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Autore: Amens Ophelia    21/01/2014    12 recensioni
[SasuHina]
Hinata ha poche certezze, dietro quegli occhi chiarissimi: sa che il sole sorge e tramonta sempre, anche dietro le nuvole, e che il suo astro personale è un ragazzo biondo, in classe con lei. Purtroppo è anche a conoscenza del fatto che lui non lo saprà mai.
Troppe sono le cose che ignora pericolosamente, come il posto che occupa nei pensieri di Sasuke Uchiha.
(NB: accenno SasuKarin)
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hinata Hyuuga, Naruto Uzumaki, Neji Hyuuga, Sasuke Uchiha | Coppie: Hinata/Sasuke
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Nessun contesto
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15. La consapevolezza di saper amare

 
 
I nervi gli si accavallavano con la stessa forza con cui le budella gli si attorcigliavano nel ventre, mentre sfrecciava per le vie di Konoha, a tutta velocità. Quella conversazione inaspettata l’aveva sconvolto e a nulla erano valsi i tentativi di chiarimenti, perché l’interlocutore aveva subito riattaccato, una volta comunicato il suo messaggio. Per quanto avesse desiderato richiamarlo, era impossibile riuscirci, poiché la telefonata era stata effettuata da un numero privato. L’unica soluzione era seguire il consiglio offerto dalla voce misteriosa e ignorare quella terribile sensazione che aveva cominciato a tormentarlo dal momento in cui aveva acceso il motore.
            Sasuke Uchiha, c’è un regalino per te, al cantiere del parco. Io non tarderei, se fossi nei tuoi panni.
            Quelle parole gli bruciavano nella testa, costringendolo a pensare più e più volte a cosa significassero davvero. Aveva dimenticato qualcosa, là? Impossibile, dato che non vi si recava da anni. Il nodo in gola aveva cancellato, però, ogni sorta di dubbio, richiamandogli alla memoria le tipiche frasi dei malviventi; erano dannatamente simili a quella riferitagli via telefono, e sapeva benissimo che genere di sorpresa aspettarsi.
            Strinse con foga il volante, avvertendo quasi un crampo, a causa del freddo e della tensione. Quel bastardo gli aveva certamente giocato un pessimo scherzo, magari mettendo in pericolo Itachi, Naruto o… no, non ci voleva pensare. Non lei, tutto ma non lei, perché era troppo innocente per poter essere sfiorata da mani ancora più sporche delle sue.
            Quello che non capiva, ad ogni modo, era il motivo per cui qualcuno avesse deciso di punirlo. Cosa aveva mai fatto di male? D’accordo, era uno stronzo, un menefreghista, uno strafottente senza riguardi, ma se si comportava male, lo faceva solo perché costretto, come riflesso condizionato da qualche pessima azione nei propri confronti. Se attaccava, sfoderando gli artigli, era solo per difendersi o proteggere chi gli stava a cuore.
            Ultimamente, poi, non aveva avuto modo di ferire nessuno in particolare, o almeno non gli pareva. Sì, forse Neji e Naruto, ecco, ma di sicuro la voce profonda e tagliente al cellulare non era quella dei suoi compagni di classe; inoltre, nessuno dei due poteva essere in grado di avanzare minacce del genere, nemmeno lo Hyuga.
            Si asciugò un leggero rivolo di sudore freddo con il dorso della mano, mentre la sportiva nera si avvicinava a tutta velocità all’ingresso del cantiere.
            Era un luogo che gli metteva i brividi. Non erano mai circolate voci confortanti, riguardo quel posto ormai abbandonato da tutti. Si parlava di droga, scontri tra gang di periferia, incontri a luci rosse e lotte clandestine, ma lui non ci aveva mai creduto seriamente; forse erano solo i soliti pettegolezzi di città. E poi, di martedì notte, chi mai poteva mettere piede, lì?
            Il dubbio che suo fratello potesse trovarsi nei guai era quello che più lo tormentava; non si sarebbe mai perdonato il fatto di non averlo accompagnato, quella sera, se adesso l’avesse trovato disteso a terra, al cantiere. Aveva anche provato a chiamarlo, ma il cellulare dell’aniki risultava sempre irraggiungibile e Sasuke, dopo diversi tentativi andati a vuoto, si era arreso e aveva optato per una velocità più sostenuta, onde accertarsi prima e di persona di quale fosse la sorpresa che lo attendeva.
            Varcò l’ingresso, alle ventidue e cinquanta, e inchiodò non appena si accorse di quella figura familiare stesa a terra.
 
Estrasse automaticamente le chiavi dal quadro, ma non si mosse di un centimetro. Il cuore taceva, mentre le pupille si dilatavano sempre di più, fino a ingoiare il nero carbone delle iridi. La mano che era rimasta appoggiata al volante si era stretta alla sintetica pelle scura che rivestiva lo sterzo, fredda e tremante.
            Era lei? Non trovava il coraggio per verificarlo, la paura lo stava divorando come il peggiore dei tarli.
            La vide sobbalzare quasi impercettibilmente, non appena le giunse il rombo dell’auto alle orecchie. Era spaventata e ne aveva tutto il diritto, a sua differenza. Tremava, totalmente esposta ai colpi del rigido vento di quella buia notte di pieno ottobre, brutalmente svestita e ferita, martoriata fino alle porte dell’anima. Sasuke si augurò che almeno quella fosse integra, mentre scendeva lentamente dalla vettura.
            Avanzò cautamente, e ogni metro acquistato era un centimetro di cuore trafitto. Quando la distanza si era ormai ridotta a dieci passi, non ebbe più dubbi: quella era Hinata, la sua fragile e delicata Hinata. 
            Il petto gli sembrò essere stato schiacciato da un macigno, per quanto gli doleva, mentre gli occhi scrutavano, inorriditi e attenti, ogni dettaglio della ragazza. Le sue gambe pallide e nude erano qua e là macchiate di fango, proprio come le braccia; le piccole mani bianche erano scorticate sulle nocche e le dita affondavano ancora nella melma, mentre la testa era abbandonata sul terreno. Le sue spalle discinte e il viso erano percorsi da filamenti scuri quanto la notte: i capelli bagnati si erano rappresi in innumerevoli, sottili ramificazioni, come alghe blu, e cercavano a loro modo di proteggerla dal gelo.
            Sasuke si avvicinò di qualche altro passo, ormai incapace di bilanciare il raccapriccio e la rabbia: il tutto si era annullato in una sensazione di nausea globale, che gli faceva svolgere solo le funzioni primarie, quali il respirare e il tenersi in piedi.
            Nello scorgere il profilo della Hyuga, un brivido gli percorse tutta la lunghezza della schiena; i suoi occhi erano spalancati, chiarissimi come sempre, ma vuoti, persi nell’orizzonte ristretto di quel parco in via di costruzione.
            «Hin… Hinata», sospirò sottovoce, lasciandosi cadere sulle ginocchia, quando ormai li separavano solo venti centimetri.
            La ragazza si strinse meccanicamente nelle spalle, cercando di abbracciarsi e nascondergli lo squallido spettacolo che era divenuta. Abbassò lentamente le palpebre, tremando, e lasciò che una lacrima le solcasse il volto; il nodo in gola la costringeva a singhiozzare, ma non possedeva nemmeno più la forza per emettere un suono.
            L’Uchiha allungò un braccio verso la giovane, all’altezza della sua spalla, ma non trovò il coraggio per toccarla, quando lei provò a ritrarsi. Poteva solo osservarla e rabbrividire insieme a lei, quando tutto ciò che voleva era stringerla e tentare di farle patire meno freddo.
            Capì immediatamente che qualcosa era cambiato, quella notte, che il filo sottile che aveva cominciato a legarli si era spezzato, anzi, era stato reciso nel modo più brutale possibile.
            All’orrore era subentrata l’ira, ora. Non poteva sopportare quella vista, non riusciva a tollerare che un’innocente fosse stata il capro espiatorio di qualche sua colpa. Non Hinata, non lei!
           «Chi è stato?», le chiese con un tono tanto roco e adirato da costringerla ad aprire gli occhi.
 
Lo fissava, ma le pupille non mettevano a fuoco nulla, se non la sagoma e i colori del giovane. Poteva scorgere il nero dei suoi capelli, ancora più scuro del cielo e del cappotto. Adorava quella tonalità, ma non l’aveva mai amata tanto come in quel frangente. Eccolo là, pronto a soccorrerla, a buscarsi un raffreddore, con quel vento maledetto che ancora le sferzava il corpo umido.
            Non farne parola con nessuno, chiaro? Sei morta!
            Sai che problema, la morte! Lei non la temeva, anzi, c’erano stati momenti in cui aveva auspicato che il Mietitore andasse a farle visita, ma da una settimana a quella parte, ogni cosa era improvvisamente cambiata. Il nero che tutti collegavano al lutto era divenuto, per lei, sinonimo di luce, di speranza, di vita. Non aveva posseduto grandi motivi per cui tenersi stretta all’esistenza, in quei cinque anni senza sua madre, ma da sette giorni, da quando l’aveva conosciuto, godeva di un’ottima ragione. Proprio per questo, sentiva di dover proteggere tale causa più di se stessa.
            «Chi è stato?», ripeté il ragazzo, sempre più furioso, guardandola negli occhi.
            «…’Suke», mormorò con un filo di voce, abbassando le palpebre.
            Quanto era bello riuscire a pronunciare il suo nome, nel momento del bisogno, come una preghiera!
            Quanto era amaro costringersi a non doverlo ripetere mai più, onde allontanarlo da sé e salvaguardarlo!
            «Sono qui, Hinata!», la rassicurò lui, avvicinandosi e apprestandosi a raccoglierla dal terreno.
            Non appena sentì il suo profumo tranquillizzante invaderle le narici, lei represse le lacrime, ingoiò il fastidioso nodo in gola e riaprì gli occhi, puntandoli nei suoi. Quanto era bello, quanto era prezioso, quanto le sarebbe mancato! Ma avrebbe ancora accarezzato il suo nome, prima dell’oblio.
            Inspirò profondamente, si concentrò sul suo volto e schiuse le labbra. Le palpebre le pizzicavano, ma era un tormento trascurabile, rispetto a tutta la sofferenza che le accartocciava l’anima.
            «Sasuke, vattene!». La voce era atona, ma chiara, inequivocabile.
 
Il ragazzo tremò, a quel comando.
            La fissò con il terrore nelle pupille, mentre stringeva i pugni e cercava di convincersi che si fosse trattato solo di un’allucinazione. Sì, sicuramente era soltanto un incubo; Hinata era a casa, immersa nel sonno, fra le sue calde coperte, con il capo morbidamente adagiato sul cuscino e la luce della luna riflessa sul candido volto, mentre lui si doveva per forza essere addormentato alla scrivania, pensando a lei. Un sogno angoscioso dovuto alla stanchezza della notte passata insonne, nient’altro.
            Eppure, più se lo ripeteva, meno ci credeva. Perché, ad esempio, la ragazza si stava raggomitolando su se stessa, insozzandosi di fango e lacrime, e come mai avvertiva quella rabbia pulsargli nelle vene? Perché non riusciva a svegliarsi? Perché Itachi non era ancora arrivato a ridestarlo? Il suo subconscio era talmente guastato da costringerlo a immaginare scene tanto raccapriccianti?
            «Vattene!», mormorò ancora, con un tono di voce troppo spezzato, per essere un semplice abbaglio. Dentro quella parola c’era un carico di sofferenza che era pari alla sua; tutto il dolore di un’anima che aveva sfiorato la porta del Paradiso, qualche ora prima, in palestra, e che adesso si era ritrovata traghettata nel girone più lercio dell’Inferno.
            Hinata e le sue labbra secche e insanguinate, a furia dei morsi che si era inflitta; Hinata e le sue mani sporche, le unghie conficcate nel marcio del mondo; Hinata e la sua maglietta bagnata che cercava di farle da seconda pelle… com’era diversa, quella ragazza, dalla dea che lui aveva osato lambire prima di pranzo, nel silenzio della sala da ginnastica!
            Lei, che si era stretta nelle sue braccia, accostando l’orecchio al suo cuore, lasciandosi respirare dolcemente, donando il proprio candore alla sua oscurità, aveva appena smesso di amare?
            Il moro non poteva sopportare che un verme, una bestia, le avesse appena insegnato a non provare più affetto per alcun uomo. Non gli importava se non avesse più avvertito sentimenti per lui perché, per quanto potesse essere egoista, Sasuke Uchiha, in quel momento, era all’ultimo posto dei propri pensieri. Già, lui, il superbo ragazzo che era pronto ad affermarsi contro tutti, ai fini di un’esistenza dignitosa, relegava se stesso a fanalino di coda; avrebbe volentieri accettato un rifiuto da parte di Hinata, anche un ritorno di fiamma per Naruto, purché lei, ora, si fosse alzata e avesse sorriso, tornando ad adornarsi dell’incanto di un diamante, da buona Hyuga qual era.
            Ma capì che non sarebbe mai successo, che non avrebbe amato né lui, né nessun altro, finché fosse rimasta immersa nel buio di quella notte maledetta.
            Sasuke guardò il suo ideale immerso nel dolore e nello sporco, raggomitolato su se stesso, tremante e nudo. Osservò Hinata… la sua Hinata! Si soffermò dolorosamente sullo splendido corpo che aveva sempre desiderato sfiorare, che era riuscito ad avvertire tenuemente sotto i propri polpastrelli, qualche ora prima. Quella carne pallida era ora segnata, qua e là, da dei principî di lividi che si sarebbero addensati sicuramente il giorno dopo, a marchiare la caduta di un sogno di felicità. Quelle braccia, quella schiena, quelle gambe che aveva sempre avuto paura anche solo d'immaginare senza indumenti, ora erano state deturpate, violentemente esposte all’occhio umano e della luna, martoriate, derise, abusate. Pregò perché l’innocenza – almeno quella 
–  non fosse stata strappata dal cuore della Hyuga.
             Un cieco istinto primordiale gli mordeva il petto, mentre la frustrazione scendeva sotto forma di lacrime, sulle sue guance.
             Aveva promesso che si sarebbe occupato lui, di lei, che l’avrebbe protetta. Aveva stretto quel patto con se stesso almeno una decina di volte, in quel paio di giorni, mentre le lanciava occhiate furtive, in classe, soffermandosi sul suo profilo delicato. Aveva da poco giurato che le sue ciglia non si sarebbero mai più inumidite, men che meno per causa sua, ma aveva fallito. Con che pretesa si era potuto permettere di ergersi a suo custode? Lui, un misero mortale, probabilmente fra i più rivoltanti con cui una fanciulla pura come Hinata fosse mai entrata in contatto, prima di quella sera!
              Che senso aveva, ora, piangere? Non era mai stato degno di lei, perché non l’aveva capito fin dall’inizio? Perché si era ostinato a volerla conoscere, a… ad innamorarsene? Perché aveva messo a repentaglio la vita della cosa più preziosa in cui si fosse mai imbattuto? Ancora una volta, perché era stato tanto individualista?
              Desiderava con tutte le proprie forze cancellare quella scena, ma sapeva bene che sarebbe stato inutile. Voleva trovare l’artefice del misfatto e toglierlo dalla faccia della terra, nella maniera più disumana possibile e, allo stesso tempo, aspirava a stringere Hinata fra le sue braccia.
             «Torna a casa, Sasuke», mormorò di nuovo, venendo meno alla promessa di non pronunciare più quel nome.
             L’Uchiha digrignò i denti, puntando le mani a terra, a pochi centimetri dalle dita della fanciulla, e scuotendo il capo.
             Non lo voleva più vedere. Lei, la dolce, candida ragazza che non era in grado di esprimere la minima forma di rifiuto verso qualcuno, non desiderava più trovarselo davanti agli occhi, ormai macchiata di sangue e dolore.
            Era arrivato troppo tardi, nel suo egoismo.
 
Gli dispiacque prenderla in braccio, contravvenendo alla sua richiesta, ma non poteva fare altro. L’avrebbe portata all’ospedale e chiamato Itachi per avvertire Neji.
            Aveva sempre avuto paura di poterla deturpare, ma, ormai, lei era già stata infangata da qualcun altro, perciò la sfiorò senza timore. La rabbia gli faceva tremare le labbra, mentre la guardava. Esisteva un modo per poter tornare indietro e ristabilire l’armonia, in lei? C’era la possibilità di salvarla?
            Il suo corpo delicato si lasciò sollevare senza opporre resistenza, come un manichino, ma più morbido e fragile. Non riusciva a dibattersi, avrebbe voluto urlargli di lasciarla perdere, che si sarebbe ricomposta e avrebbe fatto ritorno a casa da sola, senza doverlo disturbare, ma non aveva più voce. Le grida che aveva emesso nel tentativo di attirare l’attenzione di qualche passante, decine di minuti prima, le avevano squarciato la gola.
            Hinata voleva solo proteggerlo, ma perché lui si ostinava a soccorrerla? Come poteva provare pena per qualcuno immerso nell’abominio del mondo? Sasuke era sempre stato pieno di sé e distaccato, ma ora era lì, solo per lei.
            Doveva aver capito il motivo di quel comportamento; le sarebbe dovuto apparire lampante dal bacio di quel primo pomeriggio, o dalla premura che il ragazzo mostrava nei suoi confronti. Non poteva credere che lui ricambiasse minimamente quel sentimento inconsueto e devastante che anche lei aveva cominciato a coltivare, da poco tempo.
            Istintivamente, per quanto la ragione le raccomandasse di non farlo, avvicinò il capo al suo petto, inspirando con devozione. Quel profumo quasi sovrumano le provocò ulteriori brividi e una smisurata voglia di scomparire dall'universo.
            Improvvisamente, poi, si ricordò di essere seminuda, sporca, insanguinata e irriconoscibile. Provava vergogna e cercò, con movimenti disarticolati e lenti, di coprire almeno il seno, portandosi un braccio sulla scollatura. In verità, a tal punto, non le importava poi molto di ciò che l’Uchiha potesse pensare di lei, o di apparirgli sgradevole alla vista; solamente, non desiderava che quella storia lo toccasse, che lui potesse entrare a capofitto in una vicenda tanto squallida e pericolosa. Nessuno doveva andarvi di mezzo.
            So dove abiti, chi fa parte della tua famiglia... Hyuga, non credere che ora tu sia libera! Potrebbe essere l’inizio dell’Inferno, tutto sta a te!
            E lei propendeva per l’impulsiva scelta di portarsi quel terribile segreto nella tomba.
            «Cosa… cosa ci fai, qui?», chiese in un soffio, più a se stessa che al proprio salvatore.
            Il ragazzo sorrise tristemente, guardando le sue dita livide che giocavano con un bottone del cappotto. «Te l’avevo detto, ricordi? Quando il tuo mondo sarebbe caduto a pezzi, sarei venuto a riprenderti».
            Quasi poteva contare i brividi sulla pelle della Hyuga, ma non riusciva comunque a perdonarsi quel grave ritardo. Non l’aveva recuperata da alcun pericolo, non era un angelo custode. La notte della festa si era audacemente nominato quale suo protettore, ma la verità era che Hinata, proprio a causa sua, era scheggiata come vetro, quando avrebbe sempre dovuto brillare al pari del cristallo.
 
Sasuke aprì la portiera del lato passeggero, ma indugiò ancora qualche minuto, prima di accomodarla sul sedile.
            La teneva fra le braccia e osservava quel volto pallido incollato al suo petto; seppur il cappotto fosse pesante, riusciva quasi ad avvertire il suo respiro filtrare nelle fibre di misto lana, arrivandogli ancora, inesorabilmente, al cuore.
            Era terribile scorgere i segni di una lotta sul corpo di uno spirito celeste. Lei, creatura più divina che umana, più pura della neve, incapace di recare il minimo dolore a qualcuno, costretta a dibattersi contro una furia bestiale, un degenerato che aveva provato a carpirle l’innocenza e, forse, anche la vita.
            La rabbia avvampò di nuovo, ma si consumò all’istante, quando lei scostò il naso dal suo torace, accorgendosi di essere contemplata. La tristezza attraversò l’anima di Sasuke, quando i suoi occhi non riuscirono più a incrociare quelli di Hinata, ormai chiusi per la stanchezza.
            Le diede quella terribile forma d’addio - quella che s’insidia sottopelle, contro la propria volontà, ed esplode solo perché costretta dalle circostanze - tenendola in braccio, avvertendo il suo corpo ghiacciato attraverso i polpastrelli. Non era quello il modo in cui avrebbe voluto verificare nuovamente la consistenza di seta della sua epidermide.
            Con l’amara consapevolezza che non sarebbe mai più potuto entrare nel cuore della Hyuga, nemmeno in punta di piedi, e la devastante comprensione che lei, per forza di cose, non avrebbe più comunque accolto nel suo spirito nessun uomo, la strinse forte al petto.
             Sasuke capì cosa avrebbe dovuto fare, ma aveva bisogno di qualcuno che lo spronasse e, allo stesso tempo, lo confortasse. Per quanto potesse apparire forte, era perfettamente a conoscenza di non esserlo davvero, non quanto aveva costantemente creduto, prima di allora. Comprese che non sempre si può combattere da soli, se s’intende vincere, e che la guerra fa nascere alleanze improbabili, ma solidissime e ottimali.
 
L’adagiò nella vettura, sfilandosi velocemente il cappotto e coprendola come meglio poté. Tentò di ignorare quelle tracce rossastre sul collo - inequivocabili dita premute con atroce violenza - o quei lividi e graffi sul torace, a deturparle i seni, ma non ci riuscì. Le sfiorò la pelle, strizzando gli occhi, e giurò che chiunque fosse stato il responsabile, avrebbe pagato, anche a costo di finire nei guai.
            Sistemò con cura quella coperta improvvisata sulle sue spalle, sforzandosi di farla aderire alla sua cute fredda, e accese immediatamente il riscaldamento.
             La osservò per qualche minuto dal vetro del finestrino e colse di sfuggita il suo sguardo. Per un momento, gli sembrò quasi che avesse sorriso, da dietro il bavero della pesante giacca che l’avvolgeva. La mente e i suoi soliti, sporchi trucchi: Hinata stava riposando, forse aveva solo aperto un occhio nel dormiveglia.
             Più la guardava, più tremava; non era il vento a ferirlo, ma la consapevolezza che la ragazza, inevitabilmente, non avrebbe più provato nulla per lui.
            Non sapeva che, proprio in quel momento, lei aveva imparato ad amare. Ad amarlo.
           
***
 
«Mi vuoi spiegare perché siamo usciti in fretta e furia dall’Akatsuki?», domandò nuovamente Neji, seguendo Itachi nel parcheggio.
            Il ventitreenne gli lanciò un’occhiata cupa, incapace di comunicargli quella sconvolgente notizia che il fratello gli aveva annunciato al cellulare. Era sicuro che lo Hyuga non avrebbe retto, ma doveva saperlo, ne aveva tutto il diritto.
            «Ho sentito Sasuke e… Neji, mi dispiace». Reclinò il capo verso il basso, cercando di trovare il sangue freddo che sempre gli era appartenuto, ora improvvisamente dileguatosi. «Credimi, non mi capita spesso di rimanere senza parole, ma…».
            «“Ma” cosa?».
            L’Uchiha espirò lentamente, rialzando il viso. L’amico lo osservava con preoccupazione, con una grinza profonda a corrugargli la pelle chiara tra le sopracciglia.
            Pigiò il tasto dell’antifurto e sbloccò le portiere. «Si tratta di Hinata. Non c’è tempo da perdere, seguimi!».
 
Raggiunsero in pochi minuti il cantiere abbandonato e, appena la vettura si fermò, Neji saltò giù con rabbia, scagliandosi subito verso Sasuke.
            «Tu, bastardo! Dov’è Hinata?», urlò a pochi centimetri dal suo volto, prendendolo per il colletto della camicia.
            Il coetaneo non provò nemmeno a difendersi, continuando a fissare il muretto che chiudeva l’orizzonte, di fronte a sé. Il ragazzo aveva tutte le ragioni del mondo per essere adirato, preoccupato e con una folle voglia di prendere a cazzotti qualcuno; d’altronde, lo stesso valeva per lui. Eppure, non trovava la forza per rispondergli, perché ripercorrere quella vicenda lo spezzava in due.
            «Sasuke, lei come sta?», gli si avvicinò Itachi, sciogliendo cautamente la stretta di Neji sul fratello.
            Negli occhi dell’otouto c’erano ancora le tenebre, quel maledetto buio che non riusciva a illuminare nemmeno con l’affetto più devoto e fraterno. La Hyuga era la cura, ma, ora, era improvvisamente benzina sul fuoco che lo divorava.
            «I-in auto», mormorò con voce roca, chiudendo gli occhi.
            Il maggiore degli Uchiha si precipitò allo sportello del lato passeggero e sgranò gli occhi dallo stupore, quando lo aprì e la vide. Stava dormendo, ma l’incontaminata bellezza che ricordava era stata deturpata in modo spaventoso: il viso sporco, arrossato e segnato da occhiaie scure; i capelli infangati e umidi; le gambe nude e percorse da segni di colluttazione, proprio come l’avambraccio che penzolava nell’intercapedine tra il sedile e il bracciolo. Dov’era finito l’incanto di quella gemma? Dov’era l’antidoto contro i mali che affliggevano suo fratello?
 
Neji intravide la cugina e irrigidì la schiena, trattenendo un ringhio brutale che gli grattava la gola. Si voltò nuovamente verso Sasuke e non esitò a tirargli un pugno in pieno viso, e poi un altro, e un altro ancora, finché il compagno di classe non crollò a terra.
            Si chinò su di lui, lo strattonò per la camicia e lo costrinse a rialzarsi, guardandolo con un astio senza precedenti.
            «Che cazzo le hai fatto? Cosa hai fatto a Hinata, bastardo?», urlò, strappandogli il bavero bianco.
            «Neji, non è stato lui!», gridò Itachi, correndo a separarlo dal fratello.
            «No, lascialo fare. Merito questo odio. Vorrei riuscire a ferirmi, una buona volta», sorrise sinistramente Sasuke, ormai fuori di senno.
            Sperava che quella fastidiosa distrazione fisica, quel dolore al naso e agli zigomi, accompagnato ancora da quel sapore ferreo che gli colava in gola dalla lesione al labbro, riapertasi, potesse bastare a fargli allontanare la mente dalla realtà. Non era a sufficienza, niente sarebbe stato abbastanza anestetizzante, contro la morsa al cuore. 
            «Colpiscimi ancora, Neji!», mormorò con quel ghigno raccapricciante sul volto. «Coraggio, non è ciò che vuoi? Spaccami la faccia! Non hai visto Hinata?», lo provocò, avvicinandosi.
            Forse, in tal modo, si sarebbe ridestato da quell’incubo.     
            Lo Hyuga lo guardò confuso, allontanando lentamente il destro che voleva mettere a segno. Quello non era il ragazzo che ricordava. Dov’era la sua strafottenza? E poi, sarebbe davvero stato capace di fare una cosa del genere a Hinata? Non ne aveva motivo, dal momento che lei era innamorata di Naruto e che il biondo era il miglior amico di Sasuke, a quanto ne sapeva. Non sarebbe mai stato in grado di agire contro l’Uzumaki, arrivando a ferire una povera innocente. Se poi ripensava a ciò che Itachi gli aveva confidato, durante l’allenamento, tutto gli appariva ancora meno chiaro: Sasuke era affascinato dalla ragazza, tanto invaghito di lei da esser pronto a farsi da parte.  
            Osservò il suo volto pallido, le occhiaie che gli sottolineavano i bulbi oculari, e quella smorfia tirata, quel sorriso costruito a tavolino, solo per nascondere un sentimento inspiegabile, ma devastante. La stessa rabbia che provava lui, in fondo.
            «Vi sembra il momento di prendervi a cazzotti?», li rimproverò Itachi, perdendo le staffe.
            L’esplosione del ventitreenne fu l’unico stimolo che riuscì a pungerli sul vivo, costringendoli ad incrociare i loro sguardi. Due colori diversi, ma uniti dalla stessa glacialità inespressiva, perché sopraffatta da troppe emozioni.
            A Sasuke faceva male incontrare quella tonalità chiara, troppo simile a quella che le palpebre di Hinata custodivano timidamente.
           «Te la senti di guidare?», domandò Itachi, appoggiando una mano sulla spalla dell’otouto. Dovette ripetergli la domanda un’altra volta, perché finalmente lui si girasse.
           «S-sì», mormorò a disagio, sbattendo le ciglia e guardandolo brevemente. Odiava essere preda delle sensazioni, soprattutto quelle tanto intense quanto oscure, ma lì era diverso, perché il motivo di quell’ira era evidente.  
            «Io prendo la tua auto e porto Hinata in ospedale, voi seguitemi», riprese con decisione, consegnando le chiavi al fratello.
            L’aniki entrò rapidamente nell’abitacolo e si diresse sulla strada, alzando una fitta nube di polvere dietro di sé. Sasuke rimase a fissarla fino a quando anche l’ultimo granello non si schiantò al suolo, in tutta leggerezza, rigirandosi la punta delle chiavi nel palmo.
            Aveva bisogno di sperare che tutto potesse terminare nel migliore dei modi, ma non sapeva da dove cominciare, per farlo. Non aveva mai seriamente pregato, né affidato alcuna forma di desiderio alle stelle, lui; si era sempre fatto in quattro per realizzare da solo le proprie aspirazioni – buone o deprecabili che fossero – cercando di non cadere mai vittima di quella esclamazione, “Speriamo!”. Gli sembrava una sciocchezza augurarsi il meglio, senza impegnarsi più di tanto per ottenerlo. Ma ora, cosa poteva fare? Non era stato in grado di proteggere nemmeno l’unica persona che si era avvicinata a lui senza apparenti pregiudizi, donandogli luce e normalità. Al suo fianco, non si era mai sentito un abominio, in quella settimana. Non che avesse fatto chissà che di speciale, la Hyuga, o che lui si fosse indaffarato a mostrare umanità, ma la sua esistenza, in meno di sette giorni, gli era parsa molto più limpida, molto più… vita, semplicemente.
            Strinse il pugno, quasi conficcandosi l’estremità metallica nel carpo. Non avrebbe rinunciato a lei e, se non era stato in grado di salvarla prima, lo avrebbe fatto adesso.
 
***
 
Il silenzio era solo pura apparenza, in quell’abitacolo, perché l’assenza di suoni era talmente assordante da poter logorare i loro timpani. Ogni tanto, i ruggiti potenti del motore erano in grado di riportarli alla realtà, ma era un effetto che durava solo pochi secondi, perché poi, entrambi, ricadevano in quell’atmosfera cupa e opprimente di prima. I pensieri si dipanavano rapidamente, per poi raggomitolarsi fra loro, in mille nodi che conducevano sempre e solo a Hinata.
            «Non sei tanto stronzo da fare del male a mia cugina. Se avessi un conto in sospeso con me, lo regoleresti con il diretto interessato», dichiarò a un certo punto Neji, con voce roca.
            Il ragazzo al volante sorrise debolmente, a quelle parole. Il fatto che lo Hyuga fosse approdato alla verità lo sollevava, ma solo leggermente; cosa se ne faceva della veridicità, se essa non avesse riportato le cose come in origine, come a quel pomeriggio, per esempio?
            «Se non sei stato tu, chi le ha fatto del male?», continuò.
            Sasuke fissò in trance la strada di fronte a sé, espirando lentamente. «Mi piacerebbe saperlo», ammise con tristezza.
            «E, allora, perché eri lì? Come facevi a sapere che lei…». Non riusciva a dirlo, gli faceva male immaginare lo stato in cui l’aveva probabilmente trovata.
            «Ho ricevuto una chiamata da un numero privato. L’uomo dall’altro capo del telefono mi ha invitato a recarmi velocemente al cantiere», rispose atono, ripercorrendo con la memoria quegli attimi carichi d’ansia. «Pensavo potesse trattarsi di Itachi, non certo di Hinata», concluse con un calo di voce che fece venire i brividi allo Hyuga.
            Osservare il ragazzo più misterioso e temuto del liceo così fiacco, indebolito, incredibilmente distrutto, in qualche modo, lo sconvolgeva. Non aveva mai creduto che Sasuke potesse interessarsi tanto a qualcuno all’infuori di sé, preso com’era a soddisfare le proprie aspirazioni personali, senza guardare in faccia nessuno. Ragazze sedotte con la stessa facilità con cui il ghiaccio si scioglie al sole, setti nasali rotti – tra i quali, pure il suo – e ottimi risultati scolastici, sfoggiati con noncuranza… come poteva, tutto ciò, convivere in quel ragazzo? Come poteva, tutto questo, svanire improvvisamente, lasciando posto alla preoccupazione per qualcuno come Hinata? C’era solo una spiegazione, ma non poteva credere che fosse attendibile, dal momento che lei era innamorata dell’Uzumaki.
            «Spero solo che possa riprendersi», sospirò Neji, appoggiando la testa al freddo vetro del finestrino. La rabbia aveva quasi ceduto il posto alla rassegnazione.
            «Lo farà», dichiarò deciso Sasuke. “Sperare” non era ancora un verbo rientrante nel suo vocabolario, per quanto si sforzasse di accettarlo. «E poi, è una Hyuga, no?», domandò retoricamente, stringendo le labbra in un sorriso che, comunque, aveva il sapore dell’attesa fiduciosa.
            «Sì, ma, prima di tutto, è una ragazza innamorata. Lo era, almeno».
            L’Uchiha si girò di scatto, degnando di un breve sguardo il compagno di classe. Perché era rimasto tanto sconvolto da quella constatazione? Non era forse vero, non se n’era accertato lui stesso, poche ore prima?
            Lo era, almeno.
           Il dubbio che le cose non stessero più così, ora, e che difficilmente sarebbero tornate come prima, lo assalì nuovamente.
            «Impossibile che tu non lo sappia! È stato Itachi a dirmelo, ieri sera».
            «Cosa ti ha riferito, di preciso?», domandò l’altro, col fiato corto. Che Neji sapesse già tutto e se ne fosse fatto una ragione?
            «Nulla di più di ciò che già conosci, probabilmente. A quanto pare, ero l’unico a non sapere del debole di Hinata per Naruto… e del tuo per mia cugina».
            Il ragazzo al volante sorrise amaramente, ripensando a come le cose fossero improvvisamente precipitate. Nel giro di poche ore, aveva avuto la certezza che per la Hyuga valesse lo stesso; lei lo aveva baciato di sua iniziativa, accantonando spontaneamente il fantasma dell’Uzumaki, che da sempre aleggiava come un’ombra fissa, ma irraggiungibile, nel suo cuore. In quel contatto non c’era stata troppa esitazione, tutto si era svolto con naturalezza e i loro corpi si erano sfiorati in totale armonia, senza sforzi, senza desideri impuri o voglia di solcare limiti che lui conosceva fin troppo bene. Si era persino riuscito a trattenere, riabbassando la sua maglietta e stringendola a sé, onde trattenerla il più possibile nella sua anima… ed ora, tutto era andato perso. Un affetto fugace quanto un respiro, ma, proprio come un anelito, di vitale importanza. Non l’avrebbe persa, non l’avrebbe lasciata andare, ora che finalmente era riuscito a rapirla dai suoi pensieri e che lei era stata in grado di fargli ritrovare se stesso.
 
***
 
L’auto si fermò nel piazzale dell’ospedale, quasi deserto, alle ventitré e venti. La vettura che Itachi aveva guidato era già parcheggiata vicino all’ingresso; l’abitacolo, illuminato dal sottile cono di luce del lampione, rivelava l’assenza di persone al suo interno e quel dettaglio spinse i due ragazzi a scendere velocemente, per dirigersi all’entrata.
 
Il ventitreenne teneva fra le braccia la ragazza, ancora addormentata, e stava parlando con degli infermieri che avevano spinto una barella fino all'area dedicata all'accettazione.
            Sotto le fredde luci dell’ospedale, Hinata appariva ancora più pallida e provata, con quel capo lievemente reclinato che l’Uchiha, di tanto in tanto, risollevava con riverente delicatezza, accoccolandolo su una spalla.
            Agli occhi dei due diciottenni, quel piccolo fardello dai capelli blu sembrava una reliquia profanata. Né Sasuke, né Neji possedevano l’autorità per poterla maneggiare con cura, dal momento che il sacro e la purezza erano due grandezze fuori portata per loro che, anche alla luce del sole, avevano sempre coltivato le tenebre. Eppure, quando videro i paramedici stenderla sul lettino e avviarsi verso il lungo corridoio, entrambi capirono che avrebbero fatto il possibile, per rimanere al suo fianco.
            Per quanto il buio potesse essere opprimente, non sarebbe mai riuscito a risucchiare nel suo nero abbraccio mortale certe radiazioni luminose, una volta infiammate. 







Dire che questo capitolo è stato sofferto, è poco. Ci tenevo perché i pensieri di Sasuke apparissero abbastanza chiari e che le sue reazioni si fronteggiassero con quelle di Neji. Dai contrasti nasce sempre qualcosa di positivo, in fondo :)
Ho lasciato Hinata riversa a terra, in quel cantiere, per troppo a lungo, così pubblico ora. Senza di voi e le vostre gentili parole, sarebbe ancora là, probabilmente. Perciò, permettetemi di dedicarvi un applauso, cari lettori, e di inviarvi un abbraccio!
In particolare, desidero ringraziare profondamente tre persone: The death of Valkiria, Rhain_1992_ARM e arcx. In questo periodo un po' difficile, mi sono state molto vicine 

Con la speranza di aver scritto qualcosa di degna lettura, vi lascio. Temo che il prossimo aggiornamento non sarà meno tardivo di questo, a causa dell'università, ma confido nella vostra infinita pazienza :D
Grazie a tutti!
Un bacio 


Ophelia
 
   
 
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