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Autore: Chtsara    09/01/2014    3 recensioni
STORIA IN REVISIONE
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Florentia, XVII secolo d.C.
Le sorti del regno stanno per cambiare: una studentessa di nome Elenoire diventa l'artefice del destino dell'intera popolazione, ancorata alla vita da un semplice ciondolo a forma di cuore che porrebbe fine ai suoi giorni se solo si rifiutasse di obbedire agli ordini di un demone dagli occhi di ghiaccio e l'espressione omicida.
Ma ben presto altri problemi prenderanno d'assalto Elenoire: rivelazioni sul suo passato, sparizioni, seduzioni a tradimento, battaglie, duelli, un amore improvviso e ossessivo, da cui sembrerà impossibile uscire; non quando la sua anima gemella risulterà essere proprio il suo nemico per eccellenza, nonché la fonte dei suoi problemi e dei suoi guai, che nel bene e nel male le cambierà la vita.
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Non c'era più niente a separarli, nemmeno l'aria: i suoi occhi affondarono in quelli di Elenoire, talmente scuri da sembrare un mare di ombre e così espressivi da lasciarlo senza fiato; le labbra semichiuse esalavano dei respiri corti e veloci, in sincrono con i suoi battiti del cuore, mentre lo sguardo continuava a caderle ad intervalli regolari sulla bocca di lui.
Genere: Dark, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti
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Qualcuno bussò alla porta e lo scambio di sguardi tra Leonardo ed Elenoire cessò con la stessa velocità con cui era accaduto.
Leonardo si alzò, sempre attento a non guardarla di nuovo negli occhi, e andò ad aprire: mezzo secondo dopo, desiderò semplicemente di non averlo mai fatto.
L’amico demone di Elenoire era lì, sulla soglia, a misurare Leonardo con una semplice occhiata carica di disgusto che dalla rabbia gli fece ribollire il sangue nelle vene.
Come si permetteva quell’essere demoniaco di mettere piede nel collegio? Come osava esigere di entrare nella stanza del re nonostante, si sapeva, le loro razze fossero nemiche fin da sempre?
“Buongiorno, Vostra Maestà”, sibilò lui con tono arrogante, ma ansioso. “Devo parlarvi, se non vi reco troppo disturbo”.
Leonardo ebbe l’impulso di ridere di fronte a quell’ultima frase ironica, ma alle sue spalle udì un movimento: sapeva che le tre ragazze si stavano girando a vedere cosa stesse succedendo, Elenoire compresa. Quasi riuscì a sentirla trattenere il respiro davanti a quella visione.
Leonardo non rispose: si mise semplicemente di lato, permettendo quindi al ragazzo di entrare, e lo seguì a ruota indicandogli il divano accanto a quello dove erano sedute Elenoire, Hannah e Samantha; lui si accomodò e Leonardo sprofondò di nuovo nella sua poltrona, misurando il nuovo arrivato con un altro sguardo.
“Perdonatemi, non conosco il vostro nome”, gli disse, trattenendosi però dall’aggiungere cosa avrebbe voluto fargli con la spada.
Il ragazzo bruno spostò gli occhi su Elenoire, come se le stesse comunicando qualcosa semplicemente con la forza del pensiero; lei però si voltò istantaneamente in direzione di Hannah, per poi impallidire.
L’unione che legava i due fece scattare a Leonardo il desiderio di prendere a pugni il demone e di stringere Elenoire a sé, impedendole perciò di toccare qualcun altro che non fosse lui.
Cercò di ignorare il fastidio e continuò a fissare il ragazzo, in attesa di una risposta.
“Sono venuto qui con l’intenzione di parlarvi in privato, Vostra Maestà”, disse lui sorridendo, ma mantenendo un tono freddo e distaccato.
Con la coda dell’occhio Leonardo vide gli occhi neri di Elenoire scattare nella sua direzione per la seconda volta in quella mattina e fu solo grazie alla determinazione che riuscì a non ricambiare lo sguardo: interpretò quel gesto come una richiesta d’aiuto, perciò Leonardo si alzò e fece strada al ragazzo verso la porta laterale che conduceva al suo studio personale.
Quando furono entrambi dentro, Leonardo chiuse la porta e si girò a guardare il demone.
“Mi chiamo Alexander”, iniziò. “E non posso negare di aver origliato gran parte della conversazione”.
Leonardo incrociò le braccia, trattenendosi a malapena dal ridere. “E da quando i demoni preferiscono dire la verità anziché una menzogna?”.
Alexander non reagì a quella frase e si limitò a dire: “Credo che Carol sia stata rapita da un demone, così come credo che anche voi la pensiate come me”.
Leonardo si strinse nelle spalle. “È possibile, sì. Ma perché mai dovrei darvi fiducia? Cosa mi assicura che questa non sia tutta una recita?”.
“Se così fosse molto probabilmente io personalmente avrei rapito Elenoire, anziché mettermi d’impegno per occuparmi di un’altra ragazza”, gli fece notare Alexander, riducendo gli occhi chiari ad una fessura.
Non aveva tutti i torti, e Leonardo lo sapeva, ma faticava comunque a voler pensare che quel demone fosse innocente. “Andate avanti, dunque”.
“Nella mia razza esistono diverse famiglie dagli occhi neri, ad esempio quella di Elenoire”, continuò. “Ci tengo però a sottolineare che la sua non è l’unica e che, se steste pensando che su padre possa c’entrare qualcosa, vorrei ricordarvi che non andreste esattamente sul sicuro: proprio come è logico aspettarsi, i demoni si imparentano facilmente con altri demoni di una provenienza diversa dalla loro, dando vita a dei bambini discendenti da due famiglie differenti”.
“Lo so”, sbottò Leonardo. “Infatti la mia era solo un’ipotesi”.
Alexander accennò un sorriso tutt’altro che rassicurante. “Naturalmente”.
“Vi posso assicurare però che le guardie reali si stanno già impegnando nella ricerca della ragazza e, di conseguenza, del colpevole”. Ricambiò il sorriso, cercando di infondervi tutto il gelo che possedeva. “Ma vorrei sapere come abbiate fatto ad entrare nel collegio. Da una finestra aperta, forse?”.
“Non avete una protezione così infallibile, se permettete”. Alexander si inchinò ironicamente e sbuffò, guardandosi intorno disgustato.
“Eppure la vostra è stata la prima visita sgradita che abbiamo ricevuto in moltissimo tempo”, sibilò di rimando Leonardo, gustandosi il suo repentino cambio di espressione e sentendosi improvvisamente più potente di lui.
“Comunque”, disse Alexander, tornando al tono diplomatico nonostante gli occhi continuassero a sprizzare rabbia da tutti i pori. “volevo semplicemente assicurarmi che aveste preso dei provvedimenti in merito alla scomparsa della ragazza per evitare altri eventuali sconvenienti simili in futuro”.
“Avreste potuto chiedere tranquillamente ad Elenoire”. Ma Leonardo si pentì immediatamente della frase appena pronunciata: gli era uscita dalle labbra senza riuscire a fermarla, eppure dopo lo shock iniziale si sentì quasi soddisfatto visto lo sguardo sorpreso di Alexander.
Però, quando quello sorrise e rispose: “Sì, avrei potuto farlo. Del resto lei mi racconta sempre tutto”, Leonardo sentì il suo stomaco crollare come tanti mattoncini fino a depositarsi sul fondo, lasciandogli un senso di vuoto e al tempo stesso di pesantezza.
Ecco un’ulteriore prova del fatto che alla fine Elenoire avesse deciso di parlargli di ciò che era successo tra lei e Leonardo e che lui, di conseguenza, avesse capito benissimo l’argomento della loro discussione avvenuta la sera prima.
Provò un senso di vergogna misto al desiderio di mutilare quella faccia da schiaffi demoniaca per cancellargli definitivamente il sorriso impertinente dalle labbra.
Alexander si incamminò verso la porta e, senza nessun invito, la aprì tornando nella sala principale dove le tre ragazze erano ancora sedute sul divano in attesa di qualche novità.
Leonardo lo seguì a qualche passo di distanza, ma gli si fermò il respiro nel vedere il demone prendere per mano Elenoire e aiutarla delicatamente ad alzarsi, per poi rigirarsi in direzione del re. “Dubito che la presenza di Elenoire possa esservi ancora utile, Vostra Maestà”, gli disse con un ultimo sorriso falso. “Arrivederci”.
Elenoire tenne il viso basso per tutto il tempo e non oppose resistenza quando Alexander si diresse insieme a lei verso la porta. Ma quando oltrepassarono la soglia lei si voltò un attimo a guardare Leonardo, nello sguardo una richiesta d’aiuto e una supplica di scuse, come se sapesse che allontanarsi da lui lo ferisse più di quanto immaginasse. O semplicemente gli era impressa negli occhi la disperazione nel vederla andare via.
 
“Mi hai seguita tutto il giorno?”, chiesi ad Alexander mentre, a fatica, tentavo di tenere il suo passo fuori dalle stanze del re.
“Mi sono preoccupato quando ho visto che la mia spada non smetteva di emanare calore, proprio come il tuo ciondolo”. Si strinse nelle spalle e uscimmo in un balconcino pieno di vasi di fiori adiacente al corridoio. La luce del sole ci investì in pieno viso e l’elsa di rubini della sua spada, che spuntava dal fodero, cominciò a luccicare. “Ho pensato che fossi di nuovo in stretta presenza del re, ma non ne capivo il motivo, visti gli avvenimenti di ieri. E ho deciso di dare un’occhiata per tranquillizzarmi”.
“Ehm, è stato molto gentile da parte tua”, mormorai, nonostante non fossi ancora del tutto convinta. “Ma la prossima volta aspetta un mio segnale”.
“Credi che non l’abbia fatto?”. Mi strizzò un occhio, sorrise e appoggiò i gomiti sul davanzale guardando in lontananza. “Ho aspettato che mi dicessi cosa stesse succedendo, però non ti sei preoccupata di farlo e ho preso una decisione per conto mio”.
Poggiai la schiena al davanzale e mi voltai verso di lui. “Hai fatto bene a dire a Leonardo di volergli parlare in privato. Hannah pensa che tu ti chiami Jonathan e credo che si sarebbe posta alcune domande se avessi cambiato nome”.
Alexander annuì. “È esattamente quello a cui ho pensato io”.
“Cosa ti ha detto Leonardo?”. Mi sorpresi della facilità con cui, dopo l’incontro di poco prima, riuscissi a nominarlo di nuovo.
“Anche lui, come me, crede che il colpevole sia un demone”, sospirò. “Samantha ci ha dato un indizio importante quando ha parlato dei suoi occhi neri”.
A quelle ultime parole, il mio pensiero scattò verso Sebastian. “Credi che si tratti...?”.
“Di tuo cugino?”, terminò Alexander per me. “No, il suo compito è un altro: eliminare me e te. Non perderebbe tempo con il rapimento di un’altra ragazza, non quando il suo scopo è uccidere noi due”.
“Spero solo che lei stia bene”, mormorai. “Sarebbe potuto capitare a chiunque, me compresa. E a quest’ora chissà dove sarei”.
Lui scosse la testa. “Non l’avrebbero fatto così alla leggera, no. Hanno notato la mia scomparsa e immagino che abbiano capito che il ciondolo a forma di cuore l’ho rubato io. Non deve essere stato difficile per loro collegare le due cose: sanno che, se ti avessero attaccata, io l’avrei saputo immediatamente. Non dimenticare questo particolare”.
“Quindi io, in pratica, sono immune a qualsiasi attacco da parte dei demoni?”.
“Dentro il collegio sì”, mi corresse. “La famiglia di Leonardo, alla sua fondazione, ha imposto sull’edificio una specie di protezione che allontana le creature non umane e che quindi impedisce loro di entrare e ferire qualsiasi studente o insegnante. Per questo la banshee ti ha attaccata nella foresta: non rientrava nei confini del collegio”.
“Ma io non sono una creatura umana”, gli feci notare, con tono involontariamente gelido. “In teoria dovrebbe essermi impedito l’accesso. Così come a te e a Leonardo”.
“Ti ricordo che tu e Leonardo siete in parte umani: tua madre era una mortale, proprio come la sua era un semi-angelo. È avvenuta una mescolanza di sangue che vi ha permesso di entrare comunque nel collegio. Per quanto riguarda me”. Sorrise. “io posso superare il limite grazie alla spada che mi collega alla tua collana. È un oggetto più magico di quanto pensi e mi permette di oltrepassare il confine senza rischiare di essere bruciato vivo”.
Sentii la mia bocca spalancarsi di fronte a quell’ultima affermazione. “Quindi qualunque essere non umano si azzardi a farlo, morirà?”.
“Credo che sia per questo che Carol sia stata rapita fuori dal castello, alla festa della locanda, e non prima; e che per questo tu non abbia ancora ricevuto nessuna visita notturna da parte di Sebastian”. Dopodiché Alexander si mise a fischiettare come se niente fosse, distratto, e cominciò a rigirarsi i pollici.
 
Quella giornata passò più in fretta di quanto Leonardo pensasse: era tornato al castello per impartire personalmente degli ordini più precisi alla guardia reale e aveva sfruttato quell’occasione come una scusa per non dover incrociare più Elenoire e sentire ancora una volta la tentazione di tenerla stretta tra le braccia impedendole di scappare da lui.
C’erano stati dei progressi, però, questo doveva ammetterlo: l’aveva guardato, e più di una volta; e prima ancora l’aveva seguito insieme alle sue due amiche senza che lui le dicesse nulla. Era pur sempre meglio di niente.
Ma, nonostante tutto, dopo qualche ora la voglia di rivederla tornò ad occupare la sua mente e quella notte si era trovato di nuovo nella stanza di lei a guardarla dormire: così piccola e indifesa, riusciva a rifugiarsi nel mondo dei sogni con una facilità invidiabile che a lui non era permessa, non quando la sicurezza del suo stesso popolo era a rischio. Non quando ormai tutti i suoi pensieri si collegavano automaticamente al suo viso.
Si era avvicinato con cautela, assicurandosi che fosse veramente addormentata, e si era sdraiato accanto a lei beandosi della semplice opportunità di poterle stare vicino.
E ora era lì, a pochi centimetri dal suo corpo, ad osservare il suo petto che andava su e giù, in sincrono con il suo respiro, e la sua mano protesa verso il cuscino, come se stesse aspettando qualcuno che potesse stringerla e rassicurarla.
Leonardo avvicinò lentamente le dita alle sue, senza staccare gli occhi dalle sue palpebre chiuse, e le posò con delicatezza sulla sua mano, così piccola da scomparire sotto quella di lui. Avrebbe voluto restare così per sempre, al diavolo ciò che succedeva fuori dalle mura del collegio: ci avrebbe pensato quando, e se, si fosse sentito veramente pronto ad affrontare un qualcosa che giorno per giorno diventava più grande di lui.
Spostò l’altra mano sui suoi capelli, sentendone la morbidezza al tatto e desiderando di potervi immergere il viso per sentirne il profumo: doveva semplicemente aspettare un altro po’ e lei avrebbe ricominciato a parlargli, ne era sicuro. O perlomeno lo sperava.
Restò in quel modo per tutta la notte e, quando intravide la luce del sole fuori dalla finestra, fu con riluttanza che decise di dare voce alla ragione e si alzò dal letto, staccandosi quindi da lei. La guardò un’ultima volta e uscì dalla stanza, crogiolandosi nella consapevolezza che di lì a breve l’avrebbe vista di nuovo.
 
“Ho paura”.
“Di cosa?”.
“Che le sia successo qualcosa”.
“A chi? A Carol?”.
“Ovviamente”.
“Stanno facendo di tutto per trovarla, non ti preoccupare”.
“Lo dice il re, Elenoire. E lo dice solo per tranquillizzare il popolo”.
“La stanno cercando da solo un giorno!”.
“Avrebbero già dovuto trovarla”.
Sospirai, sconfitta, e bevvi un po’ della mia cioccolata calda. Eravamo sedute ad uno dei tavolini della mensa, ancora mezza vuota, per la colazione e il pessimismo di Hannah peggiorava la situazione disastrosa già di per sé.
“È appena arrivato Leonardo, comunque”.
Lasciaci cadere la tazza sul tavolo e mi girai di scatto verso la porta della stanza senza nemmeno rendermene conto. Quando intravidi la sua capigliatura bionda sentii distintamente la cioccolata salire e scendere per lo stomaco, come se fosse dotata di vita propria. Che cosa mi stava succedendo?
“Ehm, Elenoire”, sussurrò Hannah, toccandomi il gomito con la punta del suo cucchiaio.
“Che c’è?”, sbottai, più fredda di quanto pensassi, e mi girai a guardarla.
“Hai un po’ di...”. Si indicò la pelle proprio sotto il naso e intuii di avere un gran bel paio di baffi al cioccolato sopra le labbra.
Presi il tovagliolo e mi pulii distrattamente la parte interessata, con le guance che (lo sapevo) si arrossavano ogni secondo di più. E se Leonardo mi avesse vista? E se avesse riso di me insieme ai gemelli Grayson? E se in quel momento mi stesse prendendo in giro?
Hannah si sporse in avanti, guardandomi in cagnesco, e sussurrò: “Si può sapere cosa diamine sta succedendo tra di voi?”.
Il tempo si fermò all’istante. Avrei dovuto dirle la verità almeno su quella parte della storia? Avrei potuto raccontarle di Leonardo senza necessariamente aggiungere il particolare sulle nostre nature non umane? Mi avrebbe dato della pazza sapendo che avevo rifiutato le sue attenzioni, nonostante il modo in cui era successo?
Alla fine, sospirai: “Non lo so. Lui mi ignora, io lo ignoro e non ci rivolgiamo la parola”.
Le sopracciglia di Hannah scattarono verso l’alto. “Questo era evidente. Io ti ho chiesto il motivo”.
Perché ci siamo promessi a vicenda di stare lontani l’uno dall’altra. E poi perché lui per un momento mi ha scambiata per una cortigiana ed io sono scappata.
“Alla festa della locanda mi ha baciata”, sussurrai, fissandomi insistentemente le unghie delle mani nella speranza di sparire proprio in quell’esatto momento.
Come avevo previsto, Hannah lasciò cadere il suo cucchiaio sul piatto (producendo un rumore che risuonò per tutta la stanza) e mi fissò con gli occhi sbarrati, la bocca spalancata. Se non l’avessi conosciuta, avrei pensato che sarebbe morta per insufficienza respiratoria. Poi però rispose: “Ti ha baciata? Ma allora perché...? Cioè, non dovreste...?”.
“No”, la bloccai immediatamente, scuotendo la testa. “Per questo ci ignoriamo: dall’imbarazzo, suppongo. O almeno per me è così”.
E poi pensavo di avere un po’ più di importanza, per lui.
Hannah arricciò le labbra, contrariata. “Come mai non è nato niente?”.
“La mattina dopo ha ricominciato a non parlarmi ed io non avevo alcuna voglia di convincerlo a fare il contrario, orgogliosa come sono”, dissi, accorgendomi solo in quel momento di quanto quella frase fosse vera. “Aspetto lui, io non faccio nulla”.
“Ieri infatti ti ha saltata, quando ha chiesto a me e a Samantha di seguirlo nelle sue stanze per sapere la nostra versione dei fatti riguardanti Carol”, mi ricordò lei con cautela.
“Lo so, l’ho notato anche io”, sussurrai, senza alzare lo sguardo. C’era qualcosa che non quadrava: perché mi importava di lui? Perché riusciva a ferirmi? Cos’era davvero per me?
  
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