CAPITOLO QUINTO: AFFETTI.
Dopo aver
tranquillizzato Nonna Ada, rimasta alla Seconda Casa, con l’aiuto del fratello,
Eurialo era disceso fino alla piazza
principale del Grande Tempio, incamminandosi verso l’infermeria per far visita
all’amico ferito. Dopo essere stato medicato dal Cavaliere della Vergine, Niso era infatti stato affidato alle cure dei dottori, ed Eurialo voleva sincerarsi delle sue condizioni.
Passando in mezzo
al mercato del Grande Tempio, dove numerose bancarelle esponevano i prodotti
tipici, il Cavaliere di Atena, che aveva smesso la sua Armatura d’Argento,
preferendo un fresco abito di foggia greca, ascoltò sbadatamente i confusi
pensieri della gente, sia dei soldati semplici che della folla che comunemente
occupava quei luoghi di ritrovo.
“Hai sentito?
Cinquanta soldati del Grande Tempio massacrati!!!” –Esclamò uno.
“Cinquanta?! Io
avevo sentito dire cento!”
“Ma non c’è stato
anche un caduto tra i Cavalieri di Atena?” –Domandò un altro.
“Ma no! È stato
solamente ferito!” –Replicò un terzo, in un continuo accavallarsi di voci
confuse.
“Comunque sia
dobbiamo stare in guardia! Chiudersi in casa con moglie e figli è la cosa
migliore!”
“E il Grande
Sacerdote cosa fa?” –Chiesero alcuni uomini. –“Se ne sta chiuso nel suo bel
palazzo ad attendere la morte? Tanto lo sanno tutti che è un uomo anziano e
presto lascerà questa Terra!”
“Chi sarà il nuovo
Sacerdote allora?!” –Incalzò un altro.
“Potrebbe essere
il Primo Ministro! Non l’ho mai visto, ma dicono sia il fratello del
Sacerdote!”
“Allora dovrebbe
avere la sua età?!”
Mille voci diverse
giunsero alle orecchie dello stanco Cavaliere di Bronzo, mentre camminava a
passo svelto nella piazza del mercato, infilandosi nelle vie laterali, per raggiungere
l’ospedale, proprio sul versante inferiore della Collina della Divinità, in un
luogo protetto e più riparato.
Chiacchiere da
mercato! Il Sacerdote non
mi sembra certo un uomo col piede nella fossa! Se le stelle lo proteggeranno,
continuerà a servire Atena per molto tempo ancora, e a guidare tutti noi
Cavalieri, che mai come in questo momento ne abbiamo bisogno! E nel dir
questo svoltò a destra, infilando in un vicolo e sbucando poi proprio di fronte
all’infermeria del Grande Tempio.
Era una costruzione
molto semplice, di forma rettangolare, a due piani, la cui gestione era
affidata a servitori della Dea, scelti direttamente dal Grande Sacerdote tra
uomini e donne di fiducia; inoltre vi prestavano servizio numerosi apprendisti,
soprattutto giovani Sacerdotesse, con il compito di aiutare il personale della
struttura.
Quando Eurialo entrò nell’ospedale trovò alcune ragazze intente a parlottare tra loro, e ne attirò l’attenzione con
la sua mole, la quale, per quanto Eurialo non fosse
propriamente bello, gli permetteva di suscitare simpatie e generosi
apprezzamenti sul suo fisico ben messo.
“Perdonate il
disturbo, gentili fanciulle!” –Esclamò, rivolgendosi a due ragazzine. –“So che
è stato ricoverato un ragazzo di nome Niso! Sapete
dove posso trovarlo? È un mio caro amico!”
“Aspetti un
momento, signore! Chiedo ai dottori!” –Sorrise una bambina dai folti capelli
arancioni.
Eurialo sorrise, osservandola correre per i corridoi
della costruzione alla ricerca di un bianco camice, e trattenne una risatina
per il modo in cui le si era rivolto, dandole del voi. Non che sia la prima
volta! Anzi, è piuttosto frequente che i bambini mi diano del “signore”, ma per
quanto faccia piacere mi fa sentire vecchio! Ironizzò, osservando la
bambina ritornare insieme ad un dottore.
“Ma sono tutti
veri questi muscoli?” –Lo chiamò l’altra bambina, dai folti capelli verdi.
“Uh?!” –Esclamò Eurialo, prima di mettersi una mano nei capelli ed
esplodere in una grossa risata.
“Tisifone! Non disturbare un Cavaliere di Atena!” –La
rimproverò il dottore, presentandosi al ragazzo. –“Tu e Castalia non avete
lezioni da prendere, alla scuola per giovani sacerdotesse?
Le due bambine,
imbronciate, se ne andarono a testa bassa, ma Eurialo
intercedette per loro, pregando il dottore di non rimproverarle e di mostrargli
la camera in cui riposava l’amico.
“Eurialo!!” –Esclamò Niso, mentre
il Cavaliere del Dorado entrava nella stanza. –“Per
fortuna sei qua, amico mio! Coraggio, aiutami ad andarmene!” –E fece il gesto
di sollevare le coperte e alzarsi.
“Resta seduto o ti
spezzo una gamba!” –Ironizzò Eurialo, poggiando la
sua possente mano sul petto del ragazzo, e premendolo, senza fargli male, sul
letto. –“Hai bisogno di riposo, non di fuggire in mutande da un ospedale!”
“Ho bisogno d’aria,
invece! Mi duole la schiena a star su questi scomodi cuscini!”
“Smettila di
scherzare, Niso!” –Disse Eurialo.
–“Piuttosto come sta la tua ferita? Si è rimarginata?”
“Vuoi vederla?”
–Disse il ragazzo, sollevando lentamente le coperte e scoprendo il fianco
fasciato.
“Non rovinare la
bendatura!” –Commentò Eurialo, pregando Niso di raccontargli ciò che i dottori gli avevano detto.
“Una ferita
strana, anomala, l’hanno definita! Un’ustione in grado di avanzare sul corpo
umano!” –Spiegò l’amico, ricordando ciò che gli aveva detto il Cavaliere della
Vergine, che lo aveva salvato e condotto con sé, alla Sesta Casa, per curare
con il suo corpo la mortale ferita.
“Mo... mortale?!”
–Balbettò Eurialo, con preoccupazione.
“Se Virgo non fosse intervenuto, sì!” –Sospirò Niso, e per un momento la sua solita espressione sbarazzina
scomparve. –“Devo la vita a quel giovane! Ha solo dodici anni ma possiede un
cosmo vasto, immenso lo definirei, quasi come quelli di Sagitter
o Gemini, che sono più grandi di lui!”
“Non è l’età a
rendere grande un Cavaliere, Niso! Ma la sua forza
d’animo, la purezza del suo cosmo, e la profonda volontà di servire Atena e la
giustizia! E credo che nessuno, più dei Cavalieri d’Oro, incarni meglio tali
ideali!”
“Questo lo so, Eurialo…” –Disse Niso, mentre un
velo di tristezza scese sul suo volto. –“È solo che... che…”
“Hai avuto paura
di morire, non è vero?” –Mormorò Eurialo, con voce
tenera come sempre.
Niso annuì in silenzio, voltandosi verso la
finestra e osservando le tende svolazzare, sospinte da una leggera brezza.
Dietro l’ospedale c’era un prato fiorito, dove i medici conducevano spesso i
pazienti a passeggiare e a svagarsi, e poco oltre sorgeva la Scuola delle
Sacerdotesse, dove le bambine dai sei anni in su venivano addestrate al
mestiere di Cavalieri, ma, in quanto femmine, subivano una discriminazione,
venendo obbligate a indossare una maschera, che coprisse loro il volto, quasi
come a negare la femminilità che avevano rifiutato scegliendo un’arte maschia,
come la guerra.
“Non voglio
morire, Eurialo!” –Esclamò infine, voltandosi
nuovamente verso l’amico. –“Non prima di aver realizzato i miei sogni, di aver
combattuto al tuo fianco, per Atena e per la giustizia! E di aver fatto
qualcosa per cui forse un giorno sarò ricordato!”
“Tu hai già fatto
qualcosa, sciocchino!” –Gli sorrise Eurialo, con
sincero affetto. –“Mi hai reso felice per tutti questi anni in cui sei stato
presente nella mia vita! E sappi che non ho intenzione di permetterti di andare
a rischiare la vita per il mondo inseguendo fatui sogni di gloria o di
conquista!” –Ironizzò, agitando il grande indice della sua mano destra.
“Eheheh...” –Sorrise Niso. –“Non è
mia intenzione farlo! Non preoccuparti! Ciò che chiedo è soltanto di essere
utile! Ad Atena, e a te che mi hai dato fiducia per tutti questi anni,
accogliendomi nella tua casa quando ero soltanto un orfano sporco di fango, e
istruendomi alla nobile arte del combattimento, lasciando che il mio cuore si
aprisse ad Atena e ai suoi ideali di pace e serenità!”
“Avrai il tuo
momento, Niso! Come lo avremo tutti noi!” –Commentò Eurialo, poggiando una mano sulla fronte del ragazzo, quasi
in segno di benedizione. –“Non avere fretta di inseguirlo, potresti non vivere
abbastanza per goderne appieno!”
Passi leggeri
distrassero i due ragazzi, facendoli voltare verso la porta d’ingresso, dove,
con sorpresa, ma anche con gioia, trovarono l’anziana Nonna Ada, ritta
in piedi, appoggiata ad un bastone, con un mazzo di fiori in mano. La vecchia
sorrise, prima di ricongiungersi ai suoi cari e portare un po’ di colore in
quella grigia stanza di ospedale.
Nel frattempo,
mentre un’altra giornata volgeva al termine al Grande Tempio di Atena, un uomo
trafficava nelle cucine della Quinta Casa dello Zodiaco, cercando di preparare
del cibo nutriente per il suo padrone. Galarian
Steiner era il servitore del Cavaliere di Leo, migliore amico di suo
fratello Micene, contro cui si era scontrato anni prima, per ottenere perdono
per il gesto compiuto.
Galan infatti aveva tentato di rubare l’Ichor, il tesoro più prezioso del Tempio di Atena, un vaso
contenente gocce di sangue della Dea, capaci di guarire istantaneamente le
ferite più gravi e recare sollievo e conforto ad angosciati malati, ormai
prossimi alla morte. Galarian aveva scelto quel gesto
estremo per salvare sua madre, piegata da un male incurabile, che l’uomo non
aveva la conoscenza sufficiente per vincere, ma era stato scoperto e punito,
con la reclusione nella prigione di Urano.
Ne era uscito il
giorno dopo, per affrontare in un combattimento all’ultimo sangue proprio
l’amico più caro che aveva: Micene del Sagittario, che lo aveva vinto con il
suo colpo segreto. A causa della battaglia Galarian
aveva perso il braccio e l’occhio destro, ma il Grande Sacerdote aveva dimostrato
indulgenza, sforzandosi di comprendere il suo gesto e inserendolo nel seguito
del Cavaliere del Leone, che aveva iniziato da pochi anni il suo allenamento,
sotto l’attento sguardo del fratello.
“Ti affido Ioria!” –Gli aveva detto Micene, in quel giorno di tre anni
prima. –“Egli ha bisogno di un tutore, non soltanto di un maestro di battaglie!
Ma di qualcuno che sia per lui come un padre!”
“E non ci sei tu
per questo, Micene?”
“Io sono suo
fratello! E il suo maestro!” –Aveva commentato Sagitter,
con una punta di tristezza. –“Ma potrebbe accadere che in futuro io non possa
più prendermi cura di lui, come ho fatto in questi sei anni, da quando i nostri
genitori morirono! Se dovessi mancare, se dovessi perire un giorno, sia domani
o tra dieci anni, voglio la certezza di lasciare mio fratello alla migliore
guida possibile!”
“Mi... Micene...”
–Aveva esclamato Galan commosso. E il ricordo di
quella conversazione non lo aveva più abbandonato.
Anche adesso, a
diciotto anni compiuti, era ancora vivo nella sua mente, e spesso, quando si
sentiva in difficoltà o sentiva di non essere in grado di occuparsi di tale
incarico, trovava in quelle frasi, nell’espressione decisa e serena di Micene,
la spinta per andare avanti e non mollare mai.
“Dicono che sia un
vero uomo solo colui al quale puoi affidare la cosa più importante che hai! E
Micene ha affidato Ioria alle mie cure, affinché lo
guidi nel difficile cammino della vita!” –Sospirò Galan,
ricordando quei giorni di tre anni prima.
“Galan?!” –Lo chiamò una squillante voce, entrando
nell’ampia cucina della Quinta Casa.
“Nobile Ioria! Perdonate il ritardo, tutto sarà pronto…”
–Cercò di scusarsi Galan, ma Ioria
lo zittì.
“Non sono qua per
mangiare, Galan! E non voglio che tu mi chiami
nobile! Non sono mica un re!”
“Voi siete più
importante e regale di qualsiasi re della Terra! Siete un Cavaliere d’Oro di
Atena! Ed è un onore per me servire in questa Casa!”
“A volte vorrei
essere soltanto un ragazzo!” –Mormorò Ioria,
quasi parlando con se stesso. –“Non dovermi curare di tutte queste formalità,
di questi cerimoniali che mi sembrano patetici… e
correre via, a rotolarmi nel fango come i miei coetanei, a stuzzicare le
ragazze e rincorrerle tra gli alberi…”
“Ognuno di noi
vive seguendo il destino tracciato dalle nostre stelle!”
“Dunque tu credi
nel destino, Galan?”
“Perché voi no,
nobile Ioria?” –Domandò sorpreso il giovane.
“Vorrei credervi,
ma troppe cose rendono impossibile questa fede, Galan!
Se il cammino di ogni uomo è scritto nelle stelle, o deciso da Dio, perché
molti uomini muoiono? Perché le nazioni si fanno la guerra, condannando milioni
di innocenti a sofferenze atroci? Anche la morte e il dolore sono decisi dalle
stelle? Anche la sofferenza, la fame, la povertà sono intrise nel nostro
destino?”
Il servitore non
rispose, colpito dall’acuta analisi del ragazzo, che nonostante la giovanissima
età dimostrava abili capacità riflessive, proprio come lui e Micene avevano
sempre sostenuto.
“Non credere che Ioria sia solo un corpo vuoto!” –Gli aveva detto Micene un
giorno. –“Egli ha un cuore grande e colmo di gioia per l’umanità! Spero che un
giorno possa trovare qualcuno verso cui dirigere il suo immenso affetto!”
Mai come in quel
momento, a Galan quelle parole sembrarono vere.
“Se il destino di
un uomo è dolore e morte, allora forse sarebbe meglio non nascere, che vivere
una vita di stenti, in cui tutti i nostri atti, tutti i nostri gesti, verranno
sopraffatti alla fine, di fronte alla profonda ineluttabilità dell’essere!”
“Qual è il vostro
pensiero, allora?” –Sorrise Galan, impressionato dal
ragazzo.
“Io non credo nel
destino! Perché credervi significa accettare tutto questo, accettare che gli
Dei o le stelle vogliano imprimere dolore e morte a milioni di uomini, e questo
farebbe di loro biechi tiranni! Mentre io, che di Atena sono Cavaliere, so per
certo che la nostra Dea non lo è, ma è misericordiosa e giusta, e che noi, se
vogliamo interpretare al meglio la sua volontà, dobbiamo impegnarci per portare
luce e speranza agli uomini, soprattutto a quei deboli e vinti dalla vita a cui
non resta altro che piangere per il loro infame destino!” –Spiegò Ioria, con gli occhi lucidi e intrisi di una profonda
determinazione. –“Perdonami se ti ho annoiato... ma... volevo parlare un po’
con te…”
“Sono sempre a
vostra disposizione, nobile Ioria!” –Sorrise Galan, prima di ricominciare a trafficare in cucina. –“Piuttosto… a quale ragazza vi riferite? Non avrete già
adocchiato una delle aspiranti Sacerdotesse?” –Ironizzò, mentre Ioria scoppiava a ridere, arrossendo imbarazzato.
Le genuine risate
di Ioria e Galan
illuminarono il tramonto di Atene, giungendo alle orecchie del pensieroso
Cavaliere del Sagittario, in piedi nella navata principale della Quinta Casa.
Era giunto al Tempio del Leone per salutare suo fratello e scambiare qualche
parola con lui, sperando di infondere nel suo cuore quel sentimento di
responsabilità che temeva mancasse in lui, ma dopo aver udito queste parole, il
profondo desiderio che Ioria covava dentro di essere
utile al mondo, soprattutto ai deboli e ai vinti, non poté che sorridere, e
complimentarsi con il fratello, il quale, nella sua semplicità giovanile,
rappresentava al meglio gli ideali di pace di Atena.
Senza dire niente,
silenzioso come era arrivato, Micene uscì fuori dalla Quinta Casa, mentre
il sole tramontava nella fresca sera di Atene. Sedette su uno dei due grandi
leoni di marmo che ornavano l’ingresso e lasciò vagare la sua mente, al di là
del mare. Pensò a Gemini e a Capricorn, impegnati
nell’improvvisata ambasciata egiziana, e si augurò il meglio nell’impresa, non
soltanto per loro, ma anche per Atena e le genti del Santuario. Quindi pensò al
Grande Sacerdote, e alla piccola Dea che oggi aveva sollevato, stringendola tra
le braccia, e sorrise, pieno di serenità per un simile miracolo.
“Micene del
Sagittario!” –Risuonò una voce nella sua mente. –“Tu prenderai il mio posto
come Grande Sacerdote! Tu sarai il tutore della Dea Atena!”
Io? Il tutore
di Atena? Il nuovo Oracolo di Grecia? Mormorò, e una certa apprensione iniziò a farsi strada dentro di lui.
Non certo per paura né per indolenza, caratteristiche che non gli erano mai
state proprie, ma semplicemente per il dubbio di non essere all’altezza, di non
avere le capacità di analisi e di saggezza che l’attuale Grande Sacerdote aveva
dimostrato per tutti quegli anni.
Non lo conosceva
bene il Sacerdote, avendolo incontrato soltanto poche volte durante il suo
addestramento, ma da quando aveva ottenuto l’investitura a Cavaliere d’Oro,
nell’estate di sei anni prima, aveva iniziato a frequentarlo con maggior
assiduità, spesso su richiesta dello stesso Celebrante che era solito mandarlo
a chiamare e chiedere il suo parere su determinate questioni. Uno degli
incontri più celebri, e più delicati, fu proprio quello intercorso tra i due in
relazione al tentato furto dell’Ichor da parte di Galarian, che il Sacerdote sapeva essere caro amico di
Micene, oltre che l’altro pretendente all’Armatura del Sagittario.
“Una gara persa in
partenza!” –Amava ripetere Galan, riferendosi al
fatto che egli, a differenza di Micene, non aveva saputo sviluppare un forte
cosmo, ed era apparso inadatto per un simile titolo.
E l’Armatura del
Sagittario era andata a Micene, le cui gesta e il cui valore erano cantati in
tutto il Grande Tempio, e la cui opinione era tenuta di conto dal Grande
Sacerdote.
“Proprio per
questo motivo, Micene, mi è difficile rifiutarti una simile richiesta!” –Aveva
commentato il Sacerdote, quando il ragazzo aveva intercesso per Galan di fronte a lui. –“Galarian
Steiner si è macchiato di un grave delitto, cercando di trafugare il tesoro
segreto del Grande Tempio! Il sangue di Atena! Il cui uso è vietato persino a
noi, Sommi Celebranti, e ai Cavalieri d’Oro, se non espressamente indicato
dalla Dea!”
“Comprendo i
vostri dubbi, Grande Sacerdote!” –Aveva esclamato Micene, in ginocchio di
fronte a lui. –“Tuttavia, se il mio parere può essere di qualche utilità,
consentitemi di spezzare una lancia a favore del ragazzo! Egli è stato mio
compagno durante l’addestramento, il più leale compagno con cui mai avrei
potuto gareggiare per l’Armatura d’Oro, così leale al punto da evitare di
chiedere a me di macchiarmi di un simile atto! È stata la disperazione a
muovere la sua mano, Grande Sacerdote! La disperazione di un uomo di fronte a
qualcosa su cui non poteva avere controllo: la morte di sua madre per malattia!
Perciò vi prego, siate clemente, e concedetegli il perdono!”
“Non la morte lo
coglierà, Cavaliere del Sagittario!” –Esclamò il Sacerdote. –“Come ben sai sono
sempre piuttosto restio a provvedimenti simili, di violenza inaudita ed
inconcepibile per un luogo di culto come questo Santuario! Non sai quanto abbia
pianto il mio cuore pochi giorni fa, emanando l’ordine di esilio nei Caraibi
per quella donna e i suoi pirati! Che insegnamento vorremmo dare agli uomini,
quale messaggio di pace e giustizia potremmo esportare, se noi per primi ci
macchiamo le mani del sangue dei nostri servitori? Del sangue di uomini giusti,
dominati dalla disperazione?”
Micene aveva
sorriso, intuendo le parole del Celebrante di Atena, aperte e tolleranti, che
sempre avevano contraddistinto il suo governo e che avevano limitato il clima
di forte violenza, spesso occasionale, che si poteva incontrare nel Grande
Tempio, soprattutto nelle palestre e durante gli addestramenti. Galarian, dopo il combattimento con Micene, venne quindi
condannato a servire il fratello di lui, ma quello, per il giovane Steiner, non
era mai stato un peso, anzi un piacere.
Grande
Sacerdote?! Mormorò Sagitter, seduto sul leone. Saprò comportarmi come tale?
Sarò capace di dimostrare saggezza e tolleranza, senza abbandonarmi ad
eccessivi lassismi che potrebbero minare l’efficienza del Grande Tempio?! Sarà
una grande prova per me! Ooh, Atena!
Datemi la forza per adempiere al meglio tale funzione! Datemi un briciolo della
saggezza del nostro Sacerdote! Che egli sappia trasmettermi la sua forza e la
sua umiltà!
“Micenee!” –La
voce squillante di Ioria lo rubò ai suoi pensieri, ed
infatti il ragazzo comparve nella navata centrale del Quinto Tempio poco dopo,
presto seguito da Galan.
“Ioria!” –Sorrise Micene, balzando giù dal leone di pietra,
ed incamminandosi verso il fratello.
“Cosa facevi sul
leone, Micene?”
“Mi riposavo!”
–Ironizzò il fratello, accarezzando Ioria con una
mano. Quindi incontrò lo sguardo di Galan, che ben lo
conosceva, al punto da percepire immediatamente che qualcosa non andava.
“Ioria, vuoi andare a controllare la focaccia? Non vorrei
che bruciasse!” –Esclamò Galan.
“Ma per chi mi
avete preso?!” –Brontolò il ragazzo. –“Sono un Cavaliere io, mica un cuoco!!”
–E nel dir questo si allontanò, lasciando i due amici da soli al centro del
Tempio del Leone.
“Cosa turba i tuoi
pensieri, Micene?” –Domandò Galan.
“Sono così
prevedibile?!” –Ironizzò Micene, ma l’amico rinnovò la domanda, spingendolo ad
aprirsi con lui. –“Sono turbato da questa tensione con l’Egitto! Non vorrei che
scoppiasse una guerra proprio adesso! In quel caso non potrei esimere Ioria dal combattere!”
“E non credo che
egli vorrebbe rimanere tagliato fuori!”
“Questo è vero!
Per quanto sia diventato un Cavaliere d’Oro, sono sempre protettivo nei suoi
confronti, e vorrei evitargli una guerra aperta!”
“È nel tuo
carattere, Micene, essere protettivo! Lo sei sempre stato con tutti, anche con
me!” –Precisò Galan. –“E sei sempre stato chiuso!
Troppo generoso e preoccupato che gli altri potessero star male per te, al
punto da tenerti dentro i tuoi sentimenti, pur angoscianti che siano!”
“È una predica?”
–Sorrise Micene.
“Vuole soltanto
essere un consiglio! Non c’è bisogno che tu parli per capire quando hai
qualcosa che non va! E non c’è bisogno che tu menta al tuo migliore amico per
nascondere qualcosa di cui non vuoi parlare!”
“Galan…” -Mormorò Micene, mentre il servitore della Quinta
Casa si allontanava.
“Non era una predica,
Micene!” –Sorrise Galan, sollecitando l’amico a
rimanere a cena. –“Semplicemente un invito ad aprire il tuo cuore!” –E
scomparve, rientrando in cucina.
Hai ottime
ragioni per farmi la predica, caro amico! Commentò Micene, rimanendo per qualche minuto nella semioscurità
della navata centrale. Ma non credere che non abbia fiducia in te, o che non
voglia parlartene, ma non posso! No, Galan, non posso
dirti ancora niente! Neppure a te e a mio fratello, che siete da anni la mia
famiglia! Per proteggere Atena nel migliore dei modi! Quindi si incamminò
verso il retro della Quinta Casa di Leo, per rientrare al Tempio del
Sagittario. Ancora una volta immerso nei suoi pensieri. Ancora una volta solo.
***
In quello stesso
momento, molti chilometri a nord del Grande Tempio, nella Foresta Nera della
Germania Meridionale, una bambina correva in un prato attorno a un castello,
rincorrendo un cane bianco a macchie nere. Heinstschein
era il nome del castello, situato in cima ad un aspro colle, ai cui piedi
correvano prati e laghi, e la bambina, dai lisci capelli neri dai riflessi
violacei, era la figlia dei conti che ivi abitavano, insieme a tanta gioviale
servitù.
“Ahaah... fermati Adolfo! Aspettami!” –Rideva la bambina,
inseguendo il cane nell’immenso giardino intorno al castello. Ma il cane
sembrava non udire i rischiami della padroncina, sfrecciando tra gli alberi,
abbaiando, finché non si fermò, permettendo alla bambina di rimetterlo al
guinzaglio.
“Che c’è Adolfo?”
–Domandò la piccola, cercando di calmare il cane, che improvvisamente aveva
iniziato ad agitarsi, quasi come percepisse un pericolo imminente.
Correndo, i due
erano giunti sul retro del castello, a pochi metri da un’abbandonata rimessa,
un magazzino il cui accesso alla bambina era sempre rimasto interdetto da parte
del padre. Ma il cane non sembrava intenzionato ad obbedire agli ordini, e
condusse la piccola fin davanti alla sua porta, il cui lucchetto era stato
chiuso più di duecento anni fa.
“Non… possiamo… entrare!” –Mormorò
la bambina, ricordando gli avvertimenti del padre.
Ma in quel
momento, così vicina alla porta proibita, così travolta dall’influsso di un
antico demonio, la giovane dimenticò gli insegnamenti del padre, e, senza
capire neppure lei come, allungò la mano verso la serratura. Il lucchetto si
aprì e le porte si spalancarono, rivelando ai timidi, ma terribilmente
attratti, occhi della giovane il piccolo interno dell’abbandonato magazzino,
che altro non era se un tempio vuoto in cui era conservata una scatola. Sopra
di essa un sigillo recante la scritta “Atena”.
Atena?! Mormorò la bambina, avvicinandosi alla
scatola, e sfiorandola lievemente. Ma bastò il suo tocco, il lieve tocco del
destino, a far volare via il sigillo di Atena, permettendo a due spiriti di
uscire dalla scatola e librarsi in aria, nel vuoto tempio sopra la testa della
bambina. Immediatamente i due spiriti assunsero le confuse forme di due uomini,
così simili tra loro, per quanto speculari fossero, e ringraziarono la piccola
per averli liberati dopo duecento anni di prigionia.
“Chi... siete?”
–Trovò la forza per balbettare la bambina.
“Hypnos!” –Rispose il primo. –“Colui che governa i sogni!”
“Thanatos!” –Gli
fece eco il secondo. –“Colui che governa la morte!”
La bambina, forse
ricordando antichi precetti del padre, passate lezioni di mitologia classica,
fece un passo indietro terrorizzata, mentre forti gocce di sudore scendevano
sul suo viso pallido e sconvolto. In un momento comprese ciò che aveva fatto, e
se avesse potuto si sarebbe tolta la vita, punendosi per aver liberato lo
spirito maligno con le sue mani.
“Pandora! Fra poco
lo spirito di Sire Ade rinascerà sulla terra come tuo fratello di sangue,
utilizzando il ventre di tua madre! E tu dovrai avere cura del suo spirito!”
Le parole di
Thanatos le tolsero ogni dubbio. Lei, Pandora, figlia dei conti di Heinschtein aveva liberato i demoni dal sigillato scrigno,
contribuendo a incrementare la potenza del male sulla Terra.