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Autore: fragolottina    21/01/2014    7 recensioni
"Ogni sei mesi tutti i ragazzi di tutte le scuole dello stato, di età compresa tra i diciassette ed i venti anni, venivano sottoposti ad un test.
Tutti i test erano spediti direttamente alla sede centrale dell’ADP a Vernon, dove erano analizzati, smistati e valutati.
C’erano tre responsi possibili: il primo, ragazzo normale, potevi continuare la tua vita come se niente fosse successo; il secondo, potenziale Veggente, non eri arrestato – od ucciso, come ebbi modo di scoprire in seguito – come un Veggente attivo, ma ad ogni modo eri obbligato a sottoporti a test clinici per valutare la tua resistenza al Mitronio, per calibrare una cura su misura; il terzo, potenziale Vegliante, un soldato, una risorsa del governo, da quel giorno la tua missione era quella di dare la caccia ai Veggenti attivi.
A quanto pareva, io ero una potenziale Vegliante."
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Synt'
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MS capitolo 16
fragolottina's time
ve lo giuro, lettrucciole, questo doveva essere una capitolo breve...
...
mi sono lasciata prendere la mano, mi spiace!
però succedono molte cose e vengono a galla diverse cose... ci stiamo avvicinando al nocciolo della questione, con calma ci arriviamo! era ora...
era anche ora di mettere vicini Zach e Becky e vedere che combinano, meno male che Nate è lungimirante... ma Romeo di più, perciò attenzione!
cmq, se vi stata chiedendo perchè ci ho messo così tanto a finirlo, la colpa la potete benissimo affibbiare a Jamie Ross... per scrivere la sua conversazione con Zach ci ho messo una vita! maledetto...
ma ce l'abbiamo fatta e sarei ben lieta di avere un vostro parere a proposito!


17.

Sono già scappato

L’alba a Synt era uggiosa come in quasi tutte le città.
    Zach mi aveva proposto di fare il giro del distretto abitativo e poi dirigerci verso il parco di Synt esterna. Si era anche raccomandato di non strafare e di avvertirmi quando fossi stata troppo stanca, per terminare e tornare a casa camminando. Non mi ero sentita offesa per essere trattata come una buona a nulla, molte persone consideravano le cheerleader come delle scimmiette che saltellavano con dei pompon; ma la realtà era che la mia capo cheerleader era stata molto rigida negli allenamenti, costringendo anche noi riserve a partecipare, in più ci faceva allenare canticchiando sempre gli inni. Questo significava che avevo sviluppato un’ottima resistenza polmonare.
    A quell’ora Synt interna non era disabitata come accadeva di solito, incrociammo altri abitanti che correvano, genitori che accompagnavano i bambini alla fermata del bus che li avrebbe portati a scuola, diverse auto, quasi si trattasse di una città normale.
    Zach non ne sembrava sorpreso quanto me, ma in fondo lui abitava lì da più tempo. Sicuramente aveva avuto già modo di notare la cosa. Era silenzioso, sembrava distratto.
    «Tutto bene?» gli chiesi studiandolo. «La gamba ti fa male?»
    Lui mi lanciò un’occhiata e sorrise. «La gamba sta bene, io sto bene. Non preoccuparti.» anche se piuttosto disattento, appariva molto più sereno di quanto era stato negli ultimi giorni, in realtà da quando lo conoscevo
    Continuai ad osservarlo. «Vuoi che rallentiamo?»
    Mi fissò con le sopracciglia sollevate, incredulo. «Ehi, non montarti la testa!» mi rimproverò.
    Arrossii e mi girai per correre all’indietro e guardarlo allo stesso tempo, volevo vedere se zoppicava e, se lo faceva, quanto.
    Lui studiò i miei movimenti, attento. «Sono un po’ acciaccato, ma posso ancora reggere un po’ di jogging.»
    «Facciamo una gara: il primo che arriva al parco di cui parlavi.» proposi.
    «Da quando ti si è acceso lo spirito agonistico?» mi domandò divertito.
    In realtà non lo sapevo, ma aveva passato la giornata precedente chiusa dentro la caserma, nascosta in un limbo di pensieri densi come il fumo delle fabbriche di Mitronio; ritrovarmi improvvisamente di nuovo all’aria aperta a fare qualcosa di normale come correre, mi faceva sentire bene, elettrica, viva: una rinascita interna che ripercuoteva i suoi effetti sulle mie attività esterne. Prendere una decisione come quella di non uccidere più i Veggenti era stato catartico; era vero, avevo fatto un grande errore, aveva creduto che non ci fosse altro modo se non premere il grilletto, ma avrei trovato altri modi, avrei potuto imparare da quell’errore.
    Senza fermarsi, Zach si sfilò l’orologio dal polso, spinse alcuni tasti al lato del display e me lo porse. «Segui la freccetta, ti dirà la strada.»
    Tornai a corre di fianco a lui mentre lo allacciavo.
    «Ovviamente corriamo da Veglianti.»
    Gli lanciai un’occhiata senza capire. «Che vuol dire?»
    Lui rise mentre con la coda dell’occhio controllava i cortili delle case che scorrevano alla mia sinistra. All’improvviso mi spinse ed io rotolai sul prato paglierino accanto a me, mi sollevai con le mani e mi voltai a guardarlo sconvolta, lui stava ancora ridendo.
    «Che possiamo darci fastidio.» rivelò prima di riprendere a correre. «Ci vediamo al traguardo, cheerleader.»
    Ci misi pochi secondi a realizzare quello che era successo, ma quando lo feci mi rialzai al volo. Corsi più in fretta che potei, Zach non era particolarmente veloce, non sapevo se fosse il suo passo abituale o se stesse aspettando che lo raggiungessi di nuovo. Ero più propensa a credere nella seconda.
    Lo affiancai e provai a buttarmi addosso a lui, di certo spingerlo non sarebbe bastato a sbilanciarlo, ma lui rallentò proprio mentre lo facevo e mi trattenne per un braccio per evitare che finissi in mezzo alla strada. Una volta stabilizzata mi girò attorno e proseguì ridendo. Riuscii a riprenderlo, o almeno a raggiungerlo di nuovo, se anche non fossi riuscita a dargli abbastanza fastidio, non sarebbe stato difficile superarlo, era lento.
    O così credevo prima che raggiungessimo Synt esterna.
    Quella parte di città era come sempre affollata e viva, brulicava di persone, auto, negozi: era difficile svolgere una competizione in quella situazione. A differenza di lui, che proseguì senza nemmeno pensarci, io mi fermai un secondo sentendomi tanto piccola, eppure ingombrante, dove cavolo sarei passata?
    Zach rallentò e mi guardò. «Problemi?»
    «Non so che strada fare.» ammise guardandomi intorno.
    «Sei una Vegliante, Becks.» mi ricordò. «Le strade te le puoi costruire.»
    Posai lo sguardo su di lui e sbattei diverse volte le palpebre senza capire. Zach alzò gli occhi al cielo, poi allungò il braccio nella mia direzione porgendomi la mano. «Stavolta ti insegno io, ma la prossima volta fai da sola, okay?»
    Presi la sua mano, era ruvida e dura, ma calda e forte. «Becks?» chiesi.
    Lui sorrise. «Ti sei meritata un nome.» disse nei miei occhi.
    Synt esterna apparteneva a Zach. Non sapevo se anche per gli altri Veglianti fosse lo stesso, ma era come se lui vedesse il quartiere a più livelli, impilati uno sopra l’altro. Era molto razionale nel muoversi, pensava un percorso nel primo livello, la strada, se non c’era o la folla lo rallentava troppo, passava al secondo, i palazzi intorno a noi. Non tutti gli appartamenti o gli uffici erano occupati e lui ricordava a memoria ogni stanza con le finestre aperte. Se per qualsiasi motivo il secondo livello lo deludeva, c’era sempre il terzo, il più infallibile, ma anche il più complicato, i tetti; mi chiesi se anche lui avesse notato che i tetti di tutti i palazzi erano così vicini da rendere semplice anche a me saltare da uno all’altro.
    Certo Zach aveva poco da invidiare all’agilità dei Veggenti, anzi la cosa che più mi colpiva, non era che sapesse saltare da una finestra all’altra, da un tetto all’altro, sapevo farlo anche io, era tutto il resto. Come sceglieva? Come sapeva che in strada c’era traffico, o che la fila davanti al panettiere fosse troppo ingombrante per poter essere superata?
    Quando raggiungemmo il parco fui io a scuotere la mano per farmi lasciare, improvvisamente a disagio; lui mi guardò, colsi con la cosa dell’occhio il suo sguardo fisso su di me, sembrava anche vagamente divertito.
    Finché non iniziò a guardare dietro di me.
    C’erano parecchie persone in giro, molte delle quali affollate intorno ad un chioschetto. Zach mi strinse di più la mano mentre mi guardavo intorno, mi voltai pensando che volesse dirmi qualcosa, ma era concentrato con gli occhi fissi e lontani. Feci per seguire il suo sguardo e vedere cosa lo avesse turbato, ma lui mi trattenne per una spalla.
    Fece una smorfia. «Mi sa che abbiamo strapazzato troppo il ginocchio.»
    «Ti fa male?» chiesi allarmata.
    Si strinse nelle spalle e sollevò leggermente la gamba sinistra. «Niente di grave, ma meglio che mi fermi un po’.» commentò. «Potresti andare a chiedere se lì hanno del ghiaccio? Ti aspetto su quella panchina.» disse indicandomela con un cenno del mento.
    «Okay.» lo accompagnai a sedersi, poi mi diressi al chioschetto, sperando di trovare del ghiaccio.

Jamie Ross aspettò che Becky si fosse allontanata, prima di sedersi accanto a Zach disinvolto, nessuno avrebbe sospettato che gli stesse puntando una pistola al fianco. Il ragazzo non si mosse, gli occhi fermi sulla figura di Becky passo dopo passo più lontana.
    «L’hai allontanata da me.» commentò Jamie divertito mentre si calava ancora un po’ il cappello sulla testa. «Molto premuroso.»
    Zach non si mosse, nonostante sentisse la canna premergli sulle costole. Prese un respiro e si appoggiò con i gomiti alla spalliera della panchina. «Mi prendo cura della mia squadra.» commentò fingendosi calmo, pregando interiormente che Becky non si girasse mai.
    Jamie sollevò le sopracciglia con scetticismo e gli lanciò un’occhiata sarcastica. «Magari fossi così maturo, ragazzo mio, magari.»
    «Che vorrebbe dire?» sbottò prima di pensare a quanto folle potesse essere la cosa; una delle prime regole che gli aveva insegnato, o che aveva provato ad insegnargli, Josh era mai ribattere alle provocazioni di qualcuno armato: erano passati due anni, ma quella lezione gli era ancora difficile.
    «Non ti sparo solo perché parli, tranquillo.» gli assicurò. «E non prendertela troppo, l’obbedienza non ti appartiene.»
    Una volta glielo aveva detto anche Romeo, ma quella volta non era stato con il tono scanzonato di Jamie Ross, lui era furioso. Era la prima notte che era uscito senza Josh per la sua scelta di non partecipare alla missione, pochi giorni prima della fine. Non sapeva come, ma era riuscito a soffiare il bambino che i Veggenti stavano cercando di rapire e passarlo a Courtney e Lynn perché lo portassero al sicuro. “L’obbedienza non ti è mai appartenuta!” gli aveva urlato Romeo. “Davvero cinque anni di accademia ti hanno cambiato così tanto?”
    «Sei qui per una lezione sulla vita?» gli domandò cacciando indietro quel ricordo, non sapeva nemmeno perché continuasse a portarselo dietro.
    «Sono qui per recapitare della posta.» tirò fuori una busta chiusa dalla tasca interna della giacca. «Romeo ha scritto una letterina d’amore a Courtney.» spiegò e gliela porse.
    Zach la prese soppesandola tra le mani. «Cos’è?»
    Jamie si strinse nelle spalle. «Quello che le serve.»
    Lo studiò con le sopracciglia sollevate, sospettoso.
    «Sparirò per un po’.» rivelò alzandosi. «Ti affido la ragazzina e ti do la possibilità di tenertela.»
    Lui gli lanciò un’occhiata sorpresa.
    «Approfittane.» suggerì cospiratore. «Perché se quando torno è libera me la prendo io.»
    Zach si disse che stava cercando di essere una persona migliore: più controllata, più razionale, responsabile per essere d’aiuto a Nate ed a tutti gli altri. Basta con l’arroganza, basta essere impulsivi, basta litigare con i Veggenti senza un ordine dedicato che lo permettesse.
    Guardò Jamie Ross scrollarsi il retro dei pantaloni, tranquillo, così dannatamente tranquillo, mentre loro dovevano essere sempre così tesi, nervosi.
    Prima ancora di riuscire a pensare di fermarsi gli era addosso; gli afferrò la spalla sinistra costringendolo a voltarsi. Strinse la stoffa della sua giacca tra le mani e se lo tirò sotto. «Nate potrà anche fidarsi di voi, ma io no.» sputò a tre centimetri del suo viso. «Se Courtney sarà turbata dopo questa lettera, ti verrò a cercare.» promise. «Se Nate romperà il suo voto di astemia, andrò a cercare Romeo.» continuò. «Se toccherai Rebecca Farrel con un dito, te lo taglio.» e quella era la sua affermazione più solenne.
    Jamie Ross lo lasciò finire poi scoppiò a ridere e sollevò il braccio puntandogli di nuovo la pistola al fianco, Zach quasi sussultò per la sorpresa: se ne era dimenticato.
    «Migliori, ragazzo, non dico di no, ma non sei ancora nella posizione di poter dare ordini.» gli posò un mano sul torace e lo spinse indietro.
    Zach lo lasciò.
    «Da bravo, torna sulla tua panchina.» gli consigliò. «Non vorrai farti trovare moribondo da Becky, no?»
    Alcuni passanti li stavano studiando, Jamie li rassicurò con un cenno della mano; Zach notò che nessuno di loro sembrava particolarmente colpito dal fatto che fosse armato.
    «Quanti Veggenti ci sono a Synt?» chiese, improvvisamente gli sembrava di essere in un paese nemico, ostile.
    Jamie Ross non rispose. «A presto, Zach Douquette.» promise. «Salutamela.»
    Zach si limitò a sedersi di nuovo ed aspettare Becky.

La commessa del chiosco non fece domande quando gli chiesi il ghiaccio, non sapevo se fosse perché in un parco, dove quasi tutti si muovevano o facevano esercizio, non fosse una richiesta tanto insolita o perché semplicemente aveva capito chi o cosa fossi. A volte sembrava che, più che guardarci con timore, gli abitanti di Synt ci assecondassero.
    Quando tornai da Zach lui era immerso in pensieri decisamente cupi, non mi degnò di uno sguardo. Era frustrante che, tutte le volte che qualcosa lo turbava, lui si chiudesse in sé stesso, solo con quel pensiero. Avrebbe potuto rendermene partecipe, no? Chiedermi un consiglio? Aveva insistito così tanto per avermi, perché non coinvolgermi?
    Concludendo che Zach era un idiota e con un sospiro che lo confermasse, mi accucciai davanti al suo ginocchio malandato, gli sollevai la gamba del pantalone e tirai il veltro della ginocchiera per posarci sopra il ghiaccio. Il tutto senza arrossire: stavo facendo passi da gigante.
    «Potresti diventare l’aiutante di Courtney.» suggerì.
    Feci una smorfia e mi sedetti accanto a lui. «Minaccerebbe il suicidio se lo proponessimo.»
    Rise.
    «Quando te la senti torniamo.» dissi. «Oppure possiamo chiamare Matt, se preferisci.»
    Lui ci pensò per un po’. «Jamie Ross ti piaceva davvero?» era una domanda molto seria.
    Sospirai. «Siete sempre stati voi a dirlo.» gli ricordai ad occhi bassi, non andavano mai a finire bene le conversazione sul mio cuore. Mi piaceva? Di certo era un tipo interessante, ma il fatto che fosse un Veggente minava la possibilità di dare giudizi imparziali. Era un bel ragazzo, era forte, era divertente, non mi aveva mai trattata da stupida. «Tu mi tratti da matricola. Per lui ero in gamba.» spiegai.
    «Anche per me sei in gamba.» ribatté piccato, come se si trovasse in svantaggio ad una competizione contro di lui.
    Mi voltai a guardarlo e non potei proprio impedirmi di apparire molto più che stupita; i suoi occhi quella mattina erano più limpidi, il verde era meno marcato, ma più vero, come se qualcuno avesse tolto la parte artificiale. Forse era solo una mattinata più luminosa.
    «Sì, ma tu non mi lascia fare niente.» mi lamentai. «Sei un fratello decisamente troppo apprensivo.»
    «Mi preoccupo!» cercò di giustificarsi. «Dovresti esserne contenta.»
    «Mi preoccupo anche io per te!» sbottai fissandolo. «Soprattutto perché io faccio attenzione e tu no. Come ti saresti sentito al mio posto l’altra notte?»
    Mi fissò, era così intenso che pensai potesse entrarmi nell’anima. «E tu che avresti fatto se fossi stata me e se io fossi stato te?» mi domandò.
    «Io…» provai ad iniziare, anche se non sapevo bene come proseguire.
    «Mi avresti mandato in missione?» era una domanda retorica, conosceva la risposta. «Posso credere che Nate si sarebbe comportato in modo diverso, ma non tu.»
    «È diverso.» borbottai.
    Ma lui scosse la testa, affatto convinto. «No, per niente. L’unica differenza è che in ogni caso io ho un addestramento militare, perciò sarei stato sicuramente meno in pericolo di te.»
    Incrociai le braccia sul petto, esasperata. «Perché continuiamo ad impelagarci in discorsi che ci fanno litigare?» gli chiesi.
    Zach sospirò, sembrava dispiaciuto, evidentemente quando aveva iniziato a parlare non si era aspettato di finire a quel punto; si strinse nelle spalle e fissò lo sguardo sui miei capelli per evitare il mio. «Magari dobbiamo ancora imparare a fare altro.» tirò via quelli che sospettavo essere alcuni fili d’erba.
    Io mi guardai intorno, lontano da noi, un ragazzo con un cappello calato sul viso mi fece “ciao, ciao” con la mano. Il mio cuore si strinse in una morsa. «Zach, c’è Jamie Ross.» lo avvertii.
    Lui non diede segno di interesse, rimase concentrato su di me. «Lo so, voleva parlarmi.»
    Distolsi lo sguardo dal Veggente per puntarlo di nuovo su di lui. «Aspetta, ma ti serviva davvero il ghiaccio?» domandai insospettita.
    Zach si bloccò e fece una smorfia. «Altro discorso che ci farà litigare.»
    «Perché?» domandai con voce stridula. «Nemmeno tu dovresti affrontare un Veggente da solo!» lo rimproverai scrollandogli il braccio. Pensai a Jean, dio, tenere al sicuro Zach era veramente una missione impossibile.
    «Sta tranquilla, Becks.» cercò di calmarmi. «Lui vuole te non me.»
    Tornai ad osservare il punto dov’era Jamie Ross, ma si era volatilizzato. «Per portarmi da Romeo.» aggiunsi.
    Zach mi guardò. «Nah.» scosse la testa con una smorfia. «Ti vuole per lui.» si alzò e mi porse la mano. «Torniamo in caserma, che dici?»
    Mi lasciai aiutare da lui ad alzarmi, turbata. Avevo creduto che l’interesse nei miei confronti facesse parte della sua copertura, non pensavo fosse autentico, non se aveva Sharon Sullivan accanto, soprattutto. Zach mi strattonò vicina a lui e mi passò un braccio intorno alle spalle; gli lanciai un’occhiata di rimprovero, avrebbe potuto marchiarmi, sarebbe stata la stessa cosa. «Hai qualcosa da dire?» gli chiesi.
    «Sì.» affermò, mi fissò. «Per uscire con un Veggente sono quasi sicuro che tu debba chiedere il permesso a Jean.» mi spiegò sarcastico.
    Assottigliai lo sguardo. «A Jean o a te?» domandai mentre ci incamminavamo verso casa.
    «A tutti e due è meglio.»
    Sospirai. «Sei geloso.» lo accusai.
    Lui scosse la testa. «Sono un fratello apprensivo, l’hai detto tu.»
    Incrociai le braccia sul petto. «Sono libera, fratellino, posso uscire con chi voglio.»
    «Non con i Veggenti.»
    «Beh, ma a Synt non ci sono solo loro, no?» gli fece notare.
    Lui mi fissò per un lungo momento, poi distolse lo sguardo. «Ti stai avventurando in territorio che non conosci.» borbottò, ma io stavo sorridendo lo stesso: non capitava spesso di avere il lusso di vedere Zach arrossire.

Quando Courtney entrò nella sua stanza, trovò una busta chiusa davanti alla porta. La sollevò, sul dorso c’era un bigliettino scritto nella calligrafia frettolosa di Zach “Te la manda Romeo”. Ignorò la preoccupazione inconscia che si svegliava in tutti loro ogni volta che Zach confessava una sua interazione con Romeo – o con un altro Veggente che faceva le sue veci – e l’aprì. Dentro c’era un foglio ripiegato in quattro parti, più di un foglio dal peso, ed un cartoncino scritto da Romeo “Vuoi leggerlo da sola, Court”. A volte trovava molto fastidioso quel modo invadente che aveva Romeo di dar loro consigli, quel giorno però sentiva che aveva ragione.
    Andò in bagno e si chiuse dentro. Abitare in una grande famiglia come quella era divertente, ma lei era stata una figlia unica per sedici anni, a volte sentiva ancora bisogno d’intimità ed il bagno era l’unico posto dove trovarla. Si sedette sulla tavoletta abbassata e scorse con gli occhi i fogli, che poi erano tre, da cima a fondo. Rimase immobile fissando la porta davanti a lei, cercando un senso che non c’era. Ripeté sottovoce tutti i parametri che conosceva, quelli che ricordava. Non lo faceva mai, ma quel giorno si chiese quali particolari valori le facevano sostenere, quando aveva sotto gli occhi le analisi di Zach, che andasse tutto bene. Li ripeté ancora.
    Riaprì il foglio e rilesse tutto.
    Si posò una mano sulla bocca e chiuse gli occhi.
    E rimase lì, a cercare di capire.
    Jared andò a cercarla dopo un paio d’ore, bussò alla porta del gabinetto. «Court?»
    La ragazza stropicciò un pugno di carta igienica intriso delle proprie lacrime. «Sì?» quegli indizi a metà erano così frustranti.
    Jared provò ad aprire. «Che stai facendo là dentro? Jean ti cerca.»
    «Ho bisogno di rimanere sola.» si posò una mano sulla fronte e lanciò un’occhiata a quei valori: da dove partire? A chi chiedere?
    «In bagno?» chiese incredulo Jared. «Court, ma stai bene?» era preoccupato.
    Mamma.
    Sua madre avrebbe saputo cosa significava, sua madre sapeva tutto. Ma se avesse telefonato dalla caserma qualcuno l’avrebbe sentita, Nate aveva scoperto che li spiavano due mesi dopo essere entrato in squadra. Non poteva correre un rischio del genere.
    Si raddrizzò, tirò l’acqua e si infilò la busta chiusa dietro, nei pantaloni. Quando uscì Jared era lì in attesa, lei si strinse nelle spalle. «Che c’è?»
    «Stai bene.» considerò osservandola.
    «Certo che sto bene, ero solo in bagno!» si morse le labbra quando lui distolse lo sguardo da lei. Non voleva mentirgli, ma non voleva nemmeno parlare di quei dati finché non avesse saputo esattamente di cosa si trattava. Si stiracchiò mentre si dirigeva verso l’uscita. «Credo che inizierò a studiare quei libri che mi ha dato Nate.» gli disse. «Dalla fretta che aveva, sembrava una cosa che gli stava molto a cuore.»
    «Okay, ero venuto a dirti che accompagnerò Matt a cercare un nuovo fornitore.»
    Lei scosse la testa sbuffando. «Questa storia di Rose è ridicola.» commentò. «Povera ragazza, ha fatto solo un errore!»
    Jared rise. «Cercherò di farlo tornare sulla sua decisione.» promise.
    Si fermarono davanti alla porta di Court, lei si alzò sulle punte e gli diede un bacio, poi si nascose nella sua stanza.
    Appena lo fece si sfilò la busta da dietro la schiena, recuperò una penna e, dopo essersi sollevata la manica della maglia, iniziò a trascriversi tutti i valori che non capiva sul braccio. Una volta fatto infilò la copia originale sotto il materasso, accanto alla cartellina di Josh.
    Corse da Jean visibilmente turbata ed entrò senza nemmeno bussare. La Responsabile era china sui documenti che aveva preso a raccogliere e classificare, Courtney si disse che prima o poi avrebbe dovuto farsi spiegare cosa cercava, non quel giorno però.
    «Jean, devo parlare con mia madre.»
    Lei la osservò senza capire. «Ci sono dodici telefoni in caserma.» le ricordò.
    Court prese fiato. «Io e lei dobbiamo essere le uniche ad ascoltare.» precisò. «C’è in questa città un telefono sicuro?»
    Per alcuni secondi Jean la osservò e basta. «Sì, c’è.» rivelò infine.

Jean bussò alla porta di Dawn Dandley risoluta, mentre Courtney continuava a guardarsi intorno guardinga tirando forte la manica della maglia verso il basso.
    La donna aprì, era più in ordine del solito, notò la Responsabile, come se si fosse sistemata prima che arrivassero. Si era chiesta spesso se fosse anche lei una Veggente, dall’alto dicevano di no, ma dall’alto nessuno voleva contraddirla. Temevano troppo un suo rifiuto, nel caso un giorno la sua mente brillante servisse di nuovo. La guardò immediatamente, come era stata l’unica a fissarla apertamente al funerale di Josh. Non aveva pianto, eppure sembrava fosse quella che meglio comprendeva l’enormità di quel lutto.
    «Mrs. Lanter.» la accolse gioviale. «Ma che piacevole sorpresa!»
    Jean assottigliò lo sguardò turbata. «Ms. Roberts se non le dispiace.» la corresse.
    «Per me sarà sempre Mrs. Lanter.»
    Sovrappensiero si sfiorò l’anulare vuoto, quando se ne accorse sospirò e strinse il pugno. «Avere a che fare con lei è sempre straordinario. Le spiace se entro?» chiese facendosi strada nell’ingresso, prima ancora che le rispondesse.
    «Per me è lo stesso.» commentò senza opporre resistenza a quell’intrusione. «Come posso esservi d’aiuto?»
    Jean afferrò delicatamente Courtney per un braccio e se la tirò dietro: avere a che fare con Dawn Dandley richiedeva sangue freddo e poca diplomazia. «Court ha bisogno di fare una telefonata strettamente confidenziale a sua madre, ha un telefono, non è vero?» chiese fissandola, sfidandola a dire di no.
    «Ma certo.» richiuse la porta. «Il telefono è nella stanza in fondo a sinistra, il bagno la porta accanto.» guardò Courtney annuire e dirigersi da quella parte. «C’è dell’alcol sotto il lavello.»
    Courtney si voltò per lanciare un’occhiata confusa prima a lei, poi a Jean che la incoraggiò ad andare con un cenno del capo.
    «Se ti dovesse servire.» le urlò dietro Dawn Dandley, poi tornò a rivolgersi a Jean. «Mrs. Lanter, posso offrirle un tè nel frattempo?» la sentì chiedere.
    «Un caffè sarebbe meglio.»
    Lei la osservò con le sopracciglia sollevate.
    «Mrs. Dandley, non mi dica che l’unica regola dell’ADP che è disposta a seguire è “Niente caffè per i Veglianti”.»
    La donna sorrise ferina. «No, di certo.» si avviò facendole strada verso la piccola cucina. «Spero di fare in tempo.»
    «In tempo?» ripeté Jean senza capire.

Courtney si buttò sul telefono, sistemato sulla scrivania, come un gatto su un insetto: prima riusciva a parlare con sua madre e meglio sarebbe stato per tutti.
    Compose il numero in fretta, senza pensare nemmeno alla possibilità che avrebbe potuto non rispondere. Sua madre era una donna algida, molto severa e decisamente poco incline alle manifestazioni d’affetto, ma non aveva mai avuto motivo di dubitare dell’illimitato amore che provava per lei. Non importava, come o quando, se avesse chiamato Vivien Williams avrebbe risposto.
    «Pronto?» si sentì infatti rispondere dopo pochi squilli.
    «Mamma, è una questione urgente e credo di avere poco tempo.» le spiegò in fretta. «Hai per scrivere?»
    «Sì.»
    La ragazza si scoprì il braccio con i denti ed iniziò a dettarle tutti i valori, diligentemente. Quando finì, sua madre rimase in silenzio per un lungo momento. «Di chi sono queste analisi?» la tensione nella sua voce era palese.
    «Di Zach. Che posso fare?»
    «Gli servirebbero delle trasfusioni particolari. Mi metterò in contatto con chi di dovere e farò in modo di procurarti le sacche giuste, ma mi ci vorrà del tempo.»
    «Nel frattempo cosa posso dargli?» sentì qualcuno suonare al campanello e si voltò verso la porta.
    «Correggi la sua dieta, Courtney, puoi giustificarti dicendo che vorresti aiutarlo ad aumentare la sua massa muscolare. Togli le verdure e la frutta ed aumenta la carne rossa.» ordinò. «Fai il contrario con i pasti di Jean, dì che ha una carenza di fibre, poi rimescolali.»
    «Starà bene?»
    «Sarà un ottimo palliativo.» garantì. «Nel caso avesse una forte emorragia non dargli le sacche di sangue per Veglianti, fa in modo che abbia quelle per civili. Battiti perché abbia quelle.»
    Dall’altra parte della casa sentiva persone parlare in modo animato.
    «E chiamami, ti raggiungerò immediatamente.»
    «Ti devo lasciare, mamma, ti voglio bene.»
    Riappese la cornetta senza fare rumore e si affacciò verso l’ingresso, dove Jean e Dawn Dandley stavano cercando di trattenere due uomini, due agenti dell’ADP, di quelli che controllavano i Veglianti, li riconosceva dalle giacche nere e le cravatte verdi. Aveva un ricordo cupo di loro, avevano indagato sulla morte di Josh: aveva iniziato a mentire loro da lì.
    In qualche modo dovevano aver saputo qualcosa. Attraversare quel corridoio non sarebbe stata una buona idea, ma doveva andare in bagno e lavarsi via quelle scritte sul braccio. Costrinse il suo cervello a rimanere calmo e pensare.
    Si avvicinò alla finestra della camera, la spalancò e saltò giù. Fece il giro della casa rimanendo bassa e pregando che anche la finestra del bagno fosse aperta. Lo era: si aggrappò al davanzale e si issò oltre il cornicione; una volta dentro corse ad inchiavare la porta con due mandate, consapevole che, se qualcuno avesse davvero voluto buttarla giù, la resistenza sarebbe stata minima.
    Aprì l’acqua ed iniziò a strofinarsi il braccio con il sapone.
    Romeo scivolò dentro passando dalla finestra che aveva lasciato aperta, Courtney ebbe soltanto il tempo di guardarlo mentre si chinava, tirava fuori l’alcol da sotto il lavello e glielo versava sui segni della penna.
    «Perché te lo sei scritto addosso?» gli domandò in un sussurro furioso.
    Il cuore le batteva all’impazzata, era lì per ucciderla? Però quei dati glieli aveva mandati lui, perché farlo se non voleva che ne ricavasse qualche conclusione?
    «Dovevo tenere il foglio.» spiegò.
    «Non l’hai distrutto?!» domandò incredulo.
    «Certo che no.» rispose scioccata. «L’anamnesi di un paziente è importante.»
    Romeo alzò gli occhi al cielo e si appoggiò alla porta con la schiena dieci secondi prima che qualcuno bussasse con decisione. «Courtney Williams, sappiamo che è lì. Esca subito, l’ADP deve porle delle domande.»
    Lei fece per rispondere, anche se non sapeva esattamente cosa, ma Romeo si portò un dito alle labbra intimandole di fare silenzio. Forse sarebbe stato saggio ascoltarlo, forse nemmeno lui voleva che gli agenti dell’ADP vedessero. Con un cenno del capo le invitò a mostrargli il braccio, le scritte non erano più leggibili, ma i segni c’erano ancora, l’avrebbero interrogata.
    «Posso scappare.» propose con un cenno verso la finestra.
    «Se scappi adesso dovrai farlo per sempre.» la guardò contrito. «Che fai? Ti trasferisci da noi?» chiese sarcastico.
    Lei non rispose, lo guardò e basta, sconcertata perché nel so sguardo, nella sua espressione, c’era qualcosa che le fece credere che lui volesse che lei scappasse e lo seguisse. «Sono una Vegliante non una Veggente.» gli ricordò ferma.
    Romeo rise. «Come ho già detto: dettagli.» sospirò e lasciò la porta, andò alle sue spalle e Courtney seguì i suoi movimenti rigida ed agitata: l’ADP l’aspettava fuori, ma se rimaneva lì era nelle mani di Romeo.
    «È colpa tua se sono in questa situazione.» si lamentò.
    «Per questo ti sto aiutando.» le fece notare. «Con permesso.» se la strinse addosso e le poggiò il palmo sulla bocca; intanto un colpo poco incoraggiante dimostrò ad entrambi che stavano effettivamente buttando giù la porta.
    Romeo si portò un braccio dietro la schiena e recuperò una pistola, Courtney si divincolò preoccupata. «Shh.» sussurrò al suo orecchio, le labbra vicino al suo viso, ma gli occhi fermi sulla porta. «È scarica.» le puntò la canna sotto il mento. «In fondo io sono già scappato.»
    Quando gli agenti dell’ADP fecero irruzione nel bagno, armati, dovette sembrare che Romeo l’avesse sequestrata, probabilmente aveva intenzione di rapirla. Courtney immaginò i loro pensieri, la spiegazione della sua mancata risposta alla loro insistenti richieste di aprire, tutto improvvisamente così chiaro: non era colpa della diligentissima Vegliante Courtney Williams, ma del Veggente che la stava minacciando. Ed in fondo quanto poteva valere qualsiasi informazione potesse fornire loro, in confronto alla possibilità di catturare proprio Romeo?
    «Ops.» fece lui ridendo. «Dobbiamo rimandare il nostro momento di intimità ad un altro giorno, tesoro.» continuò, la strinse forte e le leccò una guancia,
sporco e volgare come quando l’aveva baciata per fare ingelosire Zach, lei strizzò gli occhi cercando di ribellarsi.
    «Scusa.» le sussurrò pianissimo, prima di spingerla tra le braccia degli agenti e scappare dalla stessa finestra dalla quale era entrato.
    Uno dei due funzionari la sostenne, mentre l’altro seguì Romeo. Le domande che le posero a quel punto furono tutte concentrate sul capo dei Veggenti, piuttosto che sul perché lei era lì: l’ADP aveva delle priorità.
    Courtney rispose in modo preciso, senza titubare mai; a volte lanciava un’occhiata a Jean, la Responsabile la stava fissando cercando in lei ogni possibile segno di ferita interiore o esteriore.
    Solo Dawn Dandley sospirò rumorosamente e teatralmente, interrompendo tutti, affatto toccata dall'apparizione di Romeo in casa sua. «Ed ora chi me la ripara la porta?»

Jean Roberts non le chiese niente durante il tragitto che fecero per tornare in caserma, Courtney non disse niente. Gli agenti dell’ADP le avrebbero fatto del male se Romeo non fosse intervenuto? Faceva fatica a chiederselo, figurarsi se poteva rispondersi.
    «Sicura di non voler vedere un medico, Court?» le domandò Jean solo quando furono davanti alla porta del garage.
    Lei annuì. «Sono un medico, se stessi male lo saprei.»
    «Ho detto agli agenti dell’ADP che volevi cercare un telefono perché temevi di essere incinta. Il tuo fidanzato abita con te e tu non ti sentivi di parlare liberamente con tua madre, spaventata di poter essere ascoltata.» si strinse nelle spalle. «Hai chiamato tua madre, chi meglio di lei per un confidenza del genere?»
    Courtney annuì ancora. «Tu non mi chiedi niente?»
    «Sai qual è il modo migliore per mentire?»
    La guardò e scosse piano la testa.
    «Non conoscere la verità.» rivelò. «Per quel che mi riguarda hai avuto un ritardo, ti sei spaventata, non eri pronta ad affrontare il discorso con Jared ed hai voluto discuterne con tua madre prima.»
    Courtney sorrise. «Tranquilla, Jean, era solo un falso allarme.»
    «Meno male, non è il momento migliore per una gravidanza.»
    Non fece nemmeno in tempo ad uscire dall’ascensore del primo piano, che Jared le corse incontro e la abbracciò. «Stai bene?» le chiese visibilmente preoccupato. «Romeo ti ha aggredita?»
    Lei lo fissò, avrebbe voluto raccontargli la verità, che con ogni probabilità Romeo le aveva evitato ore di interrogatorio, ma non ci riuscì. Non poteva caricarlo di un peso del genere prima di aver trovato un senso alle sue azioni di quel pomeriggio. «Sì, non mi ha fatto niente.» lo tranquillizzò con un sorriso. Avrebbe voluto che Lynn fosse lì, a lei avrebbe potuto raccontare.
    Jared sospirò. «Vorrei ucciderlo.»
    Ricambiò il suo abbracciò. «Non ce n’è bisogno.» disse. «Prima o poi lo cattureremo.» solo in quel momento si chiese, anche se era una domanda senza senso, da dove fosse scappato Romeo.
    Lui la allontanò e la fissò negli occhi. «Eri lì per un ritardo, è vero?»
    Che bugia stupida. «Sì.» confermò a malincuore.
    «E?» la incalzò lui.
    Lei sorrise e sgranò gli occhi. «E niente, è tutto apposto. Sarà un po’ di stress.» archiviò la cosa con un’alzata di spalle ed un sorriso, leggera e naturale come tutte le ragazze che vedono i loro dubbi dissipati.
    Ma appena rimase sola inviò una richiesta per correggere la dieta di Zach e Jean.

«Cercheranno di riprendersi la centrale elettrica.» spiegò Ofelia. «Sappiamo tutti che è l’obbiettivo principale di Nate, lo è sempre stato.»
    Romeo li ascoltò discutere passivamente, stava guardando tutte le strade che poteva percorrere, infinite e tortuose; alcune erano belle, altre eccitanti, alcune avrebbe preferito non vederle, per certe non aveva tempo, anche se avrebbe voluto. Avrebbe voluto molte cose, se avesse potuto scegliere. Al momento però aveva un’unica strada percorribile che passava per due punti precisi: Rebecca Farrel e Zach Douquette.
    «Romeo, tu che suggerisci?»
    Lasciò che il presente si ricomponesse davanti a lui. «Lasciamoli vincere.» propose.
    Tutti lo guardarono in attesa che si spiegasse meglio.
    «Nate non è stupido, giocherà in difesa per testare la loro capacità, disegnare i loro limiti.» spiegò. «Se li fermiamo serrerà di più le fila. Sa cosa vogliamo e ce li nasconderà, non è un caso che abbia chiesto a Zach di addestrare Rebecca. Saranno insieme perché vuole essere pronto a metterli al sicuro in fretta in caso di difficoltà.»
    Incontrò lo sguardo di Jamie Ross, non sembrava convinto. «Vuoi imbrogliare Nate?»
    Rise, sì, avrebbe funzionato benissimo. «Voglio solo che si credano un pochino più forti di quello che sono.» si alzò dirigendosi verso il centro del gruppo di persone riunite. «E quando nella prossima missione abbasseranno le difese per colpirci, noi mostreremo loro perché non possono vincere questa guerra.»
    Jamie Ross alzò la mano, Romeo fece una smorfia, sapeva cosa stava per chiedergli.
    «Che intendi fare a Rebbecca Farrel?» chiese e sapeva di non essersi immaginato la minaccia nella sua voce.
    Sospirò. «Ancora non ho deciso.» lo guardò indispettito. «Non avevi intenzione di andartene?»
    «Resto a fare le veci della tua coscienza, non ti darò fastidio.» lo rassicurò. «Sarò quello che ti ricorda che non si uccide Rebecca Farrel.»
    «Fantastico.» borbottò Romeo.
    «Ah, e ti cerca Madame Vivien Williams.»
    Lo guardò stupito, mentre gli altri, finito il discorso che li riguardava, se ne andavano. «E che vuole?»
    «Il tuo sangue.»
    Romeo aggrottò le sopracciglia perplesso. «Nel senso che mi vuole morto?»
    Jamie Ross parve pensarci. «No, credo che voglia proprio una sacca del tuo sangue.»

Evidentemente anche dopo una giornata buona, non eravamo ancora abbastanza guariti da poter cenare tutti insieme senza sentirci in imbarazzo. Sapevo che Zach cenava con Nate e sospettavo stessero anche discutendo sulle mie performance giornaliere; io mi ero nascosta nella stanza di Matt con il mio vassoio e sfogliavo pigramente il file di uno dei libri di Lynn, lui aveva lo schermo di un televisore che stava aggiustando accanto. Dopo il segreto che avevamo condiviso sembrava non avessimo bisogno di dirci altro.
    Sapevo che Courtney era stata aggredita da Romeo, ce lo eravamo sussurrato uno all’altro come un succulento pettegolezzo a scuola, ma lei non sembrava molto turbata; per quanto la sua decisione di impegnarsi con Jared sembrasse autentica, Zach continuava ad essere l’unico elemento a riuscire a smuovere il ghiaccio che la circondava.
    «Secondo te lo ama ancora?» chiesi a Matt, in un momento di masochismo estemporaneo.
    Sollevò gli occhi dal suo apparecchio, sorpreso quasi che gli avessi rivolto la parola. «Tu piaci a Zach.»
    Arrossii. «Sì, come no.»
    Mi fissò e posò la sua mela tra me e lui. «Mi gioco questa merda che se tu non vai a dormire da lui stanotte, domani mattina te lo trovi nel letto.»
    Arrossii di più. «Non essere ridicolo.» sbottai imbarazzata. «Ed io non mangio mele, sono schifose.»
    «Ci giochiamo una colazione, allora.» propose stringendosi nelle spalle.
    Sorrisi. «Colazione sia.»
    Tornò al suo lavoro, lo studiai per un po’ poi trovai il coraggio di chiedergli: «Con Rose?»
    «Non ci siamo più parlati.» confessò.
    «Dovresti.» gli consigliai.
    «E se mi uccide?»
    «Non l’ha mai fatto. Perché dovrebbe farlo ora?»
    «Perché conosco la sua vera identità.» disse senza guardarmi.

Zach bussò alla porta di Courtney, lei aprì quasi subito.
    «Mi accompagni a fumare?» ma i suoi occhi le stavano dicendo altro: “Prima o poi dovremo parlare, meglio prima che poi”.
    Lo seguì fuori e si strinse il maglione che aveva addosso per ripararsi dal freddo, anche se non era soltanto quello a farla rabbrividire, si sentiva tesissima.
    Per alcuni secondi rimasero fuori al freddo senza dirsi niente.
    «Stai bene?»
    Courtney sorrise. «Non mi ha fatto niente.»
    I secondi passarono silenziosi, intervallati dalle nuvolette di fumo che galleggiavano nell’aria.
    «Sei incinta?» fu una domanda incolore, si chiese quanto gli costasse.
    «No.» sapeva che il problema non era che potesse essere incinta, ma che quel dubbio era una prova lampante: lei faceva sesso con Jared, regolarmente. Sarebbe stato meglio confessargli tutto? Ripensò alle analisi, probabilmente no. E poi... beh, lei faceva sesso con Jared regolarmente.
    «Siamo amici in ogni caso.» disse dopo un po’, prese fiato come se si preparasse ad un discorso molto lungo e molte volte preparato in precedenza. «E ti voglio bene. Mi dispiace se in passato ti ho ferita, non avrei mai voluto. E mi dispiace non aver capito quello che c’era tra te e Jared ed essere stato tanto invadente. Voglio bene anche a lui non voglio che mi odi.»
    «Non ti odia.» lo tranquillizzò.
    Si voltò verso di lei e la guardò, apertamente, senza rammarico, senza colpa, senza rancore o rimpianti. «Senza Lynn non riusciamo a stare uniti se non facciamo pace.» le fece notare. «Non possiamo permetterci tre mesi di lutto per qualcosa che non è mai stato.»   
    Court chiuse gli occhi a quel “mai”, nonostante tutto lo sentiva ancora come una partita persa. «Okay.» acconsentì.
    Lui sospirò di sollievo. «Jared è in gamba, ti tratterà bene.»
    «Lo so.» prese fiato, si disse che era migliore di in quel modo, che il suo cuore non poteva essere fatto soltanto di gelosia ed invidia. C’era l’amore, l’affetto, il bene disinteressato di voler vedere le persone a cui teneva felici: si concentrò su quello. «Zach, posso dirti una cosa da amica?»
    «Sì.»
    «Ti ricordi cosa mi dicevi di Lindsey? Che per quanto fosse fantastica a volte non poteva capirti?»
    Annuì.
    «Ricordatelo sempre.» deglutì. «Anche Becky è una Vegliante e non potrà mai stare con una persona normale. E piantala con questa puttanata del “Non c’è tempo per l’amore a Synt”.» continuò. «Guardati, Zach, lo stai trovando, il tempo.» non gli disse quanto la feriva che per Becky trovasse tempo, ma che non l’aveva mai fatto per lei. Si disse che era così che doveva andare, che a volte il destino sceglie al tuo posto e non è detto che porti solo disgrazie. Si disse che la sua strada era un’altra ed anche se non era proprio sicura di aver capito quale, per la prima volta credette che fosse vero.
    Zach la studiò con le sopracciglia aggrottate. «Certo che sei un’amica stronza.» commentò.
    «Ma saggia.» sorrise Courtney. «Sono un’amica saggia.»

Zach si affacciò alla mia porta quando ero già a letto da un pezzo.   
    «Becks.» mi chiamò. «Dormi?»
    «No.» sussurrai.
    «Perché sei qui?»
    Ci pensai e mi tirai a sedere, non volevo accendere la luce, se l’avessi fatto avrebbe letto sul mio viso la delusione di essere uscita per andare in camera sua ed averlo visto bussare alla porta di Courtney.
    «Dove dovrei essere?»
    «Nel mio…» si interruppe rendendosi conto a metà frase di quanto potesse essere equivoco dire “Nel mio letto”. Decisamente troppo equivoco. «La tua brandina sta ancora nella mia stanza.»
    Mi morsi il labbro e tirai indietro i capelli con un sospiro, non sapevo bene cosa dire. «Eri con Courtney, non sapevo…» se ci saresti andato a letto? Pessimo. «Non ero sicura che mi volessi lì.»
    Lo sentii entrare nella mia camere ed accostare la porta, si sedette sul letto accanto alle mie ginocchia. «Qualsiasi cosa ci sia mai stata con Courtney è finita con Jared.» sbuffò. «Probabilmente era già finita tanto tempo prima, ma eravamo troppo spaventati e delusi per ammetterlo.»
    Deglutii.
    «Non andremo a letto insieme, Becky, smettila di esserne così preoccupata.» disse conciliante.
    «Non mi devi spiegazioni, Zach.» ammisi sincera, non mi aveva promesso niente, mai. Passare una mattinata a correre per Synt non ci rendeva certo intimi in quel modo, al massimo poteva renderci amici più intimi.
    «Lo so.» si avvicinò. «Ma voglio dartele uguale, posso?» mi prese le mani, lasciandomi parecchio sorpresa di averle trovate, era buio, non c’era luce, cos’era un gatto che ci vedeva anche di notte?
    «D’altronde sei la mia sorellina apprensiva, no?»
    Sorrisi e mi chiese se mi vedesse.


allora, che ne pensate?
come vedete un po' si sono avvicinati... non voglio però che la pensiate come Zach che rimpiazza Courtney, spero di non avervi dato questa idea. qualsiasi cosa ci sia tra Zach e Becky era già nell'aria, solo che avere una possibile situazione a metà, precedente a lei, rendeva difficile concentrarsi su altro... non so come spiegarvi! tipo come quando siete tanto innamorate di un ragazzo ed uno super figo ci prova con voi... è obbiettivamente bello come un dono del cielo, ma lascereste il vostro amore?
...
dopo questi paragoni molto intelligenti direi che è il caso di lasciarvi...
as always i vostri commenti, di tutti i generi, sono ben accetti.
baci

ps. Lamponella

   
 
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