Accarezza un piccolo pupazzo di pezza.

- Piccolo…pezza…

Con foga, come se volesse strappargli ogni pelo.

Sorride sadica.

I suoi occhi sono bianchi, ma lei non è pura.

Sembra posseduta, mentre interpreta se stessa. Come in un teatrino.

Lei è il cattivo.

Lei è la vittima.

Lei è una comparsa.

Sta solo recitando.

È seduta su un letto ricamato di finta seta bianca.

Tutto è una finzione.

Continua ad accarezzare. I capelli neri spettinati sul viso bianco.

E ora ride. Ma non è divertita. È un suono glaciale e acuto, che perfora le orecchie.

Poi tutto tace, nella stanza scura.

La bimba seduta comincia a cantare. Una filastrocca in greco antico. Parole senza tempo. Parole bandite, che tagliano la lingua se pronunciate.

Sputa sangue sul lenzuolo candido, ogni cosa si tinge di rosso.

Tutto, tranne lei.

Mentre canta, cuce lacrime viola sugli occhi del pupazzo. Usa un ago di marmo e tesse con foga.

Gorgheggia ad alta voce, urla quasi, ma il silenzio incombe ancora.

Sputa di nuovo. Sangue grigio.

E la sua pelle si colore di grigio.

La stanza è vuota e il letto è al centro.

Ma è tutto rosso intorno alla bambina grigia dai capelli neri.

Prende un pennello verde dalla giacca che indossa, anche se è troppo grande.

Dipinge di blu quel pupazzo incolore.

Ha smesso di cantare.

Piange lacrime invisibili. Geme di un dolore incontenibile, ma poi si zittisce.

Tutto scompare.

Ma c’è ancora lei, quella bizzarra bambina. Davanti ad uno specchio, col suo giocattolo in mano.

Alza lo sguardo verso il suo riflesso sulla deforme superficie nera.

Digrigna i denti, vorrebbe sorridere, ma non lo fa.

Accarezza il piccolo pupazzo di pezza.

- Piccolo…pezza…