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Autore: sleepingwithghosts    20/01/2014    4 recensioni
(...) mi ripetete come, di preciso, riusciremo a scovare Jared, Shannon e Tomo?»
Una malsana idea nata subito dopo aver visto Artifact. Tre amiche che partono alla ricerca dei loro eroi, prendendo un volo last minute per Los Angeles e che finiranno per mangiare tante ciambelle, questo è sicuro. Ma li incontreranno? Ci riusciranno davvero? Che l'avventura abbia inizio.
Genere: Comico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jared Leto, Nuovo personaggio, Shannon Leto, Tomo Miličević, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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«Io non vorrei dirvelo, ma siamo senza un centesimo», esordisco, il portafoglio vuoto fra le mani.

«Siamo senza soldi perché dovevamo rimanere due settimane al massimo e invece abbiamo già prolungato di dieci giorni. Che cosa ci dice il cervello?», chiede Frances.

«Il cervello ci dice che siamo diventate delle assidue frequentatrici di casa Leto e giustamente tornare a casa e affrontare la vita fa schifo», risponde ovvia Rain.

Mi butto di peso sul letto. «Io non ci voglio tornare alla vita reale», piagnucolo. Mi alzo sostenendomi con un gomito. «Non ci voglio tornare».

«La parola università vi fa accapponare la pelle come a me, vedo», dice Frances.

«Sempre detto che i corpi morti non erano una bella cosa da studiare».

«Deborah», mi apostrofa.

Mi alzo su un gomito per guardarla in faccia. «Devi accettare il fatto che prima o poi vedrai dei cadaveri, e in quel momento, oh come mi penserai in quel momento».

Fa un grosso sospiro. «Possiamo tornare a pensare a questioni più importanti, per favore?». Mi stringo nelle spalle. «Dobbiamo tornare a casa. Li abbiamo incontrati infine, ci siamo riuscite».

«Io ho ancora troppe cose da dire loro», dico, e mentre lo faccio so che è vero. Ho bisogno di sentirmi dire da Jared che un giorno riuscirò a scriverlo, il romanzo perfetto che ho in testa, ho bisogno di dirgli deve sposarsi e procreare perché non può lasciare che la perfezione dei suoi geni venga sprecata in questo modo, ho bisogno di far ridere Tomo per sentire ancora una volta la sua bellissima risata nelle orecchie, ho bisogno di dire a Shannon quanto sia brutto il suo pigiama a righe marroni, e continuare a prenderlo in giro e punzecchiarlo.

«Siamo Mars dipendenti», conclude Rain.

«Cristo», esclama Frances buttandosi affianco a me. «Cristo sì».

«Facendo due calcoli possiamo rimanere qui un’altra settimana e riuscire a sistemarci comunque prima dell’inizio delle lezioni», rifletto. «Non più di una settimana, però. Poi dobbiamo andarcene. O cambiare il nostro futuro rimanendo a Los Angeles per sempre».

«A fare che?», domanda Frances.

«Non so. Le barbone, visto che siamo senza un soldo?»

«Possiamo trovare un lavoro», dice Rain.

«E stare a Los Angeles per sempre?». Davanti agli occhi prende forma la mia vita: io che la mattina mi sveglio, i piedi doloranti, mi faccio una doccia, mangio dei cereali che hanno preso aria e quindi sono diventati molli, mi faccio strada fra le cianfrusaglie che trovo sul pavimento, esco di casa e vado al lavoro; lavoro in un ristorante e anche Frances e Rain, ma loro hanno il turno diverso del mio, per cui sono a casa a dormire (ho cercato infatti di fare meno rumore possibile, per non svegliarle), lavo bicchieri, piatti, pentole, le mani mi diventano molle, servo i clienti in sala e la camicia bianca mi fa stare scomoda per ore. So quello che si prova perché ho già fatto quel lavoro, lo abbiamo tutte e tre già fatto, e sebbene guadagnare dei soldi sia davvero gratificante, so che non è quello che mi aspetto da me stessa. Io voglio di più. Io posso fare di più. Tutte noi possiamo. Sospiro e scuoto la testa. «Io la cameriera per il resto della mia vita non voglio farla. Ho sudato per entrare in quell’università», concludo. «Come anche voi».

Rimaniamo in silenzio per un po’, a pensare ognuno alla propria vita, alle responsabilità, ai sogni, alle scelte, alle possibilità, al futuro. «Una settimana possiamo ancora permettercela. Poi torniamo a casa», conclude Frances. «Ci state?»

Non ho bisogno di pensare molto prima di dire «Ci sto. Anche perché non ho ancora raccontato a Jared perché l’assassino nel mio libro sia il personaggio più bello di sempre».

«Anche perché Tomo non mi ha ancora detto qual è il segreto per trovare l’amore della mia vita», esclama Rain.

«Anche perché il ginocchio di Shannon non è ancora guarito e potrebbe aver bisogno di me», dice Frances. «È  deciso allora». Io e Rain annuiamo, ed è in quel momento che un telefono comincia a suonare. La suoneria è Night of the hunter, quindi deduco che sia il mio. Di slancio mi alzo dal letto e seguo il suono con le orecchie per cercare di indovinare la posizione esatta del telefono, che trovo dopo qualche squillo sotto una pila infinita di vestiti. Mi dimentico di guardare lo schermo, e rispondo. «Pronto?»

«Deborah, is that you?». Stacco il telefono dall’orecchio e il nome Tomo è impresso sullo schermo.

«Yes, it’s me. Are you okay? It’s everything okay?».

«Shannon stamattina deve andare a fare quegli esami per il ginocchio, e vuole che Frances vada con lui perché dice che ne capisce di più di tutti noi messi insieme, ma lei continua a non rispondergli al telef…». Sento del trambusto dall’altra parte della cornetta e mi corruccio. «È stata rapita dagli alieni? Le hanno di nuovo rubato il cellulare?».

«Shannon?», riconosco la voce. «Che cosa diavolo stai blaterando?». Metto il vivavoce in modo che anche Rain e Frances, che si stringono attorno al telefono, possano sentire.

Lo sento sospirare. «Per favore, per favore», abbassa la voce, «potete venire qui?»

«Quando?»

«Adesso. E con delle ciambelle».

«Ciambelle?». Sono sempre più confusa.

«Devono far placare l’ira di Jared».

«Perché  Jared è arrabbiato?»

Sento il suo respiro che si strozza, come se da un momento all’altro stesse per scoppiare a ridere (o morire, ma l’opzione rantolo di morte la escludo visto che fino a un secondo fa mi stava parlando in modo abbastanza lucido) «È arrabbiato con me».

«Shannon, che hai combinato?», chiede Frances.

«Gli ho fatto notare che aveva un capello bianco. Aveva un capello bianco, gliel’ho detto e lui si è messo ad urlare come un ossesso dicendomi che era impossibile, che lui non è vecchio».

«Dov’è adesso?». Modulo la frase cercando di trattenere una risata. Credo di essere rossa in faccia per lo sforzo.

«In camera sua. Immagino sia davanti allo specchio a controllarsi capello per capello, ho provato a bussare ma non risponde, e a Tomo ha detto di andarsene al diavolo, lui possessore di un così bel colore di capelli».

«Arriviamo tra massimo mezz’ora con le ciambelle», dico, e attacco senza aspettare una risposta perché non ce la faccio più: scoppio a ridere così tanto che dopo alcuni minuti comincia a farmi male la pancia, seguita a ruota da Francis e Rain. Quando finalmente riusciamo a calmarci, a smettere di lacrimare e emettere strani rumori da trichechi in soffocamento, mi alzo dal letto. «Che la missione Benjamin Button abbia inizio: destinazione Il Mondo della ciambella».

 

Rain allunga una mano e bussa alla porta. «Il primo capello bianco di Jared: mi sento quasi onorata di

assistere ad un tale avvenimento. Per quanto possiamo andare avanti a sfotterlo, secondo voi?»

«Basta per tutta una vita», ridacchia Francis.

Tomo apre la porta e con una mano, da bravo gentiluomo, prende il vassoio con le ciambelle che reggevo io. «Grazie al cielo. Non potete capire, sembra sia scoppiata la terza guerra mondiale qui dentro. Avete presente quando due stati sono alleati, ma poi inizia la guerra e uno va contro l’altro lo stesso? Ecco. Qui c’è una faida tra fratelli e io non so come risolverla».

«Non sono ancora ricorsi alle armi, vero?», mi accerto. Quel discorso sulla guerra mi ha fatto un po’ preoccupare.

«Per ora c’è stata una specie di lotta con i cuscini, finita con la rovinosa caduta di Shannon sul divano, dato che li ginocchio non regge ancora bene tutto il suo peso», spiega lui.

«Dov’è adesso?», chiede Rain guardandosi intorno. «Sappiamo che la diva è chiusa in camera e non fa entrare nessuno».

Tomo scuote la testa. «Nemmeno me, ci credete? Comunque Shannon è seduto fuori camera di lui, non so bene a fare cosa. L’ultima volta che ho controllato stava sbattendo la testa contro il muro chiedendosi che cosa avesse fatto di male a meritarsi un fratello del genere».

Guardo le mie amiche, prendo possesso di nuovo delle ciambelle e a passo spedito comincio a salire le scale. Troviamo Shannon che al nostro arrivo si illumina. Fa per parlare ma lo zittisco, poi  busso alla porta di Jared. «Jared, sono Deborah, mi puoi per favore aprire? Ho una sorpresa per te. Abbiamo una sorpresa per te, con me ci sono anche Rain e Francis». Ci provo: se è un bambino bisogna trattarlo come tale e come fare se non ricattarlo con un regalo?

Niente, nessuna risposta. Ci riprovo. «Stai veramente lasciando queste povere ciambelle finire nella pancia del tuo perfido fratello? Perché è la fine che faranno se non aprirai questa dannata porta». Tratteniamo il respiro mentre i secondi passano, ed è proprio quando sto per cedere la parola a una delle mie amiche che si sentono dei rumori provenire dal’interno della stanza: un tonfo, un lamento, una sedia trascinata. Poi si sente la serratura della porta schioccare e Jared mette fuori la testa.

«Ciao Jared, come stai?», chiede Rain, prudente.

Lui ci squadra. Si sta chiedendo se si può fidare di noi, si sta chiedendo da che parte stiamo. Da che parte stiamo? Non lo so nemmeno io, in questo momento. Certo, stiamo facendo questa assurda scenetta per Shannon, ma posso capire il dramma di Jared: il primo capello bianco è la porta al primo pannolone, al primo dente caduto, alle prime rughe intono agli occhi… rabbrividisco. Povera piccola diva. «È la verità, vero?», chiede lui, un tono che si contiene ma che ha tutto del lamentoso.

«Che cosa?», domanda Francis cauta.

«Ho i capelli bianchi».

«Shannon ha detto che ne avevi solo uno, non facciamo di tutta l’erba un fascio», dico io.

Errore. Mi fissa, gli occhi più o meno iniettati di sangue. «È Shannon che vi ha mandato qui? Dite pure a quel nano malefico che io con lui non ci parlo».

Sbuffo, spazientita. «Siete due bambini. Tieni, queste sono ciambelle per te, mangiale, ingrassa come tutti i comuni mortali e poi esci da quella maledetta stanza. Quando ti sarai deciso a fare l’uomo – ebbene sì, Jared, hai quarantadue anni, ti avvicini ai quarantatre, è una cosa normale, è una cosa che si chiama vita – noi saremmo giù in cucina ad aspettarti con un sorriso rassicurandoti che sei ancora un figo da paura, anche se un capello bianco ha osato spuntarti in testa», dico tutto d’un fiato, concludendo la scenetta ficcandogli la scatola di ciambelle in mano e voltandomi per scendere le scale.

«Aspettate!», esclama, costringendoci a voltarci. «Quindi pensate ancora che io sia molto bello?», domanda lui.

Alzo gli occhi al cielo. Da quando ha bisogno di una dose di autostima? «Bellissimo», confermo.

«Anche se sto invecchiando e potrei avere i capelli bianchi molto presto», appare dubbioso.

«Esistono le tinte per capelli. Guarda Deborah, ce li ha fucsia, io ce li ho rossi, Francis biondo platino. Siamo tutte tinte, puoi farle anche tu, in caso ti servisse», lo rassicura Rain.

«Jared», dice Francis, faccendoni voltare tutti dalla sua parte. «Lo so che questo è un duro colpo per te – dopo aver interpretato Rayon poi, sei diventato una specie di checca isterica, devi ammetterlo, quella donna ti ha un po’ divorato il cervello, in senso buono, io la amo – ma se ti rassicura, e parlo a nome di loro due», indica me e Rain, «e di tutte le echelon del mondo, ho ancora voglia di scoparti sopra ogni superficie piana e non di questa casa».

Jared sfoggia un sorriso luminoso. «Ogni superficie?».

«Ogni superficie», rispondiamo in coro.

Lui scoppia in una risata cristallina e comincia a scartare le ciambelle, per poi bloccarsi quando sente la voce di Shannon dire: «Quindi sono perdonato?»

Lo fissa per qualche istante e poi mette su un sorrisino. «Tu sei più vecchio di me».

«Quale scoperta».

«Quindi i capelli bianchi ce li avrai presto anche tu e io sarò così gentile da fartelo notare ogni giorno fino a che non te li strapperai uno a uno», dice, il tono che sembra una minaccia.

Shannon alza le mani in segno di resa. «Come vuoi fratello. Ora dammi una ciambella».

«Deborah ha detto che sono per me».

«Sii generoso».

«Sono una egoista bastardo, ricordi?»

«Una sola, quella più piccola e con meno glassa», dice Shannon, il tono lamentoso e il labbro inferiore che quasi sporge.

Non ce la posso fare, davvero. Guardo Rain e Francis e le trovo allibite quanto me. «Cari miei, voi avete qualche serio problema. In questo momento provo molta pena per Tomo, colui che si merita quelle ciambelle per riuscire a sopportarvi tutti i santi giorni», dice la bionda, strappando la scatola con i dolciumi dalle mani di Jared e correndo giù dalle scale a suon di «Tomo, Tomo dove sei?»

«Le mie ciambelle», esala Jared, le braccia ancora in avanti, il peso del furto appena subito stampato in faccia. Si volta verso il fratello, la cui espressione è specchio della sua.

«Vi ha appena risparmiato di diventare grassi, oltre che vecchio, dovreste esserne felici», ridacchia Rain dandogli dei colpetti sulla spalla. Rido anche io e scendo le scale per addentare una meritata parte di paradiso con la glassa al cioccolato sopra, ma, quando siamo a metà della prima rampa, capiamo che dobbiamo darcela a gambe prima di essere uccise, perché sentiamo urlare «Io non sono vecchio!» e rabbrividisco, perché ad urlarlo non è stato solo Jared, ma anche Shannon.

Vedo Tomo davanti a me, la focaccina sospesa a mezz’aria e il terrore in volto. «Avete appena creato un arma di distruzione di massa, due fratelli uniti nello stesso fronte».

«To the left, to the right…», canticchia con la voce malferma Francis.

Tomo annuisce. «This is war. E ora come ora non so chi ne uscirà vivo».

 

 

 

Non ho mai scritto una cosa più demenziale di questa in vita mia, me per qualche strana ragione la pazzia e la ilarità si sono prese possesso di me da sabato mattino. Sospetto a causa delle due verifiche di matematica che dovrò affrontare la settimana prossima e la simulazione di terza prova che incombe su di me in meno di un mese. E poi, sul serio, quanti premi sta vincendo Jared? Io non sapevo nemmeno esistessero tutti quei premi prima che lui li vincesse tutti. Sto passando le notte sveglie per guardarmi in streaming red carpet di tutti i tipi, e ho più occhiaie io di un morto, ma ne vale la pena.

Ah, ho voluto inserire Rayon in questo capitolo perché, come spero abbiate capito, la storia è ambientata nel futuro, nell’estate 2014, più o meno ad agosto. Probabilmente non si saranno ancora fermati con il tour, ma quando ho iniziato a scrivere questa storia pensavo l’avessero finito da un pezzo, e invece continuano a inserire nuove date. Essendo che Dallas Buyers Club è già uscito – dieci esatti giorni da oggi e lo vedrò al cinema, non sto più nella pelle – mi sembrava carino inserirlo nel capitolo per sostenere la mia tesi che Jared non è altro che una diva. Non che in realtà ce ne sia bisogno.

Detto questo, grazie a tutte quelle che leggono, recensiscono, preferiscono, mi mandano messaggi eccetera, siete adorabili. Un abbraccio, Deb.

  
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