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Autore: MayaSorako    21/01/2014    2 recensioni
Titolo precedente: "Un sole tutto mio"
In una mattina come un'altra, la città attende il sorgere del Sole per cominciare una nuova giornata; nessuno può sapere che stavolta non succederà.
L'Apocalisse si avvicina, e non è la prima volta.
In quella che in un tempo lontanissimo fu la leggendaria terra di Luminaes, c'è chi da una vita lotta disperatamente per salvare questo mondo maledetto da una fine predestinata. Ma c'è anche chi, questa stessa fine, la attende con trepidazione e impazienza, e spera in una rinascita che possa portare nuova luce alla sua buia esistenza.
E poi, esattamente nel mezzo, c'è Dia.
Dia è una ragazzina solitaria, a cui basta poco per essere felice: la sua amata terrazza ed il Sole. Non sa niente di questa Apocalisse, né di chi sia lei in realtà o di quale imponente fardello le sue esili spalle dovranno portare da quel terribile giorno. Suo malgrado, rimarrà coinvolta in una Profezia e in un conflitto molto più grandi di lei ma, in questo intenso viaggio, non sarà sola.
Questo mondo condannato a perire dalla sua stessa nascita, può davvero essere salvato?
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"Perché niente è più spaventoso che l'essere in due, soli."
Genere: Drammatico, Sovrannaturale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Com'è potuto succedere?!

Granada si trovò come paralizzata; le braccia tese tenevano fin troppo saldamente Acrux puntata verso la porta spalancata della stanza ormai vacante, e una goccia di sudore freddo imperlava la fronte della giovane donna, corrugata per via dell'amara vicenda appena accaduta. Il corpo esanime della nuova vittima giaceva davanti a lei in una pozza di sangue, con il volto irrigidito in un inquietante sorriso di presunta beatitudine, e le mani giunte atrofizzate all'altezza dell'incavo del collo, come bloccate in una preghiera senza fine.

No... No...

Avrebbe voluto chiamare qualcuno, avrebbe voluto chiamare lui, ma in quel momento faticava persino a pensare: spiegargli quella situazione le sarebbe stato pressoché impossibile. Stava andando tutto a rotoli, riusciva a sentirlo, e in quel preciso istante realizzò che non c'era niente che potessero fare per evitarlo. Se non... 
Allontanò immediatamente quel pensiero: sapeva perfettamente che non sarebbe stato giusto e che concordare con quell'ipotesi non l'avrebbe resa diversa da quegli Altri.

Dove abbiamo sbagliato?


La giornata era iniziata lentamente, molto lentamente. Come al solito Granada si era svegliata troppo presto, dopo appena un paio d'ore di sonno, ed era rimasta per un tempo indefinito a fissare il bianco soffitto della sua camera dall'arredamento a dir poco spartano: un letto, un armadio e una scrivania, tutto perfettamente pulito e ordinato; se vi fosse entrato uno straniero, avrebbe di certo pensato che fosse disabitata. Gli unici tocchi personali della ragazza erano la sua revolver con tanto di kit per la pulizia e fornitura annuale di proiettili, un po' troppo pacificamente nascosti sotto al letto, e una foto incorniciata chiusa in un cassetto, di quando lei e Zeno avevano concluso l'addestramento all'Accademia, in cui i due non sorridevano neanche. Lanciò una rapida occhiata all'orologio che portava eternamente al polso e decise che era giunta l'ora di alzarsi. Dopo una doccia veloce indossò i soliti vestiti e intrecciò i lunghi capelli corvini nella solita treccia laterale, senza la quale, guardandosi allo specchio, non sarebbe riuscita a riconoscersi. Rubò qualche biscotto dalla dispensa dello pseudo-cucinino, bevve in un paio di sorsi mezza confezione di latte e si sbucciò velocemente una mela rossa prima di mettersi in strada e lasciare dietro di sé quell'edificio che soleva chiamare "casa" solo per comodità. Perché la colazione è importante! Dichiarò mentalmente la ragazza con falso entusiasmo, rimembrando le passate prediche di Zeno che la sgridava sempre quando, dopo una missione mattutina, arrivava all'ora di pranzo morta di fame.

Il Centro Operativo del Campo Base era abitualmente deserto a quell'ora, ma stavolta un insolito subbuglio turbava la quiete dell'intera ex cittadella universitaria; probabilmente era dovuto ai nuovi sviluppi della condizione dell'Organizzazione che, dopo chissà quanti secoli di attesa nell'ombra, era tenuta ad entrare seriamente in azione. Ironico che il suo agire fosse destinato a compiersi sempre e comunque avvolto nell'oscurità, giuridica o apocalittica che fosse. Granada cercò di ignorare più associati possibili mentre si dirigeva verso il proprio luogo di lavoro, per non perdersi in convenevoli e formalità che per lei significavano solo perdita di tempo.

"Zeno non è qui" la informò una donna dai biondi capelli lunghi e lisci, che la ragazza riconobbe subito con disagio.
"E dov'è?" chiese, scocciata, evitando qualsiasi forma di saluto. Se è uscito senza di me, gliela faccio pagare.
"Mi hanno detto che qualche minuto fa si son sentite delle grida provenire dalla zona residenziale, e che lui è corso lì dicendo che se ne sarebbe occupato e che non voleva intromissioni" disse, recitando la solita nenia con cui Zeno se ne usciva ogni qualvolta ci fossero in gioco informazioni ancora più riservate e confidenziali della normale attività. La donna pareva in qualche modo divertita dalla cosa, nonostante trasparisse chiaramente la sua inquietudine.
"Oh, ha anche chiesto di avvisarti non appena fossi arrivata, in modo che lo raggiungessi prima possibile... Ovviamente." Il tono malizioso e complice di quell'ultima frase infastidì terribilmente Granada, disturbata dal pensiero di cosa passasse per la testa della collega. Si congedò in fretta con un accennato gesto della mano e corse via, ancora convinta che quella donna la odiasse tacitamente e intensamente.

Precipitatasi al luogo prestabilito si mosse verso la camera della bimba lampadina, sicura che fosse lei la causa di quel trambusto. Si arrestò sulla soglia e ciò che vide le diede ragione: Dia stava timidamente ma disperatamente piangendo tra le braccia di Zeno, che le accarezzava la testa nella speranza di consolarla. Notando la presenza di Granada, le rivolse un'occhiata piena di significato; era disarmato, completamente sopraffatto da un misto di senso di colpa e impotenza, il volto contratto in un'espressione sofferente. Non lo aveva mai visto così. Guardare quella scena le impediva di mantenere una regolare respirazione e quindi si sedette sul pavimento, appoggiata al muro esterno che dava sul corridoio, nell'attesa che quella pietosa parentesi si concludesse. Minuti interminabili passarono e i singhiozzi andarono man mano diminuendo fino a cessare del tutto.

"E' al sicuro qui, sta tranquilla. Nessuno può fargli del male se è con noi." Zeno si staccò delicatamente da Dia per portarle l'ultimo giro di fazzoletti.
"Di chi parli?" chiese Granada, senza spostarsi di un millimetro dalla sua posizione.
"Arci, - asserì, varcando la soglia e volgedosi verso di lei - ha avuto un incubo su di lui." La ragazza storse il naso, dubbiosa.
"Incubo? Cos'è, un modo più sottile per dire visione?" Per una volta fu il giovane uomo a fulminarla con lo sguardo. Le offrì una mano per aiutarla a rialzarsi, ma lei rifiutò senza troppe divagazioni e si rimise prontamente in piedi. Si allontanarono dalla stanza in modo da non essere sentiti, ancora abbastanza vicini da poterla tenere d'occhio.

"Non può essersi trattato di una visione" riprese Zeno, inflessibile. "Questa notte quel vecchio pazzo è riuscito in qualche modo ad uscire dalla propria camera ed entrare in quella di Dia, per raccontarle chissà quale strampalata fandonia." Il suo tono era amareggiato e deluso; i pugni tremanti, stretti con troppa forza.
"E pensi che questo le abbia dato degli incubi così terribili da scatenare un secondo diluvio universale?" Zeno sbuffò, spazientito dall'astio risonante delle parole di Granada.
"Presumibilmente sì, ma sarebbe sempre meglio andare a contr-"
"Vado io" lo interruppe bruscamente, sollevandolo da un compito che chiaramente non gli andava a genio. Lui annuì, con un mezzo sorriso sul volto.
"Grazie." Si diresse velocemente verso la camera della Portatrice, per congedarsi e chiudere a chiave la porta. "Dovresti darle una possibilità comunque, - esordì improvvisamente dando la seconda mandata - secondo me ti piacerebbe." Si, certo. La mia monotona vita ha proprio bisogno di una problematica lampadina che la movimenti un po'. "Dico sul serio" ribadì, notando il disappunto della collega. "E' testarda, coraggiosa, onesta..." Bla bla bla, pensava la ragazza mentre ascoltava quegli stucchevoli commenti. "E' come..." riprese poi lui ad un tratto, apparentemente indeciso se concludere o no il proprio pensiero.

"Come una piccola Granada."

Lei ne rimase basita, gli occhi sbarrati e la bocca aperta, ma Zeno non aspettò neanche un secondo per constatare la reazione che aveva comunque previsto.
"Vado a occuparmi di alcune cose, ci vediamo più tardi. Tu non dimenticarti di Arci, voglio proprio sapere cosa dirà dopo che l'avrai redarguito a dovere; sei autorizzata a non andarci piano." Se ne andò senza aggiungere altro, lasciando Granada lì a fissare la porta con il rumore dei suoi passi in sottofondo. Rimase immobile per diversi minuti, chiedendosi come facesse quell'uomo a sconvolgerla così tanto con così poco.

"Spero per te che si sbagli" sussurrò a Dia attraverso l'uscio sbarrato, consapevole che nessuno avrebbe sentito.
Andò alla ricerca della camera dell'altro problematico ospite di quell'edificio, vagando un po' a vuoto per quel vastissimo quanto deprimente piano; se le stanze fossero state numerate non avrebbe dovuto sprecare quel tempo, ma sapeva che la colpa era anche dei suoi nervi in tumulto. Quello che non sapeva è che Zeno si era provvidenzialmente dimenticato di darle le chiavi, perciò dovette anche bussare porta per porta sperando in una risposta. Al limite massimo della sua pazienza, quando si trovò sul punto di lasciar perdere, udì uno strano suono metallico proveniente da una delle poche porte che non aveva ancora sondato. Sospirò di liberazione e si affrettò a battere il pugno sul legno lavorato un paio di volte, ma nessuno accennò alcun segno di vita.
"Ti ho sentito, stupido vecchio: so che sei lì dentro e che puoi aprire questa porta. La ragazzina ha parlato." Attese qualche secondo con le braccia incrociate e uno sguardo minaccioso rivolto al nulla, ma non ottenne niente. Ma che diavolo...? Sarà stata un'allucinazione? Proprio quando quel dubbio cercò di insinuarsi nella sua mente, lo stesso suono metallico di prima raggiunse i suoi condotti uditivi. Che tu sia dannato... pensò Granada in preda alla collera, realizzando che l'unico modo per entrare fosse sfondare la porta. Dopo tre decisi colpi di spalla, la porta si spalancò finalmente davanti a lei, pronta a sfogare la propria rabbia.

"Non ti avvicinare" le disse l'uomo con tono neutro, privo di alcuna oscillazione emotiva. I suoi occhi vacui guardavano dritto verso la giovane donna, oltrepassandola come se fosse niente più di un'ombra senza padrone. Un brivido percorse la schiena di Granada, che cambiò radicalmente atteggiamento: in due rapide mosse prese in mano la propria revolver e la puntò in direzione di quell'individuo, così diverso dall'amabile nonnetto che aveva aperto la porta a lei e Zeno appena il giorno prima.
"E lei non faccia sciocchezze" ribattè Granada cercando di prendere il controllo della situazione. "Va tutto bene: qualunque cosa la turbi, possiamo parlarne e trovare una soluzione."
"Non c'è soluzione alla fine del mondo." Un velo di compassione per quella deplorevole ingenuità alterò la voce di Arci. Teneva qualcosa stretto nelle due mani, puntato verso la propria gola; quello che si apprestava a fare era più che evidente.
"Le dico di sì, invece. E quella soluzione è il motivo di fondo per cui tutto quello che può vedere dalla sua finestra esiste." Il suo tono era risoluto, determinato, nonostante la sua fermezza rischiasse di vacillare da un momento all'altro. L'attempato individuo scosse la testa con espressione impassibile.
"Una bambina di dodici anni è una vittima, non una soluzione."

Esitò un attimo, osservando la donna che, restia e afflitta, stava lentamente accettando quello che non poteva evitare.
"Non biasimarti, cara: questo mondo ha vissuto abbastanza, ed anch'io." Affondò le chiavi nella carotide e si accasciò a terra, tra il sangue che usciva a fiotti dalla ferita autoinflitta. Granada non mosse un muscolo mentre tentava di elaborare la scena.

Questo... E' senz'altro un incubo.

 
  
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