Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: Princess Tutu    16/01/2014    4 recensioni
Dopo molte insistenze, Sansa Stark accetta di uscire con Margaery Tyrell un sabato sera. Indossa un abito di piume e appena entrata nel pub con l'amica nota subito un uomo scuro e solo.
"Lo chiamano il Mastino" Le bisbiglia Margaery... Sansa rabbrividisce, ma non è solo paura, è anche qualcos'altro, qualcosa che la giovane Stark potrà scoprire solo con il tempo e con la conoscenza di quell'uomo spaventoso.
Una semplice storia SanSan in Alternative Universe!
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-INCOMPIUTA-
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sandor Clegane, Sansa Stark
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Incompiuta, Tematiche delicate
Capitoli:
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IV - A Little



Sandor Clegane era un uomo duro e tosto che non aveva paura di usare la violenza se ce ne era bisogno, un uomo non abituato alla gentilezza o ai sentimenti dolci. L'infanzia era stata difficoltosa in un famiglia violenta le cui azioni si erano impresse sulla pelle del Mastino creando le sue cicatrici, ma tutto questo non aveva fatto altro che rafforzarlo ancora di più. Nei suoi ventotto anni di vita aveva avuto più esperienze di un uomo col doppio dei suoi anni e in queste esperienza si contavano ovviamente anche le donne, che però il Mastino era sempre stato costretto a pagare dato che mai in tutta la sua vita una creatura di sesso femminile si era avvicinata a lui di sua spontanea volontà. A lui non interessava, lui dava qualcosa a loro e loro davano qualcosa a lui, era uno scambio equo che gli aveva permesso di avere così tante donne da non ricordare neanche la cifra precisa.
Insomma, era stato con donne meravigliose e esperte in tutti i campi dell'erotismo quindi mai, mai, mai, mai avrebbe immaginato che una ragazzina di sedici, diciassette anni potesse causargli così tante emozioni. Eppure era lì fermo come un palo davanti alla porta della sua camera da letto che l'uccellino occupava. Sapeva che se avesse appoggiato l'orecchio alla porta avrebbe potuto sentire il suo respiro, avrebbe potuto immaginare il suo seno alzarsi e abbassarsi nel sonno e le ciocche rosse scompigliate sul viso muoversi lievemente a causa dell'aria calda che usciva e entrava dalle sue morbide labbra.
Sandor si prese la testa tra le mani, gemendo lievemente. Il vino gli intorbidiva la mente impedendogli di pensare normalmente, ma in compenso faceva correre la sua immaginazione lungo strade che non avrebbe dovuto neanche pensare di intraprendere. Infilare le mani in quella massa dal colore autunnale, baciare quella pelle così bianca da apparire quasi lucente... No, non doveva! Non doveva! Guardò la maniglia e solo un enorme sforzo di volontà gli impedì di provare ad abbassarla per vedere se l'uccellino aveva chiuso a chiave la porta.
Con un cane come me in casa l'ha fatto sicuramente, se non è scema.
Con un sospiro guardò il divano su cui avrebbe passato la notte e che non aveva per niente un aspetto comodo, era sicuramente meglio il suo letto, ma l'uccellino non avrebbe apprezzato la sua intrusione.
O forse sì, chi lo sa. Ma non voglio che mi facciano fuori perché ho scopato la nobile figlia di Lord Eddard Stark.
Un grigno comparve sulla sua faccia. Chissà che faccia avrebbe fatto il Protettore del Nord se avesse saputo che la sua preziosa figliola era nelle mani del Mastino, il più spietato tra le bodyguard dei Lannister? Con la sua bella fama di certo anche il gelido Ned si sarebbe incazzato e sarebbe piombato su di lui come una tempesta invernale.
L'inverno sta arrivando. O sta venendo?
Un altro grigno. Poi il vino fece il suo effetto collaterale e Sandor piombò nel sonno.

Sansa era sveglia, ma non aveva il coraggio di alzarsi del letto. L'orologio del cellulare diceva che erano le dieci di mattina e quindi per quel giorno a scuola avrebbero fatto a meno della sua presenza, ma non era quello a preoccuparla. Tendeva l'orecchio per cercare di capire se il Mastino era in casa, se era sveglio o se dormiva oppure se era già uscito. Sansa era imbarazzata e non capiva come aveva potuto proporre all'uomo una cosa come ospitarla a casa sua, non sapeva come affrontarlo una volta uscita dalla stanza.
Avanti. Ti scuserai per il disturbo, lo ringrazierai e te ne andrai.
Strinse le labbra e poi con un sospiro si alzò. Indossò quello che aveva la sera prima e con mani tremanti abbassò la maniglia della porta uscendo del salotto che faceva anche da sala da pranzo dato che la casa del Mastino era veramente piccola, composta da solo quattro stanze: una grande che era il salotto-sala da pranzo, la camera da letto, la cucina e il bagno.
Gli occhi azzurri corsero subito al divano dove lui avrebbe dovuto dormire e infatti eccolo lì, ancora immerso nel mondo dei sogni. Senza fare rumore Sansa si avvicinò a lui, osservandolo come non avrebbe mai fatto se lui fosse stato sveglio e l'avesse fissata con i suoi occhi neri e infuocati. Nel sonno non appariva così terribile e anche le orribili cicatrici che gli deturpavano il volto erano meno spaventose tanto che per un'istante Sansa desiderò toccarle, sentire sotto il polpastrelli la pelle cicatrizzata e irregolare, seguirle con le dita sfiorandole. Senza sapere cosa faceva allungò una mano, ma lui, come sentendo la sua presenza, si mosse nel sonno facendole fare un balzo all'indietro.
Ma che vado a pensare!
Si sgridò la giovane, ma poi i suoi occhi scivolarono sul corpo dell'uomo coperto da una leggera trapunta che nel movimento di prima si era scostata rivelando il suo fisico possente. Ogni muscolo era perfetto, con forti pettorali e addominali definiti tanto che Sansa avrebbe potuto contarli senza problemi. Alcune cicatrici, frutto di combattimenti e scontri, gli solcavano il petto, ma in confronto a quelle in faccia non erano niente. La rossa cercò di distogliere lo sguardo, ma non ci riusciva e solo un quel momento notò il tatuaggio che decorava il torace del Mastino: sotto il pettorale sinistro c'erano tre cani neri allineanti uno sopra l'altro, della grandezza di circa dieci centimetri l'uno. Era grosso, ma le piaceva anche se a lei i tatuaggi non avevano mai fatto impazzire e nella famiglia era ovviamente Arya che smaniava di avere la maggiore età per farsi subito tatuare un lupo sulla schiena.
All'improvviso il ricordo della sua famiglia, della sua casa e della sua terra la colpirono come un pugno nello stomaco e per qualche istante Sansa si perse nei suoi pensieri, ricordi di una vita passata. Quando si riscosse, si accorse con orrore che il Mastino si era svegliato e la stava fissando un uno sguardo intraducibile.
Oddio, mi ha beccato che lo fissavo come una maniaca?!
La Stark arrossì fino alla radice dei capelli e si girò di scatto, mormorando:
- Buongiorno...
Lui non rispose, ma Sansa sentiva con precisione i suoi occhi neri fissarla anche se lei non lo stava guardando poi il Mastino grugnì e si alzò a sedere, incurante della trapunta che cadde dal divano definitivamente.
- Vado a fare la doccia, non entrare in bagno.
Fece, secco, avviandosi verso l'altra stanza e non degnandola di uno sguardo. Sansa, invece, ebbe la visuale completa della schiena dell'uomo, ugualmente scolpita come il petto e con altrettante cicatrici. Solo in quel momento Sansa si rese conto che la vita del Mastino doveva essere stata veramente dura, assolutamente diversa dalla sua e da quella dei ragazzi che aveva frequentato fino a quel momento, tutti nobili, ricchi e con la strada della vita spianata. Il Mastino era diverso da loro e il suo corpo ne era la prova.
Sospirò, arrotolando sull'indice una ciocca rossa. Cosa doveva fare? Sentiva già l'acqua scorrere in bagno e lei era ancora lì impalata in mezzo alla stanza come una vera idiota.
Devo ricompensarlo in qualche modo, ma come?
A lei cosa piaceva? Le piacevano i libri, i fiori, le canzoni e l'amore, ma erano tutte cose che il Mastino non avrebbe apprezzato quindi doveva pensare a qualcos'altro. Avanti, cosa le piaceva davvero? Chiuse gli occhi e si ritrovò in camera sua, a Grande Inverno. Il sole freddo del Nord giocava con i suoi capelli, ma era la dolce voce di sua madre che la svegliava.
“Sansa, cara, alzati. Sono le dieci!”
Con lei arrivava anche un'altra cosa, un dolce odore che faceva aprire gli occhi alla fanciulla e che la spingeva a poggiare i piedi nudi sulle pietre gelide del pavimento, sbadigliando e sorridendo.
Pancake.
Lei adorava le tortine al limone, ma per colazione i pancake erano la cosa che preferiva e che le faceva spuntare il sorriso ogni giorno. Non aveva mai cucinato, ma aveva visto farlo tante volte dalla cuoca e credeva di riuscire a imitarla, dato che i pancake erano una delle ricette più semplici che l'anziana donna conosceva.
Sorrise, avviandosi verso la cucina. Chissà se il Mastino aveva tutti gli ingredienti?

Sandor uscì dalla doccia e quando chiuse l'acqua sentì degli strani rumori provenire dalla cucina. Che cazzo stava combinando l'uccellino? Aveva intenzione di distruggergli casa oltre ad averla occupata per tutta la notte?
L'acqua gli aveva schiarito la mente, ma purtroppo si ricordava ogni singolo pensiero che aveva fatto la notte prima e svegliarsi trovando l'uccellino che lo fissava con quello sguardo non aiutava certo. Aveva sperato che l'alcool cancellasse ogni ricordo eppure ogni fantasia o pensiero sulla ragazzina sembrava impresso a fuoco nella sua mente come l'imbarazzante ricordo di lui appiccicato alla porta di camera che sognava di buttarla giù e prendere l'uccellino, in barba al suo cazzo di titolo nobiliare.
Afferrò un paio di jeans sdruciti e una felpa, si infilò il tutto e uscì dal bagno. Appena aperta la porta, però, qualcosa lo colpì: un odore, un odore che era assolutamente estraneo alla sua casa e alle sue abitudini.
No, non un odore... Un profumo.
Era un profumo caldo e dolce che proveniva dalla cucina e Sandor era semplicemente sbalordito. Cosa diavolo stava combinando l'uccellino? Si era messa a cucinare? Con passo rapido si avvicinò all cucina, sporgendosi silenziosamente a guardare dentro e la scena che vide lo colpì più del profumo.
L'uccellino stava davvero cucinando qualcosa, era davanti ai fornelli e gli dava le spalle, si era legata il lunghi capelli rossi in un crocchia e canticchiava qualcosa a bassa voce. Era assolutamente persa nel suo lavoro e non lo aveva sentito arrivare così il Mastino poté rimanere qualche istante ad osservare la sua figura e i suoi movimenti sicuri mentre faceva saltare una specie di frittata sulla padella. Gli occhi neri dell'uomo accarezzarono il bianco collo che i capelli tirati in su mettevano in risalto, dall'attaccatura di essi fino giù dove scompariva oltre il bordo della maglietta oltre il quale gli sarebbe stata impedita per sempre la visione.
Già... Non si guarda sotto la maglietta delle nobildonne.
- Ah!
Lei, percepita la sua presenza, si girò di scatto per poi abbassare di nuovo gli occhi. Ancora non riusciva a sostenere il suo sguardo e neanche a guardarlo in faccia e ciò addolorava terribilmente il Mastino, anche se neanche lui se ne rendeva bene conto.
- Non l'avevo sentita entrare... Sto facendo la colazione, so che è una magra ricompensa per avermi ospitato tutta la notte, ma prometto che le darò anche dei soldi.
Con un grugnito il Mastino si mise pesantemente a sedere su un delle sedie del tavolino della cucina.
- Te l'ho già detto, uccellino, non sono uno dei tuoi stupidi amichetti dal sangue blu, quindi smettila con quel cazzo di “lei”. E non voglio soldi, questa casa non è un albergo e non mi devi pagare!
- Ma...
- E poi non credevo che le lady sapessero cucinare, a casa non hai qualcuno che lo fa al posto tuo?
Sansa si girò di nuovo verso i fornelli, ferita dal suo tono sferzante. Lui se ne accorse, ma lo ignorò: per qualche ragione si sentiva turbato e ciò lo infastidiva.
- Io... Mia madre mi ha sempre detto che per governare la servitù bisogna prima sapere noi cosa fare, altrimenti è ipocrita. Sa, il resto delle famiglie nobili prendono in giro questo nostro onore da uomini e donne del Nord, ma è così da sempre. Sarà che noi discendiamo dai Primi Uomini e gli altri dagli Andali, forse è per questo che siamo così diversi e loro non ci capiscono. La lady mia madre però è una Tully, ma anche loro tengono molto all'onore: il loro motto è proprio “Famiglia, Dovere, Onore”...
Senza rendersene conto Sansa aveva iniziato a parlare a ruota libera della sua famiglia e sul finale la sua voce aveva avuto un tremito. Sapeva che non era educato monopolizzare la conversazione e aprì la bocca per scusarsi, ma il Mastino la precedette.
- Ti manca casa, eh, uccellino?
Quella frase così dolce, detta con quel tono così tenero sorpresero talmente tanto Sansa che la ragazza avvicinò troppo la mano alla padella, toccandola. La sferzata di dolore fu così lanciante che le parve che per un istante qualcuno le avesse conficcato un coltello incandescente nella mano.
- Aaah!!
Strillò, allontanandosi di scatto. In un secondo il Mastino fu accendo a lei e le prese la mano ferita nella sua enorme e callosa. Osservò la striscia rossa che solcava il palmo con una strana espressione rabbuiata poi la lasciò andare e uscì dalla stanza, lasciando una Sansa impietrita e senza parole.
Perché ha detto una cosa così dolce? Quel tono... Non glielo avevo mai sentito e quell'espressione... Questa sciocca bruciatura gli avrà ricordato le sue, ma la gravità non si più neanche paragonare! Forse il mio urlo per una ferita così lieve gli sarà sembrato un insulto a quello che ha dovuto passare lui...
Si era offeso? Stranamente quell'eventualità feriva Sansa molto di più di quanto avrebbe creduto, perché si sentiva responsabile: era stata lei a distrarsi e a ferirsi, lui non c'entrava niente!
Lui rientrò nella stanza tenendo in mano una scatola rossa del pronto soccorso e la poggiò sul piccolo tavolino della cucina che Sansa aveva apparecchiato (non voleva usare quello più grande che era in salotto, non osava), poi le fece irosamente gesto di avvicinarsi e Sansa ubbidì, sedendosi di fronte a lui. L'uomo aprì la scatola, prese una pomata e, afferrata la mano di Sansa, prese a spalmargliela sulla bruciatura. Il suo tocco era molto delicato e Sansa, capito che lui cercava di non farle male, si sentì invadere da un dolce e tenero calore. Come prima, anche adesso questa sua insolita gentilezza la colpivano e era sorprendente che un guerriero come lui potesse essere così delicato.
È ovvio che è abituato a curarsi le ferite che si procura nei suoi vari scontri, ma di sicuro non ha mai curato una ragazzina come me.
Ora però era ancora più in debito con lui e la ragazza, spinta dal suo onore di Stark, provò di nuovo a cercare do pagarlo.
- La... La prego, accetti qualcosa! I pancake non bastano, adesso mi sta anche cur...
- Stai zitta.
Fu la secca risposta di lui che non alzò nemmeno lo sguardo a guardarla, tenendolo puntato su ciò che stava facendo ovvero medicarle la mano.
- Tanto adesso te ne andrai, quindi è inutile preoccuparsi.
Già, se ne doveva andare. Questa cosa intristiva Sansa e non solo perché sarebbe stata di nuovo da sola, ma anche per qualcos'altro, qualcosa che non riusciva a mettere bene a fuoco e che la abbatteva.
- Ecco fatto, ora è perfetta.
Gliela aveva anche fasciata e in effetti il dolore stava svanendo.
- Per fortuna aveva già finito di cucinare, altrimenti non ci sarei riuscita con questa mano malandata. Ecco, spero che le piaccia.
Prese il grande piatto da portata su cui aveva impilato i pancake e lo posò sul tavolo per poi cospargerlo di sciroppo d'acero e ne servì qualcuno al grande uomo. Anche sforzandosi non riusciva proprio a smettere di dargli del “lei”, l'avrebbe imbarazzata troppo.
Per un istante Sandor guardò i pancake nel piatto come se fossero dei cibi extraterrestri e Sansa temette che non l'avrebbe voluto mangiare, in quel caso lei non avrebbe saputo proprio cosa fare per ringraziarlo dell'ospitalità. Poi però lui prese forchetta e coltello, ne tagliò un pezzo, lo masticò e ingoiò. Fu solo in quel momento che alzò lo sguardo su Sansa che era in trepidante attesa che lui facesse un qualche commento e disse, col suo tono rude:
- Mettiti a sedere e mangia anche te, uccellino. Mi metti sotto pressione se mi fissi così mentre mangio.
Arrossendo per essere stata rimproverata sulle buone maniere, suo punto forte, Sansa si sedette e iniziò a mangiare anche lei. Quel silenzio la opprimeva e temeva che a lui i pancake non piacessero, ma quando lo guardò e vide che ne aveva presi altri sospirò felice: non credeva che cucinare desse così tante soddisfazioni, ma era la verità!
Finirono la colazione e il Mastino insistette per essere lui a lavare i piatti.
- Tu hai fatto anche troppo e poi con quella mano non puoi di certo usare il sapone, uccellino.
Quindi, mentre lui era al lavabo, Sansa rimase a sedere al tavolo. Il silenzio che aveva condotto la colazione stava ancora continuando e alla fine Sansa non ce la fece più:
- Allora... Oggi va a lavorare...?
Era una domanda stupida e Sansa si vergognò di averla fatta, ma doveva dire qualcosa per rompere quel silenzio.
- Sì, alla Fortezza Rossa. Dai Lannister.
A quel nome, istintivamente Sansa sussultò. Anche dopo tutti quei mesi il ricordo di ciò che aveva subito la spaventava e il Mastino se ne accorse.
- Non scopriranno dove sei, non ti faranno del male.
Mormorò così piano che Sansa credette di essersi solo immaginata che l'uomo avesse detto quelle parole. Lui sistemò l'ultimo piatto ad asciugare, andò in salotto e afferrò il lungo pastrano che indossò. Fece per uscire, ma Sansa, entrata in salotto, lo fermò.
- Aspetti!
Lui la guardò, sospirò e le disse:
- La manifestazione di ieri continuerà anche oggi, ma sarà più violenta con molte più teste di cazzo. È più sicuro se rimani qui anche oggi, uccellino.
Sansa boccheggiò. Il Mastino le stava offrendo la sua casa? Questo davvero non se l'aspettava e quindi riuscì solo a dire qualcosa di spontaneo, che non aveva programmato di dire:
- N... Non mi ha detto se i pancake le sono piaciuti...
Voleva mordersi la lingua per quella frase così infantile, invece lui la guardò con una strana espressione e, mentre chiudeva la porta, le rispose:
- Erano buoni.
Sansa rimase ferma in mezzo alla stanza senza sapere cosa dire, da sola. Cosa significava? Quell'uomo aveva quella strana capacità di confonderla, confondere i suoi sentimenti e le sue sensazioni. Si guardò intorno, senza sapere cosa fare: era scappata in tutta fretta da casa prendendo solo la borsa con dentro carta di identità, portafoglio, chiavi di casa e cellulare che oltretutto si stava scaricando. Sospirò. Il Mastino le aveva detto di non uscire però lei doveva per forza fare un salto a
casa e prendere almeno il caricabatterie e un cambio di vestiti.
Prenderò anche il blocco da disegno e il computer, almeno avrò qualcosa da fare.
Decisa, afferrò il cappotto e uscì di casa.
Fuori, come le aveva detto il Mastino, c'era una folla composta da ancora più persone del giorno prima e Sansa vedeva subito che non erano di certo il fior fiore di Approdo del Re. Non commise errori questa volta e arrivò a casa sua camminando lungo vie laterali e cercando di non farsi notare da nessuno.
Rientrare nel suo appartamento vuoto dopo che ne era scappata terrorizzata le fece una strana impressione, non di paura, ma di disagio. Era incredibile che la casa del Mastino, così semplice e spoglia, se apparisse molto più casa che l'appartamento in cui aveva vissuto per mesi. Forse perché era abituata ad avere Margaery e le altre con lei e senza di loro non era veramente casa sua, non la sentiva sua.
L'unico posto a cui sento di appartenere è Grande Inverno.
Scacciò il ricordo della famiglia e si mise a cercare gli oggetti per cui era ritornata lì. Per fortuna septa Mordane le aveva insegnato la virtù dell'ordine e quindi sapeva benissimo dove era ogni cosa: il caricabatterie attaccato alla spina, il computer sulla scrivania e il blocco da disegno in cartella. Prese anche le matite colorate e gli acquarelli, tanto per essere sicura di avere tutto, mise gli oggetti in uno zainetto e chiuse la porta di casa.
All'improvviso le venne il pensiero che non l'avrebbe mai più rivista. Non avrebbe più dormito nel suo letto, non avrebbe più mangiato con le altre in quel salottino, non avrebbe più scherzato con Margaery in camera loro, non sarebbe più salita in quella terrazza che le piaceva tanto. Era un pensiero stupido e senza fondamento eppure provava quella sensazione in modo così forte che, presa da un istinto improvviso, rientrò in casa e si mise a sfiorare tutti gli oggetti come per salutarli. Accarezzò il tavolo e la sua sedia, lisciò le sue coperte e quelle degli altri letti, entrò in bagno e toccò lo specchio vedendosi riflessa in esso per l'ultima volta. Poi salì sul terrazzo e con un sospiro aprì la porticina che conduceva ad esso uscendo all'esterno.
Una ventata fresca la colpì e un triste sorriso si disegnò sulle sue labbra. In qualche modo si era affezionata a quella casa e la strana sensazione che le diceva che l'avrebbe abbandonata la rendeva malinconica. Era stata il suo rifugio, un nido accogliente e pieno d'amore dopo le crudeltà subite nella Fortezza Rossa nelle grinfie di Joffrey e sua madre. Le ferite, sia fisiche che psicologiche, che loro le avevano inflitto erano state curate dalla gentilezza e dal carattere solare di Margaery che l'aveva letteralmente salvata.
Quel giorno quando l'ho incontrata all'entrata di scuola di certo non avrei immaginato che sarebbe stata lei a tirarmi fuori da quel posto.
Eppure era così e Sansa era grata ogni giorno di più a quella bellissima ragazza castana.
Guardò un'ultima volta la stupenda visuale di Approdo del Re che il terrazzo le permetteva di vedere e lasciò che lo sguardo accarezzasse il profilo dei palazzi e delle case godendosi i raggi del sole che le scaldavano la pelle. Strinse le labbra e afferrò la maniglia della porta.
Grazie. Grazie casetta mia.
Poi uscì.

Sandor Clegane cercava di concentrasi sul suo lavoro, ma il pensiero di un certo uccelletto lo distraeva terribilmente. Il saperla a casa da sola con tutti quegli idioti in giro per strada gli procurava una strana preoccupazione, ma la cosa che lo preoccupava di più era la notte che stava per sopraggiungere: la sera prima era riuscito a trattenersi e a non entrare in camera da lei, questa notte ce l'avrebbe fatta ancora?
Non devo bere.
Quel pensiero lo fece sghignazzare poi la risata si trasformò in un ringhio di rabbia. Perché non avrebbe dovuto bere? Lui amava bere e non l'avrebbe dovuto fare per lei? Chi era lei se non una piccola nobile del cazzo che non contava niente per lui? Lui amava bere, era l'unica cosa che lo rilassasse per davvero e lo avrebbe fatto, per i Sette Dei. Per quel che riguardava l'altro problemino aveva già in mente come risolverlo: Ros. Era un po' di tempo che non andava a farle visita e quella sera avrebbe colto l'occasione per tornare da lei.
Credendo di essersi messo il cuore in pace ricominciò a sfogliare il pacco di foto segnaletiche che stavano sulla scrivania davanti a lui: la madre del sindaco, Cersei Lannister, era stata aggredita e bisognava scoprire chi fosse il colpevole. Ovviamente non si era fatta niente perché c'era lui accanto a lei, ma siccome il Mastino era l'unico ad aver visto bene in faccia l'uomo prima che scappasse l'avevano piazzato lì a guardare tutte le foto dei criminali di Approdo del Re per trovare quella che ritraeva l'uomo in questione.
Eppure ancora qualcosa non andava. Era il pensiero di Ros. Non provava assolutamente niente per quella puttana e di solito quando pensava a lei gli veniva in mente solo il piacere che sapeva dargli, invece adesso c'era anche un certo disagio. Gli sembrava sbagliato andare da lei, un semplice ripiego, un modo per non essere tentato da un'altra donna (una ragazzina, ad essere sinceri) che non poteva assolutamente desiderare e questo lo faceva incazzare a dismisura. Odiava essere legato a qualcuno e sentiva che quel disagio era sintomo di uno strano legame con cui l'uccellino lo aveva catturato.
La odio.
Pensò distintamente e quel pensiero, così normale per lui, gli straziò il cuore. La odiava per non permettergli di pensare alla sua puttana in santa pace, la odiava perché era gentile con lui, la odiava perché era così innocente e non si rendeva conto di quanto lui la desiderasse, la odiava perché gli aveva fatto i pancake, la odiava perché era così indifesa e bisognosa di protezione, la odiava perché non riusciva ad odiarla quanto avrebbe voluto.
Guardò l'orologio. Si stava facendo sera e lei avrebbe cercato di preparare la cena anche con quella mano del cazzo, una cena buona come quei pancake che gli aveva proposto quella mattina.
Perché l'uccellino è stato ben addestrato ad essere gentile.
Pensò con amarezza. E ricominciò a guardare le foto, con calma, costringendo il suo cuore già di pietra a indurirsi ancora di più.

Lo sguardo di Sansa saettò di nuovo dall'orologio attaccato ad una delle pareti della cucina alla padella con dentro la cena che aveva preparato per il Mastino. Dato che aveva apprezzato i pancake Sansa aveva pensato che sarebbe stato carino preparargli anche la cena, dato che tornava tardi dal lavoro e che sarebbe stato stanco.
Speriamo che le polpette di carne gli piacciano.
Pensò, mordicchiandosi il labbro. Si sentiva un po' come una mogliettina e ciò la faceva arrossire, ma quando avrebbe sposato Loras non avrebbe cucinato perché i Tyrell, come gli Stark e tutti i nobili, avevano frotte di servi e cuochi. Quel giorno aveva scoperto che le divertiva farlo e forse anche se fosse stata Lady Tyrell si sarebbe potuta dilettare a cucinare qualcosa.
La mano posata sul tavolo pulsava dolosamente. L'effetto leggermente anestetizzante della pomata era finito da un pezzo e il cucinare non aveva fatto che acuire di più il dolore, oltre che a sporcare la fasciatura.
Gli chiederò di rifarmela quando torna.
L'idea di essere di nuovo medicata da lui, le sue dita che le massaggiavano la mano, la fecero arrossire fino alla radice dei capelli e sorrise fra se e se.
Guardò di nuovo l'orologio. Erano le otto e mezzo, la cena era quasi fredda e lei stava iniziando a preoccuparsi sul serio. Certo, il lavoro di bodyguard non aveva orari precisi, ma di solito alle otto tutti tornavano a casa almeno per la cena. Che gli fosse successo qualcosa? Il cuore di Sansa fu invaso dalla paura e la giovane non si soffermò a pensare come mai era preoccupata per uno che conosceva da così poco tempo.
È un lavoro pericoloso... Magari è stato coinvolto in uno scontro a fuoco per salvare Joffrey o Cersei e è ferito.
L'idea che si fosse ferito per proteggere qui due esseri spregevoli la fece preoccupare ancora di più, ma all'improvviso sentì la porta aprirsi e Sansa schizzò letteralmente in salotto per accoglierlo.
- È in ritardo...
Mormorò, abbassando lo sguardo e arrossendo della felicità che provava nel vederlo. L' espressione del Mastino però la congelò: non era la sua solita espressione accigliata che aveva imparato a conoscere, ma era fredda e impenetrabile come se la Barriera stessa si fosse formata intorno a lui.
- Come? E tu chi sei perché io debba dirti cosa faccio o i miei orari?
Quella frase fu come uno schiaffo in piena faccia e Sansa boccheggiò senza fiato. Lui non le rivolse uno sguardo e entrò in camera sua chiudendosi la porta alle spalle.
Non se l'aspettava e bruciava, bruciava terribilmente, più della ferita sulla mano il cui dolore le saliva ad ondate lungo il braccio. Si sarebbe aspettata una frase del genere: “Uccellino, che cazzo vuoi?”, “Non mi rompere i coglioni, non dico di certo a te che cazzo faccio”, una frase volgare, ma con del calore che non l'avrebbe ferita perché era una frase alla Mastino. Poi avrebbe detto: “Hai cucinato ancora, uccellino? Ma sei una lady o una servetta? E poi ti sarai riaperta la ferita, che cazzo, mi tocca medicarti di nuovo”, qualcosa che la facesse sentire pensata. Invece era stato così gelido, così educato, così distante e distaccato.
Io... Io ho cucinato... Io mi sono fatta di nuovo male per preparare qualcosa di decente... Io, io, io, Sansa Stark di Grande Inverno mi sono preoccupata per lui!!
L'ira iniziò ad invaderla. Era incredibile, lei non si arrabbiava mai, era abituata a subire a basta, invece adesso la rabbia la stava accecando. Non riusciva a pensare in modo lucido e l'ira, simile a fuoco gelido, scorreva nelle sue vene insieme al sangue invadendo ogni capillare, cellula e nervo.
Quando il Mastino aprì la porta di camera la trovò con lo sguardo fisso a terra, che tremava leggermente. Strinse le labbra e stette zitto.
- Dove vai?
Il passaggio al “tu” e il tono di Sansa in cui era concentrato tutto il gelo del Nord scossero il suo animo, ma lui gli rispose con lo stesso tono.
- Da Ros. Una puttana.
Un sorrisetto si disegnò sul viso di Sansa. Una puttana. Andava da una puttana e la lasciava lì, lei e la sua cena. Incredibilmente la sua voce rimase ancora piatta.
- Bene.
- Mangio da lei, era inutile che preparavi tutto.
Una lady non si arrabbia. Una lady mantiene un contegno in ogni situazione e non mostra mai emozioni che possono essere offensive per lei o per gli altri. Una lad–
I pensieri e i ricordi delle lezioni di septa Mordane furono spazzati via dall'ira. Semplicemente si spezzarono come il ghiaccio quando sopraggiungere l'estate. Lei non era una lady, lei era Sansa Stark ed era incazzata in maniera assurda!
Alzò di scatto la testa. Gli occhi azzurri fiammeggiavano di puro fuoco gelato che si riversò su Sandor e l'uomo poté leggere in essi tutta la rabbia, tutta l'umiliazione e il dolore che la ragazza provava in quel momento e solo adesso si rese conto che Sansa poteva essere un uccellino quanto voleva, ma la sua ira era quella dei popoli del Nord: terribile, fredda e senza scampo.
Con un rapido gesto Sansa afferrò la fasciatura della mano e se la strappò via senza sentire neanche dolore. La strinse con forza e poi scandì, il mento alzato e fiero:
- Io sono Sansa Stark di Grande Inverno, figlia di lord Eddard Stark e Catelyn Tully, discendente dei Primi Uomini e Protettori del Nord. Non osare mai più umiliarmi così.
E così dicendo gli lanciò in faccia la fasciatura e, con lacrime calde che scendevano dagli occhi, entrò in camera sbattendosi la porta alle spalle.
Per lunghi, lunghissimi secondi Sandor rimase bloccato nella stessa posizione. Non sapeva cosa fare e come reagire davanti all'ira di un'adolescente che si sentiva (no, che era stata) tradita ancora una volta. Sospirò. Magari tra le braccia di Ros si sarebbe sentito meglio.
Uscì di casa, camminando lentamente lungo le vie di Approdo del Re che si erano svuotate dai manifestanti i cui resti (cartacce, cartelli, striscioni e altro sporco) invadevano ogni angolo. La serata, però, era tranquilla con uno stupendo cielo blu scuro che sarebbe stato trapuntato di stelle se le luci della città non le avessero spente. Quella tranquillità non si confaceva all'umore del Mastino che fu preso dalla voglia di rompere qualcosa, che fosse un naso o una sedia. Doveva sfogare quel sentimento che sembrava filo spinato intorno al suo cuore, il quale avrebbe dovuto essere di pietra e che invece sanguinava come quello di una donnicciola.
Ho fatto piangere l'uccellino.
Il pensiero lo colpì accompagnato da una stilettata nel cuore e Sandor si girò di scatto piantando del muro accanto a lui un pugno poderoso. Il dolore fu lanciante come i Sette Inferi e subito dalle nocche iniziò ad uscire sangue copioso eppure l'uomo lo accolse come manna dal cielo perché il dolore fisico lo distraeva dal dolore mentale, cento volte peggio.
Con la mano sanguinante, finalmente arrivò nella casetta nella periferia di Approdo del Re dove la bella ragazza di nome Ros esercitava la professione più antica del mondo che le permetteva di fare una vita non agiata, ma tranquilla e senza problemi dato che anche molte Guardie Cittadine erano suo clienti e la proteggevano.
- Oh, il Mas–
Fece lei aprendo la porta, ma la bocca famelica di Sandor fu subito sulla sua bloccandole qualsiasi altra parola. La spinse dentro, si chiuse la porta alle spalle con un calcio e senza aspettare un minuto di più le strappò di dosso la camicia da notte che la donna indossava. Non perse tempo neanche a spogliarsi e si limitò a togliersi il pastrano, mentre Ros gli slacciava i jeans e in un attimo fu dentro di lei. La schiacciò contro il muro, ogni spinta dentro di lei cercava di scacciare il ricordo dell'uccellino, ma in ogni istante nella sua mente rimanevano vividi e brucianti i suo occhi e lo sguardo che gli aveva lanciato prima di scappare in camera.
Piange, piange per colpa mia, mia, mia, mia...
Spingeva e spingeva, quegli occhi azzurri impressi in lui più a fondo delle sue cicatrici. I capelli rossi di Ros gli entravano nella bocca mentre la baciava e si attorcigliavano intorno a lui belli e lucenti, ma erano altri capelli rossi in cui desiderava essere avvolto, di cui desiderava sentire il profumo e la morbidezza. La pelle di Ros era pallida e morbida, splendida da toccare, ma lui desiderava sfiorarne un'altra ancora più bianca, desiderava far arrossire dai baci un'altra pelle ancora più setosa. E gli occhi... Beh, quelli di Ros erano castani, un colore imparagonabile a quello di coloro che gli avevano lanciato quello sguardo terribile.
Dopo il secondo round, si ritrovarono stesi in terra sul pavimento del salotto senza parlare. Il Mastino fissava il soffitto e non riusciva a pensare, la donna accanto a lui già dimenticata da un pezzo, ma lei non si era dimenticata di lui:
- Mi devi 30 cervi più altri dieci per la camicia da notte.
Come se gli avesse parlato un estraneo, Sandor alzò lo sguardo su di lei che stava in piedi offrendogli una visione completa di ciò con cui si era guadagnata quelle monete, ma il Mastino distolse lo sguardo: ormai aveva voluto ciò che voleva e non gli interessava più di tanto. Conosceva Ros da anni e si era creata una sorta di lieve amicizia tra loro, ma lui percepiva con chiarezza il disgusto che lei provava guardandolo, lo stesso disgusto che provavano tutti.
Pagò e uscì.
Il ritorno a casa fu come un sogno e gli parve che il tragitto fosse stato molto più corto di quello all'andata, ma quando aprì la porta di casa e la trovò buia e fredda il suo cuore perse un battito. Che se ne fosse andata?
Ho fatto volare via l'uccellino dall'unico nido sicuro di tutto Approdo del Re?
Quando però si avvicinò alla porta di camera e sentì il respiro addormentato di colei che ci dormiva dentro, un sorriso triste gli si disegnò sulle labbra e silenziosamente si portò in cucina vedendo subito sui fornelli la padella che conteneva la cena che era stata preparata per lui e che lui aveva rifiutato.
Che cazzo di idiota. Meriterei di morire per il cane che sono.
Alzò il coperchio e il profumino che il suo naso percepì gli fece borbottare lo stomaco: malgrado tutte le sue parole aveva saltato la cena e moriva di fame.
Da solo, al buio, prese una polpetta e se la infilò in bocca sorridendo tristemente.
Erano squisite.

 



Eccomi di nuovo col nuovo capitolo e mi voglio scusare con tutti quelli che seguono questa storia per la lentezza con cui è arrivato, ma tra tutte le feste e i parenti non sono riuscita a scrivere >.< Inoltre non mi venivano belle idee e ci tenevo a fare questo capitolo (con i nostri piccioncini che vivino insieme) particolarmente bene, quindi l'ho scritto con lentezza. Il prossimo so già come andrà e spero di essere più veloce <3
Che dire, non so se questo Sandor che cerca di essere freddo per tenere a distanza Sansa sia un po' OOC, ma ho immaginato che potrebbe farlo per cercare di essere più duro ^^ E poi, scusatemi, ma mi diverto troppo a scrivere di Sansa arrabbiata, adoro far uscire il suo spirito da donna del Nord: è terribilmente affascinate! XD E l'atteggiamento di Sandor avrebbe fatto sclerare pure me u.u
Spero che questa "crisi di coppia" vi tenga col fiato sospeso per il prossimo capitolo che sarà denso di avvenimenti ehehehe A presto! <3
PS: -
L'inverno sta arrivando. O sta venendo? - E' una battuta che gira da sempre sul web per il doppio significato dell'inglese "come" e ho pensato di riutilizzarla, ci sta bene ahahahaha
   
 
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