Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Evanne991    21/01/2014    2 recensioni
Non sempre è tutto bianco o tutto nero. A volte in mezzo ci sono tutti i colori dell'arcobaleno. Una giovane donna e la sua ingenua convinzione che il nero sia solo il colore degli abiti da sera che indossa nelle lussuose feste organizzate da papà. Quel che nero che, appena riconosciuto, decide di strapparsi di dosso. A qualsiasi costo.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Dicembre era cominciato con violenti acquazzoni. Era passato circa un mese dalla cena in cui Christian le aveva tirato uno schiaffo. Non aveva sentito più nessuno di loro, aveva spento il cellulare e non era uscita più da casa. Quasi colpevole, quasi si vergognasse. La rabbia aveva lasciato posto al dolore. Le mancava Elettra, la bella Elettra, la dolce e forte Elettra. Le mancava di più Eva, la sua Eva, l’amica di una vita. Christian si era rivelato uno stronzo, come già credeva da anni. Sperava solo che non avesse mai dato un ceffone ad Eva. Quello che non sapeva, Aida, era che non le percussioni fisiche avrebbero fatto del male alla sua amica. No, quelle non c’erano. Ma c’era di più, c’era di peggio.
Sua madre era semisdraiata sul divano di pelle, nel grande salotto luminoso, sorseggiava una tisana e quando la vide entrare, le rivolse un gran sorriso.
-Ciao tesoro. Vuoi qualcosa?

Vorrei scoppiare a piangere ed ammettere che mi mancano le ragazze disperatamente, vorrei dirti che amo la donna che anni addietro è andata via per te, vorrei che la paura che ci sia qualcosa di strano in Christian sia solo un film inquietante nella mia testa. Vorrei abbracciare Eva e dirle quanto bene le voglio, ché non gliel’ho mai detto, vorrei abbracciare Elettra e dirle che l’amo in un modo talmente silenzioso, da sempre, ché non c’è più bisogno di dirlo, ma solo di guardarla. E vorrei abbracciare te e sentirmi dire che va tutto bene, che troveremo una soluzione, che sono la tua piccola principessa e che mi ami.

-No, mamma, sto bene così.
 
***
 
Christian le dormiva accanto, nel letto dalle lenzuola nere. Piano, lei scivolò via, e lui grugnì e si voltò dall’altra parte, affondando il viso nel cuscino. Avevano fatto l’amore tutta la notte e poi avevano parlato fino ad addormentarsi, due ore prima. Lei aveva un ritardo. A lui non l’aveva detto. Ed aveva la certezza di aspettare un figlio. Non aveva ancora fatto un test di gravidanza, ma il malessere che l’accompagnava da quasi un mese, ormai, ne era prova inconfutabile. Tra le mille parole, lei gli aveva chiesto, birichina, se un giorno lui l’avrebbe sposata. Lui l’aveva guardata con una devozione tale da farla rabbrividire, e le aveva promesso un matrimonio, una vita, dei figli. Lei aveva poi sospirato di sollievo. Almeno, quando gli avrebbe detto di essere incinta, lui ne sarebbe stato felice. Non era quello che voleva?
Raccoglieva le sue cose, sparse per casa, mentre sentiva il respiro di lui tornare regolare e pesante. Lui aveva captato le ansie di lei, dopo le parole di Aida ed il pranzo con Vincenzo. L’aveva rassicurata, era stato presente, era stato pacato. E lei era ricaduta, nonostante volesse lasciarlo per paura di un punto interrogativo in aria. Era caduta di nuovo, per lui, perché in lei c’era un figlio suo. Era bastato accorgersi di avere un ritardo e ricollegare i tasselli per capirlo. Certo, non gli aveva detto nulla. Ma oggi avrebbe fatto il test e stasera, a cena, gliel’avrebbe detto. Erano appena le otto del mattino, fuori pioveva, lei distratta prese le chiavi della sua Mercedes, una sciarpa, degli occhiali. E non si accorse di afferrare una chiavetta usb tra le cose e di lasciarla cadere nella sua borsa grande. Christian dormiva. Lei stava andando in farmacia. Spense il cellulare, come da tradizione: era il giorno del compleanno di Eva, e da sempre, lei e Christian non si sentivano fino alla sera, quando si incontravano davanti ad una piccola chiesa e lui le portava un’orchidea. Anche quell’anno avrebbero rispettato la tradizione.
Era felice, Eva. Forse come non lo era mai stata. Mancava solo Aida. Terribilmente Aida. Guidava, persa nel traffico mattutino, e pensava alla sua amica, al fatto che non la sentiva né la vedeva da troppo tempo. Pensava a come sarebbe stata complice nell’accompagnarla in farmacia. Parcheggiò, prese il telefono dalla borsa, lo riaccese un attimo e le scrisse un sms veloce, pur sapendo che l’amica teneva il telefono spento. Scese austera dalla bella macchina, ancheggiando si diresse in farmacia.
 
***
 
Non sapeva bene cosa la spinse  farlo, ma dopo un mese, circa, accese il cellulare. Le arrivano tantissimi sms in cui veniva avvisata di essere stata cercata da Eva. Sentì un morsa premerle lo stomaco. Mentre scorreva sul display, una musichina le annunciò l’arrivo di un sms di quel preciso momento.
“Ti voglio bene, sono incinta!”
Aida spalancò la bocca, poi la richiuse, poi la spalancò nuovamente. Eva mancava di tatto, certe volte, ma questa era sicura fosse una scusa per convincerla a risponderle. Arricciò le labbra in un sorriso, e le scrisse:
“Buon compleanno!”
Non voleva darle la soddisfazione. Sapeva che aveva una tradizione con Christian, ogni anno per il suo compleanno, e quella sera, decise, si sarebbe presentata anche lei davanti la chiesetta, non con orchidee, ma con il cuore in mano.
 
***
 
Nonna Dalila le rivolgeva uno sguardo compiaciuto. Che bella, sua nipote. Una donna davvero affascinante, con qualcosa di selvaggio, come il suo soprannome. La criniera rossa, forse, gli occhi in fiamme, le labbra che parevano insanguinate. Eppure, ogni tratto violento era armonico. Le stava raccontando di una ragazzina, Aida, di una lite avvenuta un mese prima. L’anziana donna ascoltava, apprezzava le movenze, le parole e le idee della nipote maggiore.
-Oggi è il compleanno di Eva, poi, io non saprei, davvero…
-Va’ da lei, tesoro.
Elettra rimase stupita. Sua nonna l’aveva ascoltata in silenzio, e solo ora parlava. Andare da lei. Da Aida. Significava bussare ad una porta ben conosciuta e magari guardare Giulia, prima di sparire in camera di Aida.
La nonna si alzò lentamente dalla poltrona grande e sontuosa del salotto di casa Sivi. Attraversò la stanza, ed Elettra non poté che riconoscere nella donna un’eleganza e un portamento regale e d’altri tempi. Dalila uscì dalla stanza in silenzio, e si ritirò nella sua stanza, a scrivere lettere d’amore ad un destinatario segreto, al suo Pierre segreto.
 
***
 
I suoi stavano lavorando. Sua nonna era uscita con la scusa di fare un giro per negozi, lasciandosi accompagnare da Maria, la cameriera, ma lei sapeva che in realtà sarebbe andata ad imbucare le lettere che scriveva ogni giorno. Elettra era sparita. Non aveva idea di dove fosse. Di Christian alcuna notizia, ma era parte del gioco. Aida le aveva risposto. Non le aveva creduto, probabilmente. La cosa che Eva non capì, fu il perché finalmente Aida aveva il cellulare acceso e perché si era limitata ad un convenevole.
Era passato adesso un minuto. Sospirò, abbassò lo sguardo sull’apparecchietto posato sul marmo chiaro.
Positivo. Non ne fu sorpresa, né felice. Sapeva di essere incinta, quella era solo la conferma. Prese il test, lo pulì delicatamente e tornò in camera sua.
 
***
 
Suonò al campanello. E fu proprio Giulia ad aprirle la porta. La donna fu attraversata da un insieme di emozioni. Elettra la riconobbe stanca, abbattuta, dimagrita. Ma sempre molto bella.
-Ho bisogno di vedere Aida.
Giulia la fissò intensamente. Poi si fece da parte, la fece entrare, e con un cenno della mano le indicò il corridoio.
Camminava velocemente. Conosceva bene quella casa. Bussò con le nocche bianche alla porta della stanza di Aida. La voce acuta della ragazza la invitò ad entrare. Quando Elettra aprì la porta e si rivelò ad Aida, sentì il cuore scoppiarle in petto. Aida la guardò sgranando gli occhi già grandi. Lei era qui. Nonostante Giulia, nonostante i silenzi. Elettra era davanti a lei.
Stava ascoltando Purple Rain, e la voce di Prince stava cantando:
-I think you better close it, and let me guide you to the purple rain.
Non parlarono. Elettra voleva, doveva, dirle che l’amava. Eppure quasi spinte dalla melodia, quasi libere nella melodia, presero ognuna il viso dell’altra nelle mani tremanti e si scambiarono il bacio più dolce e disperato che mai avessero dato in vita loro, amandosi solo così, scambiandosi le lacrime e sorridendo nelle labbra dell’altra.
Giulia, in salotto, sorrise, amara.
 
***
 
Stava cercando di sistemare il caos nella sua borsa troppo grande. Mentre imprecava alla ricerca di un rossetto disperso, le sue dita afferrarono un piccolo oggetto. La chiavetta usb di Christian. Sbuffò, scocciata, più che altro perché non si trattava del suo rossetto e pensò che avrebbe dovuto rimetterla poi al suo posto (ma quale posto? Chissà come aveva fatto a prenderla lei ed in quale parte della casa) facendo in modo che Christian non se ne accorgesse. C’erano sicuramente documenti di lavoro, al suo interno. Per un attimo Eva fu tentata di telefonargli ed avvisarlo, ma poi fece spallucce, egoista.
Mentre il silenzio di casa Sivi la proteggeva dai lampi violenti di quel giorno tempestoso, senza rendersi quasi conto dei propri movimenti, sedette davanti al computer di ultima generazione, inserì la chiavetta ed alzò un sopracciglio quando le venne richiesta una password per accedere ai documenti.
Christian la tirava troppo per le lunghe, non c’era dubbio. Provò, egocentrica, ad inserire il suo nome, poi la sua data di nascita, poi il nome della madre di Christian, ma nessuna delle sue idee equivaleva alla password.
Che poi, a lei neanche interessava del lavoro di Christian e di noiosissimi documenti burocratici. Ma per principio, adesso, voleva leggerli, guardarli, studiarli.
Le venne in mente un giorno di tanti anni prima.
 
Sono divisi a coppie, e fanno questo stupido gioco. Lei e Christian giocano contro due loro compagni classe. Hanno un’ora di buca. Il gioco in realtà consiste nell’indovinare le password degli altri. Appunto, un gioco stupido.
Christian le sussurra:
-Vuoi sapere qual è la password a cui mai nessuno pensa?
Eva, scocciata, lo guarda in attesa di delucidazioni.
 
Batté sulla tastiera del computer la parola password. Come immaginava. Christian non era cambiato proprio per niente.
Il contenuto della chiavetta  consisteva in un’unica cartella. Senza nome. Eva l’aprì. In lei un piccolo senso di ansia. Diede la colpa alla nausea. Insomma, era incinta!
Erano almeno una decina di video. Cliccò su uno, il primo, curiosa.
Non sapeva a cosa pensare. Non sapeva se urlare. Non sarebbe riuscita più a proferire parola. Sentiva girarle la testa. Le mancava il respiro. Probabilmente aveva un attacco di panico. Non riusciva a distogliere gli occhi dal corpo di Christian che faceva sesso con una persona. E lei conosceva quella persona.
 
NOTE DELLA (PSEUDO)AUTRICE:
Eccomi quiiiii! Aggiornamento in extremis. Non voglio dire nulla, solo che questo è il terzultimo capitolo. Seguirà un penultimo DIFFICILE (ci sto pensando da mesi) ed una Point of View che mi angoscia al sol pensiero. Ah, ed un epilogo in cui svelerò le sorti dei personaggi. Baciotti a tutti! Ev.
  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Evanne991