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Autore: Kim_Pil_Suk    13/01/2014    2 recensioni
[Ambientato tra la prima e la seconda serie del libro.]
Artemis Yew.
Non ricorda niente, assolutamente niente. Si sente come se fosse uscita da una centrifuga.
Artemis ha dei fratelli alla capanna di Apollo, una cara e vecchia amica alla casa di Afrodite e un nuovo amico alla casa del Dio dei Morti.
Come con un puzzle riuscirà a ricostruire la sua vita al campo, la sua vita fuori e la sua vera natura. Forse quando scoprirà il suo piccolo segreto si pentirà di aver ritrovato la memoria.
Genere: Romantico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gli Dèi, Nico di Angelo, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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La mattinata non era iniziata proprio benissimo
Mi ero svegliata per colpa del sole che sbatteva e infastidiva le mie palpebre. Le tende aperte e tutti a dormire. Era come se Apollo avesse aperto le tende per me e mi avesse detto ‘ Svegliati dormigliona! ’.  Sembrava avere posizionato il sole li apposta per me. O meglio, il raggio di sole. Perché ero convinta che fosse troppo presto per il sole. Quello che mi punzecchia era un solo raggio, proveniente da chissà dove. 
Poi per tutta la notte, fino alle 2 del mattino la casa di Ermes sembrava decisa a fare baldoria a non finire, finché, a quanto sembra, un arpia alquanto arrabbiata li aveva zittiti, minacciandoli di morte.
Mi ero alzata di malavoglia e avevo cercato di svegliare Jason. 
Era sparito uno dei miei peluche preferiti. Avevo il diritto di svegliare tutto il campo se ce ne fosse stato bisogno. 
- Jason. - lo scossi appena, ancora assonnata. - Jason. - lo scossi di nuovo, lanciando uno sbadiglio. - Jason. Svegliati. - continuai a scuoterlo, ma l'unica sua reazione fu di grugnire e rigirarsi, dandomi le spalle. - Jason. Alza le chiappe o almeno le palpebre e rispondimi. - gli dissi scuotendolo più forte. Lui grugnì e si girò. Ma non aprì gli occhi, anzi, alzò una mano e me la piantò sulla faccia. 
Okay, ora voglio sapere con che coraggio mi appiccica la sua mano sulla mia faccia. 
Scacciai via la sua mano così forte che lui si alza velocemente. Si guardò attorno confuso  e sconvolto, poi sembra capire dove è. Le sue palpebre si appesantirono di nuovo. - Artemis? - disse per poi lanciare uno sguardo ad una strana sveglia a forma di tavola da surf. - Diavolo. Sono solo le cinque e mezza del mattino. - disse prima di ributtarsi giù. 
- Eh, no ragazzo mio! - gli dissi togliendogli le coperte. 
- Ma cos--? - disse alzandosi sconvolto e infastidito. Mi guardò male. - Che Tartaro vuoi a quest'ora? - mi chiese lanciandomi uno sguardo assassino. 
- Dov'è? - chiesi portando le mani sui fianchi. 
- Dov'è cosa? - chiese aggrottando le sopracciglia, confuso. 
- Fluffy. Il mio coniglietto di peluche. - gli chiesi battendo il piede a terra. Lui mi guardò come se fossi pazza o chissà cosa. 
- Ma stai scherzando? Mi svegli a quest'ora per uno stupido peluche? - mi chiese urlando per poi ributtarsi a dormire. Gli stavo per rispondere a modo, quando il suo lento russare mi perforò le orecchie. Cavolo se russava. 
Indossai la maglietta arancione del campo e i pantaloncini di jeans e decisi di cercare il mio peluche da sola. 
Quando uscii dalla capanna mi accorsi che avevo ragione: non era nemmeno l'alba. Il sole non era sorto e il cielo blu aveva una leggere sfumatura arancione e verde. Era tutto così silenzioso. Era strano. Il giorno prima c'erano così tanti ragazzi che si allenavano nelle piste, che gareggiavano con le bighe o che semplicemente correvano e parlavano davanti al fuoco. In quel momento invece era così silenzioso e calmo. 
Feci una passeggiata per le care piste. Vuote e silenziose. Nemmeno dalla stalla dei pegasi proveniva alcun rumore. Entrai dentro e vidi una dozzina di cavalli impegnati a dormire. Mi presi uno spavento quando uno dei pegasi nitrì nel sonno. Lo accarezzai e mi guardai attorno. Contai i pegasi. Quattro bianchi, cinque neri e tre marroni. Avrei giurato che l'altro giorno la figlia di Demetra stesse parlando con un cavallo con il pelo giallo-marroncino.
Uscii dalla stalla ancora confusa e mi diressi nel bosco, in cerca della Signora O'Leary. Anche stavolta fu lei a trovare me. Mi travolse in pieno, ma stavolta fui fortunata e la maglietta non si sporcò più di tanto.
Mi misi a sedere appoggiandomi ad un tronco. Chiusi gli occhi, assonnata, sperando che nessuna driade uscisse dal tronco per cacciarmi dalla sua casa. Ero troppo stanca per ribattere. Ma per fortuna non successe e io mi addormentai mentre sentivo la Signora O'Leary respirare affannosamente. 

Mi risvegliai dopo un tempo che non saprei definire - un ora, forse - sentendo che faceva troppo caldo e che qualcosa di umido si strusciava sulla mia faccia. 
Mi alzai e qualcosa mi scivolò di dosso. Avevo la vista appannata e non riuscivo a capire se mi trovavo dove mi ero addormentata o in una caverna buia. 
- Finalmente ti sei svegliata. - disse una voce, ma non riuscivo a vedere chi parlava. 
- Woaf! Woaf! - abbaiò la Signora O'Leary spostandosi di lato. 
Non ero in una caverna buia, ero dove mi sono addormentata. La colpa era della Signora O'Leary, che mi parava gli occhi dal sole. 
Mi voltai. Accanto a me, con i riccioli spettinati, la pelle pallida accarezzata dal sole e gli occhi assonnati, si trovava Nico. Mi guardava senza sorridere. Come se mi fossi addormentato sul suo letto. 
Lanciai uno sbadiglio enorme e la Signora O'Leary mi imitò, per poi abbaiare, contenta. 
- Buongiorno. - gli dissi accorgendomi che il motivo per cui sentivo caldo era una coperta appoggiata sulle mie spalle che mi parava dal freddo. 
Lui non mi augurò il buongiorno, ma sbuffò. In realtà non sembrava poi così arrabbiato.
Lo guardai e sorrisi. Poi spostai lo sguardo sulla coperta. 
- Me l'hai messa te questa coperta sulle spalle? - gli chiesi voltandomi a guardarlo. Lui sbuffò e incrociò le braccia.
- Certo e se no chi? La Signora O'Leary? - chiese sarcastico indicando la cagnolona al mio fianco, che abbaiò contenta. Le sorrisi.
- Beh, allora grazie. - gli dissi spostando appena la coperta. Lo guardai e lui sbuffò di nuovo, voltando lo sguardo. Avrei giurato che fosse imbarazzato. Mi guardai attorno e osservai il sole. - Un quarto alle sette, più o meno. - mormorai ancora intenta ad osservare il sole. 
- Cosa? - mi chiese Nico, confuso. Io strizzai gli occhi, accecata dalla luce del sole. Poi lo guardai, confusa. Com'è possibile che in autunno ci fosse così tanto sole?
- Eh? - gli chiesi strofinandomi un occhio. 
- Hai appena detto che sono un quarto alle sette. - mi disse aggrottando le sopracciglia. Lo guardai più confusa di prima.
- Tu dici? Sicuro? - gli chiesi, corrucciando le sopracciglia. Nico sembrò rinunciarci.
- Lascia perdere. Torniamo al campo per la colazione. - mi disse alzandosi. Si spolverò i pantaloni sporchi di polvere e mi guardò con aria assonnata. Non doveva aver passato una bella nottata. Sembrò tentennare ma poi mi porse la mano, leggermente imbarazzato. Gli presi la mano e risi appena, divertita. - Che ridi? - mi chiese con una nota di indignazione.
- Niente. - dissi con sarcasmo mentre facevo leva sui muscoli delle gambe per tirarmi su. Nico sbuffò infastidito e lasciò la presa proprio mentre toglievo la mano dal tronco dell'albero. Caddi a terra come un sacco di patate a terra, sbattendo il fondoschiena sulle radici sporgenti -e non tanto morbide- dell'albero. Mi massaggiai il punto dolente e guardai Nico con un sopracciglio alzato. Sembra alquanto dispiaciuto. 
Quando si accorse della mia espressione mi porse la mano. - Scusa. Non era mia intenzione. - mi disse semplicemente, senza guardarmi negli occhi. 
- Fa niente. - gli dissi afferrando la sua mano. - Ma forse stavolta sarebbero meglio due mani, invece di una. Non pensi? - gli dissi sorridendo divertita. Lui annuì cupo. Forse era solo dispiaciuto. Mi porse entrambe le mani e io mi alzai in piedi. Gli tirai un piccolo spintone. Lui si girò innervosito ad osservarmi. Gli sorrisi. - Dai! Non essere preoccupato. Sono solo caduta. - gli dissi ridacchiando alla sua espressione preoccupata. Un piccolo sorriso sembrò apparire sulle sue labbra. La Signora O'Leary, che fino a quel momento era rimasta lì a scodinzolare, gli lecco la faccia e lui fece una smorfia disgustata. Risi, divertita per il ciuffo che la Signora O'Leary gli aveva laccato in modo strano. - Dai, aiutami a raccogliere la coperta. - gli dissi dopo aver smesso di ridere. Lui sbuffò, di nuovo, e raccolse la coperta di cotone e me la porse. Nemmeno il tempo di dirgli grazie che già aveva fatto il primo passo verso la mensa. - Ehi! Dove corri? - esclamai posandomi velocemente la coperta su una spalla. Diedi una carezza veloce alla Signora O'Leary e raggiunsi Nico, che ormai si era già distanziato. Arrivai accanto a lui e gli misi una mano sulla spalla, rallentandolo. - Vai piano. - gli dissi mentre lui si voltava e sospirava. Rimasi a guardarlo per qualche altro secondo. Gli occhi scuri e tristi, il colletto della giacca da aviatore, la pelle così bianca, pallida. Mi parve addirittura di vedere le sue guance tingersi di rosa quando lo fissai per troppo tempo negli occhi. E infine i ricci capelli neri. Gli scoppiai a ridere in faccia. Vi giuro che non volevo scoppiare in una fragorosa risata proprio davanti alla sua faccia. Ma non potete immaginarvi come fosse esilarante l'acconciatura stile anni '40 fatta con la bava di cane infernale. Mentre mi tenevo la pancia dalle risate notai che sulla faccia di Nico era apparso stupore, poi imbarazzo e infine mise il broncio. - S-scusa. Non volevo. - dissi fra le risate. Quando mi calmai gli poggiai una mano sul braccio, per evitare che se ne andasse. Ma non lo fece. Teneva solo il broncio. Solo questo. Gli sorrisi, cercando di sembrare il più dispiaciuta possibile. - Scusami tanto. Non volevo, ma vedi... i tuoi capelli... - gli dissi portandomi la mano alla bocca per evitare di scoppiare ancora. 
- I miei capelli... cosa? - mi chiese, con una nota di rabbia. Sorrisi, comprensiva.
- Lascia perdere, faccio io. - gli mormorai allungando le mani verso i suoi capelli. All'inizio sembrò riluttante a farsi toccare, ma poi lasciò perdere. 
Vedete... se un ragazzo è più alto di voi non provate a mettergli apposto i capelli. Soprattutto se questo ragazzo fa di tutto per stare lontano dalla gente. 
Allora, stavo dicendo: mi ero sporta sulle punte per sistemargli i capelli. La coperta caduta a terra e le gambe tremanti per lo sforzo. Pian piano, con calma e pazienza, i riccioli stavano tornando ad essere tali e al loro posto. Le mie dita affusolate lavoravano sui suoi capelli e gli occhi erano concentrati sulle sue ciocche. I nostri nasi si sfioravano ad intermittenza e l'unica cosa che lui faceva, senza migliorare la situazione, era cercare di tenermi in equilibrio mettendomi le mani sui fianchi. Vi posso assicurare che non fosse di aiuto in quanto le sue mani tremavano e mi teneva così debolmente che poteva anche toglierle. Forse lo faceva per paura di farmi male, o darmi noia. L'imbarazzo era alle stelle. Con un solo movimento avrei potuto stampargli un bacio sulle labbra... o dargli una testata. 
Mi mordevo le labbra per la concentrazione. Sentivo il suo lieve respiro caldo sulla pelle. Era piacevole, sì, ma avrei perso l'equilibrio. Prima o poi. - Non muoverti. Ho quasi finito. - Ok. 'Ho quasi finito' forse è troppo, ma lasciamo perdere. 
Il fatto è che c'era quel maledetto ciuffo in cima alla testa di Nico che, ogni volta che lo aggiusto, torna su da solo, facendo sembrare Nico un unicorno. E Nico non è affatto un unicorno.
Una ciocca di capelli mi solleticò la pelle nuda del fianco. "Come ci era arrivata fin la una ciocca di capelli?" Quando mi concentrai sul mio fianco mi accorsi che, a furia di tirare, la maglia si era alzata un po', lasciando scoperta la pancia piatta. Di conseguenza le mani di Nico erano poggiate sui fianchi nudi. "Questo dice tutto sulla sua presa da gelatina." Evitai di non sarmi distrarre da tocco, cosa un po' difficile, e mi concentrai sulla ciocca. 
Quando finalmente riuscii a metterla al suo posto sorrisi e portai giù le mani e i talloni. Nico tenne le mani suoi miei fianchi finché la maglietta non si abbassò sulle sue dita. Quando tolse le mani mi accorsi che aveva sudato. Forse per l'ansia o l'emozione. 
Gli sorrisi e feci il pollice all'insù. - Tutto apposto adesso. - gli dissi incrociando le braccia sotto il seno, sempre sorridendo vittoriosa. Lui sbuffò imbarazzato. Sembrava il suo modo per scacciare l'imbarazzo, e funzionava. Si chinò a raccogliere la coperta e la aprì. La fece roteare e me la appoggiò sulle spalle, sistemandola in modo che non mi cadesse. Lo osservavo stupita mentre aggeggiava con la stoffa cercando di fare chissà cosa. Era indaffarato a tirare la coperta più in sù quando alzò lo sguardo e incontrò il mio. Non so perché ma ingoiai un groppo, imbarazzata. - Che c'è? - chiese alzando un sopracciglio. Non riuscii a rispondere subito. Mi ci vollero alcuni secondi per metabolizzare la domanda.
- Niente. - dissi, riluttante. Finì di sistemarmi la coperta e mi guardò. 
- Ecco. Andiamo. - mi disse iniziando a camminare. Lo affiancai mentre raggiungevamo la mensa. 
Poteva sembrare romantico. Nico, ancora con le guance tinte di rosa. Io con un groppo in gola. Sempre io che tenevo stretta i bordi della coperta fra le mani. Ci mancava solo il suo braccio attorno alle mie spalle... No. Vi prego!
Arrivammo nei pressi della mensa. Tutti i ragazzi stavano facendo colazione allegramente. Osservai Nico andare a sedersi al suo tavolo. Io mi accomodai al mio assieme ai miei fratelli. Appoggiai la coperta sulla panca e osservai il mio piatto riempirsi da solo. Non mi abituerò facilmente a questa cosa.
- Artemis, finalmente. Bentornata. - mi disse Jason distraendomi dal delizioso cibo nel piatto. Alzai lo sguardo e gli sorrisi. - Trovato il tuo peluche? - mi disse. La mia espressione diventò preoccupata, poi stupita, poi disperata e infine sofferente.
- Oddei! Il mio peluche! - dissi portandomi le mani alla faccia. Mi passai una mano fra i capelli, scompigliandoli. Jason scoppiò a ridere, assieme agli altri e io lanciai loro un occhiattaccia. Ma lasciai perdere. Al peluche c'avrei pensato più avanti.
- Artemis. Lui è Will Solace. Il capogruppo della nostra capanna. - disse Jason indicando un ragazzo accanto a lui.
Mi girai ad osservarlo. Era un ragazzo di bell'aspetto. All'incirca 16 anni, muscoli ben piazzati, pelle abbronzata e un sorriso smagliante.
- Piacere di conoscerti, Will. - dissi trangugiando un pancake.
- Piacere di rincontrarti, Artemis. - mi disse con un sorriso smagliante. - Io sono il capo della nostra capanna. - mi disse mentre mi infilavo in bocca un muffin.
- Capo della capanna? - chiesi sputacchiando briciole di muffin. Jason per poco non mi tirava un ceffone. Will annuì. - E cosa fanno i capi delle capanne? 
- Beh. Svolgono mansioni come organizzare i lavori della nostra capanna, organizzare la caccia alla bandiera, barattare l'ordine delle docce, presidere alle riunioni... cose del genere. - disse bevendo un sorso di latte dal suo bicchiere.
- Will si occupa anche di fare il controllo delle capanne quando Percy non può. - disse Maya osservandomi.
- Vero. Di solito tocca a Percy e ad Annabeth. Ma ogni tanto sta a me. - continuò Will. Mi spiegò anche che prima dell'amnesia ero io a sostituire Will o Percy se non potevano.
Mi dissero anche che Will era tornato quella stessa mattina da un impresa semplice.
- Artemis. Ti piacerebbe fare te l'ispezione delle capanne al posto mio? - mi chiese finendo la sua ciotola di cereali.
- Come? Davvero posso? - Will annuì, sorridendole. - Volentieri, allora. 
- Perfetto. Penserò io ad avvisare Annabeth. Tu fatti solo trovare pronta. - mi disse alzandosi ed andandosene.
Finimmo tutti di mangiare, presi la coperta e ce ne andammo. Tornati in stanza io e i miei fratelli rimettemmo tutto in ordine, poi presi la coperta e uscii ad aspettare Annabeth.
Lei non si fece aspettare. Arrivò dopo due secondi con una tabella in mano e un sorriso piuttosto compiaciuto stampato in volto. Mi si avvicinò e alzò la mano in un saluto.
- Ciao Artemis. Grazie mille per il tuo aiuto. - poi il suo sguardo diventò severo. - Percy e Will non hanno voluto aiutarmi. Me la pagheranno. - immaginai che non fosse una bella cosa essere nella lista nera di Annabeth. - Grazie mille per il tuo aiuto. - mi disse con un sorriso mentre mi passava la tabella. Sopra il foglio c'erano segnati i nomi degli dei delle capanne e sotto uno spazio vuoto. Dove dovevo mettere un voto da 0 a 5 sull'ordine.
Iniziammo il nostro giro delle capanne. Incominciammo in senso antiorario, cioè con la capanna dei figli di Nike. Loro si beccarono un 2, solo perché l'unica parte ordinata della casa era la loro mensola con le medaglie. Poi toccò ai figli di Ebe e Tiche. Quando entrai nella capanna dei figli di Ebe avrei giurato che quei ragazzi non avessero più di 12 anni, ma mi sembrava alquanto difficile. Si beccarono un 3.
Invece i figli di Tiche si beccarono un 4. Annabeth mormorò qualcosa a proposito dei figli della Fortuna.
I figli di Ecate si beccarono un bel 4. La loro capanna era ordinata, ma Annabeth non sembrava ancora convinta. Nemmeno quando vide la pulizia perfetta che c'era sotto i letti. Solo quando uscì sbattendo la porta e rientrò sentendo dei rumori di cose che cadevano abbassò loro il voto di due, mormorando quanto fossero sciocchi i figli della dea della magia.
Con i figli di Dioniso non andò tanto bene. Avevo rischiato più volte di bere una bevanda energetica superpotente e di pestare un grappolo d'uva. 2 su 5.
I figli di Afrodite mi sorpresero. Il profumo di gelsomino e mango mi invase appena varcai la soglia. Tutto splendeva e i loro specchi e vetri brillavano. Piccole e colorate piantine stavano alle finestre. 5 su 5, anche se Drew Tanaka mi faceva girare più volte le scatole. Riuscii a farla urlare quando con un raggio di sole le sciolsi tutto il tubetto di rossetto rosso. Ma ormai ero già uscita.
Saltammo la capanna di Artemide, raggiungendo quella di Atena. Appena entrate tutti uscirono fuori salutandoci. Tutto era in ordine, tutto tranne che la postazione di Annabeth. Fogli stropicciati, matite da disegno, righelli e squadre, planimetrie erano acatastate su di una scrivania. Un computer portatile era aperto sul letto.
Annabeth si avvicinò alla scrivania cercando di mettere in ordine, sospirando, esasperata. - Segna 3 su 5. - disse rinunciando a riordinare tutto alla svelta. Feci un passo indietro e mi coprii l'occhio sinistro.
- Dai, se mi copro l'occhio con la mano è tutto perfettamente in ordine. - dissi mentre le facevo l'occhiolino e segnavo un 4 sotto la sua capanna. Lei rise appena, consapevole che non stavamo barando.
Uscimmo dalla capanna e toccò a Demetra. 5 su 5 anche loro. Piante e arbusti in perfetto ordine. Come sempre.
Mentre passavo davanti al tempio di Era mi sembrò che una voce mi chiamasse. La ignorai e seguii annabeth verso la capanna di Poseidone.
Quando bussai alla porta non mi aspettai proprio che ad aprirmi fosse un ciclope con una scopa coi pesci in mano ad aprirci. Mi osservò allungo, fra il sorpreso e il divertito. Poi sembrò notare Annabeth. Un grande sorriso si allargò sul suo volto, formando una strana curva sul suo unico occhio. - Tyson! - si abbracciarono mentre io continuavo a guardarli in modo alquanto perplesso, o meglio, sorpreso. - Quanto tempo! Perché non mi hai avvisato che venivi? Quando sei arrivato? Cosa ti porta qui? - disse tutta contenta poi sembrò finalmente ricordarsi di me. - Artemis, lui è Tyson, figlio di Poseidone. - disse indicandolo. La mia faccia passò da sorpresa a perplessa in un secondo. Invece quella di Annabeth diceva "te lo spiego dopo". - Tyson, lei è Artemis, figlia di Apollo. - disse indicandomi.
- Piacere di conoscerti Tyson. - gli dissi cercando di non sembrare perplessa. Lui lasciò una mano dalla scopa e mi salutò, con un grande e ciclopico sorriso.
Ci fece entrare e Annabeth andò spedita verso le camere.
- Tyson. Dov'è? - disse mentre io mi chiedevo di cosa stesse parlando.
- Il tuo ragazzo è di la. - una leggera sfumatura rosa tinse le guance di Annabeth mentre varcava le soglie della camera da letto con noi dietro di lei. 
Quando entrammo Annabeth si diresse da un ragazzo con i capelli neri. Gli buttò le braccia al collo e gli stampò un dolce bacio sulle labbra mentre un sorriso sornione si stampava sul volto del ragazzo. 
Era una scena molto carina. Lei con un sorriso spensierato e le braccia attorno al suo collo e lui con le mani sui suoi fianchi e gli occhi verde mare persi nei suoi grigio tempesta.
Segnai un 5 su 5 sulla tabella facendo il segno dell'ok a Tyson, per congratularmi per l'ottimo lavoro di pulizia. 
Annabeth si staccò dal ragazzo di malavoglia e mi raggiunse, con lui appresso. - Artemis, lui è Percy Jackson, figlio di Poseidone. - disse indicando il ragazzo che le mise un braccio attorno ai fianchi.
- Piacere. Sono il ragazzo di Annabeth. - disse con un sorriso sornione. Annabeth arrossì appena, senza darlo a vedere.
- Il piacere è tutto mio. Io sono Artemis, figlia di Apollo. - dissi alzando la mano come saluto.
- Apollo? Manda ancora quegli Haiku micidiali? - chiese divertito per poi sentire un tuono rimbombare nel cielo. - Scusi. - mormorò per poi trascinarsi via la ragazza.
- Percy. Devo andare a fare il giro delle capanne. - si lamentò Annabeth non tanto contraria a quelle attenzioni. Trattenni una risata.
- Lascia perdere, Annabeth: ci penso io. - dissi fermando il loro battibeccare. Annabeth mi guardò, insicura.
- Sicura? Cioè, è un compito che tocca a due persone. Ce la puoi fare? - mi chiese evitando un bacio di Percy, imbarazzata.
- Sicura. - dissi avviandomi verso l'uscita. - Tyson, ottimo lavoro. Sei bravo nelle faccende. - il ciclope mi salutò allegramente e poi me ne andai. 
Quando controllai quale fosse la prossima capanna pregai gli dei che potessi saltarla in qualche modo. Ma fui costretta ad andare, era un mio dovere.
Bussai alla porta della capanna e nessuno mi rispose. Solo urla di gente che sembrava appena tornata vincitrice da una guerra. Bussai di nuovo, così forte che la porta tremò sui cardini. Dentro le voci si zittirono. Qualcuno dal passo pesante si avvicinò alla porta e abbassò la maniglia. 
Quando la porta si aprì davanti a me c'era Clarisse La Rue che mi sorrideva divertita. Una mano sul fianco e un gomito appoggiato sullo stipite della porta. 
- Guarda chi si vede. - disse facendo allargare il proprio sorriso. - La bella smemorata è qui, ragazzi. - disse rivolta alle persone nella capanna. Grida di esultanza partirono ovunque nella capanna di Ares. Chissà per cosa poi. Clarisse si rivolse a me, alzandosi le maniche della giacca. - Allora, Yew, accomodati. - mi disse facendomi entrare. 
Non avevo molta paura di Clarisse. Ma non penso che in uno scontro contro di lei avrei vinto. Lei era due volte me ed era anche più grande. 
Entrai e trovai tutto stranamente in ordine. Quasi niente era fuori posto. Se non il solito strano odore di sudore e quello che loro chiamavano "mascolinità pura". Segnai un 4 sotto la loro capanna. Ma continuai lo stesso a guardarmi attorno, in cerca di un motivo per dover abbassare il punteggio. Tutti se ne uscirono e io controllai per bene. Tutto apposto.
Uscii e finii la perlustrazione da sola. Entrai nella mia capanna e la controllai. Tutti avevano messo apposto ma Jason sembrava aver deciso che sottosopra è meglio. 3 su 5 fu il punteggio finale. 
Prima di uscire presi la coperta di plaid, decisa a ridarla a Nico.
Controllai la casa di Efesto e diedi loro 3 su 5, a causa dei pezzi meccanici rotti sparsi ovunque. 
Quando fu il turno di Ermes non volevo nemmeno entrare. Bussai più volte mentre dall'altra parte della porta gente a caso gridava "nascondilo lì" oppure "buttalo lì dentro, non lo vedrà nessuno" oppure "sotto il tappeto! Sotto il tappeto!". Alla fine mi aprì Travis, spettinato e con un batuffolo di cotone fra i capelli rossi. 
- Artemis. Che sorpresa. - disse disinvolto. Mi trattenni dal ridere e gli tolsi il batuffolo entrando nella capanna. 
- Buongiorno ragazzi. Come va? - dissi mentre guardavo i ragazzi uno ad uno. Sembravo un sergente con i suoi soldati. 
Mi trattenni più volte da scoppiare loro a ridere in faccia vedendoli pieni di batuffoli di polvere fra i capelli. Glieli tolsi quasi a tutti, avvisandoli di stare attenti. Guardai sotto i letti. Vuoto. Strano, vero?
Guardai sotto i tappetti. Vuoto. Di nuovo. Dentro i bauli. Vuoto se non per gli oggetti personali. 
Avevo iniziato a pensare che fosse tutto normalissimo quando mi avviai poco convinta verso l'armadio. Lo aprii e non successe niente. Poi dopo un secondo ci fu un cric. Poi un altro cric. Infine una serie ripetuta e irregolare di cric. Una valanga di sporcizia, vestiti, giocattoli e cianfrusaglie varie mi cadde addosso con un rumore simile ad un masso che rotola sopra ad un pezzo di plastica con le bolle. 
Mi rialzai a sedere da sotto l'enorme pila e sputacchiai un calzino che sperai per loro fosse pulito. - Ma che tartaro è successo in questo armadio? - chiesi perplessa, arrabbiata e sorpresa assieme.
Travis e Connor sembravano a disagio. - Non sapevamo dove mettere tutta la roba così... - disse cercando di aiutarmi ad alrzarmi. 
Quando fui finalmente in piedi li guardai male. Le mani serrate sui fianchi e le soppracciglia aggrottate. Poi scoppiai a ridere. 
Ok, un peluche vecchio e rovinato mi era caduto in testa ed ero scivolata su una busta vuota di patatine 3 volte, ma adoravo quei ragazzi. 
- Fa niente. Vi darò un 3 su 5, per l'impegno. Ma mettete tutto apposto, prima che ci scoprano. - dissi segnando un grande 3 su Ermes. Loro sembrarono contenti.
Misero apposto tutto e alla fine era tutto più ordinato. O quasi. 
Ridacchiai un ultima volta e presi la coperta di plaid che avevo con me e la tabella. - Bene. Ragazzi. Io vado. Tenete tutto per bene. - gli dissi uscendo. E quando loro mi risposero con "sissignora" mi scappò un altra risatina.
Feci tutto il giro e arrivai alla casa di Ade. Bussai alla porta e mi sembrò di sentire qualcuno rispondere. Ma pensai che fosse la botta ricevuta dalla lattina caduta prima da chissàdove. Bussai un altra volta ed entrai. 
Trovai Nico di Angelo intento a finire di asciugarsi i capelli umidi. Era completamente vestito. Maglietta nera, jeans scoloriti e sneakers nere, ma sui capelli bagnati portava un morbido asciugamano. 
Mi guardò come se gli avessi messo la polvere al peperoncino dentro lo shampoo. 
- Sono venuta per il controllo delle capanne. - dissi varcando la soglia e raggiungendolo infondo all'entrata. 
La capanna era meno spettrale di come me la ero immaginata da fuori. Mi ero immaginata piccole lanterne spettrali color smeraldo, testi di bue appesi ovunque e una catasta di legni per i sacrifici umani.
Rabbrividii al solo pensiero mentre osservavo le pareti.
In realtà non era così spettrale. Era un po' cupa. Forse un po' gothica, ma non spettrale o inquietante. Solo triste.
Luci classiche al neon si riflettevano sulle pareti di marmo scuro. Il pavimento era decorato con mattonelle color argento che riflettevano la luce delle lampade. Nella stanza ci sarebbero potuti entrare su per giù dieci letti, ma solo uno era appoggiato alla parete opposta all'entrata, con una scrivania scura ai suoi piedi. Tutto il resto dello spazio era vuoto oppure occupato da strani dettagli gotici.
Nico mi riscosse dai miei pensieri. - Controlla e poi vattene. - mi disse dirigendosi di nuovo in bagno.
- Di solito quanto prendi al controllo? - chiesi prima che lui sbattese la porta. Sentii la sua voce mormorare 3 da dietro la porta. Ma pensai di averlo sognato. La sua capanna era ordinata. 3 era troppo poco.
Mi guardai attorno. Toccavo poco e niente. Per paura. Per paura di spostare qualcosa e farlo arrabbiare, forse. Non trovai niente fuori posto. Dal posto letto sembrava ancora tutto più grande e triste. Rimasi lì, seduta sul bordo del letto, ad osservare la stanza per un bel po' di tempo. Man mano che passava il tempo mi sentivo più triste e oppressa. Forse Nico doveva combattere tutto ciò ogni giorno.
- Hai finito? - mi chiese all'improvviso Nico uscendo dal bagno. I suoi capelli erano finalmente asciutti. Non indossava ancora la giacchetta da aviatore, ma non mi stupì. Eravamo all'interno.
Non gli risposi subito, ma segnai un numero sulla tabella.
- Sì, ora o fatto. - dissi iniziando a camminare verso l'uscita. Poi mi fermai, osservai la coperta di plaid sulle mie braccia e mi voltai. Mi avvicinai a Nico, che mi guardava perplesso e gli allungai la coperta. - E' per ringraziarti di stamattina. Tienila. Te l'ho riportata. - gli dissi sorridendogli. Lui la accettò, fra l'indifferente e il sorpreso.
- Grazie. - mormorò infastidito per poi andare a posare la coperta sul letto. Mi diressi verso la porta e misi la mano sulla maniglia. Prima di uscire mi voltai verso di lui. 
- Nico, grazie di tutto. - gli dissi con uno dei sorrisi più sinceri che avevo. Lui arrossì, ma probabilmente me lo ero immaginato, e mi fece un segno con la mano, girandosi di schiena. Mi coprii la bocca con la mano e trattenni un risolino.
Uscii dalla capanna e finii il mio giro di controllo.


Poi toccava alla lezione che ero sicura di odiare più di tutte: le lezioni di spada con Clarisse.
Arrivai alla lezione assieme ai fratelli Stoll. Cercai con lo sguardo Selina. Stava dall'altra parte dell'arena di scherma a guardare Clarisse. 
Clarisse sembrava intenta ad osservare uno ad uno i ragazzi per scegliere chi avrebbe tenuto la dimostrazione con lei, quel giorno. 
Il suo sguardo si fermò un attimo su di me. Ghignò e io pensai che quasi sicuramente voleva scegliermi per la dimostrazione, invece continuò a vagare con lo sguardo. Si fermò su un ragazzo della sua stessa casa. Lo guardò e gli fece segno di avvicinarsi. Lui sorrise divertito, come se sfidarsi nell'arena era un vecchio gioco fra di loro. 
Incominciò la dimostrazione. Una mossa che serviva per attaccare con una finta. Non sembrava piacerle quel modo di combattere, ma lo fece lo stesso. Sembrava preferire più qualcosa come "attacca di fronte e massacra" non "finta e colpisci di lato". 
Erano semplici mosse, che servivano anche a disarmare l'avversario. Poi, dopo ad aver mostrato la tecnica, decise di combattere contro il fratello. 
Il combattimento sembrava più un "ti uccido e non me ne frega dei legami di sangue". Erano partiti da attacchi normalissimi fino ad arrivare ad attacchi aggressivi e mortali. Infine aveva vinto Clarisse, sbattendo forte l'elsa della spada sull'elmo del ragazzo e sul petto coperto dall'armatura. Ero convinta che se fossi stata io a ricevere quel colpo mi sarei rotta su per giù 3 costole. 
La lezione finì con un energumeno moro e brutto steso a terra con un piede di Clarisse sul petto e grida di incitamento da parte dei figli di Ares che venivano da ovunque. Mi chiesi quanti fossero i suoi figli.

Si proseguì con un ora di tiro con l'arco. Niente di complicato. La casa di Apollo, noi, li stracciammo tutti.
Di Nico neanche l'ombra.
Subito dopo fu il turno delle lezioni di guida dei pegasi. 
Vi ricordate quando ho detto che odiavo le lezioni con Clarisse? Bene. Odio di più le lezioni con i pegasi. 
I pegasi mi odiano e io odio loro. Semplice. Quei cavalli si impennano ogni volta che arriviamo a 30 metri di altezza. E quando cado con il culo a terra appena gli salgo ingrotta loro se la ridono.
Invece i ragazzi della cabina di Demetra sono gentili con me. Non sbuffano e non mi sgridano quando sbaglio o quando faccio volare via verso le stalle un cavallo. Tutto sommato non era brutta come lezione. 
Però questo lo pensavo finché non caddi da 3 metri di altezza. Mi rimisi in piedi ritrovandomi circondata dalla cabina di Demetra e quella di Ermes. 
- Certo, Artemis, che non può passare una lezione senza che tu ti faccia male. - mi disse Travis trattenendo una risata.
- Giusto. Praticamente dovremmo metterti in una bolla e tenertici tutta la vita. - commentò Connor con un sorriso divertito. Mi aiutarono ad alzarmi e mi massaggiai il braccio sul quale ero caduta. - Ti fa male? - mi chiese pungolandomi il gomito. Mi lamentai e gli lanciai un'occhiataccia arrabbiata. Ma sembrò solo divertirlo di più. Lui e suo fratello iniziarono a toccarmi il braccio che era evidentemente gonfio e il gomito viola.
- Stoll! Non fatele male. - li sgridò una ragazza dai capelli scuri e i tratti delicati. 
- Gardner, non ti surriscaldare. Stiamo solo giocando. - ribatté Travis, con un sorriso di sfida. Chissà perché ma pensai che i tre avessero una qualche faida in sospeso.
- Non mi sto surriscaldando, Travis. Sto solo dicendo che il suo braccio è quasi sicuramente rotto, non mi sembra il caso di giocarci. - disse fulminandolo con lo sguardo.
- Dai, Katie, stiamo solo scherzando. - le disse Connor mettendole un braccio attorno alle spalle, cosa di cui lei non sembrò affatto felice. - Artemis è nostra amica. Ci facciamo sempre gli scherzi. 
- Non mi interessa. - disse scacciando bruscamente il suo braccio. - Questa ragazza ha bisogno di cure mediche. - disse scansando i due gemelli ed avvicinandosi a me. Controllò il mio braccio e chiamò uno dei suoi fratelli. - Portala in infermeria e chiedi ad uno dei suoi fratelli di curarla. - gli disse per poi rivolgersi a me. La sua espressione si addolcì. Non era più l'arrabbiata e autoritaria Gardner. In quel momento era la dolce e premurosa Katie. - Sta tranquilla. Mio fratello ti accompagnerà in infermeria. - mi sembrò che mi parlasse come se fossi una bambina, forse perché avevamo più o meno 4 o 5 anni di differenza.
- Lascia perdere. L'accompagnamo noi. - ribatterono i fratelli Stoll. Mi presero a braccetto e, nemmeno il tempo di dire niente, che mi avevano già trascinata via. 
Lontani dagli sguardi dei figli di Demetra i due mi lasciarono e sbuffarono, per poi scoppiare a ridere. Li guardai confusa mentre si davano il cinque.
- Come mai ridete? - chiese loro tenendomi il gomito dolorante. 
Travis mi guardò e sorrise maliziosamente. - Niente, semplicemente ci serviva un diversivo per allontanarci dalla lezione di equitazione. - disse infilandosi le mani nelle tasche dei jeans. - E tu sei stata l'esca perfetta.
- Come? Io sarei l'esca? - chiesi loro infuriata. Sinceramente non mi andava giù l'idea di essere l'esca di un piano dei fratelli Stoll. 
- Sta tranquilla. Dovevi solo cadere da cavallo e farti male, niente di che. - disse Connor.
- Ammettiamo che non era nostra intenzione farti rompere il braccio, ma comunque ha funzionato. - concluse Travis.
- Cosa? Siete stati voi a farmi cadare dal pegaso, allora? - chiesi loro arrabbiata.
- Beh, vedi. In realtà dovevi solo farti un po' male, niente di che. Ma a quanto pare i cavalli non ti adorano. - disse il più alto, tirando fuori un fischietto per cani da sotto la maglia arancione del campo. - I pegasi hanno delle orecchie molto sensibili. - disse rinfilandoselo sotto la maglietta.
Li guardai furibonda. Come avevano potuto farmi cadere dal pegaso e farmi rompere il braccio? Ero indignata.
- Dai, Arte, vieni con noi a fare uno scherzo alla cabina di Demetra e Ares mentre sono tutti a lezione. - disse Connor mettendomi un braccio attorno alle spalle. Lo scrollai bruscamente.
- No, grazie. Me ne vado in infermeria a curare questo braccio. - dissi loro per poi avvicinarmi e dare loro un sonoro calcio negli stinchi. Si lamentarono mentre io mi dirigevo in infermeria.
Arrivata lì mi fasciai il braccio e bevvi un po' di nettare. Mi sentii subito meglio, ma decisi di tenere comunque la fasciatura.
Guardai le bende bianche attorno al gomito gonfio e sbuffai sconsolata. Davvero non capivo cosa passasse nella testa di quei due. Decisi di tornare a lezione. Non avevo motivo di starmene lì ferma a guardare i feriti distesi sulle brande. E poi fra meno di 15 minuti ci sarebbe stato il pranzo e io avevo fame.
Passai davanti alle cabine, per controllare i fratelli Stoll. O per fermarli. Ma ero arrivata troppo tardi. La cabina di Demetra era ricoperta di carta igienica. ( Davvero non hanno niente di più originale? ) Mentre la cabina di Ares aveva fiori e nastri rosa ovunque. Poi sembrava che un unicorno avesse vomitato glitter e strass sulla porta di entrata, sommergendo pure il povero cinghiale appeso incima. Mi chiesi come avessero fatto in così poco tempo, ma era comunque una cosa divertente.
Passai accanto alla cabina di Ade e sentii un cespuglio frusciare accanto a me. Mi trattenni dal gridare.
Ok. Se era un mostro, cosa alquanto difficile, sarei morta seduta stante. Invece se fosse stata una persona l'avrei lassacrata di botte.
Proprio come non mi aspettavo da dietro il cespuglio non apparve assolutamente niente. Ma proprio quando avevo deciso di allontanarmi e ignorare la faccenda, Nico Di Angelo mi era rotolato davanti ai piedi.
- Di Angelo! - gli gridai mentre lui, con uno strano colorito verdognolo in faccia, si alzava lentamente da terra. Mi guardò e la sua faccia diventò ancora più verde e malaticcia. - Non azzardarti a vomitarmi addosso! - lo sgridai scansandomi. Per mia fortuna decise dal trattenersi. Mi mise una mano sulla spalla e respirò a fatica. - Si può sapere che Tartaro stavi facendo dietro un cespuglio? - gli chiesi poggiandomi una mano -quella sana- sul fianco.
- Stavo... - si bloccò portandosi una mano alla bocca. Poi sembrò tornare normale, ma continuò a tenere una mano sulla mia spalla, annaspando. - Stavo facendo un viaggio nell'ombra. Ma direi che per oggi possano basta.
- Direi proprio di sì. Guarda come sei conciato. - gli dissi mettendomi il suo braccio attorno alle spalle. - Vieni, ti porto in infermeria. - lui non ribatté.
Lo misi a stendere su una branda e presi un bicchiere di nettare. Gli feci bere un paio di sorsi e subito il suo colorito tornò quello di sempre. Sospirai, esausta.
- Di Angelo. Non dovresti fare così tanti viaggi nell'ombra, lo sai? - gli chiesi appoggiando il bicchiere col nettare su un tavolino.
- Non sono affari tuoi. - mi disse alzandosi a sedere. Lo guardai accigliata.
- Senti, ragazzino, calmati un pochino. Nessuno mi parla così. E tanto meno un figlio di Ade presuntuoso e ipocrita. - gli dissi alzandomi dal mio posto. - E ora, con permesso, me ne vado. - gli dissi voltandomi.
- No. Aspetta. - mi bloccai. Avevo sentito bene? - Scusa. - No, avevo sicuramente sentito male. Malissimo.
- Come scusa? - gli chiesi confusa. Non poteva averlo detto. Non lui almeno.
- Hai sentito bene. Ti ho chiesto scusa. - disse evitando il mio sguardo. - Non dovevo risponderti male. - mormorò ostinandosi a non guardarmi. Mi rimisi a sedere, ancora confusa. Lui continuava a guardare davanti a se, invece io cercavo di capirlo.
Davvero, era un ragazzo complicato. Certe volte era buono e gentile, affetuoso, oserei dire. Invece altre volte era arrogante e presuntuoso. Come se si credesse superiore.
- Di Angelo. Quanti anni hai? - gli chiesi improvvisamente. Lui fu come confuso a quella domanda.
- 12. 
- Allora sei più piccolo di me. Sai? Non lo avrei mai detto. Ne dimostri di più. Con quell'aria cupa e triste che ti porti dietro. - dissi gesticolando in modo imbarazzante. Probabilmente avevo detto la cosa sbagliata, o nel modo sbagliato, perché lui si incupì, distogliendo lo sguardo. Mormorai uno scusa, spostando lo sguardo sulle mie ginocchia. Lui non rispose.
- E te quanti ne hai? - mi chiese dopo minuti di interminabile silenzio.
- Eh? Io? - chiesi alquanto sopresa. - 14, così mi dicono. - gli risposi.
- Quando è il tuo compleanno? - mi chiese curiosamente, guardandomi.
- Uh. - sussultai, sorpresa. Non sapevo quando era il mio compleanno. Non l'avevo chiesto. - Sai che non lo so? Non l'ho chiesto. Non ne ho proprio idea. - Nico non sembrò sorprendersi di questa cosa. Poi lo guardai. - E il tuo? Quando è? - gli chiesi. - Non mi dire che è nel giorno dei morti o ad Halloween perché sarebbe una buffa coincidenza. Davvero. - gli dissi gesticolando in modo buffo. Lui sembrò trovare la cosa divertente perché trattenne una risata.
- No no. Niente del genere. Niente compleanno nel giorno dei morti o cose del genere. - disse sistemandosi sulla branda. 
- E allora quand'è? 
- Il 1° Gennaio
- Il primo giorno dell'anno? - chiesi sorpresa. - Wow... - era una buffa coincidenza nascere il primo dell'anno.
- Sì... - disse amaramente. 
- Ciò sta a significare che fra 3 mesi o giù di lì è il tuo compleanno. - dissi pensosa. Lui annì, poco convinto.
Annuii, preparandomi al pensiero di dovergli comprare il regalo quando sarà il momento.

Un ora dopo ci trovavamo a pranzo con la cabina di Demetra e tutti gli altri. 
Tutti mi chiesero come stessi e se mi facesse ancora male il gomito. Erano tutti gentili con me. Così premurosi.
Mentre alcuni mi guardavano preoccupati o felici altri guardavano Nico straniti, preoccupati o molto confusi. Non penso fosse normale che lui partecipasse alle attività del Campo in modo così assiduo.
Dopo il pranzo ci fu un altra ora di volo con i pegasi. Decisi di mollare. Non avevo voglia di slogarmi anche il braccio buono e c'era un maledetto pegaso nero che mi guardava male, molto male. Come se volesse buttarmi giù dalla sua groppa più volte, in futuro. Decisi che il volo sui pegasi non faceva proprio per me. 
Nico invece si volatilizzava ogni volta che dovevamo cambiare i turni in groppa.
Subito dopo c'erano le tecniche d'assalto ai mostri. Lezioni difficile, ma più teorica che pratica. I nostri insegnanti erano i figli di Ermes.
I fratelli Stoll si avvicinarono a me e mi sorrisero divertiti. Lanciai loro un occhiataccia. Sperai avessero imparato la lezione.
- Artemis, ti sono piaciuti i nostri scherzi? - mi chiese Connor. Preparai il mio calcio, pronta a tirarglielo nello stinco. Nico si presentò improvvisamente al mio fianco. Non aveva un espressione felice e sana sul volto. Sembrava di nuovo sul punto di vomitarmi sulla maglietta del campo.
Rimisi il mio calcio a posto. - Altri viaggi nell'ombra? Non dovresti, lo sai questo. - gli dissi con le sopracciglia corrucciate. Mi guardò mentre il suo colorito continuava ad essere verde. - Ti scongiuro, se devi vomitare, vomita su di loro. - indicai i fratelli Stoll. Mi guardarono malissimo.
Nico si raddrizzò. - No. Sto bene. - ma non sembrava. Affatto. Sospirai e lo lasciai fare.
- Di Angelo, non ci vomitare addosso. - disse Travis, contrariato. Ma non sembravano ostili nei suoi confronti. I fratelli Stoll vanno d'accordo con tutti.
- No. Mi trattengo. - commentò, piegandosi cercando di non dare di stomaco. Si avvicinò e si appoggiò a me, con fare protettivo. Sospirai e lo tenni su per la vita, con un braccio.
- Sì, certo. Ok. Ti porto in infermeria, di nuovo, che è meglio. - guardai i fratelli Stoll. - Travis, Connor. Lo porto in infermeria, iniziate pure la lezione. - poi mi diressi in infermeria sotto il loro sguardo contrario. 

- Non dovresti. Ti fanno male i viaggi nell'ombra. - gli dissi allontanandogli l'ambrosia dalla bocca. - E anche l'ambrosia. - appoggiai il bicchiere su un comodino e lo guardai. Stava meglio, anche se sembrava aver esagerato con l'ambrosia.
Nico non disse nulla ma continuò a guardare dritto davanti a se.
- Lasciamo perdere. - dissi esasperata. Odiavo dover parlare da sola o stare in silenzio. Mi alzai e gli offrii la mano. Lui la ignorò e si alzò da solo. Usciti dall'infermeria lo guardai. - Andiamo. Voglio andare dalla Signora O'Leary. - cercai di sembrare meno infastidita possibile. Ci avvicinammo al bosco. Arrivata mi guardai attorno. 
Mi sentii come se qualcuno mi avesse passato le dita di un morto sulla spina dorsale e poi mi avesse respirato sul collo. Mi guardai attorno, spaventata, sotto lo sguardo perplesso di Nico. Mi limitai a scuotere la testa, lentamente. Mi portai due dita alla bocca e fischia più forte che potevo.
Passaro solo 10 secondi prima che la Signora O'Leary ci atterrasse. E' stato come se un intera squadra di rugby ci placcasse, iniziando a sudarci addosso.
Riuscii ad alzarmi, senza morire e senza arrabbiarmi. Nonostante fosse grossa, avesse la lingua ruvida e viscida, non riuscivo proprio ad arrabbiarmi con lei.
- Signora O'Leary! - esclamai grattandole dietro le orecchie. 
La coccolai per tutto il tempo. Lei si dimenava, abbaiava contenta, lasciava la sua lingua a penzolare dalla grossa bocca e si stendeva a pancia in su. Guardai male Nico, facendogli capire che doveva coccolarla anche lui. Non se lo fece ripetere due volte.
Ormai erano le due del pomeriggio e avremmo avuto un altra lezione. 
In sintesi la lezione che occupa dalla 2 del pomeriggio alle 4 era a scelta -o a sorte- fra la scelta libera, cioè le arti con la cabina di Efesto, la gara delle canoe al lago con le Naiadi oppure la scalata del muro di arrampicata.
Odiavo il muro dell'arramicata. La maggior parte dei feriti in infermeria si erano fatti male per compa di quel muro. Non ci tenevo proprio a provarlo. Muri che si scuoto per farti cadere, appigli poco o per niente sicuri, lava che arriva da ovunque e fiamme, fiamme e pericoli ovunque.
Oggi era il giorno della gara con le canoe. Sembrava una cosa divertente e poco pericolosa.
A quanto pare avevano tolto la scelta libera, le arti, per diversi problemi con la cabina di Efesto. Una maledizione, dicevano.
- Nico. C'è la gara con le canoe. Io vado, vieni anche tu? - gli chiesi grattando le orecchie della Signora O'Leary.
Nico fece una smorfia. Non sembrava convinto di voler venire. Ma contrariamente a ciò che pensavo annuì.
La Signora O'Leary si chinò. - Posso salire? - le chiesi. Lei abbaiò in risposta. Lo presi per un sì. Se era un no, peggio per me.
Salii sulla sua groppa e porsi una mano a Nico. Lui si aggrappò e salì dietro di me. 
La Signora O'Leary partì all'improvviso e sarebbe stato meglio se non l'avesse fatto.
Era come stare su un ottovolante che aveva solo salite e discese troppo veloci e vicine. 
Sbiancai come un lenzuolo e mi irrigidii. Guardai nella direzione del lago, davanti a me. Era ancora così lontano e la Signora O'Leary non sembrava interessata ad arrivarci in fretta.
Rimbalzavo su e giù. Potevo addirittura sentire la ciccia del mio corpo che si muoveva e traballava. Vi giuro che avevo una paura micidiale.
Sentii la mano fredda di Nico toccarmi una spalla. Mi girai, terrorizzata. Non so che faccia avessi, ma non sembrò molto sollevato nel vederla. 
- Tutto ok? - mi domandò, girandomi appena la spalla, mentra i suoi occhi vagavano sul mio volto. 
- Sì. Sto benissimo. - dissi sarcasticamente. Divenni ancora più pallida quando il segugio infernale si fermò all'improvviso. Mi guardai avanti, sperando che fossimo arrivati. Ma no, ci trovavamo vicino al fuoco che si trovava fra le capanne. La Signora O'Leary iniziò ad abbaiare come una forsennata verso le capanne. Cercai di farla calmare, ma ci vollero un paio di minuti.
- Buona, bella. Andiamo al lago, dai. - le dissi battendole sulla schiena. Ripartì in corsa. 
Per un momento sperai che non ripartisse mai più. L'incubo era rincomiciato. 
Sorpassammo le cabine e raggiungemmo il lago delle canoe. 
Appena arrivati mi buttai letteralmente giù dalla groppa della Signora O'Leary. E quando dico buttarmi intendo buttarmi.
Si era appena fermata quando mi ripresi dalla paura. In fretta portai la gamba sinistra accanto alla destra e mi buttai giù, senza aspettare che lei si abbassasse. Caddi sui piedi, che non reggettero e finii a faccia in giù sul terreno. 
- Di immortales. Finalmente a terra. - mormorai sconvolta. Mi rialzai a fatica, con il gomito fasciato che pulsava e faceva male. Rimasi lì, a gambe incrociate per diversi secondi. Nico scese con calma e si mise accanto a me.
- Tutto ok? - mi chiese guardandomi dall'alto.
- Sì. Tutto perfetto. Facciamo un altro giro. - mormorai sarcastica respirando rumorosamente. Lui mi guardò storta. Mi porse la mano e mi alzai. - Andiamo alla gara di canoe. Voglio quelle 20 dracme. - risposi convinta mentre mi avviavo verso il lago.

- Arte, stai bene? Sembri un po' pallida. - fù la domanda di Connor appena mi vide. Annuii, poco convinta. 
Osservai le donne che ci facevano da insegnanti, le Naiadi. Erano più ragazze che donne. Avevano lunghi capelli castani, occhi grandi e sorrisi caldi e gentili. Indossavano delle felpe o le magliette del campo. La maggior parte di loro avevano cestini di vimini intrecciati incompleti in mano. 
Ci spiegarono come funzionava la gara. Ognuno sceglieva un compagno di squadra e poi gareggiavano assieme. Chi vinceva riceveva 20 dracme, spendibili al negozio del Campo.
- Bene. Io gareggerò con Artemis. - esclamò Travis prendendomi sottobraccio.
- Eh, no! Io gareggiò con Artemis. - esclamò Connor prendedomi per l'altro braccio.
Li guardai storto. Possibile che avessero un altro scherzo in mente?
Iniziarono a discutere. Sbuffai, staccandomi da loro.
- No. Voi due gareggerete insieme. Io scelgo qualcun'altro. - dissi incrociando le braccia al petto. Mi guardai attorno, in cerca di qualcuno da scegliere. Guardai la mia capanna. Tutti i miei fratelli sembravano essere accoppiati. Jason con una figlia di Afrodite, Maya con un figlio di Atena... anche Annabeth aveva trovato il suo partner, Percy.
Poi spostai lo sguardo su Nico. All'inizio alzò lo sguardo dal pavimento e mi fissò confuso, poi sembrò capire cosa volessi. Feci un sorriso divertito. Lui tirò le mani fuori dal suo giubbetto da aviatore e fece segno di no agitando i palmi. 
- Non ci pensare nemmeno. - esclamò facendo un passo indietro. Lo presi a braccetto, bloccandolo, e sorrisi trionfante.
- Farò coppia con Nico. - sentenzia mentre i fratelli Stoll avevano uno sguardo fra il perplesso, il sorpreso e l'arrabbiato.
- Nemmeno per-- - iniziò lui.
- Ormai è deciso. - lo interruppi. Ci dirigemmo alla canoa e ci salimmo sopra. Quasi tutte le coppie erano pronte. 
- Non vincerai, Artemis. - esclamò Travis. Lui e suo fratello si trovavano proprio nella canoa accanto alla nostra.
- Questo lo dici te. Vi stracceremo. - esclamai con un sorriso alquanto divertito.
- Vogliamo scommettere? - un angolo della bocca di Connor si incurvò verso l'alto.
- Okay. - esclamai prendedo uno dei remi. - Se noi vi battiamo sarete miei schiavi per un mese. - Travis fece una smorfia. 
- Se noi vi battiamo invece sarai te la mia schiava. - esclamò lui.
- Perfetto. 
- Giuriamolo sullo Stige, sarà più sicuro. - esclamò suo fratello.
- Giusto. Giuro sullo Stige che se voi ci battete io sarò la vostra schiava per un mese. - esclamai. Mi sembrò di sentire un tuono in lontananza.
- Giuriamo sullo Stige che se voi ci battete noi saremo i vostri schiavi. - disse Connor. Un altro tuono.
- Che vinca il migliore. - mormorai sistemandomi il remo fra le mani.
Mi preparai, pronta a bagagliare.
Nico ruppe il silenzio. - Non so bagagliare. - disse come se fosse ovvio.
- Cosa? - cercai di non gridare. - Non potevi dirmelo prima? Ho scommesso con quei due. - esclamai portandomi una mano fra i capelli.
- Tu non me lo hai chiesto. E cosa ti vuoi aspettare da una persona che non ha mai partecipato ad una gara di canoe in tutta la sua vita. - borbottò. Sembra infastidito.
Mi passai una mano fra i capelli biondi, esasperata. Avevo scommesso con i fratello Stoll che sarei diventata la loro schiava se avessi perso. Mi preparai mentalmente a dover fare tutti i loro favori più strani.
Inspirai profondamente. - Fa niente. Vieni, ti insiegno a bagagliare. - gli mostrai come muovere il remo, ma era veramente un imbranato.
Gli presi le mani e gliele strinsi attorno al remo. - No. Così. Destra, destra, destra, destra. Forte. - mormorai muovendogli le mani e facendogli capire come usare il remo.
Non sembrò molto calmo a causa di quel tocco. Iniziò a muovere le dita sotto la mia presa, ma non l'allentai. Muoveva la gamba a scatti iregolari e quando gli chiedevo se aveva capito annuiva velocemente.
Quando pensai che avesse finalmente capito lo lasciai andare con un sospiro teso.
La Naiade fischiò e le canoe partirono. Altre Naiadi competevano contro di noi. Cosa ingiusta, a mio parere.
Noi e i fratelli Stoll eravamo in parità e Nico non se la cavava molto male. Sperai continuasse così fino all'arrivo.

In sintesi si concluse con una parità. 
No, non eravamo arrivati insieme. Semplicemente Percy Jackson e Annabeth erano arrivati prima di noi. Voglio dire, un figlio di Poseidone e una figlia di Atena. Accidenti! Ci hanno stracciati alla grande.
Ma in compenso la scommessa l'ho vinta io. Ero arrivata al traguardo subito prima dei fratelli Stoll. Ora loro erano miei schiavi. Non ne sembravano molto contenti.

- Non siate tristi. Starete bene, come miei schiavi. - ripetei. Loro fecero una smorfia, indignati. Ma sapevano accettare la sconfitta.
Una ragazzina in corsa si avvicinò a noi e, senza che avessi il tempo di capire perché, mi abbracciò, stretta. Appoggiò la testa sul mio petto e chiuse gli occhi.
Guardai i fratelli Stoll e Nico, alquanto perplessa. Poi la riconobbi era la stessa ragazzina che mi aveva regalato una caramella il giorno in cui mi ero svegliata in infermeria.
- L'hai salvata dal muro dell'arrampicata, una volta. - mormorò Travis. - Stava per essere sommersa dalla lava ma tu l'hai salvata per un pelo. - poi indicò la mia coscia destra, di fianco. - Quella cicatrice ne è la prova. Lava. - disse facendo le spallucce.
Rabbrividii. Possibile che non mi ero accorta di quella cicatrice per tutto questo tempo?
La ragazzina mi guardò dal basso e mi sorrise. Poi sul suo volto apparve improvvisamente un'espressione preoccupata, oserei dire spaventata. 
Mi fece segno di abbassarmi. Obbedii. - Il tuo cuore non fa alcun suono. - mi sussurrò all'orecchio parando la bocca con la mano. 
Spalancai gli occhi, perplessa. Come era possibile che il mio cuore non battesse. Tutti i cuori battono e tutti gli umani hanno un cuore che batte.
La bambina sorrise e se ne andò via correndo, come se nulla fosse.
Guardai i ragazzi, sconvolta e perplessa.
- Che cosa ti ha detto, la mocciosa? -  chiese Connor.
Aprii la bocca per parlare, ma fui interrotta da qualcuno che mi chiamava.
- Artemis, Artemis. - mi voltai. Una ragazza con i capelli lunghi e i tratti elfici mi raggiunse a corsa. - Chirone ti vuole alla Casa Blu. Adesso. - mi disse con sguardo preoccupato.
Guardai i ragazzi cercando una risposta, ma loro sembravano perplessi quanto me.
Mi avviai verso la Casa Blu ripetendomi che forse voleva sapere come stavo e se ricordavo qualcosa.

Oh, sicuramente non volevano sapere solo quello.
Non ero abbastanza preparata a ciò che mi dovevano dire.




MY CORNER:
Mi scuso immensamente per il ritardo. Ho avuto molto da fare con la scuola.

Non sono molto convinta di questo capitolo, nonostante sia piuttosto lungo.
Spero vi piaccia e grazie per aver letto.
_Kim.
  
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