Storie originali > Soprannaturale
Segui la storia  |       
Autore: okioki    12/01/2014    1 recensioni
Ora che ci penso, Ai assomiglia molto a Izanami-sama (anche se non vuole sentirne parlare) … entrambe, amando, hanno scelto di distruggere l’oggetto del loro amore. Ma Ai ha un senso più freddo della vendetta, più ambiguo, più spietato […]
Cinque divinità shintoiste della mitologia nipponica catapultate nel mondo odierno, in città incognite del Giappone. C’è Ume che si ubriaca e ride lavorando come ballerina, Ai che si strugge deprimendosi con tutta la classe delle viziate, Saske che progetta vendette e ritorsioni sul mondo umano… Tutto per un errore, tutto per un tempo in cui ci si sarebbe dovuti amare profondamente e invece si è giunti all’odio.
Questa storia partecipa al contest “Swear to Gods – Dei sotto copertura” indetto sul forum di EFP da Kam GD.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Incest
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 

Ume


Al lavoro di Ai mi hanno chiamato lamentandosi del fatto che lei non viene da giorni.
Mi hanno chiamato ieri notte dicendo che non risponde nemmeno alle telefonate. Hanno chiamate me.
Tra l’altro a un orario alquanto discutibile.
Ok, cancellate quest’ultima parte. Il fatto è che mi sono appena svegliata, il fatto è che son terribilmente disidratata e ultimo, il fatto è che nemmeno io posso risultare felice il lunedì mattina appena sveglia con la consapevolezza di dover ricominciare una lunga settimana dopo un week end pieno di divertimento e sballo con le mie amiche, sarebbe poco credibile.
In realtà la me che credono di conoscere gli altri non ha niente a che vedere con la vera me, io prima di qualche bicchierino di sakè non sono altro che risposte sussurrate acide e accidia di vivere, io prima del sakè non carburo. Ogni giorno ringrazio di essermi rincarnata già maggiorenne, altrimenti per ventuno anni della mia vita non avrei saputo cosa fare, senza contare i privilegi di cui godo come divinità (cioè essere in completa salute, salute! – niente fegato malato e bla bla bla – nonostante gli alcolici che mi tracanno), se lasciamo fuori le emicranie che stanno in agguato ogni mattina appena mi sveglio. Queste emicranie avvolte mi fanno sentire così umana, perché contro di quelle non posso fare nulla, contro di quelle mi riduco a una semplice mortale che deve prendere le aspirine. Infatti sono costretta ad alzarmi dal letto solo per questo. Sbadigliando e stiracchiandomi, provvedo a infilarmi le pantofole e attraverso in fretta il corridoio che porta alla cucina. Ciò che mi piace (di solito) della mia cucina è che abbia tutte queste pareti riflettenti che la inondano di luce: bene, questa mattina è una cosa che odio. Non cerco nemmeno di rimirare il mio riflesso allo specchio, se lo facessi tanto so che quello che vedrei non mi piacerebbe (ergo: due occhi gonfi e ancora più assottigliati), e mi lancio subito nella dispensa dove tengo i liquori. Sì, sì, i liquori. Sento che questa mattina il sakè – per quanto sia l’alcolico che preferisco in assoluto – da solo non mi basterebbe, quindi con una mano tiro fuori il Jägermeister e con l’altra prendo una serie di bicchieri per gli shottini e li posiziono allineati sulla prima superficie liscia abbastanza alta che trovo, poco importa che non sia un tavolo. Sempre con la bottiglia in mano mi dirigo verso il frigo, e lo apro, in cerca delle famose aspirine per far cessare questo martellare che sento in testa. Bene, trovate. Riempio i bicchierini con il Jägermeister, mi ficco le pasticche in bocca; bevo.
Poco importa che sia mattina; poco importa che dopo debba andare al lavoro e da quelle belve dei miei superiori; poco importa che tutti questi bicchieri sporchi rimarranno ad aspettarmi fino al mio ritorno (forse, non sono sicura, dopo potrebbe importarmi); bevo.
Al quinto (o sarà il sesto?) shottino comincia a togliersi il denso manto di nebbie che offuscava la mia testa, ma ancora non funziono. Ricordo: mi hanno telefonato al lavoro di Ai perché sono giorni che non viene a lavoro. Ricordo: hanno telefonato me. Un altro paio di shottini… e un piccolo sforzo, piccolissimo. Devo fare qualcosa… ma cosa? Dai, un altro shottino… Come sempre ho dimenticato, mi è sfuggita la mia parte, saranno eoni che non lo faccio quindi ho perso l’abitudine. Basta fare uno più uno, basta guardarsi intorno per capire qual è il motivo per cui Ai non va a lavorare. So che come sempre toccherà a me tirarla fuori da qualunque anfratto buio si sia andata a nascondere, non importa che si tratti di una caverna o un appartamento al centro di T., tocca sempre a me.
Sì, e magari mi toccherà farla ballare.
Come no! Devo proprio raccontare quanto è divertente far ballare Ai quando non ne ha voglia? Passiamo avanti; bevo.


***


Questa mattina il cielo è nuvoloso, promette pioggia da un momento all’altro.
È da un po’ di giorni che non esce nemmeno un filo di sole, ed essendo F. una città vicino al mare, e quindi esposta alle correnti marine, fa freddo. Non che io lo senta particolarmente, ma intorno a me vedo persone con addosso giubbotti e piumini, intorno a me vedo facce grigie e serie e tristi, mentre io che con mio grande piacere godo di una salute ferrea posso permettermi di girare con uno yukata e un sorriso stampato in faccia. Forse sono l’unica. Finalmente ho cominciato a carburare ( la mattina è sempre la parte peggiore della giornata), merito della fiasca di sakè che mi porto con me, e l’idea di far ballare Ai non mi sembra poi così terribile. Anzi, non vedo l’ora. Insomma, comincio a ridimensionare le cose. È da tanto che non ballo un ballo ebbro di gioia, una danza divina; a lavoro non faccio altro che mimare pochi passi della Kagura e delle altre danzi tradizionali e mi devo anche contenere per non sembrare troppo brava. Ai mortali piaccio, ridono, ridono e si divertono, e sono ubriachi e felici. Ma, oh, far ridere gli dei, far ridere quella dea, penso che non ci sia paragone…
Ho con me una valigetta, piena di birre e ramen istantaneo, e dall’altra il telefono per chiamare i proprietari del ristorante in cui lavoro. Il telefono squilla tre volte prima che rispondano. Dico: «Oggi mi sento male non posso venire a lavoro… No, non è per una sbronza… Sì mi riguarderò… In realtà non solo quello, anche una mia parente ne ha risentito molto… no, dei miei nessun morto per fortuna… sì grazie, mi riposerò.» Sono sempre così carini i miei datori, anche quando racconto un grosso mucchio di cazzate. Sento l’annuncio dell’arrivo del treno diretto per T.
Ripensandoci adesso, mentre salgo sul treno, che abbiano chiamato me per Ai non è nemmeno così strano. Dei suoi genitori non vuole nemmeno sentir parlare; non c’è persona/divinità più introversa ed estroversa assieme di lei, e dopo eoni ed eoni di sopportazione è anche lecito che tutti gli dei se ne siano stancati un po’; stramba com’è non si sarà nemmeno fatta un’amica… e di relazioni sentimentali non ne parliamo.






















































 
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale / Vai alla pagina dell'autore: okioki