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Autore: tsubasa_rukia3    22/01/2014    2 recensioni
.. -se fossi normale questa storia non esisterebbe nemmeno. Non sono umana, tranquilli, non sono un fantasma o un demone, nemmeno un licantropo se è per questo (puzzano troppo per i miei gusti). Sono un vampiro, ok, ora potete pure scappare urlando il perdono di Dio e buttandomi croci e aglio ect. ect.- tratto dal testo.
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La storia è stata corretta e aggiustata, nessun cambiamento drastico sulla storia o dei personaggi.
Sarei felice di sapere i vostri pareri e, inoltre, la storia continua: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2507713
Genere: Fantasy, Horror, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Violenza
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Ricordo ancora quel giorno come se fosse successo poche ore fa e non settimane. 
Ero durante il mio turno serale in cucina, nonostante fosse bassa stagione c'era molta gente per via di un evento nei boschi, non so, la cosa non m'interessava molto quindi l'ho quasi cancellato totalmente dalla mia memoria. 
Mi occupai io della sua cena: carne alla griglia molto al sangue. Questo non è poi così strano, se non per il fatto che si era mangiato cinque chili di quella roba.
Le ragazze che servivano in quel momento si trovarono inorridite a tal punto che fu il maître a occuparsi personalmente di lui con una faccia impassibile. Per curiosità, avrei voluto affacciarmi e spiare di sfuggita colui che creava tanto trambusto, ma la lunga fila di ordini non mi lasciava molta scelta. 
Parlavo solo con lo staff di cucina e con quello di sala per pura cortesia, poche parole. I piatti uscirono come dovevano andare e in trenta minuti si superò il momento critico della serata, iniziai a pulire la mia postazione aiutando quella dei dessert, anche se non ne aveva bisogno. 
Una folata fresca e leggera entrò insieme a un cameriere in cucina e l'odore mi raggiunse le narici, un odore inebriante e dolce. Mi stupì talmente tanto che, per la prima volta in tutti e due gli anni in cui sono stata lì, mi scivolò un piatto fra le mani cadendo in pezzi. 
«Ah! Il gelato con la macedonia», mi lamentai. Mi misi a raccoglierne i resti, con quell'odorino che mi stuzzicava le narici. 
Il turno finì intorno a mezzanotte, come sempre, e conclusi le ultime pulizie; salutai lo chef dirigendomi in un corridoio buio dove sapevo esserci l'uscita per i dipendenti. Dopodiché, mi diressi verso il bosco, chiusi gli occhi e inspirai l'aria gelida. 
«Bene, nessuno nei paraggi», sussurrai. Con un sospiro mi accovacciai e feci un salto finendo su un pino. Andando d'albero in albero salì di latitudine. 
Vidi una parete rocciosa e la affiancai, dopo qualche passo trovai la mia casa: una grotta nascosta da una fitta parete di rampicanti. Mi ci fiondai come se aprissi due tende leggere e un brivido di freddo mi scese lungo la schiena. 
Aprì la porta in legno che avevo intagliato -per la cronaca per qualche anno fingendomi un uomo avevo imparato l'arte dell'intagliare, anche se non sono diventata brava come loro-, nessuno meglio di un persiano sapeva intagliare archi e porte, e la richiusi con delicatezza. 
In quelle due ante avevo semplicemente intagliato una rosa al centro di ogni quarto e poi fatto delle curve per le foglie. Schioccai le dita e una piccola scintilla precedette la comparsa di una fiamma, essa non tremò, illuminando a dovere di una luce calda la grotta. 
La fiamma si staccò dalla mia mano e raggiunse il soffitto formando un anello, senza darle tanto peso mi spogliai e mi misi un pigiama. Sbadigliai e con un altro schiocco spensi la luce prima di dormire.

Il giorno dopo a pranzo, occupandomi della pulizia dell'impianto di ventilazione, dopo il servizio sentì ancora quell'odore dolce di ieri. Cautamente, come se potessero udirmi dall'altra parte della porta a ante, mi diressi versò l'oblò per vedere chi fosse mai quella fonte; ora, nel senno di poi, mi chiedo come sapevo che fosse una persona la fonte e non un dolce o qualcos'altro... 
Al bar, dandomi le spalle, un uomo leggermente più alto di me stava ordinando dei dolcetti al cioccolato. L'unica cosa che vidi furono il suo zaino compreso di sacco a pelo, i pantaloni, e le scarpe da escursione. Come se qualcuno l'avesse chiamato s'irrigidì e di scatto si voltò nella mia direzione. Riuscì a nascondermi in tempo, almeno lo sperai, e col cuore in gola tornai alle pulizie.

Quel giorno dovevo occuparmi io delle ore morte, tempo dedicato a preparare tutte quelle ricette che richiedono lunghe preparazioni, come il brodo vegetale, le carni in casseruola, le creme calde che devono raffreddarsi etc, etc... 
Una ragazzina minuta, la nipote della proprietaria della cascina, veniva d'estate per racimolare un po' di soldini lavorando come cassiera, mi avvertì che sarebbe andata a fare una piccola pausa e se ci fosse stato bisogno avrei dovuto occuparmi io del bar. Annuì e lei allegra se ne andò. Maledico quel gesto di gentilezza, anche perché sapevo che lei voleva sgattaiolare ad incontrare un ragazzo; aveva la brutta abitudine di fare le telefonate ad alta voce, soprattutto se le mie orecchie sono più sensibili degli umani è difficile non origliare. Se non fosse stato per quel gesto, non sarebbe iniziato niente di tutto questo, niente di tutti i miei dubbi attuali e non avrei iniziato a impacchettare le mie cose per un altro viaggio chissà dove per non avere problemi. 
Mentre le torte ai frutti di bosco cuocevano nel forno sentì dei passi in lontananza avvicinarsi, sospirando mi diressi dietro al balcone togliendomi il cappello e il grembiule da cucina. 
Il campanello trillò quando la porta si aprì e automaticamente in un sorriso ad occhi chiusi canticchiai un «Buongiorno! Come posso esservi utile?». 
Dei tedeschi mi chiesero se sapessi la loro lingua e io annuì, iniziammo una conversazione molto allegra mentre gli diedi ciò che mi avevano chiesto: due tazze di caffè e delle informazioni per superare il passo. Li servì e quando uscirono corsi in cucina per controllare le torte, le bucai con il coltello e vidi che non erano pronte da un lato così le girai. 
Mi sembrò di udire qualcuno entrare, così senza rendermene conto corsi dietro al balcone augurando nuovamente un caloroso benvenuto. Quando aprì gli occhi dal mio sorriso, un giovane dagli occhi spalancati e dalle narici dilatate mi osservò spaventato; le labbra talmente strette da essere bianche e con un dito mi indicò. 
«Signore, si sente bene?», chiesi preoccupata. 
La domanda lo fece letteralmente sobbalzare, e io con lui. Mi fissò per un po' in silenzio. Accennai un sorriso e finalmente le sue labbra si rilassarono insieme alle sue narici. Forse, avrei dovuto riconoscerlo dal sacco a pelo e dal rumore delle scarpe, ma degli occhi di un bellissimo verde, un caldo smeraldo liquido gli avvolgeva le pupille, mi fecero perdere la mia solita freddezza. Quando aprì la bocca senti quell'odore, più inebriante e dolce dieci volte di come me lo ricordavo, talmente tanto da stordirmi e fare perdere leggermente l'equilibrio. Cercai di rimanere il più lucida possibile, tendo a intestardirmi nelle cose più strane. 
Poche volte mi era capitato d'imbattermi in umani che potevano farmi provare una fame così vorace da rendermi irrazionale e quella era solo un'altra eccezione. Il mio pensiero fisso di quella volta, ricordo che, era: non cedere! 
Di preciso se a lui o al suo sangue non lo seppi per un bel po' di tempo, ma riflettendoci adesso penso a entrambe. 
Per la confusione non notai i suoi canini che uscivano leggermente dal labbro superiore. 
«Che cosa ci fa una come te qui?», parve sussurrarlo. 
In quel momento credetti che lo aveva fatto a posta: parlare, per rendermi debole; con le unghie mi ferì i palmi per riprendere lucidità. 
«Avete detto qualcosa?», chiesi con voce per niente turbata. Esultai dentro di me. 
Stette per un bel po' in silenzio per poi andarsene senza aver chiesto niente, col cuore ancora in tummulto mi avviai per la cucina, rifugiandomi nell'odore delle torte. 
Quei pochi istanti mi erano parsi delle ore intere e scuotendo la testa, come se il gesto potesse far rimuovere ogni sentimento negativo che avevo, mi buttai nei miei compiti. 
Finito il turno, ovvero all'arrivo dello chef, uscì dalla cucina in fretta e corsi nel bosco senza guardarmi minimamente in torno. Quando non udì più nessun rumore che rivelasse una qualche presenza umana, mi misi a saltare di albero in albero e raggiunsi la grotta. 
Mi ci fiondai con violenza e senza accendere la luce mi addentai l'avambraccio sfigurandomelo violentemente, ebbi talmente fame che non sentì nessun dolore. 
Quando tornai in me, una pozza di sangue si era formata vicino ai miei piedi sporcandomi anche la divisa chiara. Orribile fu lo spettacolo del mio arto: i muscoli non esistevano più, le vene non erano altro che dei fili spezzati e l'osso bianco splendeva all'interno di quei colori scarlatti come se mi salutasse allegro. Menomale che questa sera non devo lavorare, pensai abbandonandomi al mio giaciglio, un insieme di stoffe.

  
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