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Autore: HamletRedDiablo    20/01/2014    7 recensioni
L’equilibrio della Confederazione Siderale era garantito da tempi immemori dall’Asse, il primogenito della famiglia Vaticana Vargas; l’Asse era il cardine su cui ruotava tutto l’universo conosciuto.
Ma due gemelli avrebbero fatto precipitare anche il cielo, pur di ricongiungersi con il consanguineo.
«Saresti davvero disposto a tradire la tua famiglia?»
«Voglio liberare mio fratello dal Palazzo. Non mi importa del resto.»
«E faresti qualunque cosa?»
«Qualunque cosa.»
Una mano abbronzata sventolò sotto il suo naso, in una precisa offerta.
«Sei pronto a unirti alla mia ciurma?»

Coppie: GerIta, Spamano, RoChu, PruCan (altre si uniranno in seguito)
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Germania/Ludwig, Nord Italia/Feliciano Vargas, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Capitolo Sedici: l’orfano

 

Il sole era infagottato in un banco di nubi, e l’aria era più fredda del previsto.

La giornata ideale per un’esecuzione.

Kiku, che a quel tempo aveva tredici anni, lottò inutilmente contro le corde grezze che gli stringevano i polsi. Prese un profondo respiro e stese la schiena contro il palo cui era stato legato. Non aveva davvero intenzione di liberarsi, ma l’istinto di sopravvivenza era difficile da sopprimere.

Stava facendo la cosa giusta, lo sapeva.

Chiuse le palpebre sugli occhi di pece, immaginando come gli Shinigami avrebbero potuto giudicarlo, una volta attraversato lo Stige.

Era stato abbandonato, quando era piccolo. Forse proveniva da una famiglia troppo povera, che non poteva permettersi una nuova bocca da sfamare, oppure era un figlio indesiderato, magari nato da una relazione clandestina. Non lo aveva mai saputo: non avevano lasciato niente su di lui, a parte uno straccio raffazzonato.

Era stato accolto dall’orfanotrofio della zona, che aveva fatto in modo che i ricordi più vividi della sua infanzia fossero il lavoro nei campi e nelle risaie. Non c’erano molti altri impieghi, per i bambini non desiderati. Molti di loro morivano, sfiancati dalla fatica o dalla malnutrizione, e non c’era nessuno che sprecasse una lacrima in loro ricordo: i figli scordati dai genitori perdevano il loro diritto di essere persone e diventavano oggetti da sfruttare finché non andavano in pezzi.

Non si era mai lamentato delle lunghe giornate passate a raccogliere riso e zappare la terra: alcuni di loro erano stati venduti alle miniere, dove erano richiesti dei “piccoli animali da sguinzagliare nei cunicoli più stretti”. Aveva sentito delle storie da brivido sugli spettri dei bambini morti in quegli anfratti, e ogni sera ringraziava gli dei per averlo assegnato ai campi.

Tuttavia, nemmeno la vita dei piccoli agricoltori era facile: dovevano svegliarsi quando il sole ancora dormiva per recarsi nei poderi, trascinandosi dietro gli attrezzi più grandi di loro. Seguiva una giornata all’insegna del sudore e della fame, perché le razioni del pasto erano molto scarse: il raccolto veniva venduto al mercato dai loro tutori, che non avevano alcuna intenzione di spendere una moneta di troppo per la loro nutrizione. In fondo, in pochi anni il lavoro massacrante li avrebbe condotti alla fossa comune, e sarebbe stato uno spreco farli ingrassare nel frattempo.

Non si era mai lamentato, nemmeno una volta, non aveva mai pianto, anche se avrebbe avuto tanti motivi quante erano le stelle in cielo; sperava che il suo spirito di sopportazione avrebbe avuto qualche valore, agli occhi degli dei.

Aveva trovato modo di svagarsi, perfino all’orfanotrofio. Gli bastava trovare un ramoscello nel giardino e poteva immaginare di avere in mano una katana raffinata e di essere uno dei soldati imperiali; muoveva quell’arma improvvisata come se volesse tagliare l’aria in piccoli coriandoli, guadagnandosi le lodi dei suoi più sgraziati compagni.

Heracles era quello che lo incoraggiava più di tutti, affascinato dai suoi movimenti.

Quel bambino era stato abbandonato perché frutto di uno stupro. Gli occhi olivastri e i capelli castani erano troppo simili a quelli dell’uomo che la madre cercava di dimenticare, e il piccolo era stato abbandonato insieme alle memorie sgradevoli.

Kiku era stato attirato dalla sua aria serena, che spiccava tra le espressioni infossate degli altri bambini come un diamante in mezzo al carbone. Avevano stretto amicizia quando il gatto randagio con cui Heracles giocava era schizzato improvvisamente in braccio a Kiku, che si era quasi rovesciato per la sorpresa.

Heracles trovava incantevole la fierezza di Kiku, che a sua volta pensava che la calma dell’amico fosse rincuorante. Andavano d’accordo, anche se ogni tanto Heracles faceva battute piuttosto strane su quanto Kiku dovesse essere bello senza vestiti; l’amico aveva sempre fatto finta di non sentire, oppure aveva negato con decisione.

Avevano passato anni a rincorrere i gatti randagi, a fingere che i bastoncelli striminziti trovati in giardino fossero spade aristocratiche e ad aiutare l’altro a rialzarsi in piedi, quando il lavoro fiaccava loro le ginocchia.

Era crollato tutto quando il proprietario dell’orfanotrofio aveva cercato di spegnere il suo unico raggio di sole. Erano in giardino quando l’uomo li aveva raggiunti, infuriato come non mai: il gatto di Heracles era entrato nei magazzini, e aveva rovinato un’intera partita di verdure.

Il bambino aveva provato a dire qualcosa in sua difesa, ma lo schiaffo che lo aveva raggiunto sulle labbra lo aveva zittito all’istante. Gli occhi di Kiku si erano sbarrati di fronte alla violenza del proprietario di quel posto: al primo schiaffo ne era seguito un secondo, e un altro, e un altro ancora. Heracles aveva cercato di proteggersi con le braccia, e quella sua resistenza aveva infiammato ulteriormente l’uomo: i calci avevano arginato lo scudo degli avambracci, e avevano raggiunto il piccolo al ventre. Kiku scoprì di essere caduto quando toccò l’erba con le mani: quello spettacolo gli aveva mozzato fiato e ginocchia.

«Così lo ammazza!» aveva gridato un bambino.

Quell’urlo aveva fatto scattare qualcosa, dentro di lui: aveva sentito una marea rossa risalire dalle viscere fino a stendere un velo carminio sulla realtà.

La sua mano si era stretta attorno a una pietra, e le gambe erano scattate in un balzo. Aveva calato quel ciottolo mille volte, senza sentire i rantoli dell’uomo e nemmeno gli strilli dei bambini, finché non era più riuscito a tenere il sasso in mano: il sangue lo aveva reso troppo scivoloso per essere trattenuto.

Tutto era diventato rosso.

Le guardie erano arrivate poco dopo, e lui aveva dichiarato immediatamente la sua colpevolezza: non voleva che i suoi amici rimanessero coinvolti in quell’omicidio. La sua confessione fu superflua, anche se altruista: le macchie di sangue che chiazzavano i suoi vestiti e il suo viso erano sufficienti ad accusarlo.

E ora attendeva di essere giustiziato sulla pubblica piazza.

Kiku si adagiò contro il palo, inclinando la testa di lato. Quell’incidente aveva portato alla luce la triste realtà degli orfanotrofi, troppo spesso ignorata: le guardie e i funzionari non potevano eludere le denunce di maltrattamenti e sevizie dei bambini, né potevano dissimulare i lividi e i chiari segni di malattie sui loro corpi denutriti.

Non aveva la presunzione di diventare un eroe nazionale: ci sarebbero stati sicuramente altri orfanotrofi con le loro stesse condizioni, se non peggiori. Ma, almeno per i suoi amici, le cose sarebbero cambiate: aveva visto molte persone accalcarsi per scrutare quei fantasmi di bambini. Magari alcuni di loro sarebbero stati adottati; magari Heracles avrebbe trovato una famiglia.

«Ho avuto una fine onorevole, almeno» stimò in un bisbiglio, quando la porta della capanna in cui era recluso si aprì.

Faticò a mettere a fuoco la figura che si stagliò nel rettangolo della porta: la luce improvvisa gli ferì gli occhi, abituati all’oscurità di quel posto. Ma anche quando le sue pupille si adattarono, non riuscì a riconoscere immediatamente il ragazzo che lo scrutava dalla soglia. Il suo fisico e il suo volto erano disegnati con tratti estremamente delicati e, finché non aprì bocca, non avrebbe saputo dire se fosse un maschio androgino o una femmina mascolina.

«Sei tu ad aver ucciso il proprietario dell’orfanotrofio?» domandò una voce cristallina.

Kiku annuì, lievemente turbato dal tono del giovane: doveva avere all’incirca la sua età, ma il mondo stesso pareva inchinarsi al suo volere, quasi fosse una creatura divina.

«Perché lo hai fatto?» lo sconosciuto chiuse la porta e si avvicinò a lui. Kiku lo fissò guardingo, non riuscendo a capire l’obiettivo di quel ragazzo.

«L’ho fatto. Alle autorità interessa solo questo» proclamò, e distolse lo sguardo da quegli occhi scuri che lo trapassavano, come se la sua pelle fosse un foglio di carta di riso.

Le labbra fini del giovane si arcuarono in un sorriso cortese, e una delle sue mani si protese per toccargli lo sterno.

Kiku trasalì ma non poté sfuggire a quelle dita: le corde che lo legavano erano troppo strette.

Lo sconosciuto chiuse gli occhi, e alzò il mento come se stesse ascoltando una melodia lontana. Increspò le labbra e le sopracciglia un paio di volte prima di mormorare:

«Capisco…»

Si rialzò fluidamente e lo osservò dall’alto mentre lo giudicava:

«Hai ucciso un tiranno perché stava ammazzando un tuo amico. E ti sei dichiarato colpevole per evitare che i tuoi compagni subissero il tuo stesso destino. Se avessi detto queste cose alle guardie, la tua pena sarebbe stata più lieve.»

«La voce di un orfano non conta quanto il sangue di un adulto» notò Kiku, senza alcuna particolare sfumatura. «Nessuno mi avrebbe creduto.»

L’altro fece un lieve cenno con il capo, riconoscendo la veridicità del suo discorso.

«Comunque, è davvero incredibile che tu sia riuscito a sopraffare un adulto» valutò il giovane, portando dietro le spalle la lunga coda mogano che gli ricadeva sul petto. «Il tuo tutore era più robusto di te, e meglio nutrito. Eppure, tu sei stato abbastanza forte da abbatterlo.»

«Si fanno molte cose, quando si è disperati» replicò neutro Kiku.

«E parli piuttosto bene, per essere analfabeta» lo elogiò l’altro.

«Non so leggere, ma so ascoltare. E ascolto molto.»

«Ascolti bene. E memorizzi ancora meglio.»

Kiku lanciò uno sguardo carico di sospetto sull’altro giovane: non riusciva a capire perché un signorino di buona famiglia fosse venuto in quel tugurio per parlare con un assassino. La sua origine nobile era visibile nel vestiario curato e nella perfetta salute di pelle e capelli, ed era ancor più nitida nel suo portamento impeccabile e nel suo modo di parlare come se un gradino lo distanziasse dal resto del mondo.

«Dove hai imparato a combattere?»

«Non so combattere.»

«Devo dedurne che hai un grande istinto. Hai colpito quell’uomo solo in punti vitali.»

«Tutti sanno che un sasso diretto alla testa può uccidere.»

«Ma non tutti sanno colpire lo stesso punto ripetutamente, specie se attaccano in uno scatto di rabbia» il giovane lo sondò con gli occhi e con le parole: «Sei sicuro di non aver mai combattuto?»

Kiku scosse la testa in cenno di diniego.

«No. Ogni tanto fingevo di essere un soldato, insieme ai miei amici. Ma nessuno ci ha mai insegnato.»

L’orfano lanciò uno sguardo obliquo, affilato dalla provocazione.

«Dovresti temermi. Sono un mostro che è riuscito a massacrare un adulto.»

Lo sconosciuto ricambiò con un’occhiata colma di saggezza e sfida.

«Se i nostri antenati avessero temuto le piene del Fiume Drago, il limo non avrebbe mai potuto depositarsi sulle valli e fertilizzarle, e le società arcaiche non avrebbero prosperato. Tuttavia, se non fossero stati in grado di creare una canalizzazione adeguata per i campi, le piene avrebbero sommerso anche i villaggi. Non temo la forza, ma ritengo che debba essere controllata e condotta sulla giusta via» il ragazzo si inginocchiò di fronte a lui: «Vorresti avere la possibilità di domare il tuo potere?»

«Non vedo come. Sto per morire» ribatté ovvio Kiku.

«Non è ciò che ti ho chiesto» gli ricordò serafico l’altro.

L’orfano si morse le labbra prima di ammettere:

«Sì. La vorrei.»

«Allora la morte dovrà aspettare.»

Quando il ragazzo allentò lo scollo e il sole di fuoco baluginò dai bordi slacciati, Kiku temette di essere impazzito completamente: la sua mente, terrorizzata all’idea della morte imminente, doveva essersi inventata un’assurda storia in cui il Figlio del Cielo si era scomodato per venire a salvarlo.

«Quelle corde sembrano scomode» a Yao bastò schioccare le dita perché le funi che grattavano i polsi del giovane bruciassero senza scottare la pelle del ragazzo. Kiku quasi non badò a quel prodigio, troppo stupito dalla presenza del sovrano in quel bugigattolo.

«Perché siete venuto qui?» domandò, incapace di alzarsi.

«Non sono venuto appositamente per salvarti» ammise Yao. «Sei stato fortunato, Kiku: stavo visitando questo villaggio quando ho sentito parlare del tuo caso, e mi sono incuriosito» il regnante gli porse una mano con eleganza: «Le vie del fato sono misteriose, anche per me.»

L’orfano rifiutò con garbo quella mano troppo preziosa per essere toccata dalla sua, e si rialzò in piedi appoggiandosi al palo.

«Non riesco a credere che vogliate un assassino… nella vostra corte» le parole tremarono appena: Kiku era troppo orgoglioso per balbettare apertamente.

«Ho anche un mago nero, nella mia corte» elencò a mezza voce il Figlio del Cielo. Usò un tono stentoreo nel ricordargli: «La mia decisione non cancella la tua colpa. Ti viene data una seconda possibilità, ma non la redenzione incondizionata. Dovrai guadagnarti il perdono diventando un soldato capace e, soprattutto, fedele.»

«Non è il duro lavoro a spaventarmi» asserì deciso Kiku. «Ma, se permettete, temo che voi siate troppo avventato.»

Il sorriso parve accarezzare le labbra ben disegnate del giovane, e una punta di dolcezza gli illuminò gli occhi a mandorla.

«Una persona a me molto cara mi ha mosso questa stessa accusa, circa un anno fa» ricordò. «Come dissi allora: se tu dovessi rivoltarti contro di me, ti incenerirei come ho fatto con le tue corde.»

Il sovrano non smise di sorridere, ma un fuoco terribile fece scintillare le iridi scure quando consigliò, mellifluo:

«Non darmi modo di ripensare alla mia scelta, Kiku.»

 

***

 

Yao e Arthur si voltarono di colpo, quando l’immenso gong del Palazzo Imperiale fece vibrare l’aria.

«Che succede?» chiese il Mago dell’Ovest, irritato per lo spavento.

«Stanno per fare una comunicazione ufficiale» il fiato del Figlio del Cielo si troncò di colpo quando il Samurai comparve sulla balconata del castello.

Il bianco della tunica si fondeva con il candore della pelle, e contrastava con la tinta d’ebano di occhi e capelli. Il rubino incastonato sull’elsa della katana e le insegne militari scarlatte ricordavano la sua fedeltà al sovrano.

Yao infilò le mani nelle maniche, e artigliò gli avambracci. Kiku non era cambiato per nulla, come se quell’anno non fosse mai trascorso.

Il guerriero attese un istante, con la sua espressione impossibile da scalfire ben saldata sul volto. La sua impassibilità era leggendaria.

Tuttavia, perfino a quella distanza, Yao poté immaginare con estrema chiarezza il lieve tremore del sopracciglio sinistro e il singolo battito di palpebre, che contraddistinguevano gli stati di ansietà di quel giovane. Conosceva bene quel ragazzo, troppo bene.

«Il Figlio del Cielo» annunciò, scandendo ogni parola. «Non ha ancora vinto la sua lotta con il coma. Le condizioni del Portavoce del Sole restano immutate. Preghiamo gli dei di restituirli a queste terre il prima possibile» e scomparve all’interno, prima che una lacrima potesse affacciarsi dai suoi occhi.

Arthur sentì il suo cuore mancare un colpo. Il Figlio del Cielo in coma? Che assurdo trucco avevano inventato per mantenere quella bugia per un anno intero?

«Ma cosa…» cercò di chiedere, ma richiuse la bocca subito dopo.

Il colorito terreo delle gote di Yao era un chiaro segnale del suo stato d’animo. Era angosciato fino all’ultima fibra del suo essere: per il suo amico, le cui condizioni non erano state specificate, per il suo regno. E per il Samurai.

Arthur osservò l’acciottolato meditando un intervento intelligente. Tutto ciò che riuscì a dire fu:

«Sembrava sinceramente preoccupato.»

«Lo so» ghigliottinò il Figlio del Cielo.

Kiku non lo aveva mai tradito. Era colpa del demone, di quel maledetto demone.

«Dobbiamo trovare un modo di entrare nel Palazzo il prima possibile» sentenziò Yao.

Doveva sapere cosa era successo a Young Soo. E doveva cercare di salvare Kiku. Anche se ciò avrebbe implicato uccidere quel bambino che aveva salvato tanti anni prima, e che era vissuto fino ad allora solo per servirlo.

 

 

 

 

 

 

Scusate il ritardo dell’aggiornamento ç_ç

Ho avuto una brutta influenza, e non sono riuscita ad aggiornare prima di oggi .-. E, sempre per via dell'influenza, il capitolo è venuto più corto del previsto ç_ç MI rifarò con il prossimo<3

Per impegni che sono sorti negli ultimi tempi, d’ora in poi l’aggiornamento sarà bisettimanale. Mi dispiace moltissimo ç_ç Quando sarò più libera, gli aggiornamenti torneranno settimanali<3

Come sempre, grazie per aver letto fin qui e per seguire questa storia<3

Nel prossimo capitolo saranno svelate altre cose sul Samurai :)

Ci vediamo tra due settimane, sempre di lunedì<3

A presto<3

Red

   
 
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