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Autore: bradlifer    17/01/2014    2 recensioni
Dopo la battaglia alla Sword & Cross, per Luce viene scelta una destinazione diversa dalla Shoreline: passerà, infatti, i diciotto giorni della tregua a New York, dove come unico punto di riferimento avrà Cam.
Il loro rapporto si evolverà, così come quello tra lei e Daniel, e questi cambiamenti potrebbero portarla ad agire e a scegliere come lei stessa non avrebbe mai immaginato.
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cameron Briel, Daniel Grigori, Gabrielle Givens, Luce Price
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Triangolo
Capitoli:
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    Capitolo 5 – Sangue sulle ali

Luce non sapeva dove si trovava.
Era giorno (pomeriggio?), ma era avvolta da una fitta nebbia. Era vicino a un bosco, riusciva a scorgere le sagome degli alti pini alla sua sinistra. I suoi piedi erano su un prato dall'erba corta di un verde chiaro, pallido, e vicino a lei era stata parcheggiata senza troppa attenzione una vecchia automobile familiare, di un rosso sbiadito.
Luce era ferma immobile, gli occhi piantati sulla figura che fino a pochi secondi prima aveva parlato con lei di qualcosa (che ora non riusciva più a ricordare) e che adesso era caduta in ginocchio, davanti a lei, la testa capovolta all'indietro e lo sguardo perso, rivolto verso il cielo come i palmi delle mani, le braccia lungo i fianchi. Non urlava né si dimenava, ma sembrava che stesse soffrendo molto.
Quando Luce notò il sangue, temette fosse troppo tardi. Si precipitò verso di lui, cercando di fermare con le mani il fiotto di sangue che usciva dal petto, dal cuore, ma non servì a nulla. Per quanto lei cercasse di tamponare, da altre parti del corpo il sangue continuava a sgorgare.
Dalla schiena?” Constatò sconvolta la ragazza. Agì d'impulso, tolse le mani dal petto di lui e si spostò velocemente verso la sua schiena, girandogli attorno in ginocchio.
Da due minuscole fessure, le stesse da cui uscivano le ali degli angeli e dei demoni, il sangue usciva come da due rubinetti, delineando il contorno di due enormi ali vuote, assenti.
Non c'erano ali.
Solo sangue.
Lo spazio che delineava era vuoto, trasparente, Luce avrebbe potuto trapassarlo con una mano: era aria.
Tutto ciò le impediva di sapere se avesse davanti un angelo o un demone, perché ogni volta che riportava lo sguardo su di lui, il viso, i capelli del ferito cambiavano, confondendola.
Il sangue aveva cominciato a scorrere anche dalle orecchie.
Era una visione orribile, infernale. Poteva essere opera solo del Male in persona. Chiunque fosse, quell'angelo era stato punito da Satana. Luce ne era convinta.
Istintivamente, lo abbracciò da dietro, spingendo col suo corpo contro la schiena di lui, schiacciandogli le ali invisibili e portando le sue mani chiuse a pugno sul cuore di lui. Appoggiò il viso alla guancia destra dell'uomo, e alzò un braccio per tamponare il sangue che usciva dall'altro orecchio.
"Ti prego." Gli disse, spaventata. "Ti prego, guarisci. Smetti di sanguinare. Ti prego."
Niente. L'angelo (o il demone) tremava contro di lei.
"Andiamo, so che puoi farlo smettere. Tu non puoi morire. Fallo smettere." Un rivolo di sangue scivolò sotto il mignolo della sua mano destra. "Che sta succedendo? Parlami." Luce deglutì. "Sono qui. Non ti lascio. Forza."
Di scatto, il ragazzo si piegò in avanti, trascinandola con sé. Luce era in equilibrio sulla schiena sanguinante di lui. Portò le braccia sotto le ascelle di lui, per premere con i palmi sulla ferita sul petto.
Luce non sapeva da quanto quella situazione si stava portando avanti. Ma non avrebbe resistito ancora a lungo: l'odore del sangue stava iniziando a darle la nausea.
"Non ce la faccio. Per favore, dimmi che succede, che posso fare. No, non tremare, mi spingi via così. Sono Luce. Sono Lucinda." L'angelo sembrò smettere di tremare per un attimo, dopo aver sentito il suo nome. Poi ricominciò. Più forte di prima.
Luce lo strinse più forte. Digrignò i denti, prese un respiro profondo, e urlò: "BASTA!".
Poi, tutto si fece buio.

Luce spalancò gli occhi nell'oscurità. Aveva la fronte e il collo imperlati di sudore. Le coperte non avevano mai tenuto così caldo. Le calciò via.
Era stato un incubo terribile, oscuro e macabro.
Guardò la sveglia sul comodino alla sua sinistra. Erano le 4.17.
Doveva scendere a mangiare o bere qualcosa, doveva distrarsi e rilassarsi. Forse si sarebbe messa a guardare un po' di TV.
Di soppiatto, sperando che almeno nel sonno l'udito di Cam si facesse meno sensibile, uscì dalla sua stanza e scese le scale lentamente, i passi attutiti dalle morbide e comode pantofole che indossava.
Una volta arrivata al piano di sotto, nel corridoio Luce cominciò a battere i denti.
Perché la portafinestra del balcone era aperta?
Luce si avvicinò velocemente per chiuderla, ma poi vide la sagoma di Cam sul bordo della ringhiera e decise che forse avrebbe fatto meglio a lasciarla aperta. 
Scrutò la figura di spalle del demone, intento ad accovacciarsi proprio come aveva fatto Daniel quando l'aveva portata lì, pronto a spiccare il volo.
"Perché ti vuoi suicidare?" Chiese lei con un tono innocente, più di quanto avesse voluto. Un po' infantile a dire il vero, da bimba capricciosa. Era chiaro che l'aveva colto impreparato: si era sbilanciato leggermente in avanti.
Cam si girò di scatto: "Che ci fai sveglia a quest'ora?"
"Che ore sono?" Domandò lei, impegnata a costruirsi la parte della finta tonta.
"Le quattro e venti."
"Ah." Pausa imbarazzante. Luce stava cominciando a sentire freddo, ma cercò di controllare i brividi. Fu molto contenta di sé quando ci riuscì.
"Torna dentro, ti prendi un raffreddore." Disse secco lui, con un gesto annoiato della mano.
"Tu dove vai?"
"A suicidarmi, così sarai contenta."
"Dico sul serio."
"Anche io, quando ti dico di tornare dentro."
"Non quando mi dici che vai a suicidarti?" Lo provocò lei. Le piaceva torturarlo con domande stupide e portarlo all'esasperazione.
Infatti, Cam sbuffò buttando gli occhi al cielo, e scese dalla ringhiera con un salto. La spinse in fretta dentro, richiudendosi la finestra alle spalle.
Luce si stava abituando al buio, e riusciva a scorgere nell'oscurità la sagoma del viso di Cam: i capelli ricci, il naso allungato e sottile, la mascella precisa e perfetta.
Rimasero fermi l'uno di fronte all'altra per un lungo istante.
"Non funzionerebbe." Disse infine lui, tristemente.
"Cosa?" Domandò lei.
"Il suicidio."
"Hai già provato?"
"Non sai quante volte."
Oh, pensò Luce. "Davvero?" Chiese lei a bassa voce, lo sguardo basso.
"Certo che no." Cam scoppiò in una risata fragorosa, dovette tapparsi la bocca per fare meno baccano. "Oh Luce, non sono un tipo sentimentale, o malinconico, o depresso. Possibile che tu non l'abbia ancora capito?"
Luce lo avrebbe preso a sberle. Per un attimo, aveva provato compassione per lui. Cam era davvero un ottimo bugiardo. Avrebbe dovuto imparare da lui.
"Non si scherza su queste cose."
"Hai cominciato tu, Lucinda!" Disse lui ricominciando a ridere.
"Smettila. Non sei simpatico."
"Sì, lo sono eccome." Un'altra risata.
In risposta, Luce fece un finto sbadiglio, per nascondere (nel buio!) un sorriso. "Sai che ti dico? Me ne torno a letto."
"Ti posso accompagnare?" Chiese lui ironico.
Luce si voltò. "Perché no?" Si concesse di sorridere nell'oscurità.
Lui non se lo fece ripetere due volte, accese le luci del corridoio, la raggiunse in un attimo e le sorrise affabile. Lei rimase seria, guardandolo negli occhi verdi.
Cam le fissava le labbra, quelle che aveva baciato pochi giorni prima, poi riportò gli occhi su quelli di lei.
"Perché eri venuta giù?"
"Avevo fame."
"Ora non più?" Lo stomaco di Luce brontolò.
"Tu che dici?" Ribatté lei, buttando gli occhi al cielo.
Cam allungò una mano verso quella di lei istintivamente, e gliela strinse, pronto a condurla in cucina. Lo sguardo di Luce schizzò verso le loro mani intrecciate. Deglutì e lasciò subito la presa, fulminandolo con gli occhi.
"Scusa." Disse lui, sincero. L'espressione sul viso di lei non cambiò. "Vieni," le disse, dirigendosi verso la cucina. "ho delle fette biscottate e ancora un po' di Nutella, se ti va."
Lei sembrò rilassarsi. "Okay."
Cam si appoggiò al termosifone sotto la finestra della cucina, e osservò Luce che riempiva di Nutella una fetta biscottata.
Erano le quattro e mezza. Quel giorno avrebbe fatto tardi, ma stavolta non aveva la scusa dell'iscrizione di Luce alla St. Thomas.
Cam decise di fregarsene. Guardarla mangiare di gusto nel mezzo della notte nella sua cucina era molto meglio che uccidere degli angeli ciechi.
"Devi essere stata molto affamata, se ti sei svegliata." Le disse cauto.
Lei rispose d'impulso, rilassata, sincera. Come avrebbe risposto ad un amico. "Incubi." Si leccò il pollice, sporco di Nutella, e si sciacquò le mani nel lavello. Dopo pochi secondi, aveva buttato gli occhi al cielo, probabilmente maledicendosi per l'istintiva sincerità. "Ora immagino mi chiederai che genere di incubi."
Cam aggrottò la fronte, guardando un punto imprecisato del pavimento di fronte a se. "No." Disse alla fine. "Non ti chiederò nulla."
Luce lo guardò. "Grazie." Sorrise appena, e rimise il barattolo di Nutella al suo posto.
"Che genere di incubi hai avuto?" Chiese lui in fretta, ridendo.
"Vaffanculo, Cam!" Rise anche lei, lanciandogli addosso lo straccio su cui si era asciugata le mani pochi secondi prima.
Cam si chinò a raccoglierlo, mentre stava ancora ridendo, e lo appoggiò sul piano della cucina. Guardò Luce, che stranamente non si era allontanata appena lui aveva abbandonato la sua postazione vicino al termosifone.
"Dove stavi andando, Cam?"
"Così tu puoi fare domande e io no? Non mi sembra corretto." Cam si portò una mano al cuore.
Luce sbuffò. "Tu mi dici dove sei diretto e io ti dico il mio incubo."
Cam colse l'occasione al volo. Si strofinò le mani e disse, ripetendo la battuta di Johnny Depp in Nemico Pubblico: "Ovunque io voglia."
Luce sembrò seccata, non colse la battuta. Senza degnarlo di uno sguardo, uscì dalla cucina e prese le scale.
Cam la seguì, stringendola per un braccio.
"Non toccarmi." Sibilò lei. "Non siamo amici. Non trattarmi come se lo fossimo."
"Okay. Non siamo amici. Giusto. Piccolo dettaglio che avevo dimenticato."
Luce era due gradini in su rispetto a lui e da lì il suo sguardo sembrava ancora più sprezzante. "Sono stanca, Cam. Voglio tornare a dormire."
Non fece in tempo a voltargli le spalle, che se lo ritrovò un gradino più in alto di lei.
"No che non sei stanca."
"Sì, sono stanca."
"Non vuoi più sapere dove sono diretto?"
"No."
"Io credo di sì."
"Ho detto no. Fammi passare." Senza aspettare che lui si spostasse, Luce lo spinse via ed entrò nella sua stanza.
Il demone si fermò davanti alla porta che Luce aveva appena chiuso.
"Tampa." Disse infine, sospirando. "Sono diretto a Tampa."
Cam aveva appoggiato l'avambraccio destro alla porta, la fronte contro il legno freddo.
Si immaginava Luce in piedi, a fissare la porta, indecisa se farlo entrare, con mille dubbi nella testa.
Cam non sapeva cosa aspettarsi. Non sapeva dire se Luce l'avrebbe fatto entrare o no.
Quella delle ultime tre vite sì, in fondo erano stati in buoni rapporti nell'ultimo mezzo secolo.
La Lucinda di questa vita invece, passava dal provare un odio profondo a una leggera simpatia e tolleranza nei suoi confronti. Cam notava il contrasto interiore che Luce provava ogni volta che lo guardava.
Era molto orgogliosa, lo era sempre stata, e avrebbe preferito restare a digiuno piuttosto che mangiare quello che le offriva lui, o tacere piuttosto che parlare con lui, o andare a piedi piuttosto che salire in macchina con lui.
Ma di certo, pur di sapere qualcosa in più sul suo passato o sul suo presente, Luce avrebbe fatto carte false, avrebbe persino ascoltato lui, Cam.
Infatti, dei leggeri passi aldilà della porta si fecero sempre più vicini.
Luce aprì appena, come se la porta avesse avuto un catenaccio.
Alzò il mento in direzione di Cam, e gli disse: "Cosa c'è a Tampa?"
Cam sbuffò. Non sarebbe rimasto lì, sulla porta, a dare spiegazioni a un'adolescente capricciosa.
Le avrebbe mandato Daniel, così si sarebbe rotto le palle un po' anche lui e, per una volta, forse Luce si sarebbe tolta quell'aria superiore e quell'espressione imbronciata dal volto.
Luce sapeva essere davvero insopportabile.
"Il mare." Rispose Cam ridendo.
In risposta, Luce gli sbatté la porta in faccia.
"Luce, smettila. Sappiamo entrambi che potrei buttare giù la porta con un calcio, e sappiamo entrambi che non ne vale la pena. Si può sapere che ti prende?"
Lei gli rispose da dietro la porta. Non si era spostata, l'aveva solo richiusa. Li separava solo una porta bianca. Cam sorrise istintivamente.
"Voglio sapere cosa vai a fare a Tampa."
"Ti preoccupi per me, che carina!" Disse Cam, con quel tipico tono di voce che si usa per parlare ai cuccioli di cane.
Dall'altra parte, nulla.
Cam buttò gli occhi al cielo. "Okay, te lo dico." Nessuna reazione da parte di Luce. "Abbiamo individuato molti Esclusi in quella zona, probabilmente pensano che tu sia lì... impegnati come saranno nelle ricerche, saranno più deboli e quindi più facili da attaccare."
Luce spalancò di scatto la porta. "Chi sono gli Esclusi?" Domandò, gli occhi sgranati.
Cam entrò nella stanza senza chiedere permesso, si sedette sul letto e la guardò. A Luce non sembrava dare fastidio che lui fosse entrato e che si fosse seduto sul suo letto, non ci aveva nemmeno fatto caso. Cam era stupito, di nuovo, da quanto naturale a volte Luce riuscisse ad essere con lui. Esattamente come un tempo. Ma non voleva farsi illusioni.
"Angeli."
"E perché degli angeli vorrebbero uccidermi?"
"Conosco un paio di angeli dalla parte di Daniel a cui non stai particolarmente simpatica, comunque."
"Se gli Esclusi sono angeli sono chiaramente dalla parte di Daniel, no?"
"No." Cam lo disse tranquillo, senza troppe pause ad effetto o lunghe attese e senza nemmeno guardarla negli occhi, tanto riteneva scontata la sua risposta.
Luce teneva le mani appoggiate ai fianchi, ma sentendo la risposta di Cam le distese, stupita di quelle affermazioni.
Si sedette accanto a lui. Al minimo movimento, la spalla sinistra di lei toccava quella destra di lui.
"Allora chi sono?" Domandò a bassa voce, guardando Cam.
"Angeli che non hanno scelto. Non si sono schierati né col Paradiso né con l'Inferno. Ma una volta che la guerra finì, decisero di tornare indietro, al Paradiso. Ma furono respinti."
Cam non la guardava, aveva lo sguardo perso davanti a sé, e nella sua mente riviveva immagini antiche ma ancora ben vive nella sua memoria.
"E perché vogliono uccidermi?"
"Per riscattarsi." Rispose lui.
Luce era presa in contropiede ogni volta che lui si rivolgeva a lei in un tono dolce, protettivo e affettuoso come quello che aveva appena usato. Non capiva se la prendesse perennemente in giro o se fosse davvero così: un bellissimo demone arrogante e simpatico che le voleva bene.
Luce annuì, rassegnata. "Che motivo avrebbero di credermi a Tampa?"
"Non lo so." Cam distese le gambe, scuotendo la testa. "Forse Daniel e i suoi hanno trovato un buon diversivo, ovvero una tua sosia."
"Una mia sosia?" Chiese lei, in un modo un po' isterico.
"Dai, quella storia che ognuno di noi ha sette sosia nel mondo." Le ricordò lui, con quel sorriso che Luce stava imparando a conoscere e ad apprezzare. Quel sorriso sincero che rivolgeva solo a lei, da quanto ricordava dai suoi comportamenti alla Sword & Cross. "Pensa che bello," continuò lui, "altri sette Cameron Briel sparsi per questa Terra." Le strizzò l'occhio, colpendole la spalla con la sua.
Lei buttò gli occhi al cielo, ridendo. "Una meraviglia!"
"Puoi scommetterci." Cam annuì deciso, la bocca a papera. Luce si ritrovò a ridere di nuovo, stavolta per via della stupida espressione che il viso di Cam aveva assunto. "Ma..." Disse lui di punto in bianco, fissandola negli occhi. D'improvviso, si tolse le scarpe e si sedette a gambe incrociate sul materasso.
Lei lo imitò senza indugiare troppo, si mise di fronte a lui e ripresero a chiacchierare. "Ma?"
"L'originale ce l'hai solo tu."
"Che fortuna." Disse lei divertita, abbassando lo sguardo sul piumone.
Cosa stava facendo? Perché parlava in piena notte con lui, come fossero stati due dodicenni a un pigiama party? Come fossero amici? Se fossero andati avanti di questo passo, Luce sapeva che lo sarebbero diventati.
Eppure, non riusciva a perdonargli quello che aveva fatto alla Sword & Cross.
In quel momento, realizzò che le domande che le scorrevano per la testa avevano ben poco a che fare con Daniel.
In fondo, di fronte a lei non c'era Daniel. Luce avrebbe chiesto a Cam tutto, perché si fosse comportato così alla Sword & Cross, perché avesse scatenato quella battaglia, perché l'avesse baciata, e soprattutto, cosa avesse avuto in testa quella sera in cui l'aveva portata in quell'orribile bar.
Solo, non l'avrebbe fatto ora. Dai tempo al tempo, si disse. Hai altri diciassette giorni da passare con lui.
La voce di Cam riportò lei alla realtà e i suoi occhi a quelli verdi di lui. "Cos'hai sognato?"
Luce si era scordata di avergli promesso che glielo avrebbe detto se lui le avesse rivelato la sua meta.
Però, non era convinta di volerlo fare. Era un sogno troppo oscuro, troppo violento. Cam sicuramente avrebbe potuto darci una spiegazione, forse una cosa del genere era tipica dalle sue parti, all'Inferno. Luce si chiese se Cam ci avesse mai messo piede, all'Inferno.
Altre domande sul demone di fronte a lei che la facevano deviare da ciò che erano le vere domande che gli doveva porre e soprattutto porsi.
Se ne avesse sentito il bisogno, gli avrebbe parlato del suo sogno più avanti.
"Ho sognato di volare, sai, con Daniel." Mormorò poco convinta, lo sguardo di nuovo basso.
"Wow, questo sì che è un incubo del tutto imprevedibile, Luce." Disse lui sarcastico.
Luce si aspettava una reazione del genere. Fortunatamente, aveva già pensato alla fase seguente: "Stavamo volando ma io sono caduta. Gli sono... non so, scivolata di mano. Continuavo a cadere... e lui non mi ha presa." Poteva essere un incubo plausibile, effettivamente. Ma Luce sapeva che non sarebbe mai successo qualcosa del genere, nella realtà. Daniel l'avrebbe sempre presa se fosse caduta.
"Ahi." Fu tutto quello che disse Cam, strappandole un sorriso sincero per la menzogna che gli aveva appena raccontato.
Luce si lasciò sfuggire uno sbadiglio. Cam si spostò, scostando il lenzuolo. Lei si distese, e lasciò che lui le rimboccasse le coperte, improvvisamente di nuovo stanca.
Lui si era seduto accanto a lei per riallacciarsi gli anfibi, e quando finì, la guardò un attimo, e le disse: "Beh, non ti auguro sogni d'oro perché non penso che tu sia in grado di farne..."
Lei lo interruppe dandogli un pugno sul braccio. Lui sorrise, e continuò: "Ma ti auguro un sonno tranquillo."
"Grazie." Disse lei chiudendo gli occhi, mentre lui spegneva la luce.
Luce restò in ascolto dei passi di Cam che si allontanavano, ma all'improvviso lui si bloccoò.
"Luce?" Fece Cam.
"Sì?"
"Hai puntato la sveglia?"
Luce sbuffò. "Sì, mamma."
"Brava bambina. Ci vediamo stasera." E si chiuse la porta alle spalle.

♦♦♦

Il trillo della sveglia era come un martello pneumatico nel cervello di Luce. Spense la sveglia allungando il braccio destro, mentre con la sinistra si strofinava gli occhi.
Restò per un istante a fissare il soffitto, senza pensare a nulla in particolare.
Erano le sette e trenta, di lì a un'ora sarebbero incominciate le lezioni.
Luce si alzò dal letto, trascinando i passi verso il bagno, pronta a prepararsi.
Scese in cucina, ma dato che non aveva fame, bevve solo una tazza di caffè, guardando fuori dalla finestra.
Avvolta nel silenzio della bellissima casa di Cam, Luce indossò il suo cappotto blu scuro, tendente al nero, sempre proveniente dal suo guardaroba della Sword & Cross.
Entrò in ascensore, già in ansia al pensiero di dover prendere un taxi e arrivare in ritardo.
Guardò l'orologio che portava al polso: le sette e cinquantacinque.
Poteva farcela.
Sorrise al portiere che la fece passare, e subito l'aria fredda di Manhattan la scosse un po'.
Luce si diresse a destra, per fermarsi nello spazio tra due macchine parcheggiate. Non vedeva nemmeno un taxi. Fare la strada a piedi era impensabile, ma forse se avesse camminato per qualche isolato poi trovare un taxi sarebbe stato più facile, in un altro punto del quartiere.
Così, Luce si incamminò a passo sostenuto lungo la Park, ma dopo neanche dieci metri, sentì un fischio.
Si voltò di scatto, incenerendo con lo sguardo il ragazzo biondo che ora le stava facendo cenno di avvicinarsi.
Sul viso di Luce, lo sguardo arrabbiato cedette immediatamente il posto a un sorriso felice.
Gli corse incontro, abbracciandolo. Finalmente era tra le sue braccia.
Daniel respirò il profumo dei capelli di Luce, e la strinse forte. "Le serve un passaggio, signorina?" Le chiese piano.
Lei annuì. "Sì, grazie."
Daniel le aprì la portiera dell'auto. Luce salì senza esitazioni, non aveva nemmeno notato che macchina stavano usando. Guardò il volante: una Mini Cooper. Amava quell'auto da sempre.
Daniel mise in moto.
"È tua questa macchina? Sai che mi è sempre piaciuta? È incredibile. Hai azzeccato pure il colore, l'ho sempre voluta nera."
"Poi i tuoi ti hanno regalato una Ford." Disse divertito Daniel.
"Poi i miei mi hanno regalato una Ford." Ripeté lei. Erano fermi ad un semaforo, imbottigliati nel traffico. "Ma ehi, è una gran macchina. Non sfottere." Rise Luce.
Daniel fece lo stesso. "Non mi permetterei mai." Fece una pausa, indeciso su come continuare per evitare ciò che Luce prima o poi avrebbe menzionato. "Mi piacerebbe, un giorno, salire in macchina e vederti alla guida."
"Quando vuoi." Disse tranquilla lei. Suonò come una promessa, un qualcosa di così semplice e naturale che avrebbero potuto fare anche nel pomeriggio.
"È di Cam, in realtà." Confessò ad un certo punto lui.
"La macchina?" Luce era stupita. Odiava il fatto che le avesse prestato pure la macchina. "Certo. Ovvio. Perché non posso prendere un taxi. Cos'è, ha paura che l'autista sia un Escluso? La maggior parte dei tassisti viene dal Medio Oriente. Al massimo mi offrirebbe un kebab."
Daniel rise di gusto. Il tono di Luce era stato così sarcastico ed estraneo a lei che suonò del tutto nuovo e simpatico. Era il genere di battuta che avrebbe fatto Cam.
Daniel non sapeva se stupirsi o disperarsi di fronte alla constatazione della velocità che Luce aveva impiegato per adattarsi al demone, e per rendere suoi, addirittura, alcuni atteggiamenti di Cam.
Non le disse nulla, perché sapeva che lei avrebbe negato tutto e che probabilmente si sarebbe anche arrabbiata. Si limitò a continuare a sorridere.
"Così, a scuola ti hanno già spiegato cos'è un Escluso?" Cercò di suonare il più naturale possibile.
Luce buttò gli occhi al cielo. "No." Guardò fuori dal finestrino, abbassandolo un po' per cambiare aria. "È così noiosa quella scuola, Daniel. Preferirei fare cinque ore di latino al giorno, piuttosto che due di Storia degli Annunziatori."
"Sono sicuro che è molto interessante."
"Ti terrò aggiornato." Ribatté Luce. "Non mi chiedi come sta andando con Cam?" Mugugnò lei, guardandolo.
Daniel strinse le mani attorno al volante. "In effetti, sono stupito che non ti sia ancora lamentata con me o che non mi abbia ancora insultato per aver accettato il fatto che tu venissi qui."
"Per quello c'è ancora tempo, tranquillo." Disse lei, appoggiando la testa sulla spalla di Daniel.
Erano quasi arrivati. "Sono pericolosi, gli Esclusi? Possono farvi del male?" Chiese lei quando mancava un centinaio di metri alla sua scuola. Sapeva che Daniel non le avrebbe dato le risposte complete che desiderava, così aveva deciso di godersi il tragitto insieme a lui, di chiacchierare del più e del meno come una coppia normale.
"Sono pericolosi, sì." Daniel parcheggiò. "Ma sono ciechi, Dio li ha puniti privandoli della vista quando tornarono indietro. Immagino che Cam ti abbia raccontato la storia." Aveva dedotto da sé chi fosse stato a parlarle degli Esclusi. In fondo, o era stato un insegnante, o era stato Cam.
E Cam sarebbe sempre stato più bravo di qualsiasi insegnante a raccontare quelle storie, le loro storie.
Luce annuì.
"Avendo perso la vista, hanno sviluppato gli altri sensi in maniera impressionante. Ma sono comunque svantaggiati."
"Perché sono ciechi." Concluse lei.
"Perché sono ciechi." Annuì Daniel.
"Possono uccidervi?" Chiese di nuovo lei, ma la sua voce fu coperta dal suono della campanella. Era uno scherzo? Lei e Daniel non avevano mai abbastanza tempo.
Daniel estrasse le chiavi dal quadro e le porse a Luce. "Tieni. Così non dovrai pagare il taxi, oggi pomeriggio."
Luce afferrò le chiavi e le infilò nello zaino. Non sapeva se continuare con quella domanda o lasciar perdere. Lasciar perdere e porla direttamente a Cam quella sera.
"Promettimi che verrai più spesso a trovarmi." Scelse la seconda opzione.
"Io sono sempre con te, Luce. Anche quando non mi vedi."
Luce abbassò lo sguardo, e si avvicinò per baciarlo, piano e a lungo.
Daniel dovette allontanarla. "Buona giornata, Luce." Sperò che il dolore nella sua voce non fosse evidente come quello nei suoi occhi.
Evidentemente, no.
Luce si slacciò la cintura, gli sorrise un'ultima volta e scese dalla macchina. Lo guardò allontanarsi a piedi, domandandosi che posto avrebbe scelto per spiccare il volo.
Entrando a scuola, Luce non riusciva a smettere di pensare che non solo Daniel non aveva risposto alla sua domanda, ma non le aveva nemmeno fatto una promessa.

♦♦♦

Stava sorvolando la costa est, dopo tanto tempo. Diretto a sud, verso la punta. Verso la Florida.
Doveva trovare Cam.
Per quale motivo aveva detto che l'avrebbe tenuta lontana dagli Annunziatori se poi a scuola passava le ore a maneggiarli?
La Florida non era esattamente una zona verde, ma mentre volava su un bosco piuttosto grande e fitto, la sua attenzione fu attirata da un piccolo scintillio argenteo migliaia di metri sotto di lui. Subito dopo, una striscia dorata ci schizzò velocemente accanto. Senza riuscire ad afferrare l'oggetto argenteo.
Daniel non aveva bisogno di scendere per sapere che si trattava di una stellasaetta. E un demone stava lottando contro un Escluso. E, molto probabilmente, stava perdendo.
Daniel si precipitò verso il basso, in picchiata, e nel giro di tre secondi gli aghi delle punte dei pini gli graffiarono il viso.
Allungò la mano destra, afferrando la stellasaetta e volò dritto contro il demone che stava sopra l'Escluso, nel tentativo di strozzarlo. Una volta spinto via il demone, Daniel piantò nel cuore dell'Escluso la punta letale della stellasaetta.
E un istante dopo era seduto su un accumulo di cenere.
Daniel alzò gli occhi, incontrando finalmente quelli verdi del demone che aveva soccorso.
Cam.
Un colpo di fortuna sfacciata, pensò Daniel.
Si alzò, senza staccare lo sguardo da quello di Cam, che gli sorrise, impostando quella faccia da schiaffi che tanto irritava Luce e che faceva tanto impazzire il resto delle donne del mondo.
"Grazie, fratello." Disse Cam, facendo un piccolo inchino in avanti, il sorriso beffardo ancora sul volto. Aveva i capelli leggermente scompigliati, ma comunque nessuno avrebbe mai pensato che aveva appena avuto un corpo a corpo lungo e faticoso con un altro angelo.
Daniel sbuffò, arrivando subito al punto. "Se non ricordo male, hai detto che sarebbe stata lontana dagli Annunziatori."
Il sorriso di Cam scomparve, lasciando il posto ad un'espressione annoiata. Si appoggiò con la schiena al tronco di un albero, tirandosi su le maniche del maglione bianco che indossava, e incrociando le braccia al petto. "Lo so. Ma dovendola iscrivere ad una scuola come la St. Thomas, era chiaro che ci avrebbe avuto ancora a che fare. Mi stupisco che tu non ci abbia pensato."
"Hai mentito." Lo accusò serio Daniel.
"Daniel, Dio!" Esclamò Cam, con tono sconvolto, sgranando gli occhi sulla parola Dio, con fare plateale. "Ti prego. Quando è con me, ovviamente sarà lontana dagli Annunziatori. Quando io non ci sono..." Fece una pausa, sgranando gli occhi. Poi, alzò le mani e fece spallucce. "Beh, non lo so, perché non ci sono."
Daniel odiava quel tono ovvio che Cam aveva usato per l'ultima frase. Cercò di restare impassibile.
"Non puoi cercare di esserci un po' di più?" Chiese a denti stretti.
"Da che pulpito!" Cam scoppiò in una grossa risata.
In quel momento, Daniel realizzò di aver fatto una domanda davvero stupida. "Io non potrei esserci nemmeno se lei fosse alla Shoreline."
"Balle." Tagliò corto Cam. "Basterebbe che la prendessi e che la portassi davanti al cospetto di Signore Nostro Gesù."
"Sì, certo. E poi?"
"Poi", Cam si staccò dall'albero, avvicinandosi a Daniel con una camminata e uno sguardo così viscidi che Daniel avrebbe voluto prenderlo a calci. "Una volta che sarete davanti a Lui, le prenderai la mano", continuò il demone, stringendo la mano di Daniel, con immensa sorpresa di quest'ultimo. Daniel abbassò gli occhi con sguardo disgustato. Cam gli teneva la mano come l'avrebbe tenuta una tredicenne imbranata al cuginetto carino.
Daniel si allontanò subito, facendo ridere di gusto il demone. Non sopportava queste sue uscite ridicole.
Ma Cam continuò il discorso. "E Gli dirai: questa è Lucinda, l'angelo che hai maledetto migliaia di anni fa. Con una piccola differenza: è mortale. Liberaci." Cam tacque.
Daniel alzò un sopracciglio. "Oppure?" Chiese, parlando come avrebbe parlato Lui. Daniel ricordò che prima della caduta, prima che Cam scegliesse Lucifero, loro due inscenavano spesso situazioni come questa.
"Ucciderò tutti quanti." Concluse Cam, smettendo di impersonare Daniel.
L'angelo buttò gli occhi al cielo. Cam inseriva spesso nei suoi discorsi battute dei film, solo che non tutti riuscivano a coglierle. Stavolta, anche Daniel aveva visto il film in questione, Giustizia privata. Ma non disse niente al riguardo.
Si limitò, invece, a dire l'ovvio: "Non è da me."
esattamente da te." Ribatté Cam, stringendo gli occhi a due fessure e con tono accusatorio. Ma poi sorrise, come a fargli capire che lo stava prendendo in giro. Di nuovo.
Sopportare Cam a volte era davvero difficile. Sapeva essere estremamente fastidioso, ma riusciva comunque a risultaresimpatico e affascinante alla maggior parte della gente. Se poi si impegnava, come aveva fatto con Luce alla Sword & Cross, mostrando il suo lato dolce e comprensivo, da buon amico e spalla su cui piangere, i giochi erano fatti.
Daniel alzò gli occhi, stanco di dover parlare con un essere così ingannevole come Cam, desideroso di andarsene.
Guardò il demone un'ultima volta. "Tienila d'occhio." Gli disse serio.
Cam, in tutta risposta, sgranò gli occhi sorridendo. "Come sempre." Gli voltò le spalle, spalancò le enormi ali nere e dorate e spiccò il volo, soddisfatto dall'aver avuto, come al solito, l'ultima parola.

♦♦♦

Luce si trovava nel cortile, gli sguardi attenti di mister Northworth e miss Bulwer puntati su di lei.
La giornata era leggermente soleggiata, per fortuna, quindi il freddo pungente di New York era un po' più sopportabile.
Era da circa mezz'ora che se ne stava lì, nel mezzo del cortile, nel tentativo di evocare un Annunziatore.
"Ho visto con quanta attenzione hai osservato i tuoi compagni, ieri. Forza, mostraci cos'hai dedotto. Se riesci ad evocare un Annunziatore anche senza i nostri suggerimenti." Le aveva detto il suo professore trenta minuti prima.
Luce aveva guardato la coordinatrice Bulwer, che le aveva sorriso, incoraggiandola. La Bulwer era la vicepreside dell'Istituto, ed era un angelo. Aveva una figlia iscritta al primo anno. Portava i capelli castani corti, ed era truccata pochissimo. Indossava un tailleur nero forse un po' troppo elegante, ma Luce non ci faceva troppo caso.
Finalmente, un'ombra le accarezzò le dita. Luce aprì gli occhi, iniziando a maneggiarla. Fece un po' meno fatica rispetto alla sera prima, ricordando i movimenti che aveva fatto.Stava iniziando a sudare, quando riuscì a distenderla in modo uniforme. Abbassò l'ombra verso il suolo, per poterci salire, e ripeté le stesse azioni della sera precedente.
Riuscì a spostarsi sull'ombra, a volare sull'ombra, solo con la forza del pensiero. Si alzò a diversi metri da terra, restando sempre molto concentrata. Abbassò lo sguardo, e un sorriso soddisfatto spuntò sul suo viso.
Poi, il professor Northworth le fece cenno di scendere. Luce obbedì, e strinse la mano all'insegnante, che le aveva offerto la sua per aiutarla a scendere.
La Bulwer le strinse le palle delicatamente: "Sei stata bravissima, Lucinda. Hai imparato molto in fretta, è impressionante. Hai fatto pratica?"
"Ehm..." Luce non vedeva ragioni per mentire. "Sì, una volta, ieri sera. Ma senza successo."
I due insegnanti si guardarono, seri. "Beh, direi che stamattina hai recuperato alla grande." Le sorrise la donna, indietreggiando di un paio di passi.
"Lucinda," iniziò Northworth, "ti hanno mai parlato di una particolare funzione degli Annunziatori?"
Luce fece mente locale. Ed effettivamente, sia Daniel che Cam le avevano confermato che gli Annunziatori erano messaggeri.
"Sì." Disse decisa la ragazza. "So che sono messaggeri. Mi portano messaggi che riguardano me e solo me."
"Giusto." Annuì la Bulwer. "Ma possono anche mostrare avvenimenti passati, di carattere puramente storico, ma mai personale. Chi ti ha dato questa spiegazione, non poteva usare parole più corrette."
Luce sorrise, ripensando a Cam e alla battutaccia che aveva fatto sulle cortigiane del Cinquecento con cui era andato a letto.
Northworth si avvicinò a Luce. "Vuoi vedere come funziona?"
"La parte in cui gli Annunziatori mi recapitano un messaggio?"
"Esatto." Disse serio lui.
Luce si voltò a guardare i resti vetrati dell'ombra che aveva usato per volare poco prima. Al pensiero di doverne evocare un'altra, si sentiva terribilmente stanca.
Senza staccare gli occhi dal mucchio nero vicino ai piedi della Bulwer, Luce acconsentì. "Certo."
In un attimo, un odore pungente e fastidioso le riempì le narici. Northworth aveva evocato un Annunziatore nel giro di due secondi.
Lo distese come un pannello di fronte a Luce. Poi si allontanò un po', in attesa.
Dopo qualche secondo, una scena sbiadita si proiettò sull'ombra. Man mano che la vista di Luce ci si abituava, l'immagine si fece più nitida, e partì come una scena di un film.
Luce si avvicinò un po', come attratta da quei frammenti di chissà quale vita passata.
Erano identiche.
La Luce del passato aveva i lunghi capelli neri raccolti in un basso chignon, indossava un semplice abito azzurro, portava le braccia distese lungo i fianchi, e parlava sorridendo con il ragazzo accanto a lei, che Luce notò solo dopo aver fatto i raggi X alla sua sé precedente.
Cam.
Il cuore della Lucinda del presente accelerò a tal punto che credette di doversi sedere.
Perché la sua sé del passato era così serena con Cam? O meglio, cosa ci faceva una Lucinda del passato con Cam?
"Che epoca è?" Domandò Luce, dando voce ad uno dei suoi pensieri.
"Medioevo, Quattrocento. Siete in Inghilterra." Rispose veloce la Bulwer.
Luce non staccò mai gli occhi dall'Annunziatore. La sua versione medievale aveva appena preso Cam a braccetto, e i due si facevano strada in quello che sembrava il mercato di un villaggio, circondati da tante altre persone, che non prestavano la minima attenzione a loro.
Luce non riusciva a smettere di fissare il Cam del passato, molto più che se stessa. Il modo in cui la guardava, in cui le accarezzava la mano, e l'attenzione che prestava alle sue parole erano disarmanti.
La Lucinda del passato gli stava raccontando di un litigio avuto con sua sorella, per chi dovesse uscire a lavare le coperte, o qualcosa del genere. L'audio dell'ombra non era ottimo, e comunque non aveva la piena attenzione di Luce.
Almeno, non fino a quando la Lucinda del passato non tacque. La Luce del presente spostò lo sguardo, seguendo quello della sua sé precedente.
Eccolo.
Daniel era dalla corsia opposta del banco che anche Luce e Cam stavano guardando. I loro sguardi si erano incrociati per un lungo istante.
La Luce del presente, al contrario di quella del passato, si era accorta di quanto Cam si fosse irrigidito, accorgendosi della presenza di Daniel.
Troppo presto, l'ombra tornò nera e fumante, cadde come un rivolo verso il suolo e divenne una piccola pozza nera una volta che toccò terra.
Luce era a bocca aperta. Aveva caldo, e sete, e voglia di dormire e di vedere il resto di quella storia.
Era bastato quello sguardo, in quella vita, a ucciderla?
Luce si voltò verso i suoi insegnanti.
"Stai bene?" Le chiese la Bulwer. "Sei molto pallida." Aggiunse.
"Ho solo sete." Mormorò Luce.
"Vieni," Northworth si avviò verso la scuola, "avrai anche bisogno di mangiare." I tre si incamminarono verso la mensa.
Luce guardò l'orologio dal cinturino sottile in pelle nera e da quadrante dorato che portava al polso sinistro. Erano quasi le due.
Aveva passato quattro ore nel cortile? E i suoi compagni non avevano potuto andarci per causa sua, dedusse nella sua mente. Doveva stare a tutti piuttosto antipatica.
Fu sollevata dal vedere Miranda e un'altra ragazza della sua classe, Lizzy, ancora sedute ad un tavolo.
"Te la senti di andare da loro?" Le chiese la Bulwer, indicando le compagne di Luce.
Lei annuì.
"Se vuoi andare a casa, ti firmo la giustificazione, non ci saranno problemi."
Luce declinò l'offerta: in fondo, mancavano due ore e sarebbe comunque uscita da scuola. Poi, avrebbe passato i prossimi tre quarti d'ora a rifocillarsi di cibo in mensa.
I suoi professori erano stati tutti avvisati del particolare tipo di attività che Luce avrebbe svolto quella mattina, quindi era piuttosto tranquilla sulla comprensione che avrebbe riscontrato da parte dei suoi docenti.
"Grazie, per il tempo che mi avete dedicato." Disse Luce guardando Northworth e la Bulwer. "Ho imparato molto."
"Abbiamo solo cercato di facilitarti alcune cose." Rispose comprensiva la vicepreside.
"Buona fortuna, Lucinda." Concluse Northworth.
Luce si mise in fila in mensa, mentre salutava Miranda, con la mente ancora ferma alle immagini felici che aveva appena visto tramite l'Annunziatore.
Alle sue immagini felici con Cam.

♦♦♦

"Ho preso del cibo cinese, spero che dentro non ci siano animali per la signorina vegetariana."
Luce fu svegliata dalla voce squillante di Cam, e quando aprì gli occhi li sentì bruciare a causa delle luci che lui aveva acceso.
Aveva dormito così pesantemente che non sapeva nemmeno come si chiamasse.
Una volta arrivata a casa, alle cinque di quel pomeriggio, si era distesa sul divano ed era crollata.
Ora, stando all'orologio sopra il televisore, erano le ventuno passate.
"Luce?" La chiamò lui, non sentendola.
Lei alzò stancamente un braccio dal divano, muovendo la mano per salutarlo.
"Oh." Fece lui, appoggiando le sporte con la cena sul mobile nel corridoio. Si avvicinò al divano e si sedette sullo schienale, dando le spalle a Luce ma voltando la testa alla sua sinistra per poterla guardare in faccia. "Scusa. Non pensavo dormissi." Il suo sguardo era davvero dispiaciuto.
"Pensavi di trovarmi di nuovo a giocare con un Annunziatore?" Lo punzecchiò lei.
Lui sorrise, scostando lo sguardo. "Non ne hai avuto abbastanza, per oggi?"
"Sì," disse lei mettendosi a sedere, "decisamente sì."
Lui si alzò, andando a prendere il cibo. Alzò le sportine, con un sorriso largo sul viso. Tornò vicino a Luce.
"Hai fame?" Le chiese.
"Sì."
"Ti piace il cinese?"
"Posso digerirlo." Disse lei con nonchalance, alzandosi dal divano e dirigendosi in cucina.
Lui la seguì, aprendo velocemente le scatole e porgendole le bacchette.
Luce non fece troppe domande su che cosa avesse preso, e dopo aver controllato che non ci fosse carne, iniziò a mangiare.
Avvolti nel silenzio, Cam e Luce erano persi nei loro pensieri.
Luce non voleva parlargli di ciò che l'Annunziatore le aveva mostrato a scuola: non era sicura di voler sapere come mai lei e Cam erano stati così uniti nel Medioevo.
Cam non voleva parlare ancora di Annunziatori e cose del genere. Dopo la discussione con Daniel quella mattina, non aveva più trovato nemmeno un Escluso. Se ne erano andati, avevano capito che a Tampa non c'era la minima traccia di Luce.
Era stata una giornata stancante per entrambi, ed entrambi speravano che se ci fosse stata una conversazione, questa non avrebbe portato a parlare delle ombre.
Mentre beveva un bicchiere d'acqua, Luce si ricordò della domanda che aveva fatto a Daniel quella mattina e a cui lui non aveva risposto. Si era ripromessa di farla anche a Cam.
Così lo fece. "Gli Esclusi possono uccidervi?"
Cam alzò gli occhi dal cibo e li puntò dritti in quelli di Luce. "Sì."
Luce allontanò la sua cena, nervosa. "Hanno già ucciso alcuni di voi?"
"Non qualcuno di cui m'interessi." Rispose lui annoiato.
"Mi stai dicendo che ti importa di qualcuno, in questo mondo?" Lo provocò lei.
Lui la fulminò con uno sguardo, facendola tentennare un po'.
Luce deglutì, spostando lo sguardo sulle sue mani. Respirò profondamente. "Soffrite? Quando un Escluso vi uccide, intendo."
"Non lo so, mai provato." Rispose subito lui, col suo solito tono sarcastico, tornando a mangiare.
"Cam." Disse seria lei.
"Che ti importa? Non potresti fare niente per evitarlo."
"Cam, io devo sapere."
"No, non devi. Sai di cosa hai bisogno?"
"Tu sì?" Sbottò lei, alzando un sopracciglio.
"Hai bisogno di distrarti. Sei a New York, fa' qualcosa, invece di passare i pomeriggi a dormire."
"Ieri non ho dormito."
"Ieri ti sei quasi rotta una gamba." Le ricordò lui.
"Ah, scusa per il vaso." Mormorò Luce, leggermente imbarazzata.
"Fa niente." Il tono di Cam era tornato rilassato. "Non mi piaceva nemmeno."
"Allora perché l'hai comprato?"
"Non l'ho comprato, me l'ha regalato Arriane quando sono venuto ad abitare qui."
"Oh." Luce spostò di nuovo lo sguardo. "Perché non mi dici se soffrite quando gli Esclusi vi uccidono? O come vi uccidono? Pensavo che almeno tu avessi intenzione di rendermi un po' più partecipe della mia vita." Piagnucolò poi, senza riuscire a trattenersi.
"Oh no, Lucinda." Cam alzò l'indice destro davanti a lei, spostandolo a destra e a sinistra, per enfatizzare il suo no. "Non usare gli occhi dolci con me o il "contavo su di te”. Non ci casco. Non ci cascherei nemmeno se fossi brava a mentire quanto me."
"Potrei diventarlo."
"Continua a ripetertelo." Disse lui sorridendo, sfottendola.
Luce l'avrebbe preso a schiaffi. Avrebbe voluto andarsene, lasciarlo lì, col suo bel sorriso e i suoi occhi verdi, a parlare da solo. Ma non lo fece. Perché, per quanto fosse potente la forza che la attirava verso la sua stanza al piano di sopra, lo era di più quella che la teneva lì seduta, a fissarlo.
"Piuttosto," disse lui, fregandosene dei buoni propositi di evitare l'argomento “ombre” e alzando il mento con fare di sfida: "perché non mi dici tu cosa ti ha mostrato l'Annunziatore a scuola, stamattina?"
Luce si sentì la sedia tolta da sotto il sedere, il cuore le accelerò, le sembrò quasi di vedere le pareti ondeggiare attorno a lei. Rimpianse di non aver ceduto alla prima forza, quella che la conduceva alla sua camera. Adesso, Luce si sentiva profondamente tradita.
Doveva immaginarlo, che lui l'avrebbe saputo. Ma sperava comunque di essere lei a parlargliene. Era una cosa che riguardava loro due, e l'aveva leggermente infastidita che i suoi professori non si fossero fatti riguardo di lasciarla da sola, o di non mostrare interesse in ciò che l'ombra le stava mostrando. Ma si era detta che forse avevano un buon motivo. Cercò di ripeterselo anche in quel momento.
Forse Cam l'aveva saputo dal preside Taylor, che era stato informato dalla Bulwer. Era di sicuro andata così.
Digrignò i denti, strinse le mani a pungo, ma le lacrime le avevano comunque riempito gli occhi.
Si fece forza e cercò di dire qualcosa, di ribattere, anche se con voce tremante. "È solo che..." Fece una pausa, e finalmente riuscì a guardarlo di nuovo negli occhi.
Quando incontrò lo sguardo ferito e pieno di lacrime di Luce, Cam si sentì terribilmente in colpa. "Sono così stanca di essere perennemente osservata, Cam!" Esclamò lei. Singhiozzava, non voleva piangere. Si era coperta gli occhi con le mani, i gomiti appoggiati al tavolo.
Cam si alzò, e in due passi la raggiunse, abbracciandola da dietro istintivamente. La strinse forte, come se potesse rendere suoi i singhiozzi di Luce.
Lei gli strinse le mani, portandosele al cuore, e scoppiò in un vero e proprio pianto, carico più di rabbia e nervosismo che di dispiacere.
Luce si voltò, alzandosi in piedi. Cam si aspettava di essere spinto via, forse anche uno schiaffo, ma in realtà lei non si staccò mai dall'abbraccio di lui.
Semplicemente, voleva ricambiarlo.
Cam non riusciva a crederci. Gli era mancata così tanto. La strinse forte, e se fosse dipeso da lui, non l'avrebbe lasciata andare mai più.
Luce continuava a piangere. Aveva stretto la braccia alla schiena di lui, e gli stava inzuppando di lacrime il maglione bianco.
Lui aveva appoggiato il mento sulla testa di lei, come aveva sempre fatto quando si abbracciavano, e le stava accarezzando i capelli.
"Shh." Le mormorò. "Tranquilla."
Lei non si calmò minimamente.
"Okay," si arrese Cam, "sfogati."
Cam la prese in braccio, portandola sul divano. Lei ora aveva intrecciato le braccia al collo di lui, singhiozzando e tirando su col naso.
Cam si sedette, e, reggendola con un braccio, con l'altro la coprì con un plaid piegato in fondo al divano. Lei non si era appoggiata ai cuscini, né si era staccata. Continuava a tremare contro il petto di lui, che le accarezzava la schiena e la guardava apprensivo.
"Scusami." Cam non si era mai scusato in modo più sincero, con nessuno. "Posso solo immaginare quanto sia difficile per te." Lei smise di singhiozzare, e prese un respiro profondo.
Lui utilizzò quel potere che tanto aveva stupito Luce per far comparire una scatola di Kleenex.
Lei ne prese subito uno, poi un altro, poi un terzo e un quarto. Non sapendo che farsene, una volta usati, guardò lui con un'espressione seria e un po' imbronciata, e Cam li fece sparire.
Con le lacrime ancora sul viso, Luce abbassò di nuovo lo sguardo, senza dire una parola.
"Prima o poi ne parleremo. Quando sarai pronta. O, semplicemente, quando ci verrà naturale affrontare la questione, okay?"
Luce si limitò ad annuire.
"Sono stato uno stronzo. Lo so. E tu sei l'ultima persona con cui dovrei esserlo. Sei l'ultima persona in questo mondo a cui vorrei fare del male, Lucinda."
"Allora non farmene." Mormorò dolcemente Luce, prima di addormentarsi tra le ultime braccia in cui avrebbe mai pensato di potersi addormentare.

  
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