I giorni passarono lenti e pesanti. Di lei niente. Si diceva avesse passato qualche giorno in compagnia del S.Bianchi, scapolo abbastanza ricco, della città ma che però lei avesse rifiutato la sua proposta di matrimonio. Ovviamente non posso dire che ero triste all'idea anzi appena lo seppi, quasi feci i salti di gioia. L'euforia di quella giornata passata insieme mi stava abbandonando del tuttoe man mano si trosformava in una malinconia che mi toglieva il sorriso.
Un martedì mattina, cupo e noioso come al solito, mi diressi a lavoro come ogni tantissimo giorno. Ormai erano passati 5 o 6 giorni che non la vedevo e pensavo che quasi lo facesse apposta a non farsi trovare. Magari mi aveva mentito e aveva trovato quella giornata abbastanza noiosa tanto da decidere di evitarmi completamente. Sarebbe stata una cosa che mi avrebbe totalmente distrutto. Ero intento a raccogliere i grappoli d'uva bianca, ogni chicco rappresentava un grado in più di tristezza.
C'era un pò di luce fioca del sole nascosta dietro ad un velo di nuvole bianche. Nel campo c'era abbastanza umidità, quindi i miei capelli neri si trasformarono in minuscoli boccoli. L'aria pesante mista con l'odore di terra bagnata mi riempiva i polmoni e le mie mani, bagnate dalla rugiada, erano congelate. L'atmosfera era tranquilla e.. noiosa.
La sua mancanza quasi mi struggeva.
Non facevo che prendere un grappolo e metterlo nella cesta..
Chissà ora che stava facendo..
Prendere la cesta e spostarla vicino un altro albero
Stava bene?
Buttare a terra i grappoli marci per trasformarli in concime.
Quell'atmosfera, così tranquilla e cupa, accentuava un tono di solitudine.. Mi sentivo così solo, così incompreso.. mi sentivo scoppiare! Ma naturalmente il mio essere introverso mi imponeva di esplodere e di gridare al mondo come mi sentivo e cosa provavo.
Improvvisamente dei passi marcati dal suono delle foglie secche stese sul terreno. Il suono si faceva sempre più vicino e io mi guardavo intorno per cercare di scorgere l'artefice di quel rumore. Ma la piantagione d'uva mi rovinava la vista. Qualcuno mi toccò la spalla destra. Feci un salto. Mi girai di scatto. Fausto il contadino, con in mano la sua cesta di raccolto.
<< Bravo giovinotto, bravo >> mi dava delle pacche sulla spalla. Poi prese la mia cesta e concluse << Te ne porto una vuota >>
Lo vidi allontanarsi. Dovevo smetterla di pensare che fosse lei, mi veniva un infarto ogni volta. Tanto lei già si sarà dimenticata di me..
All'ora di pranzo, salutai Fausto e mi diressi a comprar le mie pietanze. Camminavo lentamente, lo sguardo vuoto, i passi pesanti. Quel giorno faceva più freschetto del solito: ormai era la metà di Ottobre.
Incredibile come in un mese e mezzo erano cambiate così tante cose, almeno nella mia vita. Prima tutto sembrava una routine immutabile e senza fine, ora invece vivevo grazie ad un sentimento caldo e doloroso. Mi si strinse il cuore.
Durante la strada per raggiungere il supermercato, mi venne voglia di "atmosfera familiare". Volevo sentirmi protetto e al sicuro. Ma, essendo orfano, o quasi ( mio padre qualche anno dopo la morte di mamma partì per un lungo viaggio senza fare mai più ritorno) non potevo approfittare di questo amore.
Poi mi venne in mente la Signora della locanda, l'amica stretta di mamma.. la mia seconda mamma.. Ora che avevo perso Imma, mi sentivo davvero solo e avevo bisogno di tranquillizzazioni. Voltai verso sinistra e mi diressi verso la collinetta.
L'aria era pura e fresca ed era raro scorgere qualche macchina: il paesino era piccolo e modesto e la gente si spostava o in bicicletta o, sopratutto a piedi.
Mentre camminavo, con le mani in tasca e i capelli ricci al vento, udì delle donne urlare.