Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: schmiddt    14/01/2014    2 recensioni
Rose Weasley riemerse dal groviglio di mani e braccia e gli occhi azzurri si illuminarono della familiare scintilla furba. «Sogno o son desta?» disse con una pomposità tale da fare invidia a zio Percy. «Sbaglio o il signor Potter ha appena accettato di essere mio schiavo?»
«Vacci piano, coccodè» la mise in guardia il suddetto signor Potter. «Accetto di collaborare, ma a patto che non debba fare niente di pericoloso, che non corra il rischio di finire in punizione ed ultima cosa ma non meno importante…» la tenne sulle spine per qualche secondo. «…se tenterai un’altra volta di sabotare le mie pozioni sappi che vorrò la tua testa impalata su una picca»
«D’accordo, schiavo»
Genere: Comico, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Severus Potter, Altro personaggio, Rose Weasley, Scorpius Malfoy | Coppie: Rose/Scorpius
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

LA PROGENIE DEL MALE


Ringrazio di cuore Flaqui, JarOfHearts_, Marty Evans, e Potterina1993 per aver aggiunto la storia tra le preferite e le seguite.

 

 

 

 

Capitolo II

 Ricatti

 

 

 

 

La lezione  di Cura delle Creature Magiche di quel giovedì pomeriggio si protrasse per più di due ore oltre l’orario stabilito. La fitta coltre di nuvole, che impediva ai deboli raggi solari di riscaldare l’ambiente, e la sottile lastra di ghiaccio di cui era rivestito il terreno, non rendevano di certo le cose facili agli sventurati studenti di Grifondoro e Serpeverde. Rose Weasley era stramazzata a terra già un paio di volte, maledicendo il mese di Novembre e l’intera stirpe del tale che aveva avuto la brillante idea di inserire Cura delle Creature Magiche tra le materie scolastiche.

Indifferenti alla secolare rivalità tra le loro Case, gli studenti del quinto anno si alternavano, collaborativi, nel lanciare occhiate di puro odio alla professoressa Hopkirk. Quest’ultima, strizzata dentro una pelliccia di Graphorn, stava bacchettando Lysander Scamandro per la immotivate prepotenze compiute ai danni di Scorpius Malfoy.  « Non un’altra parola, signor Scamandro. E se sento in giro un’altra maldicenza sulle capacità…»  si interruppe cercando  imbarazzata di trovare la parola adatta, la mano ossuta  strinse con forza i lembi della pelliccia. «…amatorie del signor Malfoy, stia certo che ne risponderà a me! »   Terminò la sua arringa col naso per aria e un’espressione superba impressa sul viso piccolo e affilato. Facendo mulinare la lunga gonna, si girò verso le creature che avrebbero dovuto esaminare in quelle ore. Tre puledri dorati  si spintonavano tra di loro, contendendosi giocosamente le carezze  e le attenzioni di Scorpius Malfoy. Quest’ultimo sghignazzava esaltato, insensibile ai fantasiosi insulti che Lysander gli aveva rivolto fino ad allora. L’antipatia che il compagno di Casa nutriva per lui era palese a tutti, ma non a Scorpius. Spesso vittima degli scherzi di Lysander, Scorpius non solo non reagiva, ma sorrideva anche, divertito da tante attenzioni. Davanti a tale brio Lysander perdeva ogni controllo e se non fossero stati presenti innumerevoli testimoni ai loro screzi, Scorpius sarebbe stato già bello che morto.

Lysander, che si era finto contrito davanti al rimprovero della professoressa, non poté impedire che un sorrisetto impertinente spuntasse sul suo volto non appena lei si girò.

«Malfoy, sei proprio una checca» sillabò piano, abbastanza perché la Hopkirk non lo sentisse. Attorno a lui esplose un boato di risa, ma Scorpius lo ignorò come era solito fare con qualsiasi organismo non appartenesse alla specie animale. E sorrise. Lo stesso sorriso sereno che riservava alle cattiverie di Scamandro. Continuò ad accarezzare il manto lucido del puledro dal corno più piccolo, l’unico che aveva rifiutato le carezze delle ragazze. Era risaputo che gli unicorni soffrissero poco la vicinanza agli esseri umani di sesso maschile, eppure Scorpius costituiva un’eccezione. La sua passione per le creature magiche doveva essere lampante anche agli occhi degli unicorni. Le ragazze, accalcate a pochi metri dagli animali, simulavano entusiasmo ed eccitazione. Non volendo dare motivo alla professoressa di prolungare ulteriormente la lezione, a turno si avvicinavano velocemente per accarezzarli.

Così come Scorpius, anche Rose costituiva un’eccezione. Gli unicorni erano corsi via non appena aveva manifestato l’intenzione di avvicinarsi. Per nulla dispiaciuta adesso osservava la scena da lontano, aspettando con impazienza che quello strazio finisse. Senza preoccuparsi della presenza dell’insegnante, si lasciava andare in rumorosi sbadigli e sussurrate parolacce destinate a Malfoy e alla sua dannata voglia di mettersi in mostra. Le cinque erano arrivate e passate e il suo stomaco iniziava a borbottare impaziente. Se non fosse stato anche per quell’idiota del gemello Scamandro non avrebbero perso tempo in scempiaggini.

Rose non aveva ancora imparato a distinguere i due fratelli Scamandro. Nonostante non appartenessero alla stessa Casa e, di conseguenza, non indossassero gli stessi colori per lei non era necessario contraddistinguerli. Sin dall’infanzia rappresentavano un’identità unica: “gemello Scamandro”.

Lily le aveva confessato che gemello Scamandro aveva una cotta stratosferica per lei, Rose Weasley, e che aveva compiuto carneficine di spasimanti, possibili rivali, tra i ragazzi del loro anno. Le aveva descritto numerosi episodi di cui a Rose non importava un fico. 

Non poteva perdersi in stupide svenevolezze. La missione che avrebbe dovuto portare a termine richiedeva tempo, concentrazione e una buona dose di malvagità. Tutte caratteristiche che era sicura di possedere, ma che si stavano rivelando insufficienti.

Avrebbe trovato una spalla, qualcuno che l’avrebbe sostenuta nel suo folle e piano, e mentre vagliava con lo sguardo la calca attorno agli unicorni individuò la sua preda.

Un brivido gelido scese giù lungo la schiena di Albus Potter.

Si guardò attorno con sospetto interrompendo a metà il commento poco carino sugli articoli della Gazzetta.

«Trascurano i veri problemi della società moderna… » continuò a blaterare esagitato, tornando a rivolgere la sua attenzione al povero Pucey. L’attimo di smarrimento non aveva avuto il potere di zittirlo. E Pucey sospirò esasperato.

Albus vantava pochissime amicizie, tra i Serpeverde. Una di queste, e l’unica, era quella che lo legava ad Helbert Pucey. Apparteneva ad una famiglia Purosangue che aveva appoggiato non troppo sfacciatamente l’ascesa di Lord Voldemort, ma che aveva espiato le proprie colpe fornendo informazioni utili agli Auror, dopo la Guerra.

Helbert era un ragazzo sfigato, pallido e scheletrico, con un paio di occhiali da vista sempre sporchi e molto più grandi della sua faccia. Nessuno sulla Terra poteva dire di averlo mai visto privo del suo cappellino di lana, macchiato ormai in più punti.

Una leggenda narrava che aveva in origine una tinta verde brillante, adesso aveva il colore del fango. «Certo, gli elfi e gli gnomi… » borbottò senza convinzione, strofinando stancamente  l’occhio sotto le spesse lenti.

 Albus quasi saltò per l’emozione. «Proprio quello che intendevo, Helb. Sai leggermi nel pensiero» disse aprendosi in un sorriso che andava da un orecchio all’altro. «Non capisco perché non vuoi unirti al C.R.E.P.A. Avremmo bisogno di gente come te. Certo, mio cugino Hugo è piuttosto in gamba se consideri il fatto che…» Pucey lo guardò terrorizzato, ma il compagno era troppo occupato a farneticare per accorgersene. «Senti, Al» lo interruppe bruscamente. «C’è una questione … Lysander ha bisogno di me per una faccenda… Ci vediamo dopo, ti va?» si congedò brevemente e senza dargli troppe spiegazioni.

Albus annuì comprensivo. «Guarda che ci conto!» rise.

Pucey rispose con una risatina forzata e un cenno della mano, poi si diresse alla velocità della luce verso il suo boss, Lysander, e il vice-boss, Nott.

Al li osservò da lontano, quasi invidioso del loro affiatamento. Se avesse conosciuto bene la natura del loro rapporto non avrebbe provato invidia per nulla. Lysander era il despota, un tiranno che stabiliva cosa andava fatto e cosa era vietato fare, chi picchiare e cosa pensare. Nott era la sua spalla destra: un ragazzo di poche parole, intelligente e Suprema Mente del trio. Neanche Lysander, con cui aveva stretto amicizia sin dal primo anno, poteva dire di conoscerlo bene. Silenzioso e riservato, Nott parlava poco. E nonostante fossero passati già quasi sei anni dall’inizio della sua permanenza ad Hogwarts, nessuno sapeva il suo nome di battesimo. E nessuno aveva osato chiederglielo.

Helbert Pucey era un devoto praticante. Idolatrava quei due neanche fossero i suoi genitori e scodinzolava dall’uno all’altro, cercando di assecondarli in tutto e per tutto.

Albus, ammirando l’aura di rispetto di cui erano sembravano essere circondati, riuscì a captare parte di ciò di cui stavano confabulando.

«…faremo fuori Malfoy» stava dicendo Lysander.

 

 

 

 

I lunedì mattina non sono mai stati celebri per essere amati dagli studenti, maghi e babbani. Dopo una domenica lunga e rilassante, infatti, tornare alle lezioni non può considerarsi la massima ambizione di ogni ragazzo. I lunedì di quell’anno scolastico e di quella particolare classe di studenti, però, si sarebbero rivelati diversi da quelli di tutti gli altri e ben peggiori. Quel fatidico giorno della settimana era stato ribattezzato “lunedì delle quattro P”: Pozioni, Price, Potter, Pucey. La prospettiva di due ore consecutive di Pozioni con il professor Price, severissimo e implacabile, e che aveva l’abitudine di tartassarli con tonnellate di compiti e interminabili sfuriate dirette perlopiù a quell’ inetto di Pucey, non doveva apparire piacevole.

Il professor Price trascorreva le lezioni intervallando insulti non troppo velati alla capacità di apprendimento di Helbert ad indefinite e borbottate lusinghe nei confronti di Albus Potter (l’unico a godere di un vago accenno di simpatia),  impegnandosi con tutte le forze a farsi disprezzare dai propri alunni.  Quella mattina gli occhi piccoli e lattiginosi del docente scrutavano con sospetto i movimenti di Rose Weasley, e la seguirono fino a quando non si sedette con aria di sfida accanto al cugino, pronta a condividere il suo calderone. Mai in quindici anni di coesistenza si erano scambiati più di semplici convenevoli e qualche parola, per cui il sopracciglio sollevato di Albus era più che giustificato. Ogni tratto del suo volto manifestava diffidenza. E non solo perché non potevano ritenersi altro che conoscenti, ma perché Rose non aveva fatto altro che tallonarlo per tutta la mattina. Aveva sentito il suo fiato sul collo sin da quando aveva finito di masticare l’ultimo biscotto della colazione.

Non proferì parola, mentre le faceva un po’ di spazio, ma l’espressione perplessa non abbandonò il suo volto. Così come non abbandonò quello del professore.

Con un movimento di bacchetta, e senza staccare gli occhi da Rose, incantò i gessetti perché scrivessero gli ingredienti della pozione che avrebbero dovuto preparare.

Non appena lesse i nomi delle prime due sostanze, Albus seppe già quale sarebbe stata la pozione da realizzare e non ne fu preoccupato: aveva già preparato la Bevanda della Pace. Con un incantesimo non verbale accese una piccola fiamma al di sotto del calderone e si servì dell’Aguamenti per riempirlo d’acqua.

«Bisogna ricavare l’essenza di ellaboro.» spiegò a Rose a voce alta e accompagnando le parole con gesti eloquenti, neanche stesse spiegando filosofia ad un infante con gravi disagi mentali.

«So cosa bisogna fare!» si lamentò indignata la cugina, meditando già di lasciargli tutto il lavoro per ripicca.

«Certo che lo sai » la assecondò Albus poco convinto. «E adesso vai all’armadio a prendere gli ingredienti» Sciò.

Rose si rimangiò gli insulti che avrebbe voluto riversargli addosso. Non voleva indispettirlo, si sarebbe piegata anche a questo se ciò avrebbe significato averlo al suo fianco nella sua battaglia personale. Si morse la lingua e obbedì.

Al suo ritorno Albus le strappò di mano l’ellaboro. «Troppo lenta» sbuffò con impazienza. «Facciamo che io preparo la pozione e tu stai lì cercando di causare meno danni possibili» le sibilò piano, consapevole della presenza opprimente del professore alle loro spalle.

Prince non si era mosso di un millimetro e si gustava la scena in attesa di un errore che giustificasse l’ennesimo rimprovero. Non avrebbe permesso ad Albus di fare tutto il lavoro, per cui Rose si mise a tritare il tiglio, ignorando per quanto possibile le occhiate omicide del Serpeverde. «Prince ci fissa» annunciò, cercando di non muovere le labbra per impedire al professore di leggergliele.

«Perché sono bello» dichiarò Albus con abbondante sarcasmo. Non che si aspettasse che lei ridesse, ma non si aspettava neanche quell’espressione grave, così insolita sul viso perennemente allegro di Rose.

«Senti, Al» iniziò, passando subito al dunque. Non aveva voglia di perdersi ancora in chiacchiere. «Ho un favore da chiederti». Massacrò con violenza gli ultimi rimasugli di tiglio, non osando guardarlo in faccia. Albus soffrì nell’assistere al brutale assassinio di quello sfortunato vegetale, la cui unica colpa era quella di essere necessario alla riuscita della pozione. Quell’angoscia lo distrasse dal discorso di Rose. «Eh?»

«So che non siamo proprio… amici… però avrei bisogno della tua perfidia e delle tue idee geniali» borbottò, inghiottendo il proprio orgoglio. «Sai, no? Per farla pagare a Frank e tutto il resto… Non siamo amici ma il legame di sangue è più forte, no?» sussurrò incerta azzardando un’occhiata nella sua direzione. La buffa smorfia che si dipinse sul viso di Albus, insofferenza mista a compassione, fu più eloquente di una vera e propria risposta.

Rose perse d’un tratto tutta la diplomazia che era riuscita a scovare nei profondi meandri del suo essere e si colorò di un rosso acceso.

«Me lo devi, Potter» soffiò come un gatto arrabbiato. Aveva provato con le buone, ma adesso era tempo di passare alle cattive. «O dirò a tutti della faccenda del C.R.E.P.A.»

Albus sussultò. La mano che stringeva la bacchetta, puntata contro il fuoco, ebbe un tremito involontario e la fiamma divampò. Non ebbero il tempo di reagire che il professore si era già avventato su di loro.

«WEASLEEEY!»

Quel piccolo incendio costò loro i timpani e decine di punti a Grifondoro. Entrambi adesso sostavano davanti alla Presidenza aspettando di essere ricevuti dalla McGrannit.

Albus era una furia, ma Rose se possibile lo era quanto e più di lui. Non era stata colpa sua, questa volta, eppure era stata l’unica a perdere punti.

Per tali motivi e per il precedente rifiuto, Rose non si sentì per nulla in colpa quando pose ad Albus le sue condizioni.

«Se non mi aiuterai dirò a tutti che non hai fondato tu il C.R.E.P.A. e che hai riciclato l’idea di mia madre! Fossi in te ci penserei»

Albus Potter non replicò.

 

 

 

NOTE DELL'AUTORE

Volti:

Lysander Scamandro - Bradley James

Lorcan Scamandro - Hunter Parrish

Nott - Ian Somerhalder

Helbert Pucey - Mike Bailey

Hugo Weasley - Nathan Coenen

   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: schmiddt