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Autore: shadowsymphony    10/01/2014    0 recensioni
Jesse, a 17 anni, è stato vittima di un incidente stradale in cui ha perso la sua ragazza. Il ricordo dell'accaduto non gli dà pace, vuole solo tornare da lei. Da lì inizia la sua scalata verso la distruzione, che culminerà con un overdose non letale. E' intrappolato nei ricordi e nel costante desiderio di morire e ritrovare la sua amata.
8 anni dopo, però, Jesse incontra Mary che, con la sua allegria e positività, illumina la sua vita. Ha ritrovato qualcuno da amare.
Un anno dopo, Mary tradisce Jesse. Quando il ragazzo lo scopre, la devastazione torna nella sua vita. Ha perso di nuovo il suo amore.
I ricordi dell'incidente e del suo primo amore ridiventano un dolore fisico, impossibile da ignorare. e, 6 anni dal secondo tentativo, prova di nuovo a tornare dalla sua ragazza.
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Jesse si svegliò all'improvviso. Socchiuse gli occhi e si guardò attorno. Le pareti bianche, le luci bianche, tutto era di un bianco accecante. Non capiva dove si trovasse ma, dopo qualche secondo, si ricordò. Chiuse gli occhi. Nero. Lampi bianchi. “Ehi” sentì una mano sulla testa e una voce calma e bassa. Le dita calde sulla pelle. Sentì un'altra mano sulla propria, e un'altra voce. “Come va?”. La mano gli stava accarezzando il braccio. “Non ti fa niente se ti ho messo lo smalto sulle unghie mentre dormivi?” disse la seconda voce, con una risata sommessa che scomparve in un istante. Socchiuse gli occhi di nuovo e girò lentamente la testa per guardarsi la mano: gli avevano davvero pitturato le unghie della mano sinistra. Erano ricoperte di brillantini. Mosse leggermente le dita, poi richiuse gli occhi. In qualsiasi altro momento, la cosa lo avrebbe fatto scoppiare a ridere e avrebbe scherzosamente insultato il fratello, ma in quel momento non gli faceva né caldo né freddo. “Jes” sentì l'altra voce, e l'altra mano nei capelli. I capelli, giusto. Erano corti adesso. Sei anni di capelli andati in due colpi di forbice. I capelli erano stati il suo unico orgoglio, ma in quel momento non gli importava nemmeno quello. Non gli importava più niente. “Ti prego, dì qualcosa”. Un bacio sulla fronte. Scosse la testa, un movimento impercettibile, ma sapeva che i fratelli lo avrebbero notato. Un sospiro. “Va bene”. Un altro bacio.

 

“E' da tre giorni che non ci parla. Parla con gli infermieri, ma con noi no. Nemmeno con la mamma. Gli abbiamo detto di non preoccuparsi, che non siamo arrabbiati con lui in nessun modo, che siamo solo preoccupati, ma niente. Non apre bocca”. Alex camminava avanti e indietro, una sigaretta in una mano e il cellulare nell'altra. Marc era seduto sul muretto che circondava il minuscolo prato all'esterno dell'ospedale, e guardava il fratello. “Non sappiamo cosa fare. Basterebbe solo una parola”. Il ragazzo si fermò e fece un tiro. Il fumo della sigaretta si mescolò al vapore del suo respiro nell'aria gelida. “Sì, sta bene. Fisicamente. Ma mentalmente... non lo so. Si vede che non è a posto, ma se solo parlasse, anche due parole, e invece niente. Non possiamo leggergli nella mente”. Marc fece segno ad Alex di passargli il telefono. “Aspetta, ti passo M” e gli diede il cellulare. “Ehi Mich” deglutì, cercando di calmarsi “Vieni, prova a parlargli tu. Tu non c'entri niente con questa storia, magari riesce a sbloccarsi”. Il ragazzo fissava le sue scarpe, passando i piedi sul cemento grigio, mentre ascoltava. “Allora vieni? Perfetto. Riesci a passare entro stasera?”. Rispose a monosillabi per una ventina di secondi, poi riattaccò. “Arriva lei, alle cinque” diede il telefono ad Alex, che lo afferrò e lo mise nella tasca dei jeans.

 

Ritornarono nella stanza di Jesse. Con lui c'era la madre che, vedendoli, si alzò dalla sedia che aveva posto accanto al letto, e fece per uscire. “Allora?” sussurrò Alex sulla porta, lanciando un'occhiata a Jesse. La donna scosse la testa e uscì, chiudendo la porta. Marc si avvicinò al letto e guardò per un attimo il fratello. Il tubicino della flebo pieno di liquido gocciolante che gli entrava nel braccio attraverso un ago. Il viso pallido ricoperto da una barba di una settimana, le palpebre viola. Non era più abituato a vederlo coi capelli corti; in quel momento era proprio identico a lui. Se messi vicini, nessuno li avrebbe potuti distinguere, tranne per la corporatura leggermente più robusta. Insieme ad Alex, sarebbero stati di nuovo i tre gemelli indistinguibili, come quando erano bambini. “Chi è chi?”. Sospirò e poi disse “Fra un po' arriva Michelle” e gli accarezzò leggermente la testa. Il ragazzo non si mosse. Marc lo fissò ancora per un attimo, poi si sedette, squadrando Alex dall'altro lato della stanza. Spesso riuscivano a comunicare senza parlarsi, ma non potevano sapere cosa passava davvero per la testa di Jesse. Nei pochi momenti in cui i loro sguardi si erano incrociati, avevano visto che era spaventato. E arrabbiato. Ma c'era qualcos'altro.
Alex si acquattò vicino al letto, e accarezzò il braccio del fratello. “Per favore, Jes, dicci qualcosa. Anche solo una parola” gli disse, cercando di tenere un tono calmo, ma allo stesso tempo deciso. Il ragazzo sospirò e spostò il braccio, mettendolo sotto le lenzuola. Appoggiò la testa su un lato, verso Marc. Ci fu un attimo di silenzio, poi disse qualcosa. Era talmente flebile che nessuno dei fratelli lo sentì, nonostante fossero a meno di un metro di distanza da lui. Marc si alzò subito dalla sedia e si inginocchiò al lato del letto. Riusciva a sentire il respiro caldo del fratello sul viso. “Cosa?”. Silenzio. Jesse fece un respiro profondo, poi ripetè “Sono stanco”, ancora più fioco. Marc lo abbracciò delicatamente. “Lo so, lo so” gli sussurrò nell'orecchio, poi gli diede un bacio sulla guancia. “E' la terza volta. non ce la faccio più” il ragazzo alzò leggermente la voce. “La vita ti sta dando un'ennesima possibilità, non sprecarla” gli disse Alex, dall'altro lato del letto. “Non la voglio!” doveva essere un urlo, ma era ancora un sussurro. Jesse cominciò a piangere silenziosamente “Perchè sono ancora vivo?”. Alex si sentì invadere dalla rabbia, ma provò a mantenere la voce calma “Non puoi morire. Pensa a tutte le persone che ti vogliono bene, che hanno bisogno di te”. “Non me ne fotte un cazzo”. Il ragazzo continuò a tenere la voce calma, ma era tremante “Sei egoista”. “Sì, sono egoista, ma non mi interessa”. Con il braccio libero, Jesse tirò su la coperta fino al naso. “Sei tu muori...” gli disse Marc “... noi moriamo con te. Non possiamo vivere senza di te. Siamo l'unica cosa che abbiamo. Non puoi lasciarci”. “Il mio corpo è ancora vivo, la mia mente è morta 10 anni fa” disse Jesse, alzando la voce “Io sono morto 10 anni fa, ma voi siete ancora qui. Basta. Non me ne fotte un cazzo”. Alex, furibondo, si alzo all'improvviso e uscì dalla stanza senza dire una parola. Di fuori, seduta vicino alla madre, c'era una ragazza che, appena lo vide, scattò in piedi. Il ragazzo la guardò con un'espressione furiosa. “Come sta? Parla?” chiese lei, stringendo il cellulare nelle mani sudate. “E' colpa tua se sta così. Capiscila, Mary, è anche colpa tua. E non me ne frega se ci sentono tutti” il suo tono di voce si era alzato istantaneamente, e tre o quattro persone nel corridoio si erano voltate a guardarlo. Mary era a bocca aperta. “Non fare la finta tonta. Lo sai cosa ha detto? 'Perchè non sono ancora morto?'. È colpa tua. È colpa tua se vuole morire ancora, e magari ci riuscirà finalmente. E adesso non metterti a sparare cazzate, perchè sei una bugiarda. Prenditi la responsabilità delle tue azioni. Vai, entra, parlagli, magari è capace di sputarti in faccia prima di ammazzarsi definitivamente. E non potrei biasimarlo”. La ragazza lo guardò, il viso paonazzo, poi aprì la porta, lasciò uscire Marc e poi si chiuse dentro.

 

“Ehi” disse, con la voce tremante. La visione di Jesse nel letto la terrorizzava. Lui aprì gli occhi e la guardò per un istante. La ragazza si avvicinò a lui, cercando di non guardare l'ago nel suo braccio, e lo guardò in viso: era sempre bellissimo, anche con la barba, la pelle quasi trasparente, gli zigomi sporgenti e i capelli corti. Ma spaventoso. “Come stai?”. Jesse sospirò, poi disse “Bene. Purtroppo”. La guardò di nuovo. I suoi occhi, di un azzurro quasi innaturale, incrociarono quelli scuri della ragazza. Mary prese la sedia e si sedette vicino al letto. Gli sfiorò la mano, e lui la spostò. Era intorpidita, e gli sembrò di sollevare un masso. Fece una leggera smorfia di dolore, e richiuse gli occhi. La ragazza pensò a cosa dire, fissandogli le palpebre ricoperte da una fitta rete di sottilissime vene viola. “Alex mi ha detto che... che vuoi mo...” il solo pensiero la fece rabbrividire. “Sì” la interruppe lui. “Ma perchè?”. “Non puoi capire”. “Ma hai visto che sei ancora vivo... no... non puoi...” balbettò. Improvvisamente, Jesse la fissò, e lei sobbalzò. Il suo sguardo era penetrante, pieno di rabbia. Sentiva il suo respiro pesante, come quello di un animale che sta per assaltare la preda. “E' la terza volta che sono ancora vivo. Se continuo a provarci, ci sarà un motivo. Se in 10 anni non è cambiato niente, se in 10 anni mi ritrovo ancora in questo letto perchè nessuno vuole che io muoia, ci sarà un motivo. Sono morto una volta, ho vissuto, morto un'altra volta, vissuto, e morto ancora, e vissuto ancora. Ma voglio ancora provare a morire, sperando che sia l'ultima volta. Non cambierò idea. La vita non ha più senso. L'ho vissuta quattro volte, e non l'ho ancora trovato. Dovevo morire 10 anni fa. Basta, sono stanco”. Mary tremava. Non l'aveva mai sentito parlare così, era sempre stato un ragazzo così solare e tranquillo.

 

Tu eri l'unica che lo capiva. Dopo 10 anni, tu avevi finalmente ridato un senso alla sua vita. Aveva trovato un'altra ragione per vivere. E adesso ti stupisci che abbia di nuovo provato ad ammazzarsi? Non ti è passato per l'anticamera del cervello che possa essere stata tu a spingerlo? Continua a fare l'innocentina, Mary, tanto non ci casca più nessuno. Sei una puttana”.

 

“Tu vivevi per me?” sussurrò, torturando il ciondolo che portava al collo. Un regalo di Jesse. Lui la fissò, fremente. “Sì. Sì, vivevo per te. Lo hai capito adesso? Meglio tardi che mai” sentiva che stava per piangere di nuovo.“Perchè?”. “Perchè, perchè, non sai dire altro?!” il ragazzo strinse il bordo del letto, nel tentativo di trattenere le lacrime “Guarda, esci. Vai via. Lasciami in pace. Sono stanco, voglio dormire. Dillo anche agli altri. Lasciatemi in pace. Tutti”. Mary sospirò, lo guardò un attimo, poi si alzò e uscì.

Jesse tirò la coperta fin sopra la testa. Era davvero stanco, anche fisicamente. Non mangiava niente di solido da quasi una settimana, ma non gli importava. In corpo aveva già troppe sostanze, nessuna delle quali serviva al suo scopo. La ketamina era sparita. Non ne aveva presa abbastanza. Non ne prendeva mai abbastanza, non era la prima volta. Overdose da metanfetamina e coma, 6 anni prima. Overdose da ketamina, 4 giorni prima. Trauma cranico e coma, 10 anni prima. Ricordava tutto con lucidità. Aveva anche perso la memoria dopo il secondo coma, ma poi era ritornato tutto ancora più intenso. Era intrappolato nei ricordi.

E' morta! Lo so!”

Cercò di calmarsi.

Ma non me lo volete dire, bastardi!”

Respirò profondamente.

Bastardi!”
Jesse...”
Vaffanculo! Basta, ammazzatemi, adesso, forza! Ammazzatemi!”
Smettila!”
Ammazzatemi!”

Ricominciò a piangere.

 

   
 
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