempre di più.
Hannah mi guardò come se fossi impazzita. “Quella è capace di prendere a schiaffi il re pur di trovare Carol: hai visto come si toccava le mani? Dobbiamo trattenerla in qualche modo, per evitarle un’espulsione”. Detto questo, si rigirò e continuò a camminare.
Non potevo stare lì come un’idiota, perciò decisi di seguirla malvolentieri accettando quindi di dover avere di nuovo a che fare con Leonardo. E poi, se non fossi stata a meno di cinque metri di distanza da lui in quella situazione, molto probabilmente mi sarebbe capitato un’altra volta: meglio abituarmi subito.
Lo trovammo seduto in giardino per la pausa di dieci minuti tra una lezione e l’altra insieme ai suoi due cugini, ormai diventati simili a dei cagnolini di compagnia.
Ignorai come sempre il calore al ciondolo a forma di cuore senza più alcuno sforzo, grazie all’abitudine, e uscii all’aria aperta seguendo Hannah e Samantha.
Mi imposi di fissare un cespuglio di rose vicino alla panchina su cui erano seduti i tre ragazzi e sentii distrattamente la denuncia di Samantha riguardo alla scomparsa di Carol; a malapena riuscii a vedere il volto di Leonardo sbiancare di fronte alle sue parole, ostinata com’ero a non spostare lo sguardo dai fiori.
Leonardo si alzò e disse a Josh: “Vai ad avvisare tuo padre dell’accaduto, in modo che possa gestire la guardia reale per fare in modo che perquisisca l’intera Florentia fino a quando Carol non sarà ritrovata; Cory, tu vai a riferire la sua scomparsa a Domina Maria, così che dia alla guardia reale il permesso di interrogare gli studenti. E voi due”. E qui indicò Hannah e Samantha con un gesto distratto della mano. “venite con me. Domino Hans non se la prenderà a male se mancherete alla sua lezione, considerata la gravità della situazione”. Solo allora mi accorsi del fatto che continuasse ad evitare il mio sguardo.
Chiedendomi mentalmente come mai mi avesse saltata, vidi i gemelli Grayson rientrare ubbidienti nel collegio, seguiti a ruota da Leonardo, Hannah e Samantha.
“Vengo anche io”, mi sentii dire, sorprendendo me stessa. Quattro teste si voltarono verso di me, sorprese di sentirmi parlare, mentre il re non accennava a fermare la sua camminata all’interno dell’edificio. Interpretai il suo silenzio come se mi avesse dato il permesso e mi affrettai a raggiungere Hannah e Samantha.
Mentre Josh e Cory prendevano direzioni diverse dalla nostra, noi seguimmo Leonardo su per le scale, evidentemente diretto ai dormitori, ma continuò a salire di un altro piano, fino a raggiungere un pianerottolo con una sola doppia porta: girò la chiave nella serratura, la spalancò e si fece da parte per lasciarci passare.
Entrammo in una grande sala piena di divani, poltrone e scrivanie, dotata perfino di un camino in fondo alla stanza, opposto alla finestra; le tre porte sui muri indicavano la presenza di altre camere adiacenti a quella, come a voler imitare a tutti gli effetti le stanze che evidentemente il re possedeva nel suo castello.
Cercai di sorvolare l’invidia e il senso di ingiustizia che quella visione mi stava diffondendo dentro e continuai a non guardare Leonardo, esattamente come stava facendo lui con me.
Inizialmente avevo pensato di dargli la rosa rossa, alla festa della locanda, con l’intenzione di fargli capire che, se ci avesse provato con me, non avrei opposto resistenza: del resto era quello il mio obiettivo; ma dopo ciò che aveva fatto, dopo l’errore che aveva commesso, speravo che interpretasse quel gesto come un invito a lasciarmi andare, a non tornare più, non pensando minimamente alla mia missione... Volevo solo che Alexander trovasse qualcun altro, che mi permettesse di vivere la mia vita, e che tutto quello che mi era capitato cessasse con la stessa rapidità con cui era successo, con quel piccolo fiore.
Evidentemente, Leonardo aveva capito il messaggio tra le righe.
“Accomodatevi”, disse, indicandoci il divano di fronte ad una poltrona, sui cui si sedette senza alcun indugio. Quando obbedimmo, aggiunse: “E raccontate”.
Mi sentivo un’intrusa in quel luogo, non sapevo di preciso cosa fosse successo: ero solo venuta a conoscenza del fatto che Carol fosse sparita e che probabilmente la sera prima non avesse fatto ritorno; bisognava solo capirne il perché.
Samantha, molto saggiamente, prese il comando della situazione. “È salita sulla carrozza prima che potessi salutarla, con un ragazzo che non ho avuto il tempo di vedere. Mi dispiace, credo che se mi fossi sbrigata probabilmente avremmo avuto un indizio in più e avremmo saputo da che parte cominciare...”.
“Non importa”, la interruppe Leonardo con un gesto della mano. Sembrava più teso di quanto mi aspettassi e ciò non contribuiva affatto a tranquillizzarmi. “Vai avanti”.
“Alla festa non l’ho incontrata nemmeno una volta, ma non me ne sono preoccupata affatto visto il numero delle persone presenti”, continuò Samantha, abbassando lo sguardo come se fosse tutta colpa sua. “E, quando poco fa ho visto che la sua stanza era vuota, sono corsa da Hannah ed Elenoire, la quale mi ha consigliato di rivolgermi a voi”.
Ecco, ero stata chiamata in causa. Non dissi nulla: mi limitai a fissarmi le dita delle mani.
Però Leonardo non tolse lo sguardo da Samantha. “Sul ragazzo non potete dirmi nulla?”.
“Carol mi ripeteva sempre quanto fosse bello, ma senza mai descriverlo davvero”, disse lei. “So solo che aveva degli occhi penetranti e neri, proprio come quelli di Elenoire”.
E, per la prima volta dopo quelli che parevano secoli, Leonardo incrociò lo sguardo al mio.
  
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