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Autore: Dustbunny13_traduzioni    19/01/2014    1 recensioni
"Il suo palazzo mentale era in rovine: un incendio lo aveva raso al suolo, bruciando i ricordi e polverizzando le memorie, riducendo i momenti recenti in cenere, e rendendo quelli più vecchi irriconoscibili – reminiscenze carbonizzate che non sarebbero mai più tornate, lasciandolo ad arrovellarsi su ciò che erano state."
Post-Reichenbach.
E' la traduzione di una fic inglese che ho davvero adorato. Spero farete lo stesso!
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 4

Il peggior miracolo

 

Un'altra caduta.

 

John scoppiò a ridere. Era isterico, ovviamente, e dopo si odiò per questo, arrossendo con imbarazzo al ricordo, ma al momento tutto ciò a cui riusciva a pensare era, “Piccolo bastardo. L'hai fatto di nuovo.” Poi i suoi istinti da dottore prevalsero e corse di sotto, saltando letteralmente i gradini per fare più in fretta.

 

“Sherlock!” Si arrampicò sulla pila di detriti, pregando che il suo amico non fosse caduto su qualche pezzo di metallo affilato, ma era impossibile dirlo con certezza senza muoverlo.

 

“Sherlock,” sentì il respiro abbandonarlo, e la sua voce si ruppe mentre cercava disperatamente di prendergli il polso.

 

“Non farmi questo, non – ” improvvisamente si sentì invadere dalla nausea, e si allontanò, ma le sue dita si rifiutavano di staccarsi da quella gelida pelle.

 

E poi eccolo, un battito, forte e sicuro. “Oh Dio, grazie,” sussurrò John, sentendosi mancare dal sollievo. Si accostò di nuovo al corpo per controllare la faccia coperta di sangue, terrorizzato all'idea di trovare ferite profonde e ossa scoperte, ma c'era solo un grande squarcio che andava dalla tempia alla base del collo. Se l'era probabilmente fatto durante la caduta – c'erano moltissimi cavi elettrici e travi che sporgevano da ogni parte. A ogni battito, il sangue fuoriusciva dalla pelle lacerata, inondando i morbidi riccioli. Sherlock era atterrato in cima al cumulo e ora giaceva sulla schiena, con la testa che ciondolava scomposta, gli occhi e il naso ricoperti dal denso liquido rossastro.

 

John sospirò pesantemente, realizzando solo in quel momento di aver trattenuto il respiro. “Gesù, per favore, fa che Sherlock stia bene. O almeno che non sia messo troppo male. C'è un limite a quello che posso sopportare.”

 

Esaminò attentamente il petto e l'addome dell'amico, e poi si assicurò che le lunghe braccia non fossero rotte. Non trovò niente di eccessivamente preoccupante, ma esitava comunque a girare il corpo, spaventato di trovare qualche coccio nella schiena, gli organi vitali perforati o la spina dorsale spezzata.

 

Proprio in quel momento entrarono i soldati, che sollevarono la polvere con gli stivali, le armi puntate verso di loro. Gridavano. John alzò le mani e chiuse gli occhi per un momento, cercando di sopprimere la rabbia che gli stava montando nel petto. Era pura follia.

 

Si sforzò di mantenere la sua voce calma e chiara. “Il mio nome è John Watson, sono un dottore e di certo non sono il cecchino che state cercando. Ora abbassate quelle pistole e chiamate il comandante. Ma soprattutto chiamate un'ambulanza e dei paramedici!”

 

Uno dei soldati salì sulla collinetta di macerie. “Signore!” chiamò, “Mi dispiace, signore,” si girò e ordinò agli altri uomini di stare giù. “Ha bisogno di aiuto, signore?”

 

“Chiama l'ambulanza,” ringhiò John, troppo scosso per far caso alle formalità. “E anche Mycroft Holmes, se è raggiungibile.”

 

“Lo è, signore,” confermò il soldato. “Avevamo l'ordine di fargli rapporto appena vi avessimo trovati.”

 

“E allora cosa state aspettando? Fatelo!” scattò John, concentrandosi di nuovo su Sherlock. “C'è una donna al piano di sopra, dove avete fatto esplodere la granata – anche lei necessita di cure mediche, quindi chiamate quella maledetta ambulanza! Ora!”

 

“Sissignore, subito, signore!” l'uomo abbaiò un paio di ordini e, rivolgendosi nuovamente a John, chiese, “Signore, posso darle una mano con lui?” Guardò il corpo sanguinante con sospetto, avvicinandosi alla spalla dell'uomo privo di sensi.

 

“Non lo tocchi,” lo avvertì John, “può essersi ferito alla schiena. Mi porti un kit del pronto soccorso.”

 

John stava delicatamente esaminando le scapole di Sherlock, quando le palpebre del detective ebbero un guizzo; questo sobbalzò violentemente, in preda a un attacco di tosse.

 

John lo afferrò per le spalle e lo obbligò a rimanere sdraiato. “Sherlock, riesci a sentirmi? Resta calmo, non ti muovere, non sforzare la schiena, okay?”

 

Sherlock tossì ancora, rantolò – e improvvisamente c'era sangue che fuoriusciva dalle sue labbra. John entrò in panico, pensando subito ad un polmone perforato; sentì la sua professionalità scomparire, semplicemente perchè quello era Sherlock, ed era terrorizzato di vedersi scivolare il miracolo dalle dita, finchè non realizzò che il sangue non proveniva dai polmoni. Era solo quello che già copriva il volto di Sherlock, che scorreva fin dentro la sua bocca e le sue narici; tutto ciò che doveva fare era tamponare la ferita. Semplice. Si sentì uno stupido per aver panicato.

 

La mente di John ritonò nella modalità professionale, e aprì il kit che il soldato che gli stava porgendo. Tirò fuori delle bende e le avvolse intorno alla testa dell'amico, ma si inzupparono immediatamente. Così prese altre garze per impedire al sangue di arrestare la respirazione di Sherlock. Era un'azione in buona fede, ma scatenò una reazione terribile.

 

Senza alcun avvertimento, Sherlock si scagliò contro il soldato inginocchiato accanto a lui, mandandolo a gambe all'aria; si alzò in un lampo e attaccò John, le sue mani attorno alla sua gola, in una stretta mortale.

 

John boccheggiò, preso di sopresa, e provò a protestare, ma dalla sua bocca non uscì che un suono soffocato. Si sentì strattonato e gettato all'indietro, sotto il peso del corpo di Sherlock, con le sue ginocchia che premevano dolorosamente contro di lui. Gli istinti di sopravvivenza di John presero il sopravvento, ma le sue braccia erano pesanti come piombo. La sua vista iniziò a divenire sfocata, e la sua mente iniziò a ronzare. Il suo ultimo, irrazionale pensiero fu, “Bene, niente ferite alla schiena... Speriamo non gli sparino.” Poi tutto divenne nero.

 

Riprese i sensi brontolando SherlockMarySherlock, e si risvegliò completamente in un istante. Non era rimasto svenuto per più di cinque secondi, e si rimise in piedi ancor prima di aver riacquistato del tutto la vista.

 

Sherlock se n'era andato.

 

Imprecando, corse giù dalla montagna di detriti e si rivolse al soldato più vicino, che per qualche ragione si stava medicando il naso rotto. “Dov'è?” urlò.

 

Il soldato lo fissò come se avesse appena parlato in cinese.

 

“L'uomo! L'uomo che è caduto!”

 

“Fuori,” ansimò, indicando un buco nella parete. “Andato. E' pazzo,” aggiunse, con una nota di rispetto nella voce.

 

John sbuffò, “Ci puoi scommettere,” realizzando solo in quell'istante che c'era un secondo soldato, svenuto a terra, e le armi di entrambi erano scomparse. Opera di Sherlock? Alzando un sopracciglio, mormorò, “Che hai intenzione di fare? Ora che hai smesso di giocare a Spock, inizi con 007?”

 

Si chiese velocemente se il suo nuovo stile includesse anche una donna...

 

John si lanciò fuori dalla centrale, ma appena uscito incespicò, incredulo.

 

“Sherlock... per favore, no, no...”

 

La scena che gli si parava di fronte era surreale: Sherlock era in piedi, circondato da soldati con le pistole puntate verso di lui. Sembrava ancora più alto alla luce delle torce, e, con la faccia coperta di sangue, aveva in tutto e per tutto l'aspetto di un terrorista. Era armato con un fucile, ma era abbastanza intelligente da tenerlo abbassato; però aveva in mano una granata, pronta a esplodere.

 

John si avvicinò lentamente ai militari, con le mani in alto in segno di difesa. “Sherlock, ascoltami,” incalzò, sforzandosi di sembrare calmo. Con l'adrenalina che scorreva a fiumi, era sufficiente una sola scintilla per far andare in panico entrambe le parti, e Sherlock rischiava di essere ucciso. A prima vista, sembrava che avesse intenzione di lanciare la granata. “Sherlock,” ripetè, “i soldati sono uomini di Mycroft. Non sono tuoi nemici. Abbassa le armi.”

 

“Signore,” lo interruppe un soldato.

 

“No, mi conosce, lasciatemi parlare con lui,” disse. L'uomo fece un passo indietro. John si leccò le labbra ansiosamente, preparandosi attentamente le parole da dire prima di parlare. “Sherlock, quello che stai facendo è assolutamente irrazionale. Sei ferito, pochi minuti fa eri privo di sensi, e stai agendo d'istinto.” Si rese conto con paura crescente che Sherlock non dava alcun segno di averlo riconosciuto. “Sherlock,” ritentò, con voce tremante, “tutto ciò non ha senso. Le tue azioni sono illogiche.” Deglutì nervosamente, sforzandosi di trovare un modo per fare breccia nella sua corazza di indifferenza.

 

Disperato, cambiò strategia. “Sherlock, ti stai comportando come un maledetto idiota, per l'amor di Dio!”

 

Il detective, coperto di sangue, dapprima aggrottò le sopracciglia, poi si accigliò.

 

“Ha ragione, dottor Watson,” affermò una voce irritantemente familiare, “e devo ammettere che è rassicurante sapere che almeno una persona qui è sana di mente. Mio fratello, chiaramente, non lo è.”

 

John gemette: Mycroft.

 

Sherlock girò la testa in direzione del fratello. “Mycroft,” disse lamentosamente, “voglio andare dietro a Moran!”

 

“Lo so,” ribattè serenamente Mycroft. “Per questo ho ordinato loro di trattenerti.”

 

Sherlock reagì all'informazione con un ruggito. “Lasciami. Andare. Ora!”

 

“No.” Mycroft si fece strada con calma tra i soldati e si fermò di fronte al fratello, solo pochi centimetri a separarlo dall'imponente figura. John venne colpito da quanto poco avessero in comune: il maggiore era lo stereotipo del raffinato gentiluomo inglese, mentre il minore sembrava una creatura selvaggia fuggita dalla giungla.

 

“Voglio andare dietro a Moran,” sibilò Sherlock. “Te lo stai lasciando sfuggire!” C'era così tanto odio nella sua voce che John trasalì.

 

“E non c'è niente che tu possa fare a riguardo.” Mycroft cercò di far abbassare lo sguardo al fratello, ma questo non vacillò. “Per l'amor del Cielo, Sherlock, riusciresti solo a farti ammazzare!” Scattò, sporgendosi in avanti con impazienza. “Prenderemo Moran, ma non oggi.”

 

“Per allora ci avrà portato alla distruzione!” disse esasperato il consulente detective.

 

Mycroft sospirò. “Non pensi di aver causato abbastanza problemi per oggi? Grazie a te, molti diplomatici sono stati sballottati qua e là ben bene. Già organizzare quell'organizzazione militare per farti scappare dalla Russia è stato difficile, ma correre in giro con abbastanza esplosivi da far saltare in aria Downing Street ha irritato molte persone, credimi, caro fratello!”

 

“Necessario,” ringhiò Sherlock. “Dal momento che la tua gente si è dimostrata totalmente incapace di proteggere John, mi sono dovuto arrangiare da solo!”

 

“E per farlo dovevi proprio penetrare in un deposito di armi ad alta sicurezza? Ma mantenere un basso profilo finchè i miei uomini non fossero arrivati non era abbastanza drammatico, vero, Sherlock? Dovevi far esplodere una bomba!”

 

“Dovevo distrarre Moran,” rispose aggressivamente Sherlock. “Cosa suggerivi di fare? Tirargli addosso delle patate?”

 

Mycroft sbuffò con rabbia, stringendo le mani attorno al manico dell'ombrello. “Non puoi andartene in giro a far saltare cose in aria come se niente fosse, per l'amor di Dio! Che cosa dovrei dire adesso alla stampa? Che qualcuno ha lanciato un mozzicone di sigaretta facendo esplodere la Battersea Power Station?”

 

Sherlock si irrigidì. “Stai esagerando. Battersea è ancora in piedi; inoltre, recentemente ho fatto esplodere moltissime cose, ma nessuno se n'è mai curato. Uno dei vantaggi di essere morto, suppongo.”

 

“Era in altri paesi!” scoppiò Mycroft. “Questa è Londra!”

 

“Mi sento già il benvenuto.” Sherlock strinse i pugni, quasi dimenticandosi di avere una granata in mano; un mormorio nervoso si diffuse tra i soldati.

 

John li fissava inebetito, senza capire la metà di quello che dicevano, sentendosi il terzo incomodo tra i due fratelli. Era una sensazione tristemente familiare. “In realtà, Mycroft,” puntualizzò, “sono piuttosto felice delle patate di Sherlock. Senza di loro, sarei morto. Ora, se volete scusarmi, devo andare a prendermi cura di mia moglie.”

 

“Perchè?” La voce di Sherlock. Confusa, quasi petulante.

 

John si immobilizzò, strizzando gli occhi. Si irrigidì e si girò verso l'amico. “Perchè l'hai quasi uccisa, Sherlock.”

 

Qualcosa attraversò gli occhi del detective, come se un'orribile consapevolezza lo avesse colpito, ma il suo sguardo tornò gelido in un secondo e John non sapeva se se lo fosse solo immaginato.

 

“Mi hai puntato una pistola contro,” affermò Sherlock, senza emozione.

 

John si agitò, a disagio, e abbassò lo sguardo. Alzando gli occhi, incontrò il volto imperscrutabile di Sherlock. “Era l'unico modo per fermarti. Non mi ascoltavi. E l'avresti uccisa. Davanti a me.” A bassa voce, aggiunse. “Ma non avrei mai premuto il grilletto. Mai.”

 

“E come saresti riuscito a evitare che strangolassi tua moglie?” Gli chiese l'amico, freddo come il ghiaccio, provocandolo deliberatamente.

 

John si accigliò, ma poi scrollò le spalle. “Colpendoti alla testa, razza di idiota.” E con questo se ne andò, pensando E' il peggior miracolo di sempre.

 

  
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