[27. Genitori]
“È stato a settembre. A Leonidion.”
Isavros ha nella bocca la nostalgia di un
pomeriggio piovoso, con le nuvole basse e un cielo che ti sembrava cadere
addosso.
A Neilos Akrivos c’era affezionato;
dell’affetto di chi è cresciuto assieme fra i vicoli stretti di un paese
arrampicato sulla scogliera.
“Neilos. E Ali. Vostra madre” continua, il
sorriso nei ricordi. “Era stupenda con la sua corona. Nessuno pensava.”
Kanon ha gli occhi stretti dietro gli
occhiali scuri; Saga inghiotte a vuoto, la gola troppo secca
“Era…?”
“Sì. Lo era.”
E Kanon sente la sua mano stretta in quella
fredda di Saga.
Ok.
Questa è difficile.
E
riprova la necessità che io mi metta a finire Mare Greco. Soprattutto
dal momento che Areopago è stato concepita in pandant con quell’altra fic.
Va
bene. In attesa del taglio del nastro (e temo passerà ancora un po’ di tempo)
svelo io alcuni fatti e circostanze.
Dunque.
Leonidion come
alcuni ricorderanno è il paese natale del padre di Saga e Kanon (lo abbiamo
visto nella drabble Ringraziamento). Qui
i nostri cari gemellini hanno deciso di condividere con noi anche il nome dei
genitori: Neilos Akrivos e Alissa (Ali in greco ne è il
diminutivo) Anthes. L’uomo con cui
Sage Kanon parlano, invece, è un caro amco del padre ed è lo stesso uomo che li
ha portati al tempio per la prima volta, continuando a seguirne la crescita di
cavalieri anche se da lontanto. Isavros
Kafes non è un cavaliere, ma all’interno del Tempio è stato un uomo
importante durante il pontificato di Shion ed è anche stato, per un periodo
almeno, il maestro di Milo (ma questo né Milo né i gemellini lo sanno^^).
Sia
Isavros sia Saga parlano per sottintesi, facendo riferimento alla malattia di
Alissa, che poi suo figlio eredita. Nella mia immaginazione, Alissa soffre di disturbo dissociativo della personalità
che eredita anche suo figlio Saga. È infatti possibile che nel caso di due
gemelli omozigoti uno erediti la malattia e l’altro non ne manifesti i sintomi.
L’era che Saga non ha il coraggio di
chiedere e che Isavors non ha la forza di dire è matta.
La corona cui fa riferimento Isavros è
quella della cerimonia matrimoniale
greca ortodossa, e più precisamente è un momento della seconda parte
dellosposalizio. Ma andiamo con ordine.
Il
rito matrimoniale ortodosso è composto da due momenti, un tempo separate, e
oggi fuse in un’unica celebrazione. La prima, il fidanzamento, è la
solennizzazione delle promesse di matrimonio; la seconda, che potremmo definire
il matrimonio vero e proprio, è chiamata nella tradizione ortodossa incoronazione,
un nome che viene dalle corone poste sul capo degli sposi.
La
prima parte, il rito del fidanzamento, si svolge nel nartece (vestibolo) della
chiesa: se la chiesa non ha un nartece o un portico
interno, è consuetudine fare il fidanzamento alle porte della chiesa, per
indicare l’ingresso nella vita matrimoniale (anche nel rito del battesimo, le
preghiere esorcistiche e le dichiarazioni di fede si fanno nel nartece, per la
stessa ragione). Gli sposi avanzano affiancati dai testimoni, lo sposo si tiene sulla destra e la sposa sulla sinistra: sono
le posizioni tenute per consuetudine dagli uomini e dalle donne nella chiesa,
che si possono ricordare facilmente guardando la disposizione delle icone
centrali di Cristo e della Madre di Dio.
Il
prete che celebra il matrimonio benedice gli sposi, consegna loro ceri accesi,
e li incensa. Inizia quindi il rito del fidanzamento, composto da preghiere,
litanie e dallo scambio degli anelli, che simbolizza lo scambio delle promesse
di fedeltà.
Gli
anelli erano anticamente d’oro (per lo sposo) e d’argento (per la sposa), ma
oggi sono più usate le coppie di anelli fatte dello stesso materiale (talvolta
anche meno prezioso). Prima del rito del fidanzamento, gli anelli sono
benedetti con l’aspersione di acqua santa, e poggiati sopra la tavola
dell’altare. Volendo, si possono portare gli anelli in chiesa un certo tempo
prima della funzione nuziale, e tenerli sulla tavola dell’altare durante la
celebrazione della Divina Liturgia.
Il
simbolismo degli anelli (un cerchio che non ha fine, così come le promesse
degli sposi non hanno termine né condizioni) è spiegato nelle preghiere del
rito, quando si ricordano gli anelli donati in vari episodi biblici come segni
di fedeltà, di fiducia, di responsabilità e di misericordia divina.
La
formula del fidanzamento, che secondo alcuni usi si ripete per tre volte, è la
seguente: Il servo di Dio (nome) riceve per fidanzata la serva di Dio
(nome), nel nome del Padre, del Figlio e del
santo Spirito, amen. Allo stesso modo, la formula si ripete per la sposa: La
serva di Dio (nome) riceve per fidanzato il servo di Dio (nome),
nel nome del Padre, del Figlio e del santo Spirito,
amen.
Il
prete mette l’anello al dito anulare della mano destra degli sposi. La mano
destra (con cui un cristiano fa il segno della croce) è usata come sede degli
anelli nella tradizione cristiana più antica, e anche in quella ebraica, da cui
provengono molti usi del matrimonio ortodosso. La pratica del cattolicesimo
romano, che ha differenziato gli anelli di
fidanzamento da quelli di matrimonio (mentre nella Chiesa Ortodossa non c’è
questa distinzione), ha portato in alcuni usi a passare gli anelli alla mano
sinistra. Se gli sposi, per costume locale, desiderano portare i loro anelli
alla mano sinistra dopo la fine del rito nuziale, non c’è alcun serio
problema.
Gli
anelli, appena messi al dito degli sposi, sono scambiati per tre volte (dal
prete stesso o dai testimoni, a seconda degli usi). Lo
scambio degli anelli esprime il continuo scambio tra
gli sposi, che come figure complementari si arricchiscono a vicenda.
Se al
rito del fidanzamento segue subito l’incoronazione (vale a dire, oggi, nella
stragrande maggioranza dei casi), sposi e testimoni procedono verso il centro
della chiesa, dove è preparato un tavolo con le corone nuziali. Durante
l’ingresso della coppia, il coro canta i versi del Salmo 127, intervallati dal
ritornello “Gloria a te, Dio nostro, gloria a te”.
Entrati
al centro della chiesa, gli sposi vanno a stare sopra un tappeto preparato
appositamente per loro (può essere un telo ricamato con motivi matrimoniali,
come si usa preparare in Russia, oppure un semplice tappetino largo abbastanza per accomodare i due sposi). Questo tappeto, il cui uso proviene
dall’antico matrimonio ebraico, simbolizza la dimensione sulla quale gli sposi
hanno un dominio riconosciuto dalla Chiesa: la gestione della loro vita comune,
la crescita dei figli, la dimora familiare.
Il
prete inizia il rito dell’incoronazione con tre preghiere nelle quali si chiede
la grazia di Dio per gli sposi: la grazia che trasforma la loro unione umana in
un’unione guidata dallo Spirito santo (proprio come
nella Divina Liturgia il prete prega per la discesa dello Spirito santo sul
pane e sul vino, perché si trasformino nel corpo e nel sangue di Cristo).
Le
mani degli sposi sono unite dal prete, e secondo gli usi sono legate assieme con un nastro o con un velo. Quindi il prete pone
sul capo degli sposi le corone, segno di regalità (la Chiesa concede agli sposi
di essere i sovrani della loro vita familiare, come compartecipi della regalità
di Cristo stesso), e anche di perfezionamento: gli sposi diventano “corona”
l’uno dell’altra, un completamento dell’immagine divina, uno strumento
potenziale di salvezza l’uno per l’altra, come ricordato anche da san Paolo nel
capitolo 7 della prima Lettera ai Corinzi. La corona è
pure segno di martirio, ovvero di testimonianza di
fede “nella buona e nella cattiva sorte”, che giunge fino al sacrificio della
vita. Il mistero del matrimonio richiede la volontà di morire a se stessi, al
proprio tornaconto personale, per sapersi donare all’altro per tutta la vita.
La
formula dell’incoronazione, che secondo alcuni usi si ripete per tre volte, è
la seguente: Il servo di Dio (nome) riceve come corona la serva di
Dio (nome), nel nome del Padre, del Figlio e
del santo Spirito, amen. Allo stesso modo, la formula si ripete per la
sposa: La serva di Dio (nome) riceve come corona il servo di Dio (nome),
nel nome del Padre, del Figlio e del santo Spirito,
amen.
Le
corone, appena poste sul capo degli sposi, sono scambiate per tre volte (dal
prete stesso o dai testimoni, a seconda degli usi),
mentre il coro canta: Signore Dio nostro, coronali di gloria e d'onore.
Dopo ulteriori preghiere e litanie, il prete benedice una coppa
di vino: da questa coppa bevono gli sposi, in segno della loro partecipazione
comune di tutta la vita, in ogni suo aspetto di gioia o di dolore. La coppa di
vino viene direttamente dall’uso del matrimonio ebraico, e non ha alcuna
connessione con il vino del mistero eucaristico.
Il
prete conduce quindi gli sposi in una triplice processione attorno al centro
della chiesa, mentre il coro canta alcuni tropari
(inni della tradizione ortodossa) che parlano di temi collegati simbolicamente
al matrimonio. Durante il canto dei tropari, è uso
che i testimoni seguano gli sposi, eventualmente reggendo le corone sul loro
capo.
Il
canto dei tropari proviene dall’antico uso di
accompagnare gli sposi in processione con canti, dopo il matrimonio, dalla
porta della chiesa alla porta di casa della nuova
coppia. Nel tempo questa usanza pubblica è stata
abbandonata, i canti ecclesiali sono stati trasferiti a questo punto della fine
della celebrazione, e la processione è divenuta un episodio interno del rito
matrimoniale.
Al
termine della processione il prete scioglie le mani degli sposi, e ripone le
corone sul tavolo. Nelle preghiere finali che seguono, il prete chiede a Dio di
custodire le corone senza macchia nel suo regno: un segno dell’eredita che attende gli sposi cresciuti nell’amore e nella
fedeltà, che hanno portato frutti spirituali nel loro matrimonio.
Dopo
la benedizione finale, seguono secondo gli usi una serie di segni e di auguri:
la venerazione delle icone in centro alla chiesa (oppure sull’iconostasi),
l’augurio di molti anni alla nuova coppia, un’esortazione del prete agli sposi
a mantenere nella propria vita la grazia ricevuta da Dio. Nel caso di matrimoni
misti, anche un ministro di culto non ortodosso può avere a questo punto uno
spazio per rivolgersi agli sposi e offrire loro una parola di
incoraggiamento e di istruzione.