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Autore: Gavriel    09/01/2014    1 recensioni
Apollonius e Celiane. Dall'odio viscerale all'amore assoluto, passando per guerra, amore e morte.
Lui era lì, in ogni battaglia: a volte compariva davanti al sole, con le ali possenti come ad abbracciare l’astro, e discendeva terribile sul campo; altre volte era al comando dello schieramento , e ordinava l’assalto con le sue vesti cangianti, coi i capelli in un turbine di fuoco. E Celiane lo cercava ogni volta, quasi con disperazione. Lui d’altra parte faceva sempre in modo di trovarsi nelle vicinanze dell’umana che lo aveva ferito, col feroce desiderio di una vendetta.
Genere: Guerra, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Apollo, Apollonius, Celiane, Gen Fudo, Toma
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nota: in questo capitolo non succede niente di importante ai fini della trama, potete tranquillamente saltarlo se non vi va. Beh, a parte il primo paragrafo, quello mi piace abbastanza, ma per il resto potete aspettare il prossimo, nel quale pubblicherò un breve ecco-cosa-vi-siete-persi.
Grazie a tutti coloro che hanno lasciato una recensione, in particolare CoolIrresistible1D e Pizeta, nonchè ai lettori silenziosi. Buona lettura!
Capo Velato
Se gli umani potevano dare qualche seccatura, in genere era per il loro frivolo attaccamento alla vita; certo se non fosse stato per la loro capacità di sopravvivenza e per la loro attività, ben presto Atlandia sarebbe rimasta a corto di prana, uttavia ad Apollonius ciò non dispiaceva: combattere con gli umani era divertente, vedere le loro espressioni mentre realizzano che non esisteranno più nel giro di secondi, quel lampo di supplicità in alcuni o di piccolo orgoglio in altri.
Quel giorno tuttavia, al loro atterraggio quello che trovarono non fu il solito schieramento di prede in tenuta da battaglia, ma delle file di esemplari curvi, piccoli, dall’aspetto malato. Si avvicinò a loro, al fianco di Toma, e quando atterrarono sul suolo sabbioso venne loro incontro uno di loro a cavallo. Era vestito riccamente, con un alto pennacchio e il volto completamente coperto; prima di rivolgersi a loro dovette calmare il suo cavallo, evidentemente innervosito.
-Questi sono sacrifici per i nostri nuovi Dei.
Apollonius allungò lo sguardo alle mura della città fortificata dietro il ricco messaggero  e gli uomini: non erano molto nitidi, per via delle increspature d’aria calda, ma poteva distinguere numerose sagome accalcarsi e cercare di osservarli.
Intanto Toma si era avvicinato all’uomo a cavallo, quello conosceva i meccanismi di drenaggio del prana, poiché si era coperto completamente. Toma accarezzò il muso del cavallo, che  di colpo divenne mansueto; Apollonius e i suoi compagni non trattennero un sorriso sghembo quando videro il loro capo dai capelli alati svelare il volto dell’uomo senza toccargli la cute. Si godettero lo spettacolo del suo viso, mentre si rendeva conto che stava morendo lentamente senza però capire come. Ali del Sole riconobbe quel familiare spasmo alle ginocchia che il suo compagno aveva ogni volta che assorbiva grandi quantità di prana; anche lui l’aveva provato, una sola volta poco tempo prima.
Toma si disinteressò del cavallo, che si imbizzarrì e scappò con addosso il cadavere non appena gli staccò la mano dal muso, si avvicinò agli altri umani, che si erano stretti tra loro, contorcendosi come larve. Non erano soldati, c’erano dei vecchi, delle piccole bambine, qualche uomo mutilato. Apollonius notò che non avevano tentato di scappare, infatti sembravano storditi, anche troppo per essere degli umani. Toma ne liberò uno con la schiena ricurva e i capelli canuti
-Va’ a dire ai tuoi simili che la prossima volta ne voglio il doppio, umano, o entriamo nelle mura.
Dopodichè diede il via alla mietitura.
 
Per arrivare al regno di Hoor, e più precisamente alla capitale, la Città del Ferro bisognava attraversare buona parte della regione collinosa del Parcher per risalire verso le Montagne Rosse, da cui si ricavava il ferro. Non poteva capitare tempo migliore, pensò Celiane mentre faceva vagare lo sguardo lungo l’orizzonte davanti a lei.
Markus aveva avuto un mezzo tracollo per un paio d’ore all’inizio, poi si  era abituato alle correnti ascensionali, ai venti che soffiavano di traverso e a qualche uccello disorientato che gli era volato in faccia. Adesso il principino se ne stava seduto dietro di lei a guardare il paesaggio scorrere lentamente sotto di loro.
-Ti sono grato per avermi lasciato venire, Celiane, Clodia non me lo avrebbe mai permesso
-Neanche io te lo avrei mai permesso, ma siccome il beta tende a sbilanciarsi in avanti mi serviva un contrappeso…
-Ma sentila, un sacco di patate ti sarebbe stato più utile
-In effetti un sacco di patate non avrebbe vomitato sulla fusoliera del vector…
-Un sacco di patate ti avrebbe mai recitato tutta la saga di Buleegard?
Detto questo il giovane attaccò con un lamento a metà tra una cascata di chiodi e un gatto allupato. Celiane provò a ignorarlo facendo la sostenuta, ma siccome la saga di Buleegard minacciava di essere più lunga che una ballata piantò un’accellerata seguita da un pauroso avvitamento.
Terminata la manovra ci furono alcuni secondi di silenzio, poi una voce debole e strozzata:
-Celiane…
-Si?
 Disse lei ancora un po’ stordita
-Ti odio a morte, guarda che ti ritinteggio anche l’altra fiancata
Ci sarebbero state quattordici battute diverse per rispondere alla sua, ma lei si limitò a fargli notare che stavano per entrare in una nuvola. Lo sapeva di cosa erano fatte le nuvole, ma mai si sarebbe sognato che fossero così dannatamente bagnate.
 
Il mattino dopo Celiane si svegliò con uno starnuto. Aveva il naso e le orecchie tappate; spendido, così imparava a viaggiare senza coprirsi.  Scese dal letto e si vestì con il ricambio che si era portata sul vector e si affacciò alla finestra della sua camera: davanti a lei non si estendeva il placiso paesaggio collinare che con delle scogliere arrivava al mare, ma delle imponenti pareti di roccia, rese azzurre dall’alba pallida di Hoor.
Qualcuno bussò alla porta, dopo il permesso di Celiane entrò una giovane donna dai capelli scuri:
Tra un’ora sei attesa per la presentazione alla corte, principessa de Alisia. Sua maestà Clodia ci tiene a ricordarvi che non è una cerimonia militare.
-Allora dovrà aspettare fino a domani pomeriggio, perché i miei bagagli viaggiano su carro
Rispose lei con un sorrisino, ma la servetta non parve notarlo e continuò concitata:
-La regina se lo aspettava, e ha provveduto affinché vi possiate vestire come meglio si confà ad una futura regina _  le porse un voluminoso involucro di carta velina_  Ha detto anche che è un vestito speciale, appartenuto a vostra madre. Se volete posso aiutarvi ad indossarlo.
Celiane tirò su col naso, un po’ emozionata. Non aveva mai avuto niente che fosse di sua mamma, oltretutto non aveva nessun ricordo nitido del suo volto, se non per via della vetrata della biblioteca, in casa sua.
Dimenticandosi della piccola presenza appoggiò l’involucro sul letto e lo svolse piano. Quello che ne emerse era un abito di seta pesante, riccamente ricamato; lo svolse e lo tese sul letto. La prima cosa che notò fu che non era di taglio alisiano, ma molto più simile a quelli che aveva visto Clodia indossare: Scollo a barca, ampie maniche, una gonna lunga che scendeva dritta. Emozionata chiamò la servetta dai capelli castani e si fece aiutare a metterlo.
 
Se Alisia era costruita con la pietra e col vetro, Il Palazzo della Città del Ferro sembrava intagliata nella roccia: Gli alti soffitti alisiani non si addicevano al clima freddo di Hoor, quindi il corridoio che Celiane aveva percorso e la sala in cui stava entrando davano l’impressione di una calda accoglienza, sebbene un po’ spettrale, viste le piccole finestre.
Avvolta nell’abito non dava dell’occhio più di una qualsiasi cortigiana, quindi ebbe modo di arrivare fino al centro della sala praticamente indisturbata. Davanti a lei c’erano due troni uguali, uno dei quali occupato da Clodia, che stava ricevendo gli omaggi da alcuni delegati stranieri. Intorno a lei e lungo i lati dell’enorme salone c’erano altri uomini di corte: funzionari, capi militari avvolti nelle loro uniformi d’onore, damigelle e degli individui piuttosto eccentrici, che lei riconobbe come gli Estrattori. Con lo sguardo cercava altri volti familiari, come Gen, che era arrivato nel tardo pomeriggio del giorni prima, o Markus, che non vedeva da quando si erano separati nell’atrio appena arrivati.
Stava facendo vagare lo sguardo lungo le persone quando si accorse che un uomo in un abito blu notte le si avvicinò allegro. Celiane lo riconobbe dai capelli chiarissimi , ma quando fu vicino scorse anche il naso arrossato e gli occhi umidi.
-Markus?
-Anche tu sei raffreddata? Beh, per fortuna almeno non sono solo io quello così cagionevole.
In quell’istante tutto il salone si accorse della loro presenza con dei commenti sorpresi; Clodia, ammantata in un abito turchese con  profili di ermellino bianco li invitò al suo cospetto. Celiane non prestò molata attenzione al discorso di benvenuto, ma sapeva che più o meno parlava di una nuova alleanza di sangue e di nuove tecnologie contro gli angeli Massacratori, lei ringraziò e rispose più o meno con pertinenza e venne invitata formalmente a rimanere per quanto tempo ritenesse necessario.
Clodia le fece anche sapere che quella sera ci sarebbe stato un ricevimento di benvenuto in suo onore. Senza apparente motivo si sentì imbarazzata: non aveva mai avuto nessuna festa in suo onore, tra l’altro per via dell’addestramento non era mai andata a niente del genere. Contro ogni sua indole chiese di essere congedata per riprendersi dal “lungo viaggio” e ritornò alle sue camere
  
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