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Autore: raspberry_slush    20/01/2014    1 recensioni
La mente pragmatica di Sherlock era ancora troppo chiusa e solitaria per ammettere l’amore.
John invece aveva ammesso di amarlo, ma solo a sé stesso.
Non si ricordava quando si fosse innamorato di lui, forse lo aveva aspettato da sempre, ma di certo aveva ben impresso nella mente come lo aveva capito. Moriva di freddo quando lui si allontanava. 
Genere: Avventura, Fluff, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altro personaggio, John Watson , Sherlock Holmes , Sig.ra Hudson
Note: Lime, Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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BLIZZARD

24 DICEMBRE


CHRISTIAN MALFORD , STATION LANE , WILTSHIRE
Sherlock sembrava distratto mentre tentava di delucidare il guidatore su come era giunto alla conclusione del caso. Trovare una pista che conducesse da Londra fino a Polperro a detta sua “non era poi così complicato e degno di nota”, ma per John doveva essere la cosa più intricata e avvincente che fosse mai accaduta sulla faccia della Terra perché con quei suoi soliti occhi brillanti, avidi di racconti fissava la strada innevata resa ancora più bianca dai fari accesi che lambivano le tenebre della brughiera inglese. Questa volta il detective aveva notato qualcosa di diverso. Le iridi dell’ex soldato sembravano praticamente scomparse , non fosse stato per il lieve contorno verde acqua che circondava le due pupille dilatate. Quei buchi neri si erano inghiottiti il colore dei suoi occhi , ma questi non sembravano rattristarsene. Rimaneva accesa quella perenne scintilla di curiosa , divertita impazienza . E Sherlock,nonostante riuscisse a condurre comunque la sua spiegazione senza il minimo intoppo,  era confuso dalle strane supposizioni che la sua mente partoriva man mano che lo osservava più nel particolare. “Non è stato dunque così complesso giungere alla conclusione. La droga, il traffico di armi, o di organi, nulla centrava perché si trattava di attività a cui i Ceceni preferiscono dedicarsi a larga distanza. Ho escluso l’impossibile e ho ottenuto la soluzione. Il plutonio radioattivo estratto dalle miniere era l’unico espediente che potesse avere la necessità di un intervento diretto e monitorato. E a che serve del materiale così altamente tossico importato su larga scala. Solo a piani di terrorismo. Insolito però devo ammettere. Perché questo è un terrorismo che si riscontra nel tempo, come dire, a scoppio ritardato ” . 
Qui Sherlock si interruppe per riprendere fiato , e forse era anche un pretesto per lasciare spazio a una di quelle reazioni tipiche di John che lo lusingavano così tanto. Ma l’amico non fiatò. “La radioattività.” Le parole gli erano uscite come un pigolio sommesso. Si schiarì meglio la voce. “Sei medico e dovresti sapere meglio di me gli effetti riscontrati sulla salute umana un alto tasso di materiale con decadimenti gamma”. Di nuovo una pausa, questa volta necessaria perché Sherlock stava davvero perdendo la voce. 
Comunque sempre niente di niente. Watson guidava rimanendo impassibile, solo i suoi occhi lo avevano tradito in anticipo. ‘Forse sta aspettando che io finisca.’ “Inoltre rilasciando quel grande quantitativo di radiazioni , gli effetti di certo non si estinguerebbero nel giro di una notte di capodanno. Per non parlare poi del raggio di azione, indefinito e tendente ad espandersi ad una maggior copertura di territorio. E‘ pura maestria. Terrorismo di massa , cronico e con ampia localizzazione . Peccato la mafia cecena sia poco abile nei nascondigli, tanto abituata a muovere burattini , ma mai ad entrare in scena in carne ed ossa. E’ stato un gioco da ragazzi scovarli. Ora ho solo due domande che mi restano da chiarire. Come faranno a liberare tutto quel plutonio senza destare nell’occhio e come mai un atto così violento e di gravi ripercussioni, proprio a Londra. Suppongo che per quest’ultima il mio caro fratellino saprà delucidarmi puntual... ”. 
“Perché?” . Finalmente apriva bocca, ah. “Perché, cosa?” . “Ti ostini ad essere così brillante. La tua genialità è qualcosa che dubito essere mortale, sai.” Sherlock guardò fuori dal finestrino. Se non fosse stato per il freddo polare che regnava in quel catorcio di Jeep di seconda mano avrebbe quasi ammesso di essere arrossito. 
Le parole di John rimasero cristallizzate come il fiocchi di neve ghiacciati sul finestrino, perché nessuno dei due aprì più bocca per una buona mezz’ora. Sherlock rimuginava sul suo comportamento. Stava cercando di analizzare tutte le vibrazioni del suo corpo, ma non riusciva ad archiviarle perché le sembravano così nuove, di certo mai sperimentate.
John non toglieva mai gli occhi dalla neve accecante sulla strada, più per pudore che per una qualche diligenza nella guida. Non aveva più preso in mano un manubrio dai tempi del college quando portava le sue conquiste nella sua tana, ma non era poi così preoccupato, si sentiva stranamente esperto del manubrio. Solo un lieve tepore intorpidiva le sue membra. E ciò poteva sembrare strano date le condizioni meteorologiche che si trovava ad affrontare. Erano nel bel mezzo di una bufera di neve, quella che gli inglesi chiamano Blizzard, nome che già al suono mette quel senso di tremore e impotenza che si prova nell’osservare la pioggia di neve volteggiare senza sosta trasportata da un vento sibilante e minaccioso.
Gli occhi di John guardavano la neve ma lui osservava pensieri ben più diversi. E ad altro John pensava ancora quando non si accorse che la fuoristrada non riusciva più ad ingranare e che , dannazione, si era proprio impantanata nella neve alta un metro, in quel sentiero (definirla strada era un eufemismo), che non era stato spalato da giorni. 
“John.” Solo la sua voce rauca lo strattonò finalmente nella realtà.

Passare la vigilia di Natale chiusi in una Jeep , circondati da nient’altro se non la monotonia del candore della neve, a notte inoltrata rischiando di morire assiderati per assenza di riscaldamento, come unica prospettiva di alimentazione due panini umidicci con marmellata di arance , preparati dalla premurosa Ms Hudson  sì , questo doveva essere decisamente il desiderio recondito di qualunque terrestre. Avevano provato a spingere quell’ammasso di ingranaggi , ma il ghiaccio secco l’aveva letteralmente inchiodata in quel punto. Spalare la neve che intralciava il passaggio era impensabile. “Troppo dura. Processo di sinterizzazione (firnificazione) giunto a termine da...più o meno 5 giorni” aveva sentenziato Sherlock dopo aver osservato la disposizione dei cristalli di neve compattatisi sotto lo strato più morbido depositatosi di recente. Sherlock aveva poi affondato l’indice su questa porzione e portato la neve sul dito verso la bocca. John aveva invocato mille e uno santi perché non lo facesse, perché si trattenesse per lui, per il suo bene, per non farlo impazzire. Ma a nulla era servito. La lingua era uscita più lentamente di quanto avrebbe potuto fare, si era posata sulla punta della falange e aveva risucchiato delicatamente quei fiocchi così dannatamente fortunati. ‘Oh un po‘ di contegno, John Watson, non sei più un liceale, fattene una ragione’. 
“Mmm...” . ‘Sta pensando sta solo pensando , adesso non ti azzarderai a trovare strane analogie pure con i suoi versi ? ‘
“...semplice nevischio . Siamo fortunati, almeno durante la notte non aumenterà il cumulo che dovremo superare domani mattina. Inoltre ci sono buone probabilità che ci sia cielo scoperto e un po’ di sole penso ci aiuterà”  “Uhm.” Per una manciata di secondi rimasero là impalati, John con gli occhi bassi faceva piccoli cerchi sulla neve col la suola delle scarpe, Sherlock cercava di riscaldare la pelle bagnata dalla saliva sfregandola contro l’altra mano. 
Poi tutto d’un fiato John arrischiò un “Entriamo in macchina prima di essere catalogati come reperti del Pleistocene? “. E senza dire una parola di più si lanciarono verso il catorcio che poteva essere fatiscente quanto si vuole, ma per lo meno non ci nevicava dentro.

“Il lato positivo è che questa neve fitta ci nasconde dalla vista di criminali scassinatori” “Uno sciacallo nel bel mezzo della brughiera inglese a circa due ore dal villaggio più vicino? Con questo tempo? Direi che la neve non merita nessun ringraziamento.” Sherlock inclinò lievemente le labbra in un sorriso poco convinto. John se ne accorse. “ Non è che i nostri amici ceceni ci stanno amorevolmente facendo la scorta vero? Me lo avresti detto prima ,spero.” . “ Lo sospettavo, ma mi rendo conto di quanto sia improbabile. Se ci sono mai stati devono comunque aver perso le tracce degli pneumatici cancellati dalla bufera.” . “Ho trovato qualcosa per cui ringraziare questa bastarda” disse John tirando un respiro di sollievo.  Di nuovo silenzio. Era già il terzo insostenibile silenzio quel giorno. Ma questa volta fu Sherlock ad interromperlo. “Beh direi che possiamo fare dei turni. Non si è mai troppo accorti. Tu dormi fino alle 6 a me basteranno due ore di sonno intenso per riprendermi. Ci aspetta una giornata intensa. Mi preoccupa solo che il plutonio venga inviato a Londra prima del tempo previsto” . 
“Già”. 
“Beh, buona notte” John si limitò a fare un cenno con il capo. Si era fatto improvvisamente pensieroso. Sapeva che era matematicamente impossibile riposarsi quella notte, primo perché non era per niente stanco nonostante la tirata di ben cinque ore da Londra , secondo perché non avrebbe mai riuscito a chiudere occhio sapendo che Sherlock gli era così vicino. Si convinse che la soluzione migliore era quella di fingere di dormire, per destare meno sospetti al detective. Abbassò il sedile si mise in una posizione abbastanza comoda e naturale, la testa sullo schienale rivolta verso il finestrino, le braccia adagiate sull’addome, le mani intrecciate nel tentativo di riscaldarsi vicendevolmente, le gambe leggermente rannicchiate per adattarsi all’angustia della macchina.   Prese un profondo respiro e chiuse gli occhi. Rimase così fermo immobile per un tempo che gli sembrò infinito. Stava gelando , sentiva le labbra livide e secche, le punte delle dita prive di sensibilità , ma il suo corpo sembrava ribollire di un calore debole, non ancora svelato, nascosto, scalpitante .
Ripensò a tutto ciò che gli era successo dall’episodio del garage. Lì aveva capito di amare Sherlock Holmes, ma durante il giorno aveva compreso che l’unica soluzione meno dolorosa era lasciarlo perdere. Non era possibile confessarsi ad un uomo asessuato il cui unico sentimento simile all’amore era l’adorazione malata verso un genio del male con le sue stesse doti intellettive. No, Sherlock non sarebbe mai stato suo, non il freddo, apatico Holmes che conosceva. Sì erano amici e tutto quanto , non solo condividevano un appartamento ma anche un annuario di casi e avventure insieme di cui ormai aveva perso il conto. Ma John sapeva che non bastava, ‘Nemmeno un trapano basterebbe per rompere quel ghiaccio che gli scorre dentro, ma forse nemmeno una trivellatrice, dannazione’.
Proprio mentre formulava questi pensieri John sentì qualcosa coprire le sue mani, stoffa. Alzò di scatto la testa, tradendo la sua messinscena. Sherlock rimasto con la sua sola camicia viola prugna, tamburellava indifferente le dita della mano sinistra sul cruscotto, il suo cappotto ora copriva John dal collo fino alle ginocchia. 
Il medico non fu capace di dire niente, quel gesto lo aveva letteralmente sconvolto. Una gentilezza, così spontanea e carezzevole provenire da Sherlock. Non ci avrebbe creduto davvero se non avesse sentito lentamente le mani riprendersi un po’ di circolazione al contatto con il calore di cui era rimasta impregnata la lana. Quella novità però gli aveva dato una nuova audacia, come se Sherlock avesse voluto dargli un imput , quasi avesse dedotto i suoi pensieri. ‘Diamine adesso fai anche quello? Uomo dalle infinite risorse, non smetterai mai di sorprendermi.’
Allora fu a quel punto che John decise di farlo. Scostò la mano sinistra da sotto la stoffa e spostandola con lentezza , ma senza indugiare, la posò sulla mano destra di Sherlock che si trovava distesa sul sedile, all’altezza della sua coscia. Il detective aveva ostentato noncuranza, nonostante se ne fosse accorto benissimo. Ebbe un lieve sussulto, ma restò fermo, smettendo però di tamburellare, incapace di rovinare quell’istante. Allora John iniziò ad accarezzare quelle nocche gelide e appuntite, dapprima delicatamente, quasi in modo impercettibile, poi sempre con più vigore, esplorava la pelle pallida e i solchi marcati delle vene, con lenti movimenti circolari arrivò ad avvolgere la mano intera ad ogni carezza.
Allora Sherlock sembrò liberarsi di un sacco troppo a lungo tenuto in spalle perché quando si scostò dallo schienale e si protese verso il biondo la sua espressione rivelò il più grande sollievo. Ma lì si era fermato bloccato a mezz’aria indeciso sul da farsi, per la prima volta inconcludente. E allora John lo capì, capì che dentro quei dubbi c’era lui , era lui l’oggetto di quel volto che dipingeva un interrogativo così innocente, lui solo poteva liberarlo da quella gabbia di confusione, la sola volta che aveva visto Sherlock confuso e lui poteva ridargli la pace. Del resto, anche John cercava la pace in Sherlock, non poteva più nasconderlo ormai. Se aveva sempre saputo di essere attratto spiritualmente da lui, dalla sua intelligenza sconfinata ora percepiva un altro tipo di magnete,il desiderio carnale, voglia di possederlo.  Con l’altra mano John sfiorò lievemente il lino color porpora del moro. Questa volta più rapidamente, quasi temendo che qualcosa gli sfuggisse.  “Devi aver freddo” sussurrò a denti stretti mentre iniziava ad armeggiare con i bottoncini della camicia. Sherlock rimase di nuovo fermo impalato , impacciato e quasi goffo a vedersi , solo le pupille si muovevano quasi con affanno. A John questa sua innocenza piaceva, lo eccitava sapersi più esperto di lui, vedere i ruoli invertirsi, per una volta Sherlock sottomesso alla sua volontà, ora sarebbe stato lui a stupirlo. Non aveva ancora finito di slacciare l’ultimo ottone quando avvicinò il volto alle sue labbra. Con lo sguardo cercò di delineare i contorni di quella  bocca perfettamente geometrica. Respirò a bocca aperta. “Sherlock, io ti amo” . Che affermazione elementare. Certo che lo amava, aveva bisogno di dirlo, però, di farglielo capire.  Si guardarono e per un momento a John parve che quelle iridi di ghiaccio si sciogliessero nel languore della sua sclera. “Mi hai stregato anima e corpo”. Si schiarì un poco la voce perché si rendeva conto di avere una tonalità tendente all’acuto e la bocca tremendamente allappata.
Ad un tratto, così inaspettatamente, John sentì qualcosa di torbido e caldo avvolgere le sue labbra. 




Ebbene sì, sono tornata! Era da settembre che non pubblicavo il seguito, e mi pare ovvio che nessuno di voi si ricordi di me. Ma sto "come torre ferma che non crolla già mai la cima" come direbbe quella vecchia roccia di un Dante. Spero vi sia piaciuta popolo di Sherlockians.  
  
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