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Autore: Cilyan    20/01/2014    0 recensioni
Gli piaceva fermarsi su quei piccoli dettagli, sul sapore delle conchiglie, un piccolo pesce rosso imbalsamato sulla parete e quelle bretelle così poco da marinaio appese alla stampella sopra la finestra.
Gli piaceva soffermarsi poi sul piccolo modellino in legno del castello di sabbia.
Sembrava sabbia vera, eppure era solo misero e super curato legno intagliato e dipinto a mano.
Lo aveva intagliato suo nonno, lo aveva dipinto sua nonna.
A quarant’anni di vita buttati davanti alla pesca notturna, Harry Styles era sicuro che senza i suoi nonni non sarebbe stato nulla.
(Contenuti slash appena accennati)
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: Nonsense, OOC | Avvertimenti: nessuno
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    Harry e i suoi castelli di sabbia.


Harry aveva sempre pensato che farsi  castelli in aria fosse la sua vocazione personale.

Insomma non aveva altre qualità se non quella di cadere e far cadere le cose, nessuna qualità se non quella che lo faceva sentire un tanticchio migliore ogni tanto.

Qualche giorno, pensava ancora, si sarebbe fermato a pattinare lungo il ponte più lungo della sua città, avrebbe visto il ghiaccio dei suoi pensieri sciogliersi e finalmente avrebbe potuto creare sabbia da ghiaggio e poi di nuovo ghiaccio da sabbia.
Avrebbe vissuto sotto quel ponte ormai fatto di aria, ormai fluttuante, in una mega casa ripiena di ciottoli, avrebbe dormito su un letto di paglia marina e poi sarebbe andato a pescare con i pesci, tra i pesci, dei pesci.

Insomma sarebbe stato predatore sovrano dei predatori, debole sovrano dei deboli.

Sarebbe stato invitato una volta alla settimana a cena dalla regina Elisabetta in persona e le avrebbe portato la sua cacciagione fresca, certo questo se solo avesse posseduto una bellissima canna da pesca magica.

Gli stavano antipatiche le bacchette.

Troppo mainstream, troppo finte, troppo usate.

Lui amava il mare, portarsi dietro quel lungo uncino con tanto di vermiciattolo ancora vivo che stramazzava sotto le sue dita delicate, per poi sedersi quieto, un libro tra le dita lunghe ed affusolate e la vita leggera cinta da un giubottino pesante e sempre rigorosamente dal colore perla che si confondeva tra le pietre bianche su cui l’asciugamano, rosa, poggiava.

E così, mentre leggeva volava con la fantasia, nei suoi mondi, su quel ponte scivoloso, sotto quel ponte scivoloso, nella sua casetta di ciottolini bianchi, nella sua cameretta di alghe di mare, nei suoi pensieri.

Harry era sempre stato fatto per i sogni, per quelle ville fatte di vita così piene il sabato sera, così vuote il resto della settimana, ma così vuote che le parole finivano per confondersi in un eco infinito tra le varie stanze.

Harry era uno di quelli che alla sera andava a letto alle nove e alla mattina di svegliava, pigrone, alle dodici, solo per pranzare, perché alla mezzanotte si sarebbe fermato al porto, con la sua canna da pesca che il sabato si distendeva davanti alla distesa marina, che in settimana era semplicemente profuga di una cittadina lontana e desolata.

Non aveva nome la sua città.

Gli piaceva girarla al pomeriggio, con quella raccapricciante lucina con la quale avrebbe illuminato la sua pesca dalla mezzanotte all’una.

Beh, sì, Harry era un tipo strambo, fatto di propri come e propri perché, uno nato e vissuto a modo suo, che viveva da solo già da quando aveva solo quindici anni, mentre il nonno gli mandava le provvigioni settimanali e la nonna andava a fargli le pulizie alla domenica e poi, poi si fermava a chiacchierare con lui, ad osservarlo disegnare i pesci che tanto amava e a vederlo svanire giorno per giorno nel corpo, sempre più magro, sempre più trascurato.

Per Harry non esisteva spazio.

Non esisteva tempo e forse non esisteva neanche lui.

Mangiava solo al mattino quando si alzava a mezzogiorno.

Mangiava quattro pesci alla griglia ed un po’ di verdura cotta al vapore che il nonno, grande cuoco, gli mandava già cotta, poche volte da cuocere.

Per il resto, per il resto preferiva guardare quelle meraviglie marine ergersi dalle rive e allora pensava che forse, se avesse avuto davvero una canna magica, li avrebbe fatti abitare in uno di quei magnifici castelli di sabbia che tanto amava.

Il mare sarebbe diventato aria, così che avrebbero potuto respirare e gli uomini avrebbero dovuto usare una scala per andare a pescar.

Il cielo sarebbe divenuto così il pavimento che avrebbe fatto a botte con la terra e tutti avrebbero potuto vedere e toccare le nuvole da vicino, parlare a tu per tu con le stelle e crogiolarsi nel loro brodo di giuggiole, non cantando ad un amore poi così lontano, ma solo a pace e quiete vicine.

Dialogare  col mondo galattico per Harry non sarebbe mai stato così semplice come nel momento in cui il mare avrebbe preso il posto del cielo, ma sapeva in cuor suo che sarebbe servito uno shakerato fin troppo grande per creare un miscuglio simile e allora lasciava semplicemente il tutto al suo caldo inganno.

E si perdeva nelle sue fantasie, giorno e notte, finchè alle due, tornato a casa, si accasciava stanco sul letto.

E sorrideva con quelle sue occhiaie umide che gli costeggiavano la pelle chiara.

La sua stanza, la osservava ogni sera, era un miscuglio del suo mare.

Gli piaceva fermarsi su quei piccoli dettagli, sul sapore delle conchiglie, un piccolo pesce rosso imbalsamato sulla parete e quelle bretelle così poco da marinaio appese alla stampella sopra la finestra.

Gli piaceva soffermarsi poi sul piccolo modellino in legno del castello di sabbia.

Sembrava sabbia vera, eppure era solo misero e super curato legno intagliato e dipinto a mano.

Lo aveva intagliato suo nonno, lo aveva dipinto sua nonna.

A quarant’anni di vita buttati davanti alla pesca notturna, Harry Styles era sicuro che senza i suoi nonni non sarebbe stato nulla.

Una volta l’anno si recavano insieme in montagna, in quel paesino dal nome impronunciabile,sepolto lì tra quelle montagne che non sapevano poi così tanto dei suoi favolosi castelli come ne sapeva il mare, ma che erano candida neve, piste da sci e qualche ragazzina che gli si avvicinava di rado per parlare con lui.

Harry Styles, però, faceva paura alle persone, nessuno capiva la sua indole amorevole verso il mare, il suo intagliarsi di spazi infiniti in cui tuffare la sua fantasia, nessuno aveva capito quanto fosse importante vincere nella sua mente regalandogli un magnifico castello di sabbia.

Nessuno capiva quel batticuore che gli saliva su per la gola quando il cuore gli si fermava sull’immagine di un nuovo gioiellino in sabbia, con porte finestre che addirittura erano scorrevoli, con letti a baldacchino i cui fronzoli addirittura si muovevano, con gas di sabbia che riscaldava davvero.

Solo un giovane, nativo di quel paesino sconosciuto, sembrava aver compreso quanto fosse bella e poco gelida la fantasia di Harry Styles.

I capelli gli ricadevano lisci sul volto.

Erano castani e contornavano dei bellissimi oceani in cui il piccolo, riccio, alto, dall’aria ancora di un ventenne, Styles, si soffermava ogni volta pensando magari di poterci costruire anche lì qualcosa, ma quel qualcosa non arrivava mai e non riusciva ad intagliare della sua sabbia quegli occhi soli che sembravano capirlo.

Gli occhi di Louis Tomlinson sapevano così tanto di oceano che forse sarebbero potuti cominciare a volare assieme ai pesci nella mente di Harry, eppure continuavano a rimanere ben radicati a terra.

Forse erano quel ponte sul quale tanto avrebbe voluto pattinare, un ponte che piano piano franava nel pensiero che la vita invecchiava.

Un ponte che si soffermava a volte sul ciglio di una strada ed ammirava quello che l’uomo aveva costruito, creato, distrutto,quello che spostava.

Louis Tomlinson era quell’oceano ghiacciato sul quale Harry poteva pattinare indisturbato, ma nonostante tutto era chiuso da un lucchetto e sembrava essere impossibile penetrarlo ed entrarci dentro.

Louis Tomlinson era come quella fortezza di legno che il piccolo Harry teneva rintanata nella sua camera.

Aveva maniglie in ottone come pensieri e piccoli gingilli in oro alle orecchie, proprio come le finestre laccate della piccola struttura.

Già, Louis Tomlinson non poteva essere altri se non quello che Harry Styles ricercava nel suo castello perfetto, eppure ancora non ne aveva la chiave.

Ricordava la prima volta in cui lo aveva salutato con un timido “ciao”.

Ogni volta si soffermava sul mare in cui cominciava inspiegabilmente a pescare e perdendosi, si perdeva anche la risposta per poi ritrovarsi con un subdolo “scusa, devo andare” tra le mani e finire per intrecciare i piedi timidi tra di loro, pensando di aver sbagliato, come con gli altri, ogni cosa.

Eppure riusciva sempre ad incontrarlo e lui non lo evitava, anzi.

Harry ricordava ancora la prima volta in cui con un sorriso lo aveva azzittito.

Quel giorno aveva deciso di portare la sua canna da pesca a prendere un po’ d’aria tra la neve.

I suoi nonni erano al caldo nel focolaio della piccola casetta che ormai da tempo avevano affittato per le vacanze di Natale e l’aria sembrava davvero pesante quella mattina, così tanto da far pensare ad Harry che prima o poi sarebbe caduta una valanga intera di neve sulla sua povera testa.

Invece l’unica cosa, proprio nel momento in cui stava per rientrare, che gli era caduta addosso era Louis, con quel suo raggiante campo di ossa perfetto tra i denti e quell’abbagliante mare tra gli occhi.

Quella mattina il cielo era così cupo fuori, ma Harry era sicuro che non avrebbe mai più visto qualcosa del genere brillare.

E quello, beh quello fu l’inizio dei giochi.

E così, gli anni passavano e con loro passava anche l'età, il desiderio, le rughe che si appiattivano sempre di più sul volto e l'amore sempre sfuggito e mai incontrato.

Così gli anni passavano ed Harry si soffermava sempre di più sui suoi "ciao" lasciati a campare per aria ogni santissimo anno nell'attesa che diventassero qualcosa di più definito e nuovo.

Gli anni passavano e anche le figure cominciavano a passare con esse.

Eppure ci potevano essere  quell'anno dopo e quell’anno dopo ancora in cui, benché quelle ossa cominciassero ormai a cadere a pezzi, Harry non la smetteva mai di trovare  comunque quel sorriso così splendido.

Nell'arco di tempo in cui aveva passato dai suoi appena quarant'anni, ai suoi ormai assestati ottanta, infatti, non aveva mai smesso di sperare che rimanesse sempre intatto e ancora e ancora e ancora, finchè qualche pala non vi avrebbe scavato dentro il suo nome, il suo nome che ne agognava il posto ancora e ancora.

Ed era ormai arrivato ad ottant’anni, solo e senza i suoi nonni.

Solo e senza poter più pescare perché le braccia erano deboli e la sua canna da pesca non riusciva a reggere il confronto nemmeno con un misero verme.

Erano passati tanti anni, eppure l’unica cosa che non era cambiata era la voglia di Harry Styles di vivere in un castello di sabbia che fluttuava nell’aria.

E forse finalmente c’era riuscito.

Certo non era da tutti dare il primo bacio ad ottant’anni, ma in quel momento, nel momento in cui per l’ennesima volta gli disse “ciao”, Louis lo vide illuminarsi e finalmente la chiave per il suo castello aprì il lucchetto tanto agognato.

Harry aveva sempre pensato che farsi  castelli in aria fosse la sua vocazione personale ed ora con quella sedia a dondolo che si muoveva tra le costole, pungendole, forse aveva capito quanto avesse agognato e vissuto a pieno con i suoi castelli di sabbia.

Harry aveva sempre pensato che farsi castelli in aria fosse la sua vera vocazione personale, così, quando chiuse gli occhi quella mattina,una lacrima gli scivolò il viso, mentre volava per quel suo immenso e amato mare.

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Buona sera ragazzi.

Ho scritto questa os tutta di un fiato in un pomeriggio intero.

Spero possa piacere a qualcuno  e che possa darmi la sua opinione al riguardo o, in caso contrario, non piacere e dirmi cosa ci sia che non vada ( tipo il testo incomprensibile e cose del genere), così che io possa migliorarmi, perchè ne ho davvero tanta voglia.

Vi voglio bene.

Un bacione.

Vostra Cilyan.

  
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