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Autore: Moira__03    12/01/2014    6 recensioni
Stava spolverando tutto quel marcio, quasi volesse dissolvere ogni suo schifoso peccato.
Era pura e sincera passione. Non c’era male… non c’era odio né violenza.
Era amore.
Solo amore che si stava consumando sotto le fiamme di quei sentimenti inaspettati, forse nemmeno compatibili. [...]
E lei sorrideva, mentre gli occhi del saiyan la scrutavano intensamente, senza staccarli mai dai suoi.

Bulma sgranò gli occhi, mentre dall’altro lato Yamcha le strinse la mano con dovuta forza tanto da farle capire che stava esplodendo dall’emozione.
Le ci volle un minuto intero prima che lei riprendesse a respirare.
Temeva che se lo avesse fatto, le lacrime sarebbero comparse a decretare quell’amara ed ingiustificata tristezza.
Eppure, solo due mesi fa entrambi avevano desiderato di averne uno. Cercò di riesumare quei momenti con l’intento di saturarsi della stessa emozione che l’aveva pervasa quando aveva accettato un figlio da lui, in quella notte in cui avevano bruciato la passione… per l’ultima volta.
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bulma, Vegeta, Yamcha | Coppie: Bulma/Vegeta, Bulma/Yamcha
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Triangolo
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Capitolo 2



Aprì lentamente la porta, rimanendo poi fermo sulla soglia con le solite braccia incrociate.
«Per un attimo credevo davvero che ti stessero ammazzando».
Aveva parlato con il suo solito tono indifferente, senza far trasparire la minima preoccupazione.
Bulma aveva girato di scatto la testa, spaventata da quell’improvvisa presenza, rimanendo a fissarlo per qualche istante con gli occhi sbarrati.
«Mi hai spaventata» disse poi, ritirando un singhiozzo e asciugandosi le lacrime noncurante con un braccio.
«Si può sapere per quale dannato motivo stavi strillando in quel modo?» Vegeta corrugò la fronte, appoggiando una spalla allo stipite della porta, fissandola dritto negli occhi.
Non riuscì ad attribuire quella sensazione di palese fastidio a qualcosa che a lui fosse plausibile. Vedere quella donna riversa per terra, visivamente straziata in volto e con gli occhi rossi e gonfi lo destava più di quanto fosse lecito.
Nemmeno la prima volta che ebbe a che fare con lui, l’aveva vista così terrorizzata.
Lei volse lo sguardo altrove. Non avrebbe potuto fornirgli una risposta senza sembrare ai suoi occhi ridicola.
Cercò intanto di mettersi in piedi con immensa goffaggine.
«Non ho notato tutto questo interesse nei miei confronti in queste ultime due settimane».
Nonostante lo strazio l’avesse pervasa, Bulma non rinunciò a quel suo solito fare punzecchiante, sia pur con non molta sicurezza, ma era l’unico modo per impedirgli di avere da lei una risposta.
Sperava che scomparisse, stizzito da quell’arroganza che lui aveva sempre detestato di lei, invece lui rimase fermo, quasi volesse schernirla, limitandosi a curvare le labbra in un ghigno.
«E chi ha detto che sono interessato» inquisì lui. Vedere quanto quella donna sapesse essere irritante anche se ridotta ad uno straccio, lo divertiva non poco.
«E allora perché sei qui?» disse singhiozzante, tirando su con il naso.
Lui la fissò serio in volto.
«I tuoi strilli mi irritano parecchio».
«Non è affar mio ciò che ti irrita» continuò lei.
La speranza di cacciarlo dalla sua stanza si rivelò vana, e lei non fu più molto sicura di volere davvero che se ne andasse.
Parlare con lui, per quanto esasperante fosse, riusciva a tranquillizzarla e farle perdere il nesso con la realtà.
E lei non voleva altro che quello, in quel momento.
Si era avvicinata alla scrivania, cercando il pacco di fazzoletti in quel mucchio di carte disordinate contenente gli abbozzi di svariati progetti, con tanta foga e ira in corpo da farla urtare contro il vaso di vetro, in cui c’era un enorme mazzo di rose inviato per chissà quale ragione da Yamcha giorni fa, facendolo andare in mille pezzi sul pavimento.
Lei guardò i vetri infrangersi per terra, lasciando cadere rovinosamente i fiori e l’acqua che schizzò ovunque.
Vegeta increspò la fronte, irritato da quell’insolita agitazione.
E invece lui era interessato, ma non glie lo avrebbe dato a vedere nemmeno sotto le peggiori torture. L’aveva evitata per tutto quel tempo, è vero, ma perché era troppo impegnato ad essere incazzato con se stesso, voglioso di sapere cosa gli avesse fatto quella donna in quella notte passata con lei, per averlo ridotto ad essere come un comune umano fatto di carne e di emozioni.
L’aveva veramente fatto impazzire sotto quella dolcezza con cui lei l’aveva toccato e gli era persino piaciuto.
Piaciuto anche troppo.
Quasi le mostrò i denti quando le si rivolse contro con toni che sfioravano il delirio.
«Si può sapere cosa diavolo ti prende?» ringhiò prima di notare i suoi lineamenti contorcersi da un nuovo dolore, questa volta fisico che lui seppe riconoscere da buon intenditore.
Notò i suoi occhi azzurri dilatarsi prima di strizzarli con forza, sopprimendo un lamento, mentre le gambe le cedettero come se non avesse più la facoltà di controllarle.
Sembrava come se qualcuno le avesse tirato un pugno nello stomaco.
Stava crollando per terra, proprio in quello stesso punto in cui i frammenti di vetro si spargevano taglienti e letali pronti a scalfirle la pelle.
Vegeta ebbe giusto il tempo di realizzare quanto male si sarebbe fatta, quella donna dall’esigua forza fisica, per poi saettarsi con una velocità impressionante verso di lei afferrandola un istante prima che si schiantasse al suolo.
Bulma riuscì ad aprire solo metà di un occhio, giusto per accertarsi del danno che aveva fatto ma ritrovandosi inaspettatamente a dieci centimetri da quelle lame di vetro.
Notò che su di esse Vegeta appoggiava un ginocchio, tenendo l’altra gamba invece piegata verso il petto e con il piede poggiato sul pavimento, senza che avesse il benché minimo graffio nonostante il vetro gli avesse tagliato la tuta.
Dubitò seriamente che fosse fatto d’acciaio…
«Che donna sprovveduta» Bulma lo sentì ringhiare.
Ritrovati quei sensi che aveva quasi perso, aprì entrambi gli occhi, ritrovandosi appoggiata interamente col busto sul braccio di Vegeta.
Fece perno con le mani su quei muscoli che la reggevano con una facilità impressionante, sentendo immediatamente di nuovo la fitta atroce all’altezza dell’addome che l’aveva appena destabilizzata, facendola ricadere sulle sue braccia.
Vegeta si alzò con naturalezza, sostenendo interamente il peso della donna facendola rialzare.
«Se hai deciso di ucciderti, dimmelo che ci penso io». Era irato, furibondo per ciò che si era ritrovato a dover fare.
Avrebbe voluto veramente ucciderla, quella donna, per tutto ciò che inconsciamente gli stava facendo.
Incredibile quanta rabbia aveva provato in quel centesimo di istante in cui aveva visto lei protesa per terra e la sua pelle così liscia e immacolata tagliata e sporca di sangue.
Quella stessa ira che provava ora nel vedere i lineamenti di Bulma contorcersi dal dolore senza che fosse stato lui a farglieli provare.
Lei respirava a fatica, annaspando come se qualcuno la stesse tenendo per la gola.
Cercò di ritrovare un minimo di stabilità e forza per poter arrivare a letto senza l’aiuto del saiyan.
Con il minimo cenno di ausilio, quel che bastava a non farla cadere di nuovo, Vegeta collaborò a farla sedere sul materasso, allontanandosi poi quel che bastava a tenere da lei le dovute distanze.
Aveva fatto già abbastanza e questo era bastato a rovinargli l’intera giornata.
Bulma si adagiò sul letto, portando una mano in grembo proprio li dove aveva sentito provenire quel calcio.
«Grazie Vege..»
«Non ringraziarmi» tuonò lui serio e composto.
Lei lo guardò. Ciò che aveva appena fatto lo aveva reso più scontroso del solito.
E lui nemmeno voleva sapere perché si era premurato di afferrarla. Forse perché già lo sapeva.
Decise di non badarci e di cambiare discorso prima di ritrovarsi a distruggere qualcosa.
«Ti decidi o no a darmi una risposta ad almeno una delle cose che ti ho chiesto».
«Non sono tenuta a rispondere se non voglio».
«Non giocare con la mia pazienza, terrestre» parlò lentamente lui, scandendo ogni parola.
Bulma lo fissò, seria in volto. Ogni volta che si guardavano sembrava che si facessero la guerra con gli occhi, sperando entrambi che l’altro abbassasse lo sguardo per primo.
Ma era una battaglia che non aveva mai fine perché finché nessuno dei due parlava, nessuno sbatteva nemmeno le palpebre.
E a Bulma, Vegeta piaceva per quello. Lei era sempre stata quella donna che avrebbe impersonato perfettamente il demone della seduzione, perché ogni uomo, quando se la ritrovava davanti, sbatteva più volte gli occhi e quasi perdeva i neuroni solo a guardarla.
Un discorso con un uomo che riusciva a rimanere lucido, non l’aveva mai fatto.
Vegeta invece no. Lui non si lasciava abbacinare dalla sua devastante bellezza. Lui se ne nutriva violandola con occhi troppo intensi da arrivarle sin sotto la pelle, oltraggiandola più di quanto lei gli permettesse. E non si permetteva di perdere con lei la ragione diventando un inetto.
«Davvero ti interessa sapere cosa ho, Vegeta?» pronunciò sprezzante. Trovò quello il miglior modo per uscire l’argomento. Di certo con lui non poteva permettersi atteggiamenti imploranti o disperati perché sensibilità, quel saiyan, non ne aveva.
«Sono incinta, diamine!» sbraitò, tornando ad accarezzarsi il ventre.
Vegeta cercò di rimanere impassibile, ma la sorpresa di quella notizia destò anche lui.
Era stata la prima volta tra di loro, quando due settimane fa avevano bruciato nel fuoco di una passione senza nome, ed era alquanto improbabile che l’avesse ingravidata proprio lui.
Provò a tener a bada quell’istinto folle che gli stava logorando le interiora, pensando a quel terrestre che le era stato così tanto vicino, troppo vicino, quando li aveva incontrati sull’uscio della porta qualche ora fa.
Immaginava lei muoversi con lo stesso fare suadente che lo aveva fatto impazzire, sotto quel terrestre e quel suo corpo da infimo guerriero.
Strinse i pugni senza che lei potesse accorgersene, sfogando nella forza di quella stretta, tutta l’ira che possedeva in corpo.
«E intendi seccare me con i tuoi schifosi lamenti?» le si stava avvicinando, calpestando il vetro con rumori secchi e sonori.
Aveva deciso di soffocare la sua rabbia così, Vegeta, facendole credere che la sua collera fosse dovuta a ciò che le stava rinfacciando. E nel frattempo si meravigliò di quanto forte era quella sensazione che stava strisciando lungo le sue ossa come elettricità, fino ad arrivargli nella cavità più profonda del petto. Per la prima volta, il suo cuore di pietra stava subendo degli scalfi.
Bulma indietreggiò involontariamente considerando troppo esagerata quell’irritazione leggibile sul suo volto, per essere solo dovuto al fastidio provato nel sentirla piangere.
Quando il saiyan sfiorò con il ginocchio il piumone morbido, l’afferrò rudemente dal collo ampio della maglia, costringendola ad eguagliarlo in altezza.
«Sappi che a me non interessa un bel niente se aspetti uno schifoso moccioso» le soffiò, sottovoce, facendole vibrare la pelle.
Capì a cosa si stesse riferendo solo quando, con la stessa ira che aveva sul volto, lui si impossesso delle sue labbra, costringendola a dischiuderle prendendole il viso con una mano.
Poggiò un ginocchio sul letto, ponendolo esattamente in mezzo alle gambe di Bulma, mentre con una voracità degna di un mercenario la sovrasto con il busto saggiandole avido la bocca.
Dapprima Bulma corrugò la fronte. Sapeva che sia pur volesse impedirglielo, Vegeta non si sarebbe staccato da lei se solo non l’avesse deciso lui.
Ma questo non era un buon motivo per assecondarlo.
Le lacrime, intanto, avevano già ripreso la loro torbida discesa senza che lei nemmeno se ne accorgesse.
Si sarebbe dovuta rassegnare all’idea che sarebbe stato Yamcha l’uomo che avrebbe avuto al suo fianco. Non poteva permettersi di prendersi una stupida cotta per un saiyan come Vegeta che non le avrebbe dato né futuro, né tanto meno certezze.
Ma non riusciva a credere che davvero con Yamcha sarebbe stata più felice. Perché nonostante Vegeta fosse poco disponibile a relazionarsi con lei in modi più umani, nonostante fosse così arrogante e avesse modi scorbutici, riusciva a farla sentire una donna a tutti gli effetti, più di qualunque altro essere umano.
Avrebbe vissuto una vita piena di felicità solo pensando a ciò che lui era in grado di farle provare.
Il solo ricorso di una sensazione bastava a farla sorridere.
Perché delle emozioni così forti, dirette e mai pronunciate, si erano rivelate più tangibili di qualunque altra sensazione fisica.
Persino in quel momento Vegeta, nonostante la stesse quasi obbligando a sottostare alla sua volontà, riusciva a sedurla ed eccitarla.
Ma quando lui la sollevò con un braccio, posizionandola sotto di sé e facendo aderire il suo robusto corpo su quello esile e morbido di lei, Bulma si staccò dalle sue labbra.
«Vegeta aspetta…» disse, facendo uno sforzo tremendo per arrestare quell’eccitazione immane che già l’aveva pervasa.
Lui la guardò seccato.
«Che vuoi».
«Non posso Vegeta… non posso rischiare di farmi male» disse annaspando, portando poi una mano sulla pancia piatta.
Ovviamente, la sua premura verteva verso il bambino che portava in grembo.
Non che vi fosse un reale rischio di danneggiarlo, tutte le donne incinte continuano ad andare a letto col proprio uomo.
Ma con lui era diverso. Lui non era umano. E non era umana nemmeno la sua forza.
Con un minimo sbaglio, una pressione di troppo, avrebbe facilmente distrutto quella piccola vita che stava nascendo in lei.
E questo fu l’unico movente che riuscì a farla fermare.
«Ti ho detto che non è affar mio» inquisì lui, assottigliando lo sguardo.
«Non puoi costringermi…» disse con non molta convinzione.
Lui ghignò visibilmente, elargendole quel sorriso poco rassicurante.
Senza dire altro lui, con una calma inaspettata, prese a baciarle il collo, lentamente arrivando alle labbra e mordendogliele con una strana delicatezza e senza togliersi quel ghigno dal volto.
Con una mano poi le sfiorò i fianchi, alzandole la maglia di quel poco che serviva per toccarla direttamente sulla pelle.
Il suo incedere era incredibilmente controllato, nemmeno Yamcha l’aveva mai toccata con così tanto premura quasi fosse fatta di sottile e pregiata porcellana.
Bulma restò immobile. Aveva chiuso gli occhi: quelle sensazioni andavano gustate senza avere di fronte alcuna immagine. E sarebbero state impresse così, indelebilmente nel suo cervello.
Una soavità che non si sarebbe mai aspettata e che la fece sciogliere, quasi dimenticare il motivo per cui l’avesse fermato, perché ora non desiderava altro le carezze delicate di quelle ruvide mani ovunque sul suo corpo.
Avvinghiò le dita ai suoi capelli, mentre lui ispezionava il suo corpo come se lo vedesse per la prima volta.
Arrivò poi sul suo seno, accarezzandolo sfuggevolmente per poi ritornare sul suo piatto addome facendola sussultare.
Lei si tese per un istante, pensando strane cose quando si soffermò sulla pancia, ma si rilassò di colpo quando poi tornò a sfiorarle i fianchi.
Con quello stesso andamento lento, che stava torturando anche lui al pari di quanto lo divertiva, Vegeta ritornò sulle sue labbra, baciandole piano ma intensamente, intrecciando poi la sua lingua a quella di lei e con movenze che andavano in armonia con quelle del saiyan, aprì maggiormente la bocca per invitarlo a non smettere.
Continuavano a baciarsi, lentamente, controllando anche il respiro e proprio quando lei avvolse entrambe le braccia attorno al collo del saiyan, lui si arrestò.
«Infatti non ti sto costringendo» disse ghignante lui, rispondendo provocatorio a quello che lei gli aveva poc’anzi rinfacciato.
Lei serrò le labbra, digrignando quasi i denti.
Che bastardo, pensò, urlandoglielo con il solo sguardo più che furibondo.
«Non sai che darei per riuscire a farti del male» gli disse con estrema calma, prima di catapultarsi con più foga sulle sue labbra, cercandole come si cerca l’ossigeno dopo una lunga apnea.
Lui ghignò di rimando, prendendola ad accarezzare con più fretta ora, toccandola ovunque senza che lei controbattesse.
Inutile dire che gli aveva già fatto abbastanza del male, sia pur non ne fosse a conoscenza.
Perché lei, con la sola presenza, riusciva a far battere un cuore che forse non aveva mai battuto con quel ritmo, perché a lui quell’organo era sempre servito per tenerlo solo in vita.
Lei era riuscita a rompere quelle catene che lui invece vi aveva messo intorno, perché era stato lui stesso a rifiutarsi di ricevere un qualsiasi tipo di sentimento.
Bulma, invece, con la stessa accortezza di una ladra, era riuscita a valicare quella fortezza ed eludere ogni allarme che avrebbe indotto Vegeta a fermarla prima che potesse arrivare nel punto più delicato del suo essere.
E di nuovo lei si ritrovò avvinghiata al suo corpo, dicendogli che lo voleva. E lui rispondeva di rimando, strappando ogni residuo di quelle vesti che lo separavano dalla sua pelle nuda e immacolata, dicendogli che la odiava perché lo stava facendo impazzire, che non sapeva cosa gli avesse fatto per ridurlo in quel vergognoso stato, la odiava perché riusciva a tirargli di bocca quelle parole che mai credeva di dire. Ma poi le diceva che dopotutto gli piaceva e l’avrebbe trattenuta anche con la forza, se fosse stato necessario, perché se anche lei avesse provato a scappare, lui l’avrebbe cercata e ritrovata anche nell’angolo più nascosto dell’universo.
E proprio quando avevano cominciato a farlo lui soppresse con un ringhio quella voglia di dirle che avrebbe ucciso senza mezzi termini quell’infame che l’aveva ridotta a schifo, dandole un figlio che invece da lui non avrebbe voluto.
E con quegli stessi ringhi lui esplose in lei, mentre lei esplose in lui, raggiungendo insieme l’orgasmo per poi continuare a farlo per tutta la notte che veniva, lasciando che il cellulare squillasse incessantemente.
 
Notò le diverse chiamate perse solo la mattina dopo, leggendo i diversi messaggi affacciata dalla finestra della sua camera da cui era ben visibile il trainer in cui Vegeta, dal mattino tanto presto da farle pensare che non aveva nemmeno dormito, si stava allenando.
Solo un messaggio le catturò l’interesse ed era un avviso da parte del ginecologo che aveva fissato con lei un appuntamento per quella stessa sera.
Provò allora a telefonare Yamcha, ma quando dopo un paio di volte a rispondere fu la segreteria telefonica, lei gli lasciò un messaggio, dicendogli che sarebbe passata a prenderlo da casa sua alle diciannove.
La giornata trascorse con lenta noia, data l’assenza perenne del saiyan, a dispetto di quella notte che invece era volata.
Aspettò l’arrivo della sera con una fastidiosa monotonia sulle spalle, sorseggiando il solito tè per cercar di calmare i bollori dei suoi ormoni impazziti.
Per far passare il tempo si preparò con cura, truccandosi adeguatamente e raccogliendo i capelli in uno chinone lasciando cadere qualche ciuffo.
Uscì di casa senza alcuna fretta. Era in perfetto orario, forse anche in anticipo.
Decise di scapsulare una delle sue auto più veloci e belle in apparenza.
Arrivò a casa di Yamcha dopo una dozzina di minuti, parcheggiando accanto ad un auto altrettanto appariscente piazzata proprio in prossimità della sua dimora.
Si meravigliò quando notò tutte le luci spente.
Rimuginò qualche istante prima di scendere dalla macchina e andare a suonare al campanello, ma prima che potesse farlo, venne attratta da qualcos’altro.
Un lieve bagliore, quasi esiguo, sembrava provenire proprio dalla sua camera. Si avvicinò silenziosa, con un cipiglio curioso sul volto e quando arrivò in prossimità della finestra, dietro quelle tende color avorio notò l’immagine offuscata di Yamcha… con una donna.
Sentì il cuore arrestarsi di colpo, prima di riprendere a battere con maggiore violenza.
Non ci fu nemmeno bisogno di sbirciare con più attenzione, perché la voce della donna che invocava il nome di lui con toni a lei non estranei, era bastato a farle capire cosa stessero facendo.
Non c’era da meravigliarsi allora sul fatto che Yamcha aveva accettato con così tanta disinvoltura le diverse negazioni di lei nell’andare a letto.
Lo stesso ghiaccio che le aveva fermato i battiti, ora l’aveva immobilizzata, cercando di farle capire se quella rabbia convulsa che l’era esplosa dentro fosse dovuta alle sporche menzogne con cui lui continuava a fare il finto ragazzo innamorato, oppure se fosse dovuto al pensiero che da quel traditore adesso aspettava anche un figlio.
O forse era per entrambe, e la collera si raddoppiò.
Ritornò alla macchina con la stessa tranquillità con cui era scesa, cercando di reprimere ogni sintomo di isteria con l’innata pazienza che aveva sempre avuto.
Proprio quando si apprestò ad entrare in macchina notò quella accanto alla quale aveva parcheggiato.
Sarebbe dovuto aspettarselo. Era proprio di quella donna che tempo fa fu la causa di un tremendo litigio. Ed era stato proprio quel giorno in cui lei venne invitata dal genio per una rimpatriata insieme a Crilin e Goku, riscoprendo, la stessa mattina, le sue aliene origini.
La storia andava avanti da chissà quanto tempo. E non poté che riconoscere che Yamcha, in fondo, era stato davvero un buon attore.
Mise in moto l’auto facendo tuonare il suo rumore più del dovuto, quasi volesse richiamare l’attenzione di lui, per poi schizzare con uno stridio di gomme, dritta davanti a lei.
Durante il tragitto si obbligò con veemenza a non piangere. Si sarebbe sfogata poi.
Parcheggiò quasi con rudezza l’auto, scendendo poi da essa sbattendosi lo sportello dietro con forza.
Camminava sicura e senza alcun cedimento su quei tacchi che le slanciavano il corpo più del dovuto.
Entrò poi nella sala d’attesa con altrettanta sfacciataggine, mettendosi a sedere fissando un punto indistinto e costringendosi a non pensare.
Dopo una manciata di minuti, dalla porta dello studio ginecologico sbucò il dottore, che la fissava con un certo riguardo, rivolgendosi a lei nonostante ci fossero altre pazienti in fila ad aspettare.
Bulma corrugò la fronte, spazzando via ogni segno di certezza e di indignazione, quando lui le parlò con una certa serietà.
«Stavo cercando proprio lei, signora Brief. La prego di accomodarsi».


***


NdA: Eccomi qui con il secondo e penultimo (spero) capitolo. Ripeto, ero partita con l'idea di creare una oneshot, ma non ci sono riuscita. Questo è il motivo per cui ho deciso di non dilungarmi molto con le descrizioni e con i colpi di scena. Forse un giorno da questa piccola ispirazione farò uscire una bella long. Ma gli esami mi tolgono tutto quel tempo di cui avrei bisogno per sfornare decenti capitoli in tempi reali. Spero comunque che vi sia piaciuto. Ringrazio vivamente tutti coloro che mi seguono silenziosamente o chi decide di dedicarmi del tempo lasciandomi delle recensioni. Il vostro supporto per me è fondamentale. Desidero ringraziare nuovamente Proiezioni_Ottiche che, come al solito, mi incoraggia e sostiene mentre io la fucilo di paranoie degne di una complessata, spronandomi a scrivere. Non so che fine avrei fatto senza i suoi consigli e i suoi utilissimi supporti.
Un bacione a tutti ragazzi! Alla prossima!

 
   
 
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