ANCORA UNA VOLTA
Gatsu sedeva, stremato, su un masso ai piedi dell’albero
che una volta apparteneva al re degli elfi. L’armatura del Berserk,
ormai logorata dopo un anno di battaglie interminabili, sembrava gemere con
lui, mentre l’ammazzadraghi, piantata nel suolo
benedetto della terra degli elfi, sembrava una gigantesca lapide di ferro per
tutti coloro che erano caduti sulla sua strada. Un
lontano rombo indicava che i mostri al seguito di Grifis
avevano infranto la barriera eretta dagli elfi al prezzo della vita di molti di loro. Quel lontano rintocco, come una campana, annunciava
al Guerriero Nero che presto avrebbe fronteggiato il suo nemico per l’ultima,
decisiva volta.
Un tremito incontrollabile incominciò a percorrere le
sue membra, fino ad allora salde contro gli apostoli,
mentre tutto ciò che gli era caro gli veniva strappato e moriva. L’armatura
sembrò fremere preoccupata, come se temesse che il suo portatore non fosse in
grado di sopravvivere alla battaglia imminente. Con un sorriso pieno di
malinconia, Gatsu si ricordò la prima volta che aveva
indossato quell’armatura: la ferocia innaturale di quella creatura si era
sposata con la fiamma nera che dall’eclisse gli bruciava nel cuore, rendendolo
molte volte più forte degli apostoli che avevano attaccato la casa di Flora;
tuttavia per poco non era morto, a causa di quella forza incontenibile. Solo
dopo molto tempo Shilke era riuscita a insegnargli a dominare quella forza, grazie proprio a
quella fiamma nera che più volte era stata sul punto di sommergerlo; fu per
quel motivo che il precedente proprietario non era riuscito a controllarne il
potere, finendo per diventare uno spettro dal volto di teschio. La Bestia che
fino a quel momento l’aveva divorato era della stessa natura dello spirito maligno
rinchiuso in quel pezzo di metallo, e nessuno a parte lui possedeva quel mostro
annidato nel suo spirito…
Il Guerriero Nero si riscosse dai suoi pensieri: aveva
percepito un cambiamento nell’atmosfera, come una frattura.
“Sono qui.”
La barriera aveva ceduto. Dal giardino in cui si
trovava, riusciva a vedere le nuvole di polvere sollevate dai mostri di Grifis: si avvicinavano a vista d’occhio. Con fare deciso
prese un po’ della polvere d’elfo che Pak gli aveva
lasciato prima di sacrificarsi per creare la Malìa e
con essa si cosparse le ferite rimaste ancora aperte
dopo il suo ultimo combattimento con Zodd, in cui
finalmente l’apostolo era morto definitivamente. A quel pensiero una morsa di
dolore si strinse attorno al suo cuore: Zodd l’aveva
sorpreso meno di una settimana prima, alle porte della terra degli elfi. Per
quanto ne sapeva, l’Immortale era andato in avanscoperta con un drappello di
falsi apostoli, e per uno scherzo del destino si era imbattuto in lui. La
tentazione era stata troppo forte: dopo aver congedato con la forza i mostri
che l’avevano seguito, si era lanciato su Gatsu,
smanioso di provare la sua nuova forza derivata dall’armatura del Berserk.
“Grandioso,” gli aveva detto
il mostro taurino. “Non sospettavo minimamente che un essere umano potesse essere così forte… Ma tu ti stai ancora trattenendo.
Perché non liberi tutta la tua potenza? Io conosco
bene il desiderio omicida che si nasconde al tuo interno, e so quanta forza può
sviluppare, specialmente grazie a quel manufatto. E allora
perché non la scateni, tutta questa forza?!”
Gatsu stava combattendo col terrore che Zodd
si accorgesse che cercava in tutti i modi di non coinvolgere Caska, atterrita dalla vista del mostro. Ciononostante, non
aveva potuto astenersi dal compiere un fendente molto incauto e poco efficace,
messo in atto per evitare di schiacciare Caska contro
la parete rocciosa con la sua mole. Essendo un abile guerriero, prima che un
mostro sanguinario, Zodd aveva notato l’apparente
assurdità di quel movimento, e aveva capito che Gatsu
lottava proteggendo Caska.
“Allora è per questo che ti trattieni, guerriero,” aveva detto, con un’espressione incuriosita negli occhi
bovini. “Vediamo come ti comporti se lei muore…”
Gatsu era stato impotente, mentre osservava che in una
frazione di secondo, senza nemmeno un urlo, Caska veniva spezzata in due da una zampata di Zodd.
Ricordava ancora l’ira e la disperazione che in quel momento avevano
devastato la sua ragione, e la sua decisione di lasciare che la Bestia e lo
spirito dell’armatura si unissero come avevano già fatto, e gli dessero tutta
la loro forza per attaccare Zodd. Il resto di quel
combattimento era confuso nella sua memoria. Ricordava solo, quando era tornato
in sé, il dolore lacerante dovuto al potere dell’armatura, che l’aveva quasi ucciso,
e la disperazione senza nome che aveva provato sul cadavere spezzato in due
dell’unica ragione che l’aveva spinto a mettere un passo avanti all’altro.
“Oh…” erano state le ultime parole di Zodd. “Sei veramente… forte… E’ stato
un… onore… essere battuto da te…”
Cercando di non pensare ad altro che
allo scontro imminente, Gatsu cosparse le sue ferite
della polvere d’elfo.
Il re degli elfi gli aveva spiegato a grandi linee in
cosa consisteva la Malìa elfica,
ma Gatsu non si aspettava un effetto del genere: il
suolo sotto i suoi piedi era percorso dalle vibrazioni
della battaglia tra gli apostoli di Grifis e la terra
degli elfi stessa, resa viva dall’incantesimo per cui tutti gli elfi avevano
sacrificato la loro vita. Il cielo stesso aveva cominciato a sanguinare, e gli
alberi del giardino attorno a Gatsu sembravano
gemere, come se stessero partecipando anche loro alla battaglia. Poi arrivarono
le urla.
I mostri al seguito di Grifis
non si aspettavano certamente di incontrare un esercito pronto ad affrontarli,
ma nemmeno che il terreno sotto i loro piedi si aprisse
per inghiottirli, che il vento strappasse la carne dalle loro ossa, che gli
alberi mostrassero di avere una corteccia più resistente dell’acciaio e
potessero muoversi, per chiudere la ritirata agli sbigottiti invasori e
stritolarli con i loro rami fino a far zampillare il loro sangue in alto, come
oscene fontane di carne.
Sotto il cielo che andava oscurandosi di nere nubi,
cariche di tempeste e fulmini, il Guerriero Nero si preparava, di fronte
all’arco spezzato che segnava l’ingresso al giardino segreto del re degli elfi,
ad incontrare il suo vecchio amico.
Lentamente, la battaglia si avvicinava: Gatsu ormai riusciva a distinguere gli apostoli, le loro
forme mostruose, che lottavano contro creature nebbiose che apparivano e
sparivano come fantasmi, o contro montagne che in un momento sbarravano loro il
passo, e nel momento successivo erano tornate valli. E
al suo orecchio giungevano le urla di terrore e di dolore dei mostri, lancinati, divorati, smembrati da un nemico invisibile,
tutto attorno a loro. Se Judo fosse stato vivo forse
avrebbe colto l’ironia, la somiglianza grottesca di quella battaglia persa in
partenza con l’eclisse, ma Gatsu non poteva
permetterselo: il suo unico occhio scrutava quel mare informe di carne, denti e
sangue alla ricerca di uno squarcio di luce, che gli mostrasse finalmente il
suo nemico.
E infatti eccolo: la tremante
massa degli apostoli fu trafitta da un raggio di luce, dritto davanti a Gatsu. Immerso in quella luce trascendente, avanzava Grifis, e sembrava che quella luce emanasse proprio da lui.
Indossava la stessa armatura dell’ultima volta che l’aveva visto, sulla collina
delle spade: gli intarsi a forma di piuma sembravano muoversi con una grazia
sovrannaturale, accompagnando ogni suo movimento. La spada era già sguainata,
ma era intonsa. La Malìa elfica
non aveva effetto su di lui, non aveva dovuto
combattere per raggiungere il giardino del re degli elfi.
“E’… colpa tua…”
Un turbine di emozioni si
impadronì di Gatsu, di nuovo di fronte alla causa di
tutta la sua sofferenza, dell’eclissi, della follia di Caska,
della morte di lei e di tutti i suoi nuovi compagni. Dolore. Rabbia. Angoscia.
Odio. Eppure non era l’odio l’emozione che lo possedeva,
nonostante tutto ciò che aveva passato. L’odio era sparito con Caska. Ora di fronte a lui non c’era l’essere mostruoso che
quel giorno lontano l’aveva violentata, prendendosi gioco di lui e di tutta la
Squadra dei Falchi, non c’era l’essere che ad Albione aveva assoggettato Zodd con il solo sguardo, non c’era l’essere che sulla
collina delle spade diceva di non provare nulla per lui. Ora, con la sciabola
estratta dal fodero, immerso in una luce splendente, mentre intorno
i suoi soldati morivano per lui, c’era il vecchio amico che lo aveva
tradito. Non provava odio. Il sentimento che lo pervadeva era solo una profonda
amarezza.
L’armatura del Berserk
sembrava percepire questa stanchezza, una stanchezza provocata da anni di
tristezza e sofferenza, e sembrava pesare come se non avesse intenzione di
combattere senza il suo odio. Gatsu riusciva a stento
a reggere l’ammazzadraghi, eppure sapeva che, per
sopravvivere allo scontro imminente doveva sfruttare al massimo la sua forza e
la sua agilità.
Grifis si era arrestato a meno di dieci passi di distanza, e
aveva sollevato la sciabola, puntandola contro Gatsu.
Per fortuna l’essenza della terra degli elfi non gli faceva sentire il dolore
del marchio, altrimenti non avrebbe potuto
fronteggiare Grifis. Al Guerriero Nero quella
situazione ricordava intensamente il loro ultimo duello, quando aveva lasciato
la Squadra dei Falchi, innescando l’inesorabile processo che avrebbe portato
all’eclissi e alla distruzione delle Midlands e di
tutti gli altri regni del continente ad opera degli
apostoli di Grifis. Ma c’era
qualcosa di diverso. All’epoca lui combatteva per un motivo, mentre Grifis, l’espressione fredda e decisa come suo solito,
cercava di ostacolarlo. Ora Gatsu non aveva più nessun motivo per combattere, nel giardino benedetto del
re degli elfi, poteva solo continuare a brandire la spada, senza altro
motivo che la sua sopravvivenza. E l’espressione di Grifis non era fredda e decisa come quel giorno, e neppure
distaccata e indifferente come sulla collina delle spade. Ora i suoi occhi
sbarrati erano infiammati dalla febbre: l’intero suo corpo sembrava sul punto
di lanciarsi per ucciderlo, per schiacciare quell’ultimo brandello della sua
passata umanità. Era come preda della pazzia: una
pazzia feroce, che gli aveva fatto accantonare il suo sogno, il regno che con
il ferro e con il sangue aveva costruito, per andare alla ricerca di Gatsu, per stanarlo, per distruggerlo. Non era il Grifis che aveva conosciuto ai tempi della Squadra dei Falchi,
e nemmeno il semidio incarnato intravisto ad Albione: davanti a Gatsu c’era una belva sanguinaria, il cui unico scopo era
ucciderlo.
Fu un attimo: Grifis si
lanciò con tutta la sua velocità contro Gatsu. Per
una frazione di secondo gli occhi sbarrati del Falco Bianco furono a un centimetro da quello sorpreso di Gatsu,
poi l’urto mostruoso del colpo di Grifis fece volare
il Guerriero Nero lontano. Non si era aspettato tutta quella forza da una
sciabola così esile: evidentemente anche Grifis,
grazie alla sua natura divina, era diventato più forte dall’ultima volta. Ma
quel colpo, che aveva incrinato l’armatura del Berserk,
gli stava facendo montare la sensazione familiare del desiderio di uccidere:
nel suo cuore, la bestia che credeva sopita, dopo la morte di Caska, ricominciò ad ululare, e ad essa
si unì l’urlo lacerante dello spirito dell’armatura del Berserk.
Finalmente, il corpo di Gatsu si erse in tutta la sua
statura, impugnando saldamente l’ammazzadraghi, di
nuovo desideroso di uccidere.
“E’ stata colpa tua!”
Per un tempo che sembrò illimitato per Gatsu fu solo roteare la spada, evitare i colpi, sentire
l’urto micidiale di quella sciabola e il sapore del sangue nella bocca. Non
riusciva nemmeno a vedere Grifis, che si muoveva
velocissimo da una parte all’altra del suo campo visivo. Invece lui, per quanto
veloce potesse essere diventato grazie alla sua ira e all’armatura del Berserk, continuava a subire: le parti della corazza
stridevano per il contatto con il metallo divino della sciabola di Grifis, e, lentamente, perdevano coerenza. Se non faceva qualcosa al più presto, sarebbe stato inerme di
fronte al suo nemico. Nella nebbia rossa che gli annebbiava gli occhi, a Gatsu parve di vedere una breccia nella guardia di Grifis, e senza nemmeno il bisogno di pensarci, vi abbatté
l’ammazzadraghi con tutta la sua forza. Per un attimo
fu assordato dal clangore dell’impatto, ma poi sentì l’armatura cedere, e il
balzo all’indietro del suo nemico: ciò gli concedette un breve attimo di
respiro per riprendere lucidità e valutare la situazione.
Sentiva dolore in tutto il corpo: solo l’armatura del Berserk l’aveva salvato da gravissime ferite. Tuttavia era quasi inutilizzabile: la gorgiera si era
staccata, lasciando esposto un pericoloso punto debole per l’agile sciabola di Grifis, e in molti altri punti essa era sbrecciata,
incrinata, se non addirittura trafitta. Se almeno avesse avuto ancora l’elmo,
infrantosi nella battaglia contro Zodd, avrebbe
potuto in parte proteggersi dai prossimi attacchi, ma così testa e collo erano
scoperti, mentre qualunque altra parte del corpo era praticamente
alla mercé dei colpi del Falco Bianco. D’altronde, con il suo ultimo colpo, Gatsu era riuscito a staccare lo spallaccio sinistro di Grifis, aprendo un punto debole diretto nella sua armatura
piumata: lo squarcio rendeva visibile la spalla nuda del Falco Bianco, un
ottimo bersaglio per il suo prossimo attacco. Dallo sguardo di Grifis, Gatsu tuttavia capì che
anch’egli aveva notato l’opportunità donatagli dal suo collo sguarnito.
Entrambi avrebbero tentato il tutto per tutto: con
quel colpo avrebbero deciso le sorti del combattimento.
Solo ora Gatsu si accorse che
intorno a loro la battaglia era finita: il pomeriggio primaverile della terra
degli elfi si era trasformato in una notte senza luna, illuminata solo dagli
ultimi lampi nel cielo nuvoloso. La terra si era seccata, riducendo lo
splendido giardino del re degli elfi in un desolato deserto. Il vento era
caduto, e l’acqua scomparsa: la terra degli elfi era morta. Il silenzio copriva
come un manto di morte la distesa di cadaveri immondi che una volta avevano
costituito l’invincibile armata di soldati diabolici agli ordini di Grifis, ormai resti lacerati privi di forma. La battaglia
era finita, e nessuno aveva vinto. Nessuno degli apostoli era
sopravvissuto alla furia scatenata dalla Malìa degli
elfi, e la terra stessa, animata, stava emettendo i suoi ultimi respiri.
Solo loro due si fronteggiavano ancora in quel deserto inondato di sangue e
ossa.
Senza sapere chi per primo avesse fatto la sua mossa,
entrambi si lanciarono l’uno contro l’altro, mirando
alla gola e alla spalla, entrambi consci che non avrebbero avuto seconde
opportunità. Gatsu fu sorpreso dal fatto che Grifis non si era mosso minimamente per proteggersi la
spalla, ma non perse tempo e calò con tutta la forza che poteva l’ammazzadraghi nell’apertura sulla spalla del suo nemico.
Sentì l’acciaio affondare nella carne, infrangere l’osso e penetrare giù,
attraverso la gabbia toracica di Grifis: con un
poderoso clangore, la spada si spezzò, e gran parte della lama volò via in
frantumi, distrutta dalla potenza dell’impatto. In mano a Gatsu
rimase l’impugnatura e la parte di lama affondata nel petto squassato di Grifis. La facilità di quell’attacco per un attimo sorprese
il Guerriero Nero, che si chiese come avesse potuto Grifis
ignorare un punto debole così vulnerabile e pericoloso. Quando
lo guardò negli occhi di fuoco, capì che a lui non importava affatto sopravvivere
o morire in quel duello, l’unica cosa che gli interessava era affondare la sua
sciabola nel collo di Gatsu fino all’elsa. E così aveva fatto. Gatsu non
sentiva nemmeno dolore, mentre guardava incredulo il suo stesso sangue uscire a
fiotti dal suo collo e inondare la mano e il braccio di Grifis.
Anzi, cominciava a sentire un grottesco senso di ironia
montargli nel cuore.
“E così, devo morire in
questo modo…”
Lasciando la presa sull’ammazzadraghi,
incurante della sorte di Grifis, travolto da un
sentimento a metà tra l’amarezza e l’ilarità, Gatsu
si lasciò cadere sulla schiena, sfinito.
“Allora… E’ così morire…”
Gatsu si sentiva fluttuare. L’ultima cosa che ricordava era
la sciabola di Grifis affondata nel suo collo, e i
suoi occhi morenti, ancora iniettati di sangue e odio nei suoi confronti, un
odio animale, privo di lucidità. Poi era caduto all’indietro, ma non aveva mai
toccato terra. Di fronte a lui c’era solo un’oscurità venata di rosso, e le sue
orecchie erano colme del battito di un cuore gigantesco. A sprazzi ricordava
elementi del suo passato: il sacrificio sofferto di Pak,
che fino all’ultimo gli era stato vicino, offrendogli tutta la polvere che
fosse stato in grado di produrre prima di partecipare
al rituale per la Malìa; la morte di Caska ad opera di Zodd; la
sparizione del vecchio spirito del teschio, sprofondato nel vortice insieme al
suo nemico, Boid della Mano di Dio; l’uccisione di Farnese e Serpico ad opera dei soldati
diabolici di Grifis; quella di Isidoro ad opera di Shilat; le rispettive, sanguinose, vendette che Gatsu si era preso sugli assassini dei suoi amici; la
terribile consapevolezza, la morte di Shilke e Ibarella, subito dopo aver imparato a padroneggiare
l’armatura del Berserk: era bastato un attimo di
disattenzione per perdere il controllo e imbrattarsi, nuovamente, di sangue
innocente…
E poi il precedente incontro con Grifis,
sulla collina delle spade, prima che venisse devastata
e che Rickert e Erika venissero uccisi dalle orde dei
suoi mostri; Albione, l’incontro con Caska,
l’apparizione di Grifis tra le macerie; la battaglia
terribile con l’apostolo falena, in cui aveva cominciato a sentire il dubbio,
l’incertezza delle proprie scelte, il peso della sua spada.
E sempre più velocemente, la dura lotta con il Conte e
con l’uomo serpente, l’atroce giorno dell’eclissi, in cui tutto era cambiato,
il salvataggio di Grifis, Caska
e il suo amore, il ritorno nella Squadra dei Falchi, l’anno di
addestramento, il primo combattimento con Shilat
e il primo incontro con Godor: e infine quel momento
lontano, tanto simile al suo ultimo giorno di vita, il duello con Grifis, dopo il quale più nulla era stato lo stesso.
Gli sembrava di sentire ancora il freddo dell’inverno,
la tiepida luce del sole appena sorto sulla pelle, la tensione per quel colpo,
che avrebbe deciso il destino dell’intero mondo. Vedeva innanzi a sé lo sguardo
deciso e freddo di Grifis, così simile eppure così
diverso da quello tremendo del mostro che l’aveva ucciso, poi gli sembrò che
tutto scomparisse, che finalmente l’oblio si prendesse la rivincita su di lui,
che per così tanto tempo aveva evitato la morte. Ma
sentiva ancora qualcosa: freddo, sulla schiena, suoni confusi, qualcuno che lo
teneva per le spalle.
“Gatsu! Gatsu,
mi senti!”
Judo…
Lentamente, Gatsu aprì gli
occhi, e la luce del sole nascente li ferì come se essi non avessero mai visto
luce: il volto preoccupato di Judo, su di lui, così come se lo ricordava. Lo
zigomo destro gli bruciava da morire e sentiva pungere allo stesso lato del
collo. Esitando, si sollevò a sedere, e si passò una mano sul volto: una
ferita, una sottile ferita sotto l’occhio che credeva di aver perso
nell’eclissi e, dietro il collo, una scheggia di legno nel punto in cui doveva
esserci il marchio. Incredulo, guardò il proprio corpo. L’armatura del Berserk era sparita, sostituita da vestiti da viaggio, i
vestiti che indossava quel giorno lontano. Il braccio
sinistro era nuovamente al suo posto, e vicino alla destra c’era il suo vecchio
spadone.
“Gatsu…?”
Con un sobbalzo, si accorse di essere tenuto per le
spalle da Judo, vivo.
“Ju… Cos’è…”
“Il colpo di Grifis è stato
deviato dal tuo spadone, e ti stava per colpire in un
occhio. Per evitarlo sei inciampato e hai battuto la testa. Ti senti bene?”
Grifis! Gli occhi di Gatsu si
volsero spaventati a cercare il suo nemico. Invece
vide una spianata nevosa, con un albero morto, e i suoi amici della Squadra dei
Falchi chini su una persona stesa a terra. C’era Pipin,
taciturno come sempre, il capo appena reclinato, e sotto di lui Rickert, inginocchiato, in lacrime, di nuovo bambino. Kolcas, anche lui in lacrime, stava sbraitando qualcosa,
anche se non si riusciva a comprenderne le parole. La persona stesa sulla neve
si stava lentamente rialzando a sedere. Gatsu non poteva
crederci: gli stessi vestiti di quella volta, i capelli argentei, con una
sottile striscia di sangue sul lato sinistro. Solo negli occhi Grifis gli ricordava il mostro che aveva affrontato:
spalancati, gonfi di un ignoto terrore. Solo ora Gatsu si accorse della persona che si stringeva al petto
del suo nemico, soffocando i singhiozzi, i capelli corvini sulla pelle scura
lasciati scoperti dal colbacco ruzzolato al suolo.
“Caska…”
Un’ondata di emozioni diverse
s’impadronì del suo animo: com’era possibile tutto questo? I suoi compagni
erano tutti morti nell’eclissi, era passato molto tempo ormai, eppure si
trovavano lì, di fronte a lui. Era morto? Era un sogno? Gli ultimi attimi di
vita prima che la morte sopraggiunga? Il sole giocava, riflettendosi sulla neve
e riverberando nei suoi occhi. Il graffio sul volto bruciava e pulsava, e la
neve era gelida sotto di lui, il fiato di Judo, preoccupato, si condensava di
fronte a lui: era tutto reale. Ma se era reale, allora anche Caska…
Con uno sprazzo di energia
che non sospettava di avere, dato il duello concluso con la morte di Grifis, si gettò in avanti, lo sguardo furioso: Caska era viva, non sapeva del pericolo cui andava incontro
abbracciando Grifis. Mentre Judo cercava come poteva
di trattenerlo di trattenerlo il suo sguardo incontrò
quello del suo rivale, e Gatsu si immobilizzò
all’istante.
Negli occhi di Grifis, Gatsu vide la sua stessa incredulità, la sua stessa
sorpresa, il suo stesso smarrimento, e inoltre un terrore più profondo di
quello che lui stesso avesse mai provato: il terrore
di mille eclissi, degli abissi dell’inferno dove la Squadra dei Falchi era
stata massacrata, il terrore innominabile di un’esistenza votata al male.
“Gatsu! Cosa
stai facendo?”
Judo stava perdendo la presa, e gli stava gridando di
fermarsi: non capiva che Grifis presto li avrebbe
portati ad una morte atroce. Gatsu non voleva sentire
ragioni: Caska era viva, era in pericolo, se adesso
l’avesse salvata avrebbe avuto un’altra occasione per poterle stare vicino,
come non era riuscito a fare in passato. Un’altra occasione. Fissando Grifis negli occhi si era bloccato. Era dunque un’altra
occasione quella che gli si presentava? Un’altra occasione per fare la cosa
giusta con Caska? No: quella l’aveva già avuta, e non
era riuscito a sfruttarla.
Kolcas, avendo notato il movimento rapidissimo di Gatsu, sollevò il volto rigato di lacrime da Grifis e cominciò a gridargli contro.
“Sei contento adesso? Hai
ferito Grifis: è questo che volevi? Ora ti senti
libero dalla Squadra dei Falchi, libero di andare dove diavolo vuoi? Allora vattene!”
Una seconda opportunità…
L’opportunità di rimediare ad un errore del passato, l’opportunità di far sì
che l’orrore di quegli anni passati a lottare senza scopo non avvenga mai. Però Caska
deve sapere che Grifis non ha esitato a sacrificare
tutti, lei compresa, in nome del suo sogno: doveva assolutamente salvarla. Una
seconda opportunità. Era davvero per lui solo questa seconda opportunità? Il
terrore negli occhi di Grifis… Non poteva essere una
seconda opportunità anche per il suo nemico?
Di colpo il corpo di Gatsu
si rilassò e cadde al suolo, trascinandosi dietro un
Judo sempre più sorpreso. Forse anche per Grifis
questa era una seconda opportunità? Sì: il terrore nei suoi occhi era
inequivocabile. Quello che avevano vissuto non era il suo sogno. L’eclissi non
aveva realizzato il suo sogno, ma solo l’incubo di un dio meschino, che li
aveva utilizzati come pedine. Una mano gigantesca aveva fatto scontrare lui e Grifis, quel giorno lontano, innescando tutto. Se lui quel giorno non fosse partito…
Gatsu si rialzò di colpo, e aiutò ad alzarsi anche Judo,
poi si avvicinò lentamente a Grifis, ancora circondato
dagli altri.
“Grifis… come ti senti?”
Gli occhi stupiti e terrorizzati di Grifis vagarono per un attimo, persi tutto attorno, come se
non sapesse dove si trovasse. Poi incontrarono quelli di Gatsu.
In un istante, sembrarono riconoscere qualcosa che avevano perso, e tornarono
lucidi, come se si fossero tranquillizzati.
“Mi… sento bene…”
Rassicurato dalle parole dei due, Judo accennò una
risata.
“Bene, sembra che il duello sia finito con un
pareggio. E ora? Gatsu, cosa farai ora?”
Kolcas si asciugò le lacrime dagli occhi, vergognandosi di
piangere.
“Non ti azzardare a sfidare nuovamente Grifis. Hai vinto, l’hai steso.
Ora vattene, levati di torno.”
Gatsu portò lo sguardo lentamente sui volti di ciascuno dei
suoi amici, sentendo una nuova emozione crescergli nel profondo. Quando incontrò gli occhi scuri velati di lacrime di Caska, pieni di rancore per la ferita inflitta a Grifis, una fitta di dolore gli attraversò il cuore. Caska amava Grifis, non Gatsu, ora. Le possibilità di vivere con Caska e con il suo amore erano sfumate, le aveva perse da tempo. Ora però aveva la possibilità di rimediare
all’errore più grande della sua vita, e non se la sarebbe
fatta scappare.
“Ho deciso di restare. Certo, se per Grifis va bene.”
Con un ultimo momento di indecisione,
tese la mano destra verso Grifis, per aiutarlo ad
alzarsi.
Per un attimo un’ombra sembrò velare gli occhi del
Falco Bianco, ma subito lui sbatté le palpebre, come per scacciare un pensiero
cattivo. Aprendo le labbra in un sorriso, afferrò la mano tesa di Gatsu.
“Per me va bene, amico mio.”
Tutti erano increduli: Gatsu
era sembrato irremovibile, così come Grifis, e per un
istante avevano anche messo a repentaglio le rispettive vite, eppure ora sembrava non si fossero mai messi l’uno contro l’altro. Grifis si era rialzato, barcollando per il colpo di spadone
sulla testa, e Caska l’aveva prontamente sorretto, e
ora i due sfidanti si stavano fissando negli occhi: era come se stessero parlando
una lingua che solo loro conoscevano. Poi Judo decise
che la tensione era ormai troppa.
“Bene, direi che possiamo festeggiare la decisione di Gatsu, che ne dite?”
Rickert urlava e piangeva dalla gioia, abbracciava
alternatamente Grifis e Gatsu,
Pipin si apriva in un lieve sorriso appena accennato,
Kolcas sbuffò, mostrandosi corrucciato, ma con un
sorriso mal dissimulato sulle labbra, Caska, ancora
in lacrime, sorrise dolcemente a Judo, tenendo la mano di Grifis.
“Allora è deciso! Ragazzi, vi portiamo io e Kolcas in una locanda che conosciamo, vicino alle mura di Windom. Faremo baldoria fino a pomeriggio inoltrato!”
Lentamente, i quattro falchi si
avviarono, e alla domanda di Judo: “Che fate, voi tre, venite o volete restare
lì?”, Gatsu si riscosse e rispose: “Vi raggiungiamo
subito!”
Caska cercò di pulire con la manica il sangue sui capelli
di Grifis, ma questi le prese dolcemente il polso,
sorridendo.
“Vai pure con gli altri, arriviamo subito.”
Titubante, Caska gettò un
ultimo sguardo interrogativo a Grifis e a Gatsu, poi si avviò verso Windom.
Per un tempo che sembrava dilatarsi all’infinito i due rimasero vicino all’albero morto, in silenzio,
senza nemmeno guardarsi. Poi Gatsu si rivolse al suo
nemico di un tempo.
“Grifis, senti… io…”
L’altro alzò una mano, sorridendo, più sereno di
quanto l’avesse mai visto.
“Non importa…”
Con il cuore più leggero di quanto non lo fosse da tempo, Gatsu appoggiò il suo
spadone all’albero, deciso a farsene forgiare uno nuovo, che non avesse il
sangue di Grifis sulla lama, e si diresse verso gli
altri, che li stavano aspettando.
Grifis avrebbe voluto fare molte domande, riguardo quello
che era successo, ma sapeva che non avrebbe ottenuto
risposta. Era stato solo un sogno? Aveva già vissuto quel duello, ed era stato
sconfitto. Da quel momento qualcosa in lui si era infranto, aveva perso
lucidità, aveva rischiato troppo. E alla fine, aveva
pagato con la vita della sua Squadra dei Falchi. Forse in quei momenti il suo sogno
gli sembrava tanto lontano da giustificare la sua disperazione, e il sacrificio
della Squadra. Ma dopo la consacrazione, dopo la morte
dei Falchi, era rinato, ma non era più se stesso: anche in quel momento sentiva
l’oscurità che aveva forgiato il cuore di Phemt, che
aveva distrutto Caska, che aveva reso Gatsu una semplice e irrilevante variabile del suo
progetto. L’oscurità… un’oscurità che nessun cuore umano
poteva sopportare. Eppure lui la ricordava,
come se l’avesse vissuta sul serio.
Rimasto solo, Grifis sentì
di nuovo l’angoscia del suo risveglio attanagliargli il cuore. Era tutto vero…
L’eclissi, il nero vortice in cui si era… non c’era un termine che conoscesse per descrivere il modo in cui per due anni aveva
vissuto in quel vortice, tutt’uno con il suo sogno e quel cuore gigantesco… E
poi Albione, quando era rinato per mezzo del Karma in un relitto umano, per
portare finalmente a compimento il suo sogno. Ma non
era stato il suo sogno. Quando aveva incontrato Gatsu alla collina delle spade, qualcosa si era mosso nel
suo cuore nero. Forse era colpa del bambino deforme che aveva interferito nella
sua rinascita, ma Gatsu non gli era del tutto
indifferente come lo era prima della rinascita.
Grazie alla profezia del Falco di Luce, era riuscito a
raccogliere attorno a sé una nuova Squadra dei Falchi, formata da apostoli e
mostri degli strati superiori del mondo spirituale, e patrioti ed esuli delle Midlands, schiacciate dai Kushan.
Grazie alla profezia, fu acclamato come salvatore delle Midlands,
e gli fu offerto il trono da lui tanto ambito. Apparentemente, il suo sogno si
era realizzato. Ma qualcosa dentro di lui fremeva,
contrastava con la freddezza necessaria per mantenere il suo sogno. Gatsu, l’uomo che gli aveva fatto dimenticare il suo sogno,
era ancora vivo, e ciò non poteva sopportarlo. Lentamente, la follia aveva
preso possesso della sua mente, ossessionandolo con quel nome. Finché fosse stato vivo, il suo sogno non sarebbe stato
completo. Abbandonò Windom, partì con la Squadra dei
Falchi, sempre più numerosa, alla ricerca di Gatsu,
finché non l’ebbe trovato, nella terra benedetta degli elfi. Qui aveva
sacrificato nuovamente i suoi compagni, ma la cosa non gli interessava: di
fronte a lui c’era Gatsu, e nulla gli avrebbe
impedito di ucciderlo.
Quando la spada di Gatsu aveva
lacerato il suo corpo, in un attimo rivisse tutta la sofferenza, tutto il male
che aveva compiuto la Mano di Dio e il Karma nel corso del tempo, ciò di cui
anche lui aveva fatto parte. Al risveglio, il suo cuore umano fu quasi
sopraffatto dal terrore che aveva provato, quasi non si era accorto di essere
tornato a quel giorno, in cui era stato sconfitto da Gatsu.
Una fitta lacerante alla testa lo fece quasi svenire di nuovo: forse lo spadone
di Gatsu, deviato dalla sua sciabola, l’aveva colpito
alla testa, facendolo svenire. Eppure era certo che
quello che aveva vissuto negli ultimi anni non era un sogno. Allora come mai
era tornato indietro? Come poteva portare la Squadra dei Falchi al massacro,
sapendo che il suo sogno non si sarebbe comunque
realizzato? Come avrebbe potuto sprofondare
nell’oscurità, ben sapendo a cosa andava incontro? Se
solo Gatsu, quel giorno lontano, non avesse deciso di
abbandonare la Squadra…
“Grifis… come ti senti?”
“Mi… sento bene…”
“Ho deciso di restare. Certo, se per Grifis va bene.”
Aveva cambiato idea. Gatsu
non voleva più lasciare la Squadra dei Falchi. Perché?
Perché ha abbandonato il sogno che lo aveva spinto a
incrociare il suo spadone con la spada di Grifis?
Forse anche lui aveva vissuto un sogno pari a quello di Grifis?
Sì, glielo aveva letto negli occhi: non c’era decisione, non c’era
ripensamento, c’era solo una grande amarezza, e senso
di colpa. Anche lui aveva vissuto molti anni nello
spazio di un fendente di spada. E al suo risveglio
aveva deciso di non proseguire con le sue intenzioni. Perché?
Era forse possibile cambiare l’orrendo futuro in cui entrambi erano piombati? Era possibile avere una seconda opportunità
per non sacrificare le cose più preziose?
Con mano tremante cercò il Bejelit
appeso al suo collo e, trovatolo, se lo sfilò e lo fissò, finalmente conscio
della sua natura e dei suoi poteri. Un occhio del monile si aprì, sornione, e
sembrò avere una parvenza di intelligenza. Una seconda
opportunità. Lentamente, Grifis inclinò la mano su
cui teneva il Bejelit, fino a farlo cadere nella
neve. Con un lieve sfrigolio, quasi infastidito, l’uovo del re conquistatore si
annerì, e con un’ultima occhiata, che da quel volto sfigurato sembrava quasi
ironica, si ridusse prima in polvere, poi a una
macchia scura nella neve immacolata.
Una seconda opportunità, per non sacrificare le cose
preziose. Gatsu aveva scelto di restare con la Squadra
dei Falchi, rinunciando ad andare per la sua strada. Per Grifis,
invece, cos’era tanto importante da sacrificare il suo sogno? Nulla. Ma c’era
una cosa che avrebbe potuto diventare tanto
importante. La ferita alla testa ricominciò a far male, ottenebrando per un
attimo i suoi pensieri. Se avesse abbandonato il suo sogno, la Squadra dei
falchi avrebbe potuto continuare ad esistere, o era destinata fin dalla sua
fondazione a venire massacrata nel nome di un dio
meschino sotto forma di castello? Grifis non lo
sapeva: senza il suo sogno, era inerme. Aveva bisogno di qualcuno su cui
appoggiarsi, qualcuno per cui fosse veramente
importante, non in quanto comandante della Squadra dei Falchi, ma come
nient’altro che Grifis. Gatsu
era riuscito a cambiare. Aveva saputo trovare qualcosa di più importante del
suo sogno nella Squadra dei Falchi, qualcosa più importante addirittura di Grifis.
Un lampo attraversò la mente ancora dubbiosa di Grifis. Tutti questi anni di morte e di dolore non lo
avevano portato al suo sogno. Tutti i morti, dalla guerra dei cento anni
all’eclissi, alla guerra con i Kushan, non glielo
avevano fatto raggiungere. E se avessero indicato
un’altra cosa invece del castello? Se per tutti questi
anni fosse stato cieco, e non avesse visto la cosa più preziosa, che aveva
distrutto in modo così mostruoso durante l’eclissi? Una cosa tanto importante
da sacrificare il proprio sogno. Tutti quei morti, che lui credeva di aver
ucciso in nome del suo sogno, sarebbero ugualmente vite sprecate se gli avessero indicato lei?
“Caska!”
Senza più voltarsi verso la macchia nera nella neve, Grifis si diresse di corsa verso la città. Caska era rimasta indietro rispetto agli altri, e si avvicinò premurosa.
“Cos’hai, Grifis?
Stai male?”
Lui le prese le mani nelle sue, sentì il freddo della pelle di lei passare nel suo corpo, e in qualche modo
riscaldarlo. Gli occhi di Caska, stupiti, corsero dal
volto di Grifis alle sue mani. Il rossore della
sorpresa si diffuse sul suo volto scuro, mentre chinava lo sguardo, trepidante:
Grifis, per quanto fosse stato sempre presente
accanto a lei nei momenti più difficili, non le aveva mai
preso le mani tra le sue.
“Grifis…?”
“Caska… Devo dirti una
cosa…”
L’indovina si svegliò di soprassalto, un brutto
presentimento nel cuore. Con foga inaudita mise a soqquadro la sua carrozza,
alla ricerca della sfera di cristallo. Il rumore aveva svegliato il suo piccolo
ospite.
“Ma che succede? Si può
svegliare così uno che ha lavorato fino a tarda notte?”
“Pak, tu non lavori mai.”
La vecchia era troppo preoccupata
per discutere con l’elfo che divideva con lei la carrozza. Finalmente trovò la sfera di cristallo e si mise a
fissarla assorta. Dopo pochi secondi risollevò lo sguardo, stranamente
sollevata.
“Ehi, vecchia, che ti prende?”
Il piccolo elfo non l’aveva mai vista così: sembrava
triste, come se avesse perso qualcosa di caro, eppure sollevata, come se le
fosse stato levato un grave carico dalle spalle.
“Niente, mio piccolo amico, non succede niente.”
L’elfo fece una smorfia: “Certo che voi sensitivi siete veramente gente strana. Pazienza, non ho voglia di
perdere tempo. Stamattina mi sono svegliato in modo strano: mi sembra di essere diverso. Forse questo carrozzone è troppo chiuso.
Vado a farmi un giro, a dopo!”
Il piccolo elfo saettò fuori dalla
tenda, nella pallida luce dell’alba, esitò e tornò un attimo indietro.
“Senti, vecchia, non so cosa tu abbia visto nella tua
sfera di cristallo, ma hai un’aria molto strana. Cerca di non esagerare.”
L’indovina sorrise.
“Non preoccuparti, Pak. Non
ho visto proprio niente nella sfera. Vai pure a giocare. Ti voglio bene, Pak.”
Stupito per le parole della vecchia indovina, l’elfo
scrollò la testa e si allontanò. La vecchia non aveva mentito: non aveva visto
nulla nella sfera. Non c’era più nulla da vedere. Non c’era più nulla che
potesse manovrare il destino degli uomini. Non c’era più nulla, se non il mondo
che la circondava. Una piccola lacrima scese dal suo
occhio destro, sapeva che non avrebbe più rivisto il piccolo elfo; sarebbe
scomparso come tutto ciò che non era di quel mondo. E,
almeno un po’, le dispiaceva.
Con una scia luminosa, l’elfo scomparve nella luce
dell’alba.