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Autore: ImAFeather    09/01/2014    6 recensioni
[...]E gli occhi parlano più di mille parole dette, sussurrate o urlate; più di mille gesti fatti, gettati o pensati; perché sono occhi, fanno parte dell’uomo, ma non sono controllati da questo… sono come i diamanti scalfiti, solo, da loro simili.
E Beth sapeva che con gli occhi non si può mentire, non si può ferire; ma sapeva, anche, che con gli occhi si può amare, si può morie.
Eppure, doveva ammetterlo, sapeva che ciò che fa innamorare il mondo sono le parole, dolci suoni che compongono eterne melodie.
E sapeva anche che... quelle parole... pronunciate dalle sue labbra... erano state il colpo mortale.
E allora Beth disse addio a quell'ultima scheggia di cuore che le era rimasta; perchè adesso lo sapeva che era completamente, e irrimediabilmente, suo.
| Alec è un musicista. E potrebbe essere nient'altro. Ma non è così.
| Beth è un'artista. E potrebbe essere nient'altro. Ma non è così.
N.d.a. Non è la solita storia d'amore se d'amore vogliamo parlare!
Genere: Introspettivo, Romantico, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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»Chapter 16

 

Nothing more  As Ink On Paper

 

 

 

 

Una cosa era certa: le vacanze erano finite.
Beth era a casa già da qualche giorno, il suo viaggio a Londra era stato più che soddisfacente. Jessy le aveva mostrato l’accademia, e in Beth, crebbe ancora di più quella voglia che già covava di frequentarla.
Le settimane trascorse in quella città erano state per lei come un songo, dal quale, però, dovette risvegliarsi.
Tornare alla dura realtà, cioè, che pochi giorni mancavano alla ripresa delle lezioni, non ere piacevole; e a Beth mancavano l’aria gelida del mattino appena sveglia, la cioccolata di Jessy, le vie affollate e caotiche di Londra, e l’aria tutta sua che avvolgeva la città. Ma soprattutto a Beth mancava quella sorta di libertà che aveva lì: essere chi voleva.
A Beth mancavano, anche, le giornate passate a disegnare e dipingere, i consigli dell’amica, e le uscite a Soho.
Ma, soprattutto, le mancava quell’assenza, alla quale, un po’, ci si era abituata poiché, sperava e confidava, in un altro casuale incontro.

 

Bath era un po’ diversa da come la ricordava, sarà perché la vedeva con gli occhi di un nuovo anno, o semplicemente perché era, un po’, lei ad essere cambiata.
E Beth, si sentì, per la prima volta, in una città troppo piccola per lei; e nonostante avesse sempre saputo, e sognato, di andarsene da lì, dalla sua Bath, non potè non sentire una morsa allo stomaco a quella sensazione strana, che ora l’assaliva.
Insomma era la sua città, la sua casa, e andava bene sognare e aprire nuovi orizzonti, ma cavolo sentirsi prigioniera no.
Si colpì la testa come per scacciare quei pensieri e con un - << basta! >> - s’incamminò verso il bar dove avrebbe incontrato James.
Ed era lì, bello come lo ricordava, i capelli castani a coprire la fronte, e gli occhi azzurri schiariti dal sole e un sorriso ad abbellirlo non appena la vide.
A Beth era mancato, gli andò incontro e venne accolta da un - << è bello rivederti >> - sussurrato sulla guancia dopo un bacio. Beth arrossì, non per il gesto in se, ma per quella strana confidenza che non ricordava si fosse creata.
<< già… anche per me. >>
<< allora, raccontami, com’è Londra? >> chiese con fare curioso
E Beth gli raccontò tutto: delle sensazioni, dei luoghi visti, della neve, dell’aria, del caffè al mattino, di Jessy, ma non di Alec… non sapeva perché, ma un certo disagio la investiva al solo pensiero di parlare di lui con lui; insomma cosa avrebbe dovuto dirgli? perché la cosa era abbastanza assurda, non sapevano nulla uno dell’altro se non i nomi e le sensazioni strane che provano quando erano insieme; avrebbe dovuto raccontargli tutto, dal primo incontro fuori al bagno del terzo piano, ma non poteva e non voleva farlo, perché era una cosa loro, solo loro, e non le sembrava giusto condividerla con qualcun altro. E le sembrava stupido parlare di lui, perché, alla fine, tra loro cosa c’era? Qualcosa c’era, si… era ovvio: attrazione e interesse. Si, forse era quello, ma nulla di più. E allora, cosa avrebbe dovuto dirgli? Nulla, perché non poteva e non voleva farlo, perché era una cosa sua, solo sua.
Beth trascorse il pomeriggio con James, tra una chiacchiera e un’altra.
Dopo il suo racconto, aveva intrattenuto il tempo ad ascoltarlo, non che la cosa la infastidisse, visto che è sempre stata una buona ascoltatrice piuttosto che una che parla.
James - Beth scoprì quel pomeriggio - aveva la chiacchiera facile, avrebbe potuto dirgli qualsiasi parola e lui avrebbe, efficacemente, costruito un discorso che durasse ore.
Beth sorrise, amava veramente parlare, non solo di se, ma di qualsiasi cosa si potesse parlare.
Lei, invece, preferiva aprire bocca solo se le veniva chiesto, o se aveva qualcosa da dire, per il resto ascoltava.

 
***

 

Alec era tornato da Londra il giorno prima, ed ora stava in camera sua, sul letto, dopo essersi appena svegliato.
I capelli castani erano arruffati e, divenuti troppo lunghi, coprivano gli occhi neri.
Alec sbadigliò.
Si alzò, mise le gambe giù dal letto, stiracchiò le braccia e sbadigliò nuovamente.
Sul comodino alla sua destra giaceva il suo diario, quello rilegato in pelle nero, dove ci scriveva le canzoni.
Lo prese, e quando aprì la prima pagina, un sorriso spuntò sul suo volto, con le dita callose accarezzò quelle lettere, una ad una, e le
fissò, così intensamente quasi a non volerle cancellare, né dal diario, né dalla sua mente.
Lì, nero su bianco, c’era la frase che lo spingeva a scrivere.
Lì, nero su bianco, c’era scritto: Vivi la tua vita fino allo stremo delle forze, e alla fine strizzala più che puoi… e scrivi, e fai musica, e poi quando hai cantato tutto di quella vita, vivine un’altra, e un’altra ancora…
Ed è quello che faceva Alec, viveva, viveva più che poteva, lo faceva fino allo stremo delle sue forze, e poi scriveva, e poi suonava, e poi cantava.
Perché Alec era questo: parole, note, musica… vita.
Ripose quel quaderno, lì, sul comodino alla sua destra, quello fatto da una pila di libri.
E la stanza di Alec non era piena solo di libri, ma anche di CD, dischi in vinile, poster, film, rullini, macchine fotografiche, plettri, chitarre… panni, calzini e riviste, sparsi sul pavimento. Quella stanza era davvero un disastro e a detta della madre una giungla. Più volte la donna lo aveva ripreso con - << metti in ordine quella camera >> - e tutte le volte lui le rispondeva con - << la creatività sta nel disordine… >> - e la povera madre si rassegnava sorridendo.
Alec era una causa persa.
Prese la chitarra ai piedi del letto e la strimpellò un po’ cercando di dare un senso alle note che, quella notte, gli avevano reso impossibile dormire.
<< Beth… >> sussurrò, accarezzando quel nome con le labbra sottili, e assaggiandone ogni lettera. E non potè non risentire l’incredibile attrazione e interesse che provava per lei sulla propria pelle. Perché, alla fine, era questo ciò che provava, nulla di più. Perché, alla fine, era sì diversa dalle altre, ma nulla di più.
Beth, per Alec era solo un enigma da voler indovinare. Un labirinto dal quale uscire, vittorioso.
Nulla di più.
Scosse la testa, come a risvegliarsi da un sogno, posò la chitarra e si decise ad alzarsi.
Si passò una mano nei capelli, e con l’altra si tolse i boxer, l’unico indumento che lo copriva, e si tuffò sotto la doccia.
L’acqua fredda scivolava lungo il suo corpo, e con essa anche la frustrazione e i pensieri.
Appoggiò la testa contro la parete della doccia e rimase così, almeno per una ventina di minuti.
Poi, uscì dalla doccia, un asciugamano intorno alla vita e una mano a frizionare i capelli.
Si guardò allo specchio - quello che aveva difronte - dopo averci passato una mano, e sospirò.

 
Si incamminò per le strade di una Bath poco abitata. I jeans neri ricadevano sui fianchi; il maglione grigio lasciava intravedere la sua pelle, lì, all’altezza del collo; Alec si strinse nelle spalle, la giacca di pelle non lo riparava un granché dal freddo; gli anfibi neri scalciavano, di tanto in tanto, qualche sassolino; i capelli erano legati in un codino dietro la testa; Alec era avvolto da quell’aria misteriosa, che da sempre lo caratterizzava, camminava guardando i suoi piedi, con una mano a mantenere la sigaretta tra le labbra, e con l’altra la chitarra sulle spalle.
Non era certo strano vedere occhi, per lo più di ragazze, che non smettevano di guardarlo. Alec era bello: ed era un dato di fatto.
Sogghignò, poi alzò il viso e rivolse, a quelle ragazze, uno sguardo malizioso.
Jake lo aspettava al solito bar, quando Alec arrivò, l’amico lo accolse con una, consueta, pacca sulla spalla.
<< Cazzo, è bello rivederti! >> gli disse Jake offrendogli una birra, e Alec l’afferrò con un - << già, mi sei mancato amico! >> - e i due, poi, scoppiarono a ridere. Perché la loro amicizia era fatta così, di poche parole, ma di grandi sorrisi. La loro amicizia era vera, lo era davvero. Tra loro c’era l’essenziale, poche parole, pochi abbracci, pochi ti voglio bene, perché bastava un’occhiata per sapere di cosa aveva bisogno l’altro, e bastava la loro amicizia per essere felici. Perché erano Alec e Jake: gli inseparabili.
<< Stasera c’è una festa da Josh, ci sei? >> chiese Jake, non curante, già sapendo di una risposta affermativa da parte dell’amico, Alec sospirò e con un - << non lo so >> - rispose all’amico, che si girò di scatto verso questi e maliziosamente disse - << dai, amico, c’è anche Anne >> - Alec scosse la testa e prendendo un sorso dalla birra gli disse - << chi? >> - Jake sorrise, il solito Alec pensò - << come chi? La rossa che ti sei fatto alla festa di Jordan >> - Alec sospiro con un - << ah… >> - Jake sorrise vittorioso e con un - << ci vediamo stasera allora >> - salutò l’amico e andò via.

 
Seppur a malincuore Alec dovette ammettere che quel tanto agognato giorno – quello, nel quale sarebbe ricominciata la scuola – era arrivato.
Con una maglione nero e jeans dello stesso colore, si diresse verso la sua aula, dove ad attenderlo ci sarebbe stata un’ora di storia.
La giornata era passata nel più lento scorrere del tempo, accompagnato da una solitaria noia.
Arrivato a casa Alec potè finalmente gettarsi sul letto, dormire e non svegliarsi prima dell’indomani, ma qualcosa, o meglio qualcuno, poche ore dopo, glielo impedì. Jake era appoggiato sulla sua scrivania, quella sotto la finestra, e gli lanciava oggetti con l’intento – nel quale riuscì – di svegliarlo. Alec sospirò con un - << cazzo… smettila >> - ma l’amico imperterrito continuò e il moro rassegnato si alzò.
Una mezz’ora dopo, i due inseparabili, erano distesi sul divano, quello disotto in soggiorno, con una birra, due cartoni di pizza, intenti in una partita a Fifa che vinse Jake - << ehi, fai proprio schifo >> - Alec sorrise, consapevole che l’amico avesse ragione, ma solo perché quella sera, di giocare, non ne aveva proprio voglia.
Quella sera continuò in compagnia di amicizia, pizza, birra, e fumo, con un amico – con il quale – era impossibile annoiarsi. Quella sera passò così… all’insegna degli inseparabili Alec e Jake.

 

 

_______________________________________________________________________________________________
Ink Droplets

 

Care lettrici,
questo capitolo – che so non essere un granchè – è solo di passaggio, e mi serve per iniziazione del prossimo capitolo, nel quale, troverete, spero, una bella sorpresa.
Detto questo, devo aggiungere che seppur insulso questo capitolo è importante perché chiarisce alcune idee.
Nelle scorse recensioni ho notato che il messaggio che avete ricevuto è quello che Beth e Alec siano innamorati uno dell’altro, e questo capitolo, ha proprio il compito di smentire ciò.
Infatti, entrambi, provano attrazione e interesse per l’altro, e nulla di più. Spero non rimaniate deluse, ma ho preferito precisare la cosa, perché non voglio che sia una di quelle banali storie in cui c’è il colpo di fulmine, si innamorano, e vivono per sempre felici e contenti… No!
Quello che volevo trasmettere era – non so come spiegare – la sensazione che si ha quando si vede una persona e c’è qualcosa nello sguardo, nel modo di fare, o altro, che ti colpisce; e non fai altro, da quel momento in poi, che pensare a quel qualcosa, a quello sguardo, o a quel modo di fare… e no, non ne sei innamorato, ma incuriosito, interessato.
Quindi Beth e Alec non sono innamorati, o almeno non ancora, o forse non lo saranno mai…
Questo episodio della storia, non racconta nulla di eclatante, ma normali attimi di vita quotidiana, questo perché voglio che la storia sia, per l’appunto non una favola, ma vita reale.
Ringrazio queste persone per aver recensito, preferito e seguito questa storia:

_miky_
DanceOfUnicorn
TheBlueGirl
Elamela
Tenera Avril
Martowl
Vanel
Nuna99
TinyDancer
elev
Marii95
Occhi di fuoco
shadows_fantasy
Una canzone_ solo per te_
Erica_Writer

 Grazieeeeeeeeee
P.s. ho scritto una One shot: Ho i tuoi residui tra le dita passate a dare un’occhiata. (
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2372776&i=1 )

 

Ho i tuoi residui tra le dita.
E mi odio, in un modo che non puoi neanche immaginare, perché nonostante tutto vorrei che tu fossi qui.
E mi odio perché non mi importa del dolore che mi hai procurato.
E mi odio perché, se ora, tu, entrassi da quella porta e mi dicessi un flebile scusa ti perdonerei.
Perché Ho i tuoi residui tra le dita.
E preferirei non avere più nulla, di te.

 

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