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Autore: F e d e    18/01/2014    1 recensioni
John e Mary decidono di partire per un weekend romantico lontani da Londra. Decidono così, di affidare loro figlio William, alla signora Hudson. O almeno, questo era il piano iniziale ...
Lievissimi spoiler.
Genere: Commedia, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mary Morstan, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Day #1
 
 
Sherlock ricordava benissimo il giorno in cui Mary aveva partorito. John gli aveva mandato un messaggio all’una di notte, testuali parole “So che sei sveglio. Vieni subito in ospedale. JW ”. E così Sherlock aveva fatto. Fortunatamente era riuscito a trovare un taxi che lo portò al S.Bart’s in pochi minuti, raggiunse il reparto di maternità dove trovò niente meno che John seduto nella sala d’aspetto con le mani in testa.
«John?» chiese Sherlock avvicinandosi all’amico. Questi alzò subito la testa e tirandosi su dalla sedia.
«Sherlock, grazie per essere venuto» disse «Io non ce la faccio ad affrontare tutto questo da solo.»
«E dire che sei un dottore, come ti piace ribadire in varie occasioni.» disse Sherlock prendendolo in giro. «Dovresti esserci abituato.»
«E’ diverso quando in quella stanza c’è tua moglie che partorisce tuo figlio.» disse John incominciando a camminare per la sala d’aspetto avanti e indietro in preda ad una crisi d’ansia.
Sherlock roteò gli occhi, ma decise che era meglio non dire niente e aspettare pazientemente che qualche infermiere li informasse su quanto accaduto.
Fu solo dopo una mezz’oretta che dalla stanza uscì una signora sulla cinquantina che senza giri di parole annunciò «E’ nato.»
John scattò subito sull’attenti e prima di precipitarsi all’interno della stanza si voltò verso l’amico.
«Cosa ci fai lì impalato?» chiese questi a Sherlock, il quale rimase sorprendentemente spiazzato dalla domanda.
«Aspetto fuori, no?» rispose il consulente investigativo «Dopotutto è un momento importante per la tua famiglia e –»
«Sherlock» lo interruppe John «Anche tu fai parte della famiglia. Adesso muovi quel culo ed entra.»
Sherlock rimase un po’ sorpreso – come quella volta in cui John gli aveva chiesto di essere il suo testimone di nozze – ma sotto sotto era anche lusingato. Finalmente, anche lui faceva parte di qualcosa d’importante.
Ad accoglierli c’era una Mary radiosa come al solito ma notevolmente stanca, che teneva in braccio il figlio appena nato. Quando i due uomini entrarono, fece un gran sorriso e quando John si avvicinò al suo letto, la donna gli diede in mano il piccolo che stava dormendo beatamente.
John era al settimo cielo, voleva piangere, voleva ridere, voleva saltellare per tutta la stanza, voleva urlare ma non fece nessuna di queste cose, era troppo attratto dal viso paffutello del bimbo che teneva in braccio, con gli occhietti chiusi e dei ciuffetti di capelli che spuntavano fuori dalla testolina.
«Congratulazioni Mary.» disse Sherlock avvicinandosi alla donna e dandole un bacio sulla fronte.
«Grazie Sherlock» disse lei «Non mi aspettavo di trovarti qui!»
«Semplicemente, John se la stava facendo sotto e aveva bisogno di supporto morale.» disse Sherlock provocando nella donna una fragorosa risata.
«Ero solo agitato, Sherlock. Agli esseri umani capita, sai?» disse John ignorando i due che lo stavano prendendo in giro.
I tre rimasero in silenzio a godersi quella pace e tranquillità. Era tutto perfetto, non c’era bisogno di dire o fare niente, l’emozione di quel momento parlava da sé.
«Sherlock» disse Mary ad un tratto, interrompendo il silenzio «Ti andrebbe di tenerlo in braccio?» chiese sorridendo.
Sherlock guardò Mary con tanto d’occhi pensando che la gravidanza le avesse alterato qualche funzione cerebrale. «Cosa?»
«Su, Sherlock. Non fare il timido adesso.» disse John ridendo e avvicinandosi all’amico porgendogli il piccolo. «Attento alla testa»
Sherlock prese cautamente il bambino tra le braccia e lo osservò: era perfetto.
«Gli abbiamo dato il tuo nome.» disse John.
Per Sherlock quella era la nottata delle sorprese, decise quindi di sedersi, per evitare possibili gesti avventati, tipo, svenire.
«Non “Sherlock”, ovviamente.» continuò Mary «John pensa che basta e avanza una sola persona con quel nome. Quindi, abbiamo optato per William.»
Sherlock non poteva crederci. Quando aveva rivelato a John il suo nome intero, non pensava che l’amico ne avrebbe mai scelto uno da dare al bambino. Sherlock era davvero lusingato e, se possibile, anche molto emozionato. Era la prima volta che provava una sensazione come quella e doveva ammetterlo, non gli dispiaceva affatto.
Voleva dire qualcosa, anzi doveva. Quel gesto d’affetto significava molto per lui, quindi, disse –
 
«Aiuto! Aiuto! Sherlock!»
Sherlock aprì di scatto gli occhi. Dall’appartamento di sotto provenivano le urla della signora Hudson e il pianto di William. Subito l’uomo pensò che la signora Hudson fosse stata attaccata da qualcuno – come successe quella volta con quegli agenti americani – quindi si alzò di scatto dal divano e si precipitò dabbasso.
«Sherlock!»
«Mrs. Hudson?» disse Sherlock aprendo la porta dell’appartamento. La scena che si trovò di fronte era alquanto comica se non fosse per il fatto che la donna sembrava alquanto disperata. Quest’ultima era stessa per terra e non riusciva a rimettersi in piedi, una scala ribaltata e il piccolo William che seduto sul seggiolone, non la smetteva di piangere, essendosi evidentemente spaventato per l’accaduto. Sherlock quindi, aiutò la donna a sedersi sulla sedia e visto che questa insisteva tanto, chiamò un ambulanza.
«Stavo facendo le mie solite pulizie del sabato mattina» incominciò a spiegare la signora Hudson quando i medici dell’ambulanza arrivarono sul posto «stavo pulendo le mensole della cucina – quelle in alto – quando a un tratto sono scivolata dalla scala e sono caduta. Il piccolo William si è così spaventato che ha iniziato a piangere, poverino.»
«Non si preoccupi signora, può capitare a chiunque» le disse uno dei due medici, tirandola sulla barella «Adesso andiamo in ospedale e facciamo tutti gli accertamenti. Anche se – »
«Anche se, cosa?» chiese la signora Hudson alquanto preoccupata.
«Qui» il medico le toccò la caviglia «Probabilmente ha preso una distorsione.»
«E cosa vuol dire?» chiese l’interessata.
«Non è niente di grave, non si preoccupi, dovrebbe solo restare sotto osservazione per un paio di giorni. Comunque, adesso la portiamo in ospedale e facciamo tutti gli accertamenti necessari.»
Sherlock, intanto, guardava la scena a braccia conserte. Tutto per delle pulizie di casa pensò, Che idiozia.
«Ok, allora noi andiamo. Arrivederci.» dissero i medici a Sherlock, mentre uscivano dall’appartamento, trasportando una signora Hudson un po’ scossa dall’accaduto.
Sherlock sbuffò e uscì dalla cucina della donna. Stava per salire le scale verso il suo appartamento quando si bloccò di colpo: ora, chi avrebbe badato a William?
 
*
 
Lestrade osservava il messaggio sul suo cellulare. Era certo che l’aveva inviato, allora, perché Sherlock ci stava mettendo così tanto ad arrivare? Lo stava aspettando da più di un’ora e ancora non si faceva vivo. Si chiese se gli fosse successo qualcosa.
Ma no, pensò. Non preoccuparti inutilmente.
Prese a camminare avanti e indietro all’interno della stanza e più passava il tempo, più gli venivano i brividi. Non era molto a suo agio stare solo con un morto steso su un tavolo per l’autopsia. Aveva gentilmente chiesto a Molly di tirare fuori la vittima uccisa la sera prima affinchè Sherlock potesse dargli un’altra occhiata, visto ciò che la polizia aveva scoperto in quelle poche ore.
Lestrade diede un altro sguardo all’orologio quando la porta della stanza si aprì e finalmente entrò Sherlock.
«Sherlock, finalmen – » ma l’ispettore non riuscì a finire la frase.
Sherlock Holmes, si era presentato in un obitorio con un bambino in braccio. Un bambino.
Lestrade dovette ricomporsi perché stava decisamente facendo la figura dell’idiota (con bocca e occhi spalancati), ma non riusciva a credere a quello che stava vedendo. Dove l’aveva tirato fuori quel piccoletto e soprattutto di chi era?
«Bene ispettore» iniziò Sherlock ignorando lo sguardo scioccato di Lestrade «Allora, cosa volevi mostrarmi?»
«Un bambino.» fu tutto ciò che riuscì a dire.
Sherlock prima guardò Lestrade e poi il bambino che teneva in braccio, sveglissimo e con un sorriso a trentadue denti sul volto.
«Davvero brillante deduzione, ispettore, sono colpito.» disse Sherlock infastidito avvicinandosi al corpo sul tavolo dell’autopsia.
«Si può sapere cosa ci fai con un bambino in braccio?» chiese Lestrade quasi urlando e osservando il piccolo.
«E’ il figlio di John.» disse il consulente investigativo «Mi sorprende che tu non te lo ricorda.»
«Ah, William!» esclamò Lestrade «E ti sembra il caso di portarlo dentro un obitorio?»
Sherlock lo fulminò con lo sguardo «Non vedo dove sia il problema.»
«Ma – » Lestrade voleva tempestarlo di domande ma venne bruscamente interrotto da uno Sherlock impaziente di sapere il perché della convocazione.
«Ecco» l’ispettore si schiarì la voce e con un rapido movimento spostò il lenzuolo dal viso dell’uomo, scoprendone il petto. «Abbiamo analizzato le ferite riportate sul corpo dell’uomo e i risultati dimostrano che l’arma del delitto è stato un coltello da cucina, molto pesante e affilato. Alcuni agenti, poi, controllando la cucina dell’attività del signor Drebber, hanno trovato un set di coltelli, ma mancava all’appello quello usato per compiere il delitto.»
«Capisco» disse Sherlock calandosi un po’ sul corpo del signor Wilson per osservare meglio le ferite, ma facendo attenzione a tenere ben stretto William. «C’è dell’altro?»
«Sì, abbiamo analizzato il sangue trovato sulla finestra cercando di risalire al DNA ma senza nessun risultato. Sui nostri registri non appare niente.»
Sherlock roteò gli occhi. Se lo aspettava, come al solito, doveva pensare a tutto da solo. William stretto al suo petto fece un versetto.
«Cosa dici, little-John?» disse Sherlock guardando il bambino e successivamente rivolgendosi a Lestrade «Il bambino vi considera degli incapaci. E io non posso far altro che dargli ragione.»
L’ispettore rivolse ad entrambi un’occhiataccia. «Dovrai spiegarmi un po’ di cose» disse a Sherlock indicando il bambino.
«Tutto quello che vuoi quando avremmo finito. Quindi … c’è altro che dovrei sapere?» chiese Sherlock.
«A dir la verità sì.» rispose Lestrade mentre Sherlock faceva scendere William dalle proprie braccia. «Il signor Drebber ci ha informato che non lavorava da solo all’interno della sua attività. Era da circa un mese, infatti, che aveva assunto una donna che si prendesse cura della struttura, pulizie delle stanze, accoglienza degli ospiti … La cosa curiosa è che il signor Drebber ci ha riferito che questa donna non voleva essere pagata, anzi, si era addirittura offerta di svolgere tutti quei servizi che il proprietario non riusciva a fare in cambio di una stanza in cui stare. Ovviamente il signor Drebber ha accettato, considerandolo un valido aiuto.»
«Capisco. E che fine ha fatto questa donna? Perché non era presente ieri sul luogo del delitto?» chiese Sherlock.
«Perché si era licenziata.» rispose Lestrade «Due giorni dopo la registrazione del signor Wilson»
Sherlock alzò il capo e incominciò a riflettere «Non può essere una coincidenza. Qual è il nome della donna?»
«Secondo il suo curriculum si chiama Alicia Green.» disse l’ispettore porgendo a Sherlock il documento, il quale lo prese e lo guardò per un attimo prima di ripiegarlo e metterlo all’interno del cappotto.
Lestrade si accorse che il viso di Sherlock era diventato a un tratto cupo e pensieroso.
«Qualcosa non va?» chiese.
«Niente. Avevo un’ipotesi in mente. Evidentemente era sbagliata.» rispose Sherlock.
«Ovviamente stiamo cercando di rintracciarla, per scoprire se ha a che fare con l’omicidio del signor Wilson.»
«Perfetto. Conto su di voi, Scotland Yard.» disse Sherlock dando una pacca sulla spalla all’ispettore. Prese William in braccio e si avviò verso l’uscita.
«Te ne vai così?» chiese Lestrade perplesso.
«Già. Ho un bambino di cui occuparmi, hai presente, no?» rispose Sherlock indicando William.  «Sai, la pappa e quelle cose là.»
«Ma sono appena le dieci e mezzo del mattino! Non dovrebbe aver già mangiato?» esclamò Lestrade ma Sherlock era già uscito, la porta chiusa con un gran tonfo.
L’ispettore si mise le mani in testa «Povero William … »
 
*
 
Sherlock teneva stretto per la mano William, ammetteva che non era un bel posto per un bambino ma cosa poteva farci? Lui doveva risolvere un caso e gli eventi di quella mattina avevano voluto che ci fosse anche il piccolo.
«Allora hai capito cosa devi fare?» chiese Sherlock a uno dei suoi “amici” senzatetto.
Questi si rigirò la foto tra le mani e annuì poco convinto.
«Ti verrà dato un compenso, ovviamente» disse il consulente investigativo tirando fuori dalla tasta una banconota da cinquanta sterline. Magicamente lo sguardo dell’uomo cambiò, adesso annuiva vigorosamente.
«Le farò sapere se scopro qualcosa signor Holmes.» disse guardando prima il consulente investigativo e poi il bambino che questi teneva per mano. Istintivamente la presa di Sherlock si fece più salda.
«Bene.» disse, prendendo William in braccio per allontanarsi più velocemente da quel posto. Difficile a dirsi, ma Sherlock non era un completo sprovveduto. Se fosse successo qualcosa al bambino non se lo sarebbe mai perdonato.
I due riuscirono a uscire sani e salvi da quel quartiere non poco raccomandabile e appena tornarono sulla strada principale, Sherlock chiamò un taxi.
«E adesso aspettiamo gli eventuali sviluppi.» disse questi una volta entrato nel taxi a William, il quale borbottò qualcosa con il viso crucciato «Sì, lo so. Mi dispiace per la puzza che fanno, ma non possiamo farci niente.» disse riferendosi ai senzatetto.
Il tassista incuriosito guardò il suo cliente, il quale se ne accorse, rivolgendogli un’occhiataccia.
L’uomo alla guida tornò a guardare la strada.
 
*
 
Sherlock era seduto sulla sedia della sala, mani congiunte sotto il mento e gomiti appoggiati sul tavolo. Lo sguardo era posato su William che giocava divertito con il cuscino dell’Union Jack ma la mente vagava sul caso. Stava pensando agli ultimi indizi avuti in mattinata: era quasi sicuro che quella donna c’entrasse qualcosa con l’omicidio ma c’erano ancora dei pezzi del puzzle che Sherlock non riusciva a far combaciare. I suoi pensieri furono interrotti dal suo cellulare che iniziò a squillare. Questi lo prese senza neanche controllare chi fosse.
«Sherlock Holmes» rispose.
«Dov’è William?» chiese una voce dall’altro capo del telefono. C’era rabbia mista ad ansia.
«Oh, ciao John. Neanche un “ciao, come stai?”» chiese Sherlock.
John evitò la frecciatina dell’amico. «Solo ora sono venuto a sapere che la signora Hudson è finita in ospedale in seguito ad una brutta caduta, quindi sai com’è, la domanda mi sorge spontanea.»
«Tranquillo, William è con me.» disse Sherlock tranquillo. Il bambino sentito il suo nome si voltò verso lo “zio”. Sherlock gli fece un sorriso.
«Tranquillo? Oh mio Dio Sherlock.» disse John. Fece una pausa. «E’ successo qualcosa?»
«Cosa vuoi che sia successo?»
«Con te tutto è possibile.»
«Come sei esagerato, John.»
«Non hai risposto alla domanda.»
«Abbiamo passato una tipica giornata zio – nipote.» disse Sherlock con il suo tono di voce “da presa in giro” «Siamo andati a trovare un povero signore accoltellato e poi abbiamo fatto una passeggiata a Lauriston Gardens»
«Dimmi che stai scherzando.» disse John «Hai portato mio figlio all’obitorio e dai senzatetto?! Cristo, Sherlock!»
«Era per un caso. Non l’avrei mai fatto se fosse stato rischioso e – »
«Per questo non volevo affidarti William.» lo interruppe John «Se la signora Hudson non fosse caduta a quest’ora io e te non staremo affrontando questa conversazione.»
«Vorrei ricordarti che neanche la signora Hudson sa come accudire un bambino.» disse Sherlock perdendo il suo tono di voce scherzoso, iniziandosi ad infastidire «Non so se te n’eri mai accorto, ma non ha figli.»
«Ma almeno lei è una donna!» ribatté John «Ha l’istinto materno e tutte quelle stronzate lì.»
«Io ho fatto delle ricerche, ovviamente.»
Sherlock sentì John ridere dall’altra parte del telefono. Una risata forzata, finta «Per crescere un bambino non basta andare su internet e digitare “come comportarsi con un bambino di due anni”. » John fece un sospiro « Vedi, ho ragione. Non sai gestire questa situazione.»
«Io sono suo zio e porta anche il mio nome!» disse Sherlock. «Ovvio che so gestire la situazione!»
«E questo cosa diavolo c’entra – »
«La conversazione finisce qui, John.» lo interruppe Sherlock «Mi fa arrabbiare il fatto che tu non riponga neanche un briciolo di fiducia in me, dopo tutto quello che abbiamo passato. Sono capace di occuparmi di William e questa è l’occasione per dimostrartelo.»
Detto questo chiuse la conversazione e lanciò il telefono sul tavolo con noncuranza.
William lo guardò con tanto d’occhi, smettendo per un momento di giocare con il cuscino colorato. Il consulente investigativo si avvicinò al piccolo e si inginocchiò ai piedi della sua poltrona.
«Sei proprio uguale a tuo padre» disse osservando il viso paffutello «Spero che tu non prenda il suo stesso caratteraccio.»
William sorrise e allungò una mano verso i capelli di Sherlock «Sarebbe bello se prendessi qualcosa dal sottoscritto» disse l’uomo mentre le mani del piccolo prendevano i capelli di Sherlock tirandoglieli «Mhm, forse è meglio no. Tuo padre ha troppi psicopatici nella sua vita. Non c’è bisogno che anche suo figlio lo diventi.»
 
*
 
Ci volle un po’ prima che John si scusasse per il comportamento avuto nei confronti di Sherlock. Ripensandoci, forse aveva esagerato, ma cosa ci poteva fare se era così protettivo nei confronti di suo figlio? Così, prima di andare a dormire decise di mandare un messaggio a Sherlock.
 
Mi dispiace per la discussione di questo pomeriggio, sono stato uno stronzo. JW
Inviato 11.30 p.m.
 
La risposta arrivò poco dopo.
 
Sì. SH
Ricevuto 11.32 p.m.
 
Sì, cosa? JW
Inviato 11.32 p.m.
 
Sì, sei stato uno stronzo. SH
Ricevuto 11.33 p.m.
 
Già. JW
Inviato 11.34 p.m.
 
Mangia volentieri. Ho avuto molta difficoltà a cambiarlo. Non pensavo fosse così … poco igienico. SH
Ricevuto 11.35 p.m.
 
A John scappò una risata. Non ce lo vedeva proprio Sherlock Holmes a cambiare il pannolino sporco di un bambino. Appena sarebbe tornato a Londra, avrebbe chiamato Lestrade e insieme avrebbero fatto un video a Sherlock alle prese con i pannolini sporchi di William.
 
Sarebbe esilarante vederti all’opera! JW
Inviato 11.37 p.m.
 
Peccato non accadrà mai. SH
Ricevuto 11.38 p.m.
 
Mi è bastato suonare il violino per un minuto e si è addormentato. SH
Ricevuto 11.39 p.m.
 
Gli piace. JW
Inviato 11.40 p.m.
 
Come fa a piacergli se poi si addormenta? E’ un controsenso. SH
Ricevuto 11.42 p.m.
 
E’ una cosa da bambini, Sherlock. JW
Inviato 11.43 p.m.
 
Capisco. Anzi, a dir la verità no. SH
Ricevuto 11.43 p.m.
 
Vabbè, buonanotte John. SH
Ricevuto 11.44 p.m.
 
Grazie per quello che stai facendo. JW
Inviato 11.45 p.m.
 
Solo perché Mrs. Hudson è in ospedale. SH
Ricevuto 11.46 p.m.
 
Come non detto. JW
Inviato 11.46 p.m.
 
 
*
 



Note dell’autrice: La prima parte di questo secondo capitolo è ovviamente un flashback della nascita di William. Devo dire che mi è piaciuto molto scrivere qualcosa inerente al parto :) .
E finalmente, sono riuscita a scrivere anch’io una conversazione (anche se mini-mini) via SMS. Ho sempre adorato questo modo di Sherlock e John di comunicare, sono decisamente meglio delle telefonate!
Questione più “tecnica”: la storia è composta da tre capitoli, il prossimo, quindi, sarà l’ultimo e anche più lungo di questo.
Ringrazio le persone che hanno messo la storia tra le preferite/ricordate/seguite, mi ha fatto un sacco piacere!
Alla prossima,
Fede
  
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