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Autore: schmiddt    12/01/2014    2 recensioni
Rose Weasley riemerse dal groviglio di mani e braccia e gli occhi azzurri si illuminarono della familiare scintilla furba. «Sogno o son desta?» disse con una pomposità tale da fare invidia a zio Percy. «Sbaglio o il signor Potter ha appena accettato di essere mio schiavo?»
«Vacci piano, coccodè» la mise in guardia il suddetto signor Potter. «Accetto di collaborare, ma a patto che non debba fare niente di pericoloso, che non corra il rischio di finire in punizione ed ultima cosa ma non meno importante…» la tenne sulle spine per qualche secondo. «…se tenterai un’altra volta di sabotare le mie pozioni sappi che vorrò la tua testa impalata su una picca»
«D’accordo, schiavo»
Genere: Comico, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Severus Potter, Altro personaggio, Rose Weasley, Scorpius Malfoy | Coppie: Rose/Scorpius
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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La progenie del male

 

 

Capitolo I

Questioni di genetica

 

 

 

Frank Paciock tamburellò nervosamente le dita grassocce sul tavolo. Eminente personalità della Casa di Tassorosso, era un ragazzo alto e scoordinato, dai capelli scuri e poco curati.  L’andatura goffa  e le spalle cadenti gli erano valse tra i Grifondoro l’affettuoso appellativo di Quasimodo,  Gobbo di Notre Dame. Sebbene qualcun altro al suo posto avrebbe potuto ritenerlo offensivo, Frank aveva accolto quel nomignolo con una scrollata di spalle e una risata sincera. 

Andava sempre in giro ciondolando, con le braccia lunghe dritte sui fianchi ed un sorriso di scuse stampato in volto. Neanche dovesse farsi perdonare la sua statura ingombrante.

Nonostante questi piccoli difetti fisici nessuno si sarebbe mai sognato di dire che Frank fosse un brutto ragazzo. Era il capitano della squadra di Quidditch di Tassorosso, nonché portiere, e ciò gli aveva conferito una notevole popolarità tra le ragazze del suo anno. I muscoli, il temperamento mite e gli occhi perennemente animati da una spensierata vivacità lo rendevano un partito abbastanza appetibile.

Quegli stessi occhi, piccoli e neri, sempre così felici e allegri erano in quel momento fissi su un punto preciso della Sala Grande. Seccati. La reputazione da anima pia di Frank Paciock stava per essere messa a repentaglio.

«Credi che tua cugina la smetterà?» chiese scorbutico al ragazzo al suo fianco, a voce abbastanza alta perché tutti i Tassorosso nei paraggi e parte dei Grifondoro potessero udirlo. James alzò appena lo sguardo dalla colazione che stava voracemente consumando, a scrocco, al tavolo di una Casa a cui non apparteneva. Si sistemò gli occhiali rettangolari sul naso, per prendere tempo, e nascondere con il dorso della mano il suo breve sorriso sbilenco. Si era già accorto di ciò che stava accadendo al tavolo dei Grifondoro. E da una buona mezz’ora. Rose Weasley, parlottando concitatamente tra Fred e Lily , stava tenendo un altro dei suoi eterni sermoni. James avrebbe scommesso la sua Firebolt 2000 sull’argomento della discussione. E non perché fosse particolarmente intuitivo, ma era palese che Rose stesse parlando di Frank. Non si preoccupava certo di nascondere le sue occhiate curiose e sfacciate… o il dito indice, puntato dritto verso di loro.

 E il fatto che non stesse esattamente sussurrando avrebbe potuto essere un ulteriore elemento rivelatore.

James sbuffò forte, facendo volare frammenti di  uovo  un po’ dappertutto. Impossibile dire se si trattasse di un sospiro dispiaciuto o se stesse semplicemente cercando di reprimere una risatina. Frank non batté ciglio, abituato agli inaspettati piovaschi di cibo e agli inspiegabili attacchi di ilarità di cui James era spesso vittima.

Con una mano a sorreggergli il mento e l’altra occupata a spolverare senza troppa convinzione i brandelli di cibo dai pantaloni, aspettò una risposta degna di quel nome.

«Quale cugina? » chiese James dopo aver deglutito rumorosamente, con l’espressione più innocente del repertorio. Avrebbe cercato di negare l’evidenza. Quello era il suo motto: “negare, negare sempre anche di fronte all’evidenza”. Sarebbe morto piuttosto che venir meno ai suoi principi.

Peccato che Rose Weasley scelse quello stesso istante per alzarsi in piedi ed esclamare a voce altissima: «E’ inutile che zio Neville cerchi ancora di nasconderlo. Tutti sanno che Frank non è suo figlio »

Decine di teste si voltarono verso l’origine di quello schiamazzo mattutino. Frank assottigliò gli occhi e con tutto il contegno che riuscì a racimolare alitò dritto in faccia al suo migliore amico: «Dicevi?»

Frank sapeva che sarebbe accaduto, era nell’aria da un paio di giorni. Sentiva lo sguardo di Rose bruciare sulla nuca ogni volta che aveva la sventura di imbattersi in lei tra una lezione e l’altra. Si era accorto del modo in cui stritolava le posate a pranzo e a cena, mentre lo scrutava con cattiveria. Frank era certo, e a ragione, che Rose fantasticasse spesso sul suo omicidio.

«Shht! » Lily strattonò la cugina per il maglione sformato, nel tentativo di ammansirla. Il suo viso tondo assunse la stessa tonalità di rosso dei capelli. « Adesso basta, Rose! »   

Fred non ebbe la forza di dire nulla, limitandosi a scrollare la testa divertito. Gli erano proprio mancate le accese e sconclusionate sceneggiate che sua cugina riusciva a mettere in piedi. Incrociò le braccia al petto e assistette in silenzio alla scena.

Frank sembrava aver raggiunto il limite massimo di sopportazione. La collera riconoscibile in ogni singolo muscolo contratto del viso, nelle innaturali chiazze rosse di cui era ricoperto.

« E no, adesso ne ho abbastanza» sbraitò, e fece per alzarsi. James lo trattenne per un braccio, ma Frank non fece in tempo neanche a spostare la panca di qualche millimetro che Rose si era già allontanata. Indignata e a passo di marcia si era diretta verso l’uscita, incurante dei rimproveri di Lily e delle occhiate sconcertate e divertite della popolazione di Hogwarts. « So perfettamente di cosa sto parlando» aveva sibilato alla platea prima di imboccare il corridoio che l’avrebbe portata all’aula di Trasfigurazione. Lasciò la Sala Grande in un silenzio grave, carico di quesiti. Tutti si chiedevano quale paternità, questa volta, sarebbe stata attribuita al povero Frank Paciock.

Rose in quegli anni aveva infatti dimostrato di possedere una fantasia al di sopra della norma. Durante il suo secondo anno aveva messo in giro la voce che Frank fosse frutto di una notte di passione tra Sibilla Cooman e il Platano Picchiatore. Alla fine dello stesso anno Frank era diventato il figlio di Voldemort, concepito e partorito in una sola notte dal suo serpente di fiducia, Nagini. Rose aveva pubblicamente compatito il povero rettile, per la sofferenza che doveva aver provato nel far schizzare fuori quel testone vuoto che Paciock aveva l’abitudine di portarsi in giro. Quest’ultimo pettegolezzo aveva riscosso tanto successo da fare il giro del castello in meno di ventisette minuti. Poi era giunto alle orecchie parzialmente sorde della McGrannit e Rose era finita dritta in punizione. La strillettera che ricevette il giorno successivo divenne leggenda, scolpita a caratteri cubitali nella mente e nel cuore di ogni studente, data la violenza e l’eloquenza di cui Hermione Granger aveva dato prova.  Rose non parlò di Frank né si rivolse a lui per centoventisette giorni, poi tornò comodamente a fare ciò che era stata costretta ad interrompere per un infelice imprevisto.

Tutta la Casa di Grifondoro aveva scommesso sul trionfante ritorno di speculazioni e congetture, made in Weasley,  su Frank Quasimodo Paciock. Impossibile non accorgersi del modo in cui le labbra di Rose vibravano, animate di vita propria, non appena lo scorgeva ciondolare dal fondo del corridoio. Quasi come tentassero con tutte le forze di trattenere lo straripare di tutte quelle supposizioni che sembravano invece brillare a chiare lettere sulla sua fronte,  condite neanche a dirlo da malcelati insulti.

In molti si erano domandati il motivo di cotanto accanimento nei confronti dell’affabile Frank, ma pochi, pochissimi ne erano a conoscenza. James Potter era uno di questi.

«Probabilmente avresti dovuto evitare di pestarle il piede quella volta, al secondo anno»

Frank sospirò. E la sua collera si sgonfiò come un palloncino bucato lasciando il posto alla semplice rassegnazione.

 

 

Dal versante Serpeverde Albus aveva a malapena distolto lo sguardo dalla sua impegnativa attività, e solo per assicurarsi che nessuno morisse nell’immediato futuro, poi si era rituffato subito nel lavoro. Conosceva troppo bene Rose Weasley per stupirsi del suo comportamento sconveniente e aveva fin troppo amor proprio per dare spettacolo come stava facendo Lily, stupida e starnazzante gallina.

 Infine, non avrebbe mai potuto togliere tempo a quella che era diventata la sua attività principale dopo respirare e nutrirsi: sferruzzare cappellini di lana. La spilla del C.R.E.P.A., appuntata proprio sotto la quella da Prefetto, luccicava tanto era stata lucidata. In quanto Presidente e Tesoriere dell’associazione che aveva riportato alla vita con successo, aveva ritenuto necessario realizzare, esclusivamente per uso personale, una spilla più grande con il suo volto sopra. Hugo, in qualità di Vice Presidente e secondo ( e ultimo) membro del C.R.E.P.A, ne sfoggiava una identica, ma piccola quanto un tappo di bottiglia.

Una voce trasognata lo distolse nuovamente dalla perfezione del suo cappellino.

«Cos’è? Una coperta? » Scorpius Malfoy, seduto all’altro capo del tavolo si era piegato in avanti per osservare da vicino il David dei cappelli di lana. La testa inclinata da un lato e il sopracciglio sollevato, sembrava non cogliere il profondo significato della sua opera. Malfoy aveva il colorito pallido di chi è in procinto di morire e la lieve sfumatura bluastra sotto gli occhi gli conferiva l’aria di una mozzarella scaduta. La lunga frangia bionda arrivava ad accarezzare il naso e celava in parte gli occhi chiarissimi,  tanto che era difficile dire quanto ci vedesse. Dall’alto del suo metro e novanta squadrava il cappellino tra le mani di Albus come se fosse la cosa più stramba che avesse mai visto. «Una cravatta per gatti?» Albus strinse le labbra in un moto di irritazione e si strinse al petto il groviglio di lana neanche fosse suo figlio. Come a volerlo proteggere dalla scelleratezza e l’ignoranza dell’individuo Malfoy. «Capirai se ti dico che non ho tempo da perdere in fanfaluche»

L’acuta risatina che seguì la sua asserzione portò Albus a vagliare la possibilità che l’individuo Malfoy doveva essere stupido quanto un gambo di sedano. E guardandolo bene avrebbe potuto benissimo dubitare delle sue nobili origini da Purosangue. Scorpius aveva in comune con un ortaggio più di quanto potesse mai avere con un membro a caso della lunga stirpe Malfoy.  Albus non era ancora riuscito a comprendere il motivo che aveva spinto il Cappello Parlante  a smistare l’individuo Malfoy a Serpeverde. Non che passasse tutti i giorni ad arrovellarsi sulle stravaganze del vecchio Cappello, soprattutto se si trattava di quello strambo figlio di Dracus(1), ma era certo di non essere stato l’unico a domandarselo.

Fatta eccezione per l’aspetto fisico Scorpius aveva  ereditato pochissimo dai modi burberi e duri del padre, dalla meschinità propria della famiglia Malfoy. Sempre con la testa tra le nuvole, ridacchiava in ogni occasione e senza alcun motivo, perfino  nei momenti meno opportuni. Lezioni comprese.

 Dopo cinque lunghissimi anni di carriera scolastica, la McGrannit si era ormai abituata ad averlo in Presidenza tre giorni su sette. Dato il grado di confidenza che doveva comportare quell’assidua frequentazione, Albus era convinto che a breve sarebbero passati a darsi del tu. Rabbrividì di disgusto solo a pensarci.

Se Scorpius non fosse stato la copia spiccicata di suo padre, Albus avrebbe avuto motivo di incoraggiare Rose ad indagare sulla sua di paternità, piuttosto che su quella del povero Frank. E a quel punto avrebbe ritenuto legittimo interrogarsi sulle modalità di riproduzione dei sedani. Albus si compiacque del suo taciuto senso dell’ umorismo e tornò senza troppi scrupoli alla sua occupazione, lasciando l’individuo Malfoy a sghignazzare rumorosamente per qualcosa per cui non sarebbe valsa la pena indagare.

«Potter, sei proprio uno spasso »

 

 

 

Se in quel momento un Troll di montagna avesse incrociato il suo cammino, Rose Weasley lo avrebbe sicuramente ridotto in poltiglia nel giro di pochi minuti.

Era furibonda. Non riusciva a capacitarsi del fatto che tutti i suoi tentativi di avvelenare l’esistenza di Frank Paciock si fossero rivelati vani. Lo odiava con tutta se stessa ed aveva tutti i motivi per farlo. Motivi che adesso le sfuggivano, ma che esistevano.

Una volta aveva addirittura avuto l’ardire di pestarle il piede. Una delle innumerevoli prove della spietatezza di quell’oscuro figuro. Quasimodo, così si faceva chiamare seminando panico e terrore tra i primini. Quegli stolti, però, non riuscivano a cogliere l’oscurità del suo animo corrotto e lo idolatravano neanche fosse un dio.

Poteva intortare tutti i suoi cugini e tutti i primini del mondo con i suoi modi da uomo onesto, ma non avrebbe infinocchiato lei.

 Anzi, avrebbe imparato presto che con Rose Weasley non si scherza.

Rose continuò imperterrita la sua marcia, conscia di aver superato di un paio di metri l’aula verso cui era diretta. Se si fosse fermata era certa che non avrebbe resistito all’impulso di schiantare qualcuno, così continuò dritta per la sua strada.

Non aveva alcun motivo per essere arrabbiata e Frank era solo il suo capro espiatorio, qualcuno con cui prendersela, qualcuno che non avrebbe avuto il coraggio di reagire alle sue angherie. Di questo, però, la giovane Grifondoro non sembrava essere consapevole.

 Avrebbe continuato con la sua vendetta, questa era l’unica cosa di cui sembrava essere sicura al momento.

La chioma vaporosa svolazzava ritmicamente sulle sue spalle con la stessa violenza dello sbatacchiare della borsa contro i fianchi. I capelli rossi, gli occhi azzurri e le innumerevoli lentiggini sulle guance tonde costituivano l’eredità della famiglia Weasley. Da Hermione Granger aveva ereditato tutto il resto: i lineamenti delicati, i denti grandi e la zazzera riccia e crespa. Rose era inoltre una ragazza in carne, bassina ma ben piazzata.

Suo zio George diceva sempre che avrebbe potuto, con molta facilità, trovare impiego tra i domatori di draghi. E non era una possibilità da escludere se Rose non avesse avuto in mente di fare l’Auror sin dal suo primo giorno sulla Terra.

Poca teoria e tutto istinto. Si illudeva che quest’ultimo sopperisse alla totale mancanza di voglia di studiare. Suo zio Harry non sembrava essere una cima, eppure aveva sconfitto il Mago Oscuro più grande di tutti i tempi. Questa convinzione costituiva ciò che alimentava più di tutto il suo sogno.

Probabilmente Rose aveva trascurato il fatto che per diventare Auror bisognasse prima passare il G.U.F.O di Pozioni. E fu per questa sua dimenticanza che non si presentò a lezione, continuando spedita la sua passeggiata.

 

 

 

 

 

 

 

 

NOTE DELL'AUTORE

(1) Albus è convinto che il padre di Scorpius si chiami Dracus. Non essendo ancora arrivato a studiare "Storia contemporanea", tutto ciò che sa sulla famiglia Malfoy deriva dagli improperi di suo zio Ron e da frammenti di conversazioni ascoltate da bambino.

Volti.

Albus Potter: Logan Lerman

Rose Weasley: Emma Watson

Scorpius Malfoy: Mitch Hewer

Frank Paciock: Cory Monteith

James Potter: Aaron Johnson

Lily Potter: Liliana Mumy

Fred Weasley: Luke Pasqualino

   
 
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