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Autore: Judee    15/01/2014    2 recensioni
Vedo la curva del suo mento, i denti bianchi perfettamente allineati, le labbra sottili, pura ambrosia, esplosione di dolcezza, zucchero senza colpa, che ammaliano, e quando le guardi riesci solo a pensare a come deve essere baciarle, assaggiarle, sentirle su di te. Vedo la fessura tra di esse, il naso dritto, le guance morbide, le fossette. Due piccole incavature, che circondano il suo sorriso, aggiungendo nettare al miele. Sta sorridendo.
“Annie”
*******
Genere: Fantasy, Guerra, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annie Cresta, Finnick Odair, Johanna Mason, Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO QUARTO
- in un mare di anime sole - 
                             


Mentre sto infilando l’ultimo chiodo che dovrebbe tenere insieme l’intera struttura, l’altoparlante mi annuncia che è ora di pranzo. Sbuffando mi alzo, lentamente per lasciar distendere le gambe annichilite dalla posizione scomoda, stiracchiandomi schiena e collo, socchiudendo gli occhi alla luce del sole. Lascio che goccioline di sudore caldo scendano lungo la fronte ed il collo, poi mi avvio ai grandi tavoli posti appena fuori la recinzione che delimita la nostra area di lavoro. Il bancone dei cibi non è altro che una ridicola cattedra della scuola con appoggiati sopra vari piatti di plastica impalpabile che a momenti si sgretola con il solo sguardo su cui trionfano, si fa per dire, le migliori prelibatezze che il nostro distretto può offrire: pesce, pesce e ancora pesce. Almeno diventerò tanto intelligente. I vassoi giallo ocra sono impilato alla sinistra del bancone, uno più sporco dell’altro. Ne afferro uno con la destra, mentre con la sinistra agguanto un pacchettino di posate, aspettando che arrivi il mio turno per servirmi, e quando è il momento la cuoca mi sbatte sul vassoio una minuscola porzione di quello che apparentemente sembra essere pesce spada misto ad un contorno di pomodori probabilmente scaduti tra i sette e gli otto anni fa. La sua socia, grassoccia, unticcia e odiosa quanto lei, ancora meno delicatamente mi dà una bottiglietta d’acqua, un bicchiere ed un pezzo di pane, probabilmente l’unica cosa veramente commestibile di tutto il pranzo. Cercando di non far cadere tutto il ben di Dio che reggo nella mano sinistra, mi avvio alla ricerca di un tavolo libero, anche se probabilmente sarebbe più facile rubare le mutande di Snow, data la massa di gente accalcata sulle (poche) sedie libere. Sospirando, mi avvio verso la recinzione, dove con cura scelgo la radice che per i prossimi venti minuti avrà l’onore di ospitare il mio sedere. Ignorando la sensazione di nausea che sembra rivoltare il mio stomaco, ingoio tutto il pesce e metà verdura, lasciando il pane alla fine. Quando ho finito, bevo l’acqua un sorso alla volta, per gustarmi la sensazione di un liquido freddo che raggiunge le profondità delle mie membra. Mentre siedo in silenzio, un rumore di passi disturba la mia quiete, e una voce che conosco bene mi distrae dalle riflessioni:
“Allora è qui che sei! Ti ho cercata dappertutto! Che turno hai pomeriggio?”
“Ciao Althea, anche io sono davvero felice di vederti. Io sto benissimo, la mia famiglia anche. Tu?”
“Uff, come sei! Comunque, dopo mi tocca l’inventario. A te?”
“Lo stesso”
“Ah bene. Senti, non è che potresti aprire gli occhi? Giusto per guardare in faccia la persona con cui parlo. Sai, si chiama educazione”
“E la tua si chiama rottura di palle! Non è colpa mia se ti sei messa esattamente dove c’è il sole”
“Il sole bacia i belli cara mia. Ma capisco la tua invidia”
Althea si siede accanto a me, posando il vassoio sul mio. Mentre mastica rumorosamente il mio stesso pranzo, continuo a rimanere ad occhi chiusi, godendomi la sensazione della pelle che brucia. Quando sento che ha finito, mi giro a guardarla, e la sua figura mi appare davanti allo sguardo, ancora un po’ intontito dalla luce del sole. Piano piano, metto a fuoco ogni suo particolare: i capelli castani disordinati, la carnagione d’ambra, gli occhi scuri e i denti bianchi, la divisa da lavoro, i bracciali e le cavigliere che le cingono polsi e caviglie. Mentre sistema il vassoio, una ciocca cade scoprendole l’orecchio ed il gioiello che lo orna: il sole batte su di esso, creando giochi di luce che si riflettono sul mio corpo.
“So di essere bellissima, ma smettila di fissarmi, che mi metti ansia” Ora è Althea a guardarmi, in un misto tra curiosità e divertimento. Allungando la gamba, le solletico i piedi con i miei zoccoli, e il suono della sua risata si leva in mezzo al vociare che circonda la mensa.
“Sai, ho visto tua sorella prima, e stava chiacchierando con Gus Twelby… fossi in te la terrei d’occhio!”
“Tamata sa badare a sé stessa. E poi mica sono la sua guardia del corpo!”
“Se ce l’avessi io una sorella credo che passerei tutto il giorno a seguirla per vedere cosa fa”
“Ma per fortuna sua sei figlia unica, quindi…”
“Eh già. Ma so di avere un animo da sorella maggiore, nel profondo”
“Guarda che non c’è tutto il giorno per scavare!”
“Eh?” Althea mi guarda un po’ confusa, come se non avesse affatto capito cosa ho detto. In realtà ha un senso dell’umorismo pari a quello di una sardina.
“Eh cosa?”
“Non ho capito cosa hai detto: scavare? Dopo devi andare alla cava?”
“Ma no! Cosa hai capito?! Tu hai detto che sei una sorella nel profondo, e io ho detto che non c’è tutto il giorno per scavare alla ricerca di questa “sorella”… sai scavare… per portare alla luce le cose…”
Le mimo una persona che vanga nel terreno, ma la sua espressione attonita mi fa desistere più o meno subito.
“Va beh, lascia perdere”
“Si infatti. Piuttosto, non hai niente da raccontarmi?” chiede, ammiccando in quella che vorrebbe essere un’espressine furbetta. So benissimo a cosa sta alludendo, ma non voglio darle questa soddisfazione.
“No no, nulla da raccontare. Tu?”
“Proprio niente niente? Sicura?”
“Sicura”
“E Finnick?”
Aha. Eccoci finalmente! Il fulcro di tutta una mezz’ora di conversazione.
“Finnick sta bene” le rispondo, controllando l’orologio per vedere quanto manca alla fine della mia pausa: sette minuti. Ce la posso ancora fare.
“Tutto qui?”
“Ora devo proprio andare, la mia pausa finisce ora…” mi alzo e lentamente mi allontano, mentre Althea dà sfoggio di tutto il suo repertorio di insulti.
“Brutta idiota! Torna subito qui! Mi devi raccontare di Finnick!”
Sorridendo, me ne vado, lasciandomi alle spalle Althea, le sue grida, e la mensa affollata di anime sole come me.

***

Le lacrime sulla mia faccia sono secche. Il sangue sulle mie ferite è secco. La mia anima è secca. Briciole, polvere, è tutto ciò che rimane di me, della mia essenza. Sono un deserto arido, prosciugato dai venti di Capitol City. Non so più chi sono, cosa sono. Non ho più nulla. Cosa mi rimane ormai? Avevo una famiglia, e l’ho persa. Avevo un’amica, e Capitol City l’ha portata via. Avevo una vita, avevo una casa, avevo la libertà. E ora sono sepolta viva in un buco buio e maleodorante, prigioniera della mia stessa mente. Ora che sono qui, il Distretto Quattro mi sembra quasi il Paradiso. Mi manca tutto. La mia identità è stata annullata, cancellata, eliminata. Chi sono? Cosa sono? Capitol City mi ha portato via tutto. Ma la cosa peggiore, è che si è presa anche me. 








***************

Angolino della vergogna

Buenos dias, gente! Scusatemi il ritardo. Davvero. Ero piena di compiti, e tra tutto ho anche preso un bellissimo 3 e mezzo in latino... 
Detto questo, ho cercato di dare al capitolo, almeno nella prima parte, un tono più "comico", mentre nella seconda, volevo che trasparisse tutto lo stato d'animo di Annie, che si sente praticamente persa. 
Ringrazio sempre: 
per le recensioni: 
SweetieOwl e Yvaine_   (che ha anche inserito la storia tra le seguite)


E ora, Adios!
Alla prossima, muchos besos :)


Judee

 
  
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