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Autore: marghe999    02/06/2008    3 recensioni
House e Chase ingaggiano una guerra psicologica su un determinato argomento.
Forse l'intensivista non è cresciuto abbastanza da portare House dove vuole...o forse sì.
[HUDDY]
Genere: Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Greg House, Robert Chase
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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 Ellò ^^. I recenti sviluppi della serie mi hanno dato l'incipit finale di questa serie, che non avevo onestamente idea di come finire.

Anche se l'andamento iniziale era allegro/leggero, quest'ultima è decisamente più triste e amara, ma spero vi piaccia comunque.

*Marghe*

 

SPOILER FINE 4TH SEASON

 

 

 

Conversations.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Fourth Conversation: Life sucks

 

 

La mano è incredibilmente calda e confortante nel momento in cui si poggia sulla spalla.

Stringe leggermente, un gesto goffo ed imbarazzato di chi non ha idea di come comportarsi ma vuole in ogni caso tentare.

 

House continua a fissare il cielo freddo al di là della sottile finestra dell’ufficio, grigio eppure luminoso più di quanto dovrebbe essere in una giornata come quella.

 

Piove, ed House pensa sia quasi ironico. Piove come nei classici film, dove ad ogni scenario triste si aggiungono grosse gocce di pioggia che rendono il tutto più noioso e deprimente.

 

La mano è rimasta ferma, ed House si chiede se è davvero di chi immagina sia. È grande, troppo per essere di Cameron, e la stretta non possiede la grazia delicata di Lisa.

Eppure è gentile, e sembra trasmettergli la preoccupazione e la tristezza che gli avvenimenti hanno trasmesso anche a coloro che dovrebbero essersene già dimenticati.

 

Rimane rivolto verso la finestra, e l’altro gli si affianca con un passo felpato. Ha le scarpe tipiche di molti chirurghi.

Si è sempre chiesto perché amano tanto portare delle scarpe differenti. Fatta eccezione per alcuni, la maggioranza utilizza le mani per compiere il proprio mestiere, ed oltre la bravura e l’orgoglio smisurato che fa sì che pensino d’essere in grado di salvare una vita non dovrebbe servire altro.

 

E invece no. Le scarpe piacciono a tutti, senza eccezione per Chase, che ora è accanto a lui, in piedi, rigido per l’imbarazzo.

 

Si aspetta una qualche frase stereotipata che lo tolga dallo scomodo silenzio, un non è colpa tua, o un non potevi fare nulla.

Invece dalla sua bocca non esce altro che un respiro cauto, e la mano inizia a rilassarsi sulla sua spalla.

 

Devono sembrare alquanto ridicoli ad un occhio esterno.

Un uomo con un bastone mollemente seduto su di una sedia, ed un ragazzo in piedi accanto a lui con una mano appoggiata alla spalla. Scena piuttosto imbarazzante.

Ma le tendine sono chiuse, e forse ci si può concedere d’essere più umani, ed accettare che forse il conforto del giovane gli fa più piacere di quanto potrebbe fare la solitudine pesante e buia che l’avvolgeva sino a pochi minuti prima.

 

Chase si sposta impercettibilmente, e tossisce bloccandosi quasi per non interrompere il filo dei pensieri del nefrologo.

 

È evidente che non è abituato a stare accanto alle persone in un senso non strettamente fisico. Forse per il suo aspetto fisico, nessuna donna deve avergli mai richiesto di dimostrare molto, e Cameron di certo soffoca ogni suo tentativo di mostrarsi altruista, avendo lei il compito in ogni situazione di preoccuparsi e agire.

 

“Non meritava di morire.” Ha la voce leggermente rauca, ma ferma e convinta.

È brutalmente onesto, come non lo era mai quando lavorava per lui, ed è la prima persona che dice davvero cosa tutti pensano.

Non è un tono accusatorio, non è compassionevole né di biasimo. È una constatazione, talmente ovvia che nessuno si era preoccupato di farla. Ma lui riesce a farlo, e finalmente House sente tutto il peso di ciò che era successo cadergli realmente addosso, e il limbo vitreo frantumarsi come in seguito ad un pugno rabbioso.

 

“No.” Sarebbe stato meglio fossi morto io.

Ma ovviamente non termina la frase.

 

“Nessuno meritava di morire. È solo che la vita fa schifo.” Lo sorprende, come se gli avesse letto nel pensiero. Parole semplici, quelle di un ragazzino disilluso, probabilmente ciò che Chase è sempre stato. Un bambino un po’ uomo, a cui l’infanzia era stata strappata, così come la maturità era stata consegnata troppo in fretta perché lui la potesse capire pienamente.

E tentava di darsi un contegno, arrangiandosi come poteva in un mondo decisamente veloce ed adulto per i suoi gusti. Troppo veloce, troppo adulto.

 

“La vita fa schifo.” House riprende le sue parole, ma in bocca le sente più amare e finte di quanto non fossero state con l’inflessione australiana, e rinuncia ad aggiungere altro.

 

Si arrischia ad immaginarlo da piccolo. Con due grandi occhi verdi che registravano una madre decisamente non degna di tale nome, ed un padre decisamente non presente.

Le parole risuonano così vere perché lui ne è profondamente convinto, perché è tutto ciò che la vita gli ha davvero trasmesso. Si accorge che anche lui gli ha solo confermato l’idea. Che è stato una sottospecie di secondo padre, se possibile peggiore del primo, a cui Chase si era attaccato, mirando a non deluderlo mai, e facendolo puntualmente.

 

Con un gesto della mano cancella quel genere decisamente pericolo di pensieri.

“E dato che fa schifo, la si deve sfruttare a pieno. Cazzo, se non vuole concederci niente, si deve prendere ciò che si vuole lottando. E non si deve fuggire davanti all’ovvio solo perché vorrebbe dire mettersi troppo in gioco.”

 

Un’altra stretta a mò di saluto, e dei passi felpati che si allontanano.

Apre la porta, e si volta una ultima volta.

“A domani, House.”

 

 

****

 

Ha il viso appoggiato distrattamente ad una mano, e fissa dei documenti davanti a sé senza vederli minimamente. È evidente che sta pensando a tutt’altro, probabilmente a tutto ciò che è successo negli ultimi giorni, e che non ha avuto il tempo di somatizzare.

 

Alza il viso quando sente il rumore di legno e scarpe da ginnastica avvicinarsi.

 

“Ti devo portare a cena.”

 

 

 

  
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