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Autore: _cashmere    21/01/2014    6 recensioni
Panem, Distretto 9.
Venetia Castro, un'orfana di soli dodici anni, giura vendetta contro coloro che l'abbandonarono in quell'istituto buio e freddo. E promette di utilizzare tutti i mezzi a sua disposizione per distruggere la sua famiglia fin dalle radici.
Ma un mistero si cela dietro tutto questo. Qualcosa di talmente grande che potrebbe mettere a repentaglio la sua stessa vita.
Quali eventi spinsero sua madre ad abbandonarla? Perché tutti coloro che incontra sembrano volerla tenere alla larga dalla verità? E soprattutto, chi è lei veramente?
*
Rimase lì, ad osservare le chiazze vermiglie che navigavano sulla superficie dell'acqua come navi alla deriva nonostante gli occhi le bruciassero. Era sempre stata sadica nei confronti del suo corpo, le piaceva spingerlo al limite. Chissà fino a che punto sarebbe riuscito ad arrivare, fino a quando avrebbe resistito.

[Chapter IV – But you can never leave]
[EDIT 8/07/16 – storia in revisione]
Genere: Angst, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'I fantasmi sono fatti di memoria.'
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Schwartz's Roses






Pensavamo morisse mentre dormiva
Pensavamo dormisse mentre moriva




CHAPTER I
I’ll see you on the dark side of the moon




Sedeva a gambe incrociate sopra la branda, perfettamente a suo agio in quella stanzetta priva d'illuminazione. Il buio la affascinava, le infondeva in corpo una magnifica sensazione di potenza. Forse perché durante la notte riusciva con più facilità ad eludere la misera sorveglianza composta da un gruppetto di Pacificatori per andare in cerca di cibo, o forse perché l'oscurità la aiutava a riordinare i pensieri e sentirsi più in pace con se stessa. 
Il sapore acre del sangue della donna insaporiva ancora le sue labbra mentre le mordicchiava lentamente, avendo cura di non tagliarsi con i canini affilati. 
Ad un tratto un leggero bussare la destò da quello stato di dormiveglia in cui piombava per pochi minuti al sopraggiungere del crepuscolo. Spalancò ancor di più gli occhi e con un saltello scomposto scese dal letto, per poi aprire la porta con uno scatto secco.
« Eccoti qui, finalmente. » sibilò socchiudendo le palpebre, come accecata dal misero spiraglio di luce che filtrava dal corridoio.
La nuova arrivata, una ragazza sulla quindicina la cui aria vagamente altezzosa era del tutto in contrasto con lo squallore che la circondava, squadrò la camera dall'alto in basso e commentò: « Ma ti pare questo il modo di ricevere un'essere umano? Di certo non mi aspettavo un'accoglienza con tanto di tappeto rosso, ma tutto questo è... inaudito! » 
« Taci! » la interruppe scoprendo i denti, per poi continuare con voce cantilenante: « Ascoltami bene, June Hussman, ricordi quella notte afosa di quest'estate in cui io... Feci visita alla tua adorata famigliola? »
Un brivido freddo corse lungo la schiena della bionda, mentre brandelli confusi di quell'orribile serata riaffioravano dall'oblio dei suo ricordi. Le urla disperate di suo fratello, le suppliche di sua madre, la bottiglia di acido che la disgraziata aveva lanciato loro addosso e le risate perfide della dodicenne, che assisteva alla scena come se stesse guardando un film particolarmente intrigante.
Venetia si mise la mano davanti alla bocca per coprire un sogghigno, avendo notato un insolito terrore negli occhi cerulei di June. 
« Bene, vedo che il tuo cervellino atrofizzato funziona, se debitamente stimolato. » ribatté, stringendole le guance con una mano come si fa con i bambini e carezzandogliene una con il pollice. « Senza dubbio ricorderai la promessa che mi facesti. Vuoi rinfrescarmi la memoria, Hussman? » 
« Ti promisi che se tu non fossi più venuta a visitare la mia famiglia con lo scopo di nutrirti io avrei ricambiato con qualsiasi genere di favore. » biascicò, liberandosi dalla stretta della dodicenne.  
« Ed è proprio questo quello di cui ho bisogno oggi. Un favore che solamente tu puoi farmi. »  riprese, sedendosi sul letto a gambe incrociate ed invitandola a fare lo stesso. 
« Del tipo? » chiese June, avendo cura di non sfiorare neppure con il lembo del vestito il lenzuolo.
« Siediti. » le intimò Venetia. « Sai, oggi stavo riflettendo sul fatto che se la mia vita fa così schifo non è colpa mia, bensì di due disgraziati che portano il mio stesso cognome. » 
« Ebbene? » fece June, incitandola a proseguire per poter finalmente uscire da quella stanza.
« Quanta fretta! Sembra che tu abbia tanta voglia di togliere il disturbo. » disse, posandole una mano sulla spalla. « Vorrei che tu, essendo libera di muoverti a tuo piacimento, mi procurassi tutte le informazioni necessarie sulla famiglia Castro, dai capostipiti fino a quegli sciagurati dei miei genitori. Sei in grado di portare a termine un compito di così vitale importanza? »
« Penso di si » rifletté « Ma non ho ancora capito cosa te ne farai quando ne sarò in possesso. »
« È qui che ti sbagli, mia cara. » rispose la dodicenne, con una luce diabolica negli occhi. « Quando ne saremo in possesso. »
Soppesò lo sguardo interrogativo della ragazza come se dovesse deciderle se darle una spiegazione o no, e dopo attimi che alla bionda parvero interminabili riprese: « Questa sarà un'impresa che porteremo a termine insieme, solo io e te. Non ne sei entusiasta? »
Il sorrisetto abbozzato sulle labbra di June sparì all'istante, lasciando il posto ad una muta rassegnazione.
« Come non esserlo » replicò sarcastica « La tua piacevole compagnia non potrà farmi altro che bene. »
Venetia, che aveva capito più che bene l'antifona, decise di stare al gioco.
« Già, sono sicura che con il passare del tempo diventeremo ottime amiche. E adesso fila via, questi compiti non si svolgono certo da soli. »





Venetia, una volta congedata June, si alzò con fatica dalla branda e camminò fino al davanzale strusciando le scarpette di vernice nera contro le tavole scomposte di parquet.
Passò un dito sul legno consunto della finestra, osservando con piacere le particelle di polvere che si depositavano una per volta sulla sua pelle. Di fuori uno spesso strato di nebbia aveva appannato il cielo terso, rendendo l'intero paesaggio che si stagliava all'orizzonte confuso e sbiadito.
« C'è la luna piena stasera. » mormorò tra sé e sé « Non ci dovrebbero essere rotture di coglioni in giro. »
Le persiane si spalancarono cigolando sotto il suo tocco leggero, lasciando filtrare l'aria gelida che le sferzava il viso come una lama. Arricciò il naso e sporse leggermente la testa in avanti, lasciandosi cullare dall'impetuosità del vento.
Quella lì era musica per le sue orecchie.
« Sono solo cinque metri. » si disse, inspirando profondamente per placare l'ansia. « Solo cinque fottuti metri. » 
Si sedette lentamente sul davanzale, lasciando penzolare le gambe nel vuoto, chiamò a raccolta tutto il suo coraggio e, evitando di guardare giù, si lasciò cadere nel vuoto.
L'impatto con il terreno fu più violento di quanto si aspettasse. Una fitta lancinante 
partita dal fondoschiena si ripercosse lungo tutte le sue vertebre, impedendole di alzarsi sul momento. Con il braccio cercò nell'oscurità un appiglio, e alle sue dita non ci volle molto per aggrapparsi ad un tronco d'albero tra quelli che facevano da barriera tra l'orfanotrofio ed il resto del Distretto. Si tirò su digrignando i denti, e una volta in piedi non le fu difficile constatare i danni. 
Qualche contusione all'altezza dell'osso sacro e qualche dito del piede rotto. Le solite sciocchezze.
Zoppicò più velocemente possibile fino all'inferriata d'ebano, e avrebbe tagliato la corda senza problemi se una mano gelida non le avesse ghermito all'improvviso il braccio. 
Un uomo in uniforme bianca – probabilmente un Pacificatore – le puntò un fascio di luce biancastra in viso, facendola gemere di fastidio. Quando venne alla luce poté constatare che sotto la visiera trasparente spiccavano un naso grosso e bitorzoluto e due occhi infossati, seminascosti da un solitario ciuffo di capelli biondicci. Nell'altra mano impugnava una rivoltella dall'aria pericolosa.
« Bene, bene, bene, ma chi abbiamo qui? Un'altra orfanella che cercava di scappare. » commentò, proprio come un padre intento a rimproverare un bambino disobbediente.
Venetia represse a stento un imprecazione. Se voleva riportare a casa la pelle l'unica carta che poteva giocare era quella della bambina impaurita, anche se lei non era di certo una brava attrice.
« La prego, signore, mi lasci andare! » supplicò, sgranando gli occhi per sembrare più verosimile « Ho fame, e qui non mi danno da mangiare a sufficienza. Volevo solo andare al villaggio a procurarmi... »
« Sangue umano? » concluse l'uomo con un ghigno.
La dodicenne ebbe un tuffo al cuore. Se la sua messinscena fosse crollata per lei non ci sarebbe stato più scampo. Per le guardie la vita dei loro assistiti contava meno di zero. Poteva solamente continuare a recitare, anche se probabilmente avrebbe avuto vita breve.
Si frugò ansiosamente nelle tasche, dove reperì delle monete rubate ad Agathe. Le porse all'uomo, speranzosa: « Vede? Mi stavo recando al villaggio per acquistare del pane, ma sono costretta a farlo di nascosto perché se venissi scoperta dalla direttrice verrei fustigata per “tentativo di ribellione alle autorità locali”. »
« Ed è quello che meriti, sbruffoncella. » disse, puntandole la pistola alla tempia. « Ma non capisco. » continuò, vagamente confuso. « Non sei forse tu Venetia Castro ? »
« Chi? » rispose soffocando un risolino, riacquistata un po' della sua solita spavalderia.
« Venetia Castro, quella che di recente ha quasi ucciso la capocuoca. Non la conosci? » chiese retoricamente, quasi certo che la bambina davanti a lui avesse almeno sentito parlare di quella strana creatura.
« Ah si, l'ho vista qualche volta. » 
Come se se ne fosse accorto solo in quel momento, l'uomo le sfiorò lentamente la gola e le domandò: « Ma che hai fatto alla voce? Sembri un robot! »
« Malformazione genetica. » sibilò, rabbrividendo a quel tocco. « Alla fine mi lascia andare? Si staranno preoccupando. » proseguì con tono più gentile.
Il Pacificatore finse di pensarci su poi annuì con il capo, facendole cenno di entrare senza troppe storie. La accompagnò fino all'ingresso continuando a stringerle il braccio, andandosene solamente dopo essersi accertato che fosse entrata dentro.
Rimasta sola, tutto ciò che Venetia fece fu mormorare a mezza bocca: « Imbecille. » 
Dopodiché fece un rapido dietrofront e uscì dal lugubre edificio, scomparendo come un fantasma dentro la nebbia novembrina.





Non c'erano più guardie in giro a quell'ora. Erano tornate tutte nelle loro tiepide case a dormire.
Venetia percorse l'ampio corridoio dell'ingresso a passi svelti, con un rivolo di sangue rossiccio che le colava dal labbro superiore. Con quel tempaccio si era dovuta accontentare di qualche pipistrello solitario.
Raggiunse in fretta il vecchio telefono di fronte all'ufficio dell'istitutrice e, accertandosi più volte che non ci fosse nessuno nei paraggi, compose il fatidico numero con le dita che si muovevano rapidamente. Aveva bisogno di accertarsi che quelle prime ricerche avessero avuto buoni risultati.
« Hussman » sputacchiò, rigirandosi la cornetta tra le mani. « Mi senti? »
« Forte e chiara. » rispose quella, con la voce impastata dal sonno. « Stavo dormendo, Venetia, che vuoi a quest'ora? »
« Oh, non ti tratterò molto. Voglio solo sapere se sei riuscita a trovare le informazioni sulla famiglia Castro. »
June sorrise tristemente dietro il ricevitore, come se avesse atteso da tempo quella domanda. « Venetia, i Castro non esistono. Il loro nome non compare in nessun archivio. »
La dodicenne sussultò, interdetta. « Cosa? È impossibile, avrai indubbiamente dato solo una sbirciata distratta ai registri. Dovevo aspettarmelo, conoscendoti. »
« Mia madre lavora all'anagrafe, ho lasciato che fosse lei a cercarli. Poi per sicurezza ho anche controllato io stessa, ma invano. Dei Castro non c'è traccia. »
« Avrai scoperto qualche altra cosa, spero. » continuò, ponendo maggiore enfasi sull'ultima parola.
« In effetti c'è una cosa che mi preme dirti. » sussurrò con una nota soddisfatta nella voce. « Sfogliando i registri mi è balzato l'occhio su una pagina seminascosta, l'unica di una cartella senza etichetta. »
« E allora? » commentò ansiosa. Quella dannata ragazza sapeva raccontare con una certa suspence. 
« Sulla sommità del foglio era impresso a chiare lettere un nome, “Venetia”, seguito da uno spazio bianco e dalla parola “Tarnish”. »
« Cretina, perché non l'hai detto subito! » gridò, per poi abbassare subito la voce. « Tarnish non mi sembra un nome tanto comune, potremmo iniziare le ricerche basandoci su questo. »
« Va bene. » fu tutto ciò che riuscì a dire. « A domani allora. »
« A domani. » 
Venetia abbassò la cornetta con un ghigno perfido sulle labbra. L'avrebbe usata, si sarebbe servita di quella ragazzina fino a quando non sarebbe riuscita ad estirpare il seme della sua famiglia come un'erbaccia selvatica.
E alla fine l'avrebbe uccisa.
Bene pensò, girando i tacchi e correndo per la scalinata mentre le prime luci dell'aurora facevano timidamente capolino dietro la densa coltre di nubi. 
Sarebbe stata un'avventura decisamente interessante.





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La linea che separa i sogni dagli incubi è sottile come un ago e ben presto le ombre del passato tornarono a presentare il conto.







______________________


#Cash
Eccomi tornata con il primo capitolo delle avventure di Venetia. 
È da qui che inizia tutto ♥
Come vedete questi capitoli (così come i prossimi) sono molto “soft” e con ben poca violenza. Ma tranquilli, il meglio – se così si può definire – arriverà verso la metà della storia.
Il prossimo capitolo sarà molto discorsivo, ma fondamentale per lo sviluppo della storia. Ne vado abbastanza fiera, nonostante non ci sia molta azione.
Alla prossima!




 

   
 
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