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Autore: FlyingBird_3    14/01/2014    5 recensioni
Emilia Romagna, Agosto del 1944
Il generale Badoglio ha firmato l'armistizio con gli Alleati, lasciando però i soldati italiani senza un ordine preciso su come comportarsi con l’esercito tedesco.
Maria De Felice è una ragazza di 23 anni, italiana, nata in una famiglia di alta borghesia. Ha potuto studiare con insegnanti privati, ed il suo sogno è quello di seguire il padre nei suoi viaggi attraverso l'Europa.
Friedrich Schuster, ufficiale delle SS a 30 anni, onorato di molte medaglie al valore per le sue imprese di guerra, guida le truppe tedesche all'occupazione dell'Italia settentrionale.
Le loro storie si intrecceranno, sullo sfondo della seconda guerra mondiale, cambiando radicalmente le loro vite...
Genere: Guerra, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Guerre mondiali, Dopoguerra
Capitoli:
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Per tutti quelli che come me, durante la storia, si sono chiesti: com’è morto veramente Friedrich? Cos’ha pensato negli ultimi istanti della sua vita?
Prima del finale, un capitolo tutto dedicato a lui, e alla mentalità che ha contraddistinto molti soldati dopo la guerra, rimasti ancora fedeli al nazismo.
 
Doverla lasciare ancora, mentre vedo spezzarsi le sue speranze sotto i miei occhi, mi fa sentire uno schifo; ma d’altronde non c’era soluzione migliore di questa.
Ho voluto lasciarle dei ricordi, perché sono più sicuri da lei che da me. Suo fratello è un tipo abbastanza testardo, ma alla fine ha compreso che non valeva più la pena di lottare.
Tra qualche ora dovrebbe arrivare Tomas, il ragazzo giornalista che abita in paese; si è presentato qualche mese fa, e all’inizio ero molto sospettoso nei suoi confronti. Voleva sapere del mio passato, voleva continuare a parlare del processo… ma alla fine mi ha fatto capire che è solo un ragazzo alla ricerca della verità.
Questa mattina è stranamente soleggiata, e l’aria fredda mi pizzica il naso; entrando nel bosco invece la luce scompare, e sembra quasi sia di nuovo notte.
Bud sta dormendo nella sua cuccia, e non lo biasimo con questo freddo; apro la porta di casa e la richiudo dietro di me.
Nel lavello ci sono ancora i piatti che mi aveva portato Maria, più di un mese fa, con le lasagne. Mi sono sempre dimenticato di ridarglieli.
Decido di prepararmi un pranzo veloce, poi mi siedo al tavolino, continuando con la traduzione del libro.
Dopo un’ora sento bussare alla porta, e andando ad aprire, scopro che è il ragazzo giornalista.
“Buonasera signor Schuster” mi dice, ostinandosi a volermi dare del lei.
“Ciao, vieni dentro” gli rispondo mentre mi avvicino alla brace, accendendola.
“Signore… io ho riflettuto su quello che mi ha detto l’ultima volta che ci siamo visti. Mio padre è disposto a lasciarla dormire nel nostro fienile se non si sente al sicuro.”
Gli faccio segno di sedersi al tavolo, mentre faccio posto sopra di esso, spostando le carte.
“No, grazie. Sto bene dove sono”
Il ragazzo rimane in silenzio per un po’, e guardandolo, noto un’espressione sorpresa sul suo viso.
“Ma lei… non ha paura a stare qui da solo dopo quello che ha saputo? Insomma… potrebbero essere in molti, non solo uno…”
Mi siedo al mio posto, incrociando le braccia: non ci sono più i ragazzi coraggiosi di una volta.
“Perché dovrei aver paura? Ho affrontato cose peggiori durante la guerra. Non me ne andrò perché a qualcuno non sta bene che vivo qua. Non ho chiesto niente a nessuno, e mi faccio gli affari miei, vivendo da solo.”
Il ragazzo abbassa lo sguardo, forse un po’ intimorito.
“Come vuole. Ma se cambia idea, il retro della mia casa è sempre a disposizione…”
Gli faccio un segno negativo con il capo, paziente. Poi all’improvviso ritorna con il suo tono abituale.
“Questa cosa non l’ha fatta ripensare a quello che ha creduto o ha creduto di credere? A quello che è successo in Germania durante la dittatura di Hitler?”
Prima di parlare rifletto un attimo su quello che mi ha chiesto. Poi rispondo come sempre, senza un minimo dubbio.
“La Germania di oggi non è minimamente vicina a quella che era una volta. L’ipocrisia della gente è talmente ampia che mi ha fortemente deluso. Rinnegano i soldati che hanno combattuto per difendere e rendere grande la loro patria, e non si ricordano che sono ancora i loro mariti, i loro figli o i loro parenti. Prima c’era onestà. Ora sembrano fare finta che non sia successo nulla.”
Lo guardo dritto negli occhi, e lui sembra quasi soddisfatto di questa risposta.
“Sa che non ho mai incontrato un uomo fedele a un’ideologia come lei?”
Non gli rispondo, ma mi alzo a prendere un bicchiere d’acqua. Chiedo a Tomas se ne vuole uno anche lui, ma dice di no.
Verso le tre del pomeriggio il ragazzo decide di andarsene: fa buio presto, ed è più sicuro se va a casa con ancora un po’ di luce.
“Spero di rivederla presto. Le lascio i ritagli di giornale che mi ha chiesto… non è stato poi così difficile trovarli. Arrivederci signor Schuster”
Gli faccio un cenno con la mano mentre lo vedo allontanarsi nel bosco.
Due zampette si appoggiano sulle mie ginocchia, e vedo Bud scodinzolare guardandomi contento.
Lo faccio entrare, e gli riempio la ciotola con acqua fresca: sembra gradire, mentre si sistema vicino alla brace, al caldo.
Mi risiedo al tavolino, e prendo i ritagli di giornale che mi ha lasciato Tomas: sono le notizie dei compagni che sono stati impiccati durante la mia permanenza in carcere.
Leggere i nomi di quei comandanti o anche più alti in grado che io stesso avevo guardato con rispetto e a cui mi ispiravo, essere stati impiccati o peggio ancora, essersi suicidati, mi fa accapponare la pelle.
Dopo dieci minuti decido di lasciare quella lettura ad un altro momento; Bud si è addormentato al caldo, così mi metto a lavare i pochi piatti che ho utilizzato a pranzo.
Avvicinandomi al lavello, ripenso a Maria: l’ho osservata così tante volte muoversi nella mia cucina, sistemare le mie cose. Le sue forme femminili si muovevano con eleganza mentre mi raccontava della sua giornata. Chissà se mi odia per quello che le sto facendo passare.
Sarebbe stato meglio se quella volta non mi fossi avvicinato così tanto a casa sua: ma dopotutto non avrei mai pensato che proprio lei, e proprio in quel momento, potesse tornare.
L’avevo vista altre volte prima, mentre tornava dal paese. Ma incrociare i suoi occhi quella mattina è stato completamente diverso; la sua faccia stupita, il suo portamento da donna cresciuta, mi hanno fatto mancare il battito per un attimo.
Quando ricevetti l’ordine di occupare con il mio esercito delle zone dell’Italia settentrionale, mai avrei pensato che la mia vita sarebbe cambiata così tanto.
Eppure, se il resto è tutto molto confuso, quel giorno, ma soprattutto quel momento, è ancora impresso nella mia mente.
Eravamo appena arrivati in quel paese, il più basso che dovevamo toccare, nella regione dell’Emilia Romagna; dicevano ci fossero gruppi di persone organizzate contro di noi, ma guardandolo bene sembrava solo un paese piccolo e povero.
Decidemmo così di marciare tra le loro strade, senza armi, cantando il nostro inno fuori dalla patria, per dimostrare che non avevamo intenti offensivi contro di loro.
Il sole stava tramontando, ma faceva ancora parecchio caldo con le divise addosso; partimmo dai campi, in fila per tre, ed io Hoffmann e Meyer facevamo da capifila.
Incredibile come, appena entrati in città, la prima cosa che vidi fu lei: una magra ragazza, con la pelle abbronzata ci guardava con la bocca aperta, come se di tutto quello che stava succedendo per l’Europa lei se ne fosse accorta solo in quel momento.
La vidi osservarci, mentre nei suoi occhi nocciola si specchiavano gli ultimi raggi di sole, rendendoli più chiari. Poi prese la sua bicicletta, richiamata da qualcuno, e lasciò la strada libera alla nostra marcia.
Maria. Un nome, che contiene un mondo intero per me.
Una ragazza che ha sofferto, ma che non ha mai smesso di amare per questo motivo.
Sistemo i piatti sopra al lavello, e poi decido di riposarmi un po’: fuori è già scuro, e un po’ di sonno non può che farmi bene, prima di riprendere il lavoro di traduzione.
 
Vengo svegliato dall’abbaiare di Bud: c’è qualcuno fuori da casa, perché gratta contro la porta. La stanza è completamente al buio, così non riesco a vedere niente; non so neanche che ora sia.
Mi alzo, cercando di togliermi di dosso questo fastidioso senso di sonnolenza: mi avvicino alla mensola dove tengo il fucile e lo prendo, caricandolo.
Scosto leggermente la tenda della finestra, ma non riesco a vedere nulla: una leggera nebbiolina bianca impedisce la vista.
Resto fermo ed in silenzio per alcuni minuti, provando a captare dei rumori, ma l’unica cosa che continuo a sentire è l’insistente abbaiare di Bud.
Mi avvicino alla porta, e la apro con un gesto secco: punto immediatamente il fucile davanti a me, ma non vedo nulla. Vedo invece Bud avviarsi fra la nebbia, ma prima che lo possa richiamare, il rumore forte di un’esplosione mi blocca.
Proviene da dietro casa, e quasi subito sento odore di bruciato.
Torno dentro, per vedere se non sia scoppiato qualcosa all’interno: dopo pochi secondi una pietra rompe il vetro della finestra e qualcosa scoppia, quasi accanto a me.
Una grande nuvola di fumo si propaga subito all’interno della casa, mentre cerco disperatamente di capire dove posso scappare; il colpo mi impedisce di sentirci bene, un fischio prolungato mi tappa l’udito.
Gli occhi iniziano a lacrimarmi, e la tosse mi sconquassa il torace; la temperatura si è fatta in fretta molto elevata, e l’unica cosa che riesco a vedere sono delle fiamme dal fondo della casa.
Torno indietro, cercando la porta, ma altre fiamme mi intrappolano anche qui: ansimo forte, e premermi la camicia sulla bocca non serve a niente.
Inizio a sudare, mentre tra la consapevolezza che la mia casa sta bruciando e che io sono dentro, uno strano panico si fa strada in me. È da tanto che non provo quest’emozione: essere ad un passo dalla morte.
Continuo a guardarmi intorno, stringendo il fucile, ma le fiamme sono ovunque; non riesco quasi più a respirare, e sento le forze abbandonarmi piano piano.
Cerco di rimanere sveglio, stendendomi a terra per respirare aria più pulita: niente, sembra di essere in una scatola bollente.
Gli occhi vogliono chiudersi, il corpo mi chiede di lasciarlo andare, ma non voglio; stringo i denti, cercando di tirarmi su.
Le gambe non hanno abbastanza forza, e ricado a terra come un bambino che non sa ancora camminare; lo sento, ormai è arrivata la mia ora.
Lascio che gli occhi si chiudano, mentre ripenso alla mia famiglia a Berlino; è questo che mio fratello ha provato morendo al fronte?
E poi mentre ho gli ultimi attimi di lucidità, una voce dolce e melodiosa rompe il fischio continuo nelle mie orecchie: non riesco a riconoscerla, ma è bellissimo sentirla.
Una risata, poi due grandi occhi marroni.
Una trave di legno cade vicino al mio viso, riportandomi per un attimo alla realtà: sto morendo soffocato dal fumo.
Cerco di alzarmi poggiando sui gomiti, ma mi mancano completamente le forze; cado a terra di nuovo, cercando di recuperare quello strano ricordo precedente, invano.
Ripenso ai miei amici, ai miei colleghi e compagni; alle birre in compagnia, al piacere del mio lavoro.
Ricordo per un attimo la soddisfazione di indossare la divisa delle Schutzstaffeln; l’orgoglio di ricevere le medaglie al merito per le mie scelte al fronte. Il fronte… Kurt. Chissà se mi sta guardando ora, come l’ho visto morire io.
E poi c’è stato… si, l’incontro con Himmler dopo la quasi conquista di Stalingrado…e il matrimonio non voluto con Franziska.
E poi eccola di nuovo, quella voce: all’improvviso sembra che l’incendio si sia spento. Riesco a respirare normalmente, ancora però con un po’ di affanno, sentendomi stranamente leggero; mi guardo intorno, ma non mi pare più di essere a casa.
Sono in una terrazza, e una voce femminile continua a cantare, riempiendo l’atmosfera silenziosa della notte. Mi guardo attorno ma non vedo nessuno, così mi appoggio al muro, confuso; alzando gli occhi la vedo, appoggiata ad una ringhiera, e lei mi guarda a sua volta.
Ma certo, Maria.
Riapro gli occhi, ormai secchi dal fumo, e come delle diapositive, la rivedo nei momenti che abbiamo passato insieme: la sua bocca vicino alla mia, i suoi occhi pieni di paura, il suo corpo che trema, la sua voce che mi chiama, lei che ansima sotto il mio corpo, la sua espressione contenta nel vedermi.
Non ce la faccio più a lottare.
Lascio, consapevole di non essermi in alcun modo piegato al volere di nessuno, nemmeno ai bastardi che mi stanno uccidendo.
E di aver salvato la vita alla donna che ha cambiato la mia.
  
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