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Autore: nicky__    22/01/2014    0 recensioni
Margaret e Ryan avevano una vita perfetta, avevano un sacco di amici, un sacco di problemi adolescenziali, una sacco di dubbi, un sacco di allegria, una sacco di felicità da portarsi appresso.
Fu uno sguardo, un’occhiata sfuggente ad una festa che li fece notare.
Erano agli opposti.
Lei aveva sedici anni, lui diciannove.
Lei era quella calma, lui quello sempre pieno di energie.
A lei non piaceva mettersi in mostra, per lui lo spettacolo era tutto.
Lei preferiva la luce spenta, lui quella accesa.
Eppure, erano tutto l’uno per l’altra. Avevano ogni cosa. Di nuovo la vita era perfetta, ma basta un momento qualsiasi di un giorno qualsiasi a cambiare ogni cosa, per sempre.
**
-Serve una mano?-
-Decisamente si.- alzai lo sguardo su di lei. Aveva un aria familiare. Sapevo di conoscerla.

**
Girai la testa dall’altro lato e guardai oltre il vetro.
Fu lì che mi accorsi di Ryan, aldilà del vetro.
Mi vide ed io ero debole.
Non doveva decisamente andare così.

**
Puntai i miei occhi nei suoi, mentre le forze mi venivano meno. Mi diede un bacio carico di amore, poi sorrise, confortandomi.
Dopo, ci fu solo buio.
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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3. L’unico modo per vivere è amando.
 
5 dicembre 2012
 
Margaret.
Era la prima volta, quel mese, che mi recavo in ospedale. Non ero potuta andare a scuola, poiché avevo l’appuntamento alle dieci di mattina.  Come di consueto mi aveva accompagnato mio fratello, che poi rimaneva lì tutto il tempo, tutte le sedute. Mi dava una mano, perché da sola non ce l’avrei mai fatta. Ero troppo debole per fare qualsiasi cosa, a stento tenevo gli occhi aperti.
Due flebo erano attaccate ad entrambe le braccia, una per parte e il dolore era indescrivibile. Partiva dall’ago nel braccio, finiva alla testa e bruciava, bruciava terribilmente. Era come avere fuoco dentro le vene.
-N-non deve saperlo nessuno, chiaro?- parlare era difficile, ma questo era il mio chiodo fisso, gli unici pensieri che riuscivo ad esprimere correttamente, davanti a tanta stanchezza.
Eros annuì stanco, perché non ce la faceva più a mentire e a doversi tenere tutto dentro, senza parlare con nessuno. Lui ascoltava, ascoltava e basta perché era l’unica cosa che i miei desideri gli permettessero di fare.
Era una di quelle persone che mente con successo a tutti, che appare forte di fronte a tanti ostacoli, ma dentro di sé ha una gola di dolore infinito. E mi faceva male pensare di essere io la causa di tanta sofferenza.
Non l’avevo mai visto così turbato. Alla notte lasciava sempre quella porta di vetro aperta, in modo da potermi vedere sempre, ma non bastava quasi mai. Si alzava e si coricava assieme a me nel mio letto, mi abbracciava e mi baciava i capelli, le tempie, le guance, perché sapeva che per me era confortante.
Lui sperava che io non lo notassi, ma in realtà avevo capito già da tempo che mi faceva compagnia per sé stesso e non per me. Voleva confortarmi, starmi vicino, ma molto probabilmente non era mai stato tanto distante da me. Veniva nel mio letto perché doveva riuscire a trovare la propria pace interiore, doveva riuscire a trovare un modo per dormire alla notte e smettere di domandarsi per qualche ora perché stesse succedendo tutto a sua sorella.
A me.
Per la prima volta nella sua vita non pensava a me, ma a sé stesso, ed io ero totalmente grata di questo suo egoismo improvviso, perché doveva imparare a cavarsela da solo, doveva imparare a cacciare le ragazze fuori di casa per conto suo, doveva riuscire a trovarsi un lavoro da solo, doveva pensare a sé stesso e non più a me. Doveva smettere di preoccuparsi tanto per me e cominciare a vivere la sua vita.
Non aveva mai pensato in grande e per lui questo era un cambiamento tanto radicale da sgretolare qualsiasi certezza lui avesse mai avuto.
Eros era mio fratello e lo stavo distruggendo poco alla volta.
Elèna era la seconda persona al Mondo che sapeva il mo segreto e qualche volta –quando poteva- sostituiva la mano di mio fratello, perché non avrebbe più retto la pressione che lo stava comprimendo ogni giorno di più. Mi stava tenendo la mano e io non potei essere maggiormente fiera di lei. Stava per piangere, lo sapevo, ma non aprì nessun rubinetto per non fare del male a me. Diceva sempre che le cose peggiori accadono alle persone migliori e che il peggior modo di fare star male una persona era piangere davanti ai suoi occhi, per colpa sua.
Non aveva mai creduto a nulla, era sempre scettica riguardo qualsiasi cosa, per lei tutto il Mondo le era contro, ma quando si sedeva su quella sedia sgangherata accanto alla mia poltroncina di pelle e stringeva la sua mano alla mia, per lei ogni tassello andava al suo posto, tutto era improvvisamente giusto. Per colpa mia aveva cambiato il suo modo di vedere il mondo, gli occhi della gente e il modo in cui ognuno si vestiva.
Diceva che per me non piangeva mai, che non voleva darmi questa delusione, ma almeno tre volte al mese Eros mi chiamava in salotto e mi dava in mano la cornetta del telefono e sentivo sua madre chiedermi se avessimo litigato, perché la sera prima aveva sentito chiaramente la figlia piangere disperata contro il proprio cuscino.
Elèna era la mia migliore amica e stavo distruggendo anche lei un poco alla volta.
Era sempre stata una lettrice accanita di romanzi classici, antichi, noiosi e complicati, ma quando si metteva a leggere per me in ospedale, portava qualche romanzo recente, di quelli sdolcinati che finiscono sempre bene, di quelli che piacevano a me.
Quel giorno toccava ad Ho cercato il tuo nome.
L’avevamo già letto fin troppe volte, ma a lei piaceva leggere i libri sapendo già come finiranno.
-Le parole gli sgorgarono dal cuore, parole che mai avrebbe immaginato di dire a qualcuno.
‘Ti amo, Elizabeth’, mormorò, ed era la pura verità.
Lei gli prese la mano e gli baciò le dita a una a una.
‘Anch’io ti amo, Logan’- finì il capitolo e di nuovo, una scarica di dolore partì dal braccio e finì alla testa, senza molto preavviso. Era come se Qualcuno mi volesse punire per star facendo dal male a troppe persone attorno a me. Era come se fosse sempre colpa mia.
Fu in quel momento che mi venne in mente Ryan e tutto il dolore che volontariamente non gli stavo portando.
-Wow. Almeno non gliel’ha detto solo perché era riuscito a portarsela a letto.- Elèna cercò di sdrammatizzare, ma in quel momento non avevo nessuna voglia di ridere. Lei continuava a parlare, ma per me era solo un mormorio di sottofondo. Volevo solo rifugiarmi in un buco e non uscirne mai più, perché un’altra ondata di dolore caratterizzò il mio busto e mi sentii terribilmente in colpa per tutte le bugie che stavo inventando con Ryan.
-N-non deve saperlo nessuno, chiaro?- ripetei, stremata, ad Elèna.
Lei mi sorrise, ma potevo vedere chiaramente il dolore trasparire dai suoi occhi scuri.
Girai la testa dall’altro lato e guardai oltre il vetro che separava i vari reparti dell’ospedale. Come una barzelletta di cattivissimo gusto, fu lì che mi accorsi di Ryan.
Mi vide ed io ero debole.
Non doveva decisamente andare così
 
 
8 dicembre 2012
 
Ryan
Tre giorni.
Tre fottutissimi giorni in cui non avevo più avuto notizie di Margaret.
Tre fottutissimi giorni da quando l’avevo vista sulla poltroncina nel reparto oncologico dell’ospedale con due tubi infilati nelle braccia.
Tre fottutissimi giorni in cui non avevo dormito, né mangiato, né chiacchierato, né guardato, né vissuto la mia vita, perché la domanda ‘Che ci faceva Mag lì?’ continuava a perseguitarmi giorno e notte, qualsiasi cosa io facessi o no.
Mag?
La mia Mag?
Perché era in ospedale? Era chiaro alla sola prima vista che lei non stesse bene. La pelle già chiara era ormai diventata diafana, gli occhi scavati –così come le guance- e le profonde occhiaie a contornarle lo sguardo colmo di dolore. Ma non era solamente un dolore fisico, era molto di più. Era un dolore sentimentale, interiore talmente grande da non poter essere contenuto in un corpicino così minuto. Era uno di quei dolori che non vuoi raccontare a nessuno, perché forse per molti sarebbe un qualcosa di superfluo e allora ti costringi a stare zitta, a soffrire in silenzio; perché vuoi troppo bene al mondo per poter pensare che loro ne vogliano altrettanto a te.
Tutta la stanza ne sembrava invasa, era come se lì dentro fosse esplosa una bomba carica di odio e tristezza e che si fosse concentrata lì, senza vie di fuga.
E la mia Mag mi aveva visto. E non aveva fatto nulla. Se ne stava lì, ferma, a fissarmi oltre il vetro con i suoi bellissimi occhi spenti, mentre Elèna le teneva la mano. Ed Eros era pochi passi più in là, seduto con la testa fra le mani e i riccioli decisamente poco ordinati, senza fare nulla. Lei mi stava guardando ed era spaventata, io lo so, perché la conosco. Perché so che se mi nasconde qualcosa un motivo esiste e perché se lei crede di potercela fare da sola, so che il più delle volte non è così. Perché lei è così testarda che la maggior parte del tempo fa di testa sua e quella restante cerca di convincermi che è lei quella che ha ragione, e io la lascio convincersi perché la amo e sei giorni prima avevamo fatto l’amore.
E non era una semplice scopata, era fare l’amore e non avevo mai avuto un momento così delicato, così intimo, così perfetto in vita mia. Ma lei non mi ha mai detto nulla del dolore che la dilaniava, non mi ha mai detto di stare male. In quel momento mi resi conto di quanto anche lei mi amasse, perché non voleva farmi star male raccontandomi ciò che la affliggeva e ciò che la rendeva triste.
E’ appena suonato il campanello e io spero con tutto il cuore che non sia lei, perché nonostante io pretenda dei chiarimenti, non credo di essere mentalmente pronto.
Apro la porta e un paio di occhi azzurro cielo mi investono in pieno petto come un treno in corsa.
Eravamo là, fermi.
Io dentro casa mia, la porta ancora in mano, un piede scalzo già pronto per andare verso di lei ed abbracciarla, la testa piena di domande, il petto pieno di amore e gli occhi pieni di dolore.
Lei nel corridoio principale del condominio, appena fuori del mio appartamento, i capelli sciolti attorno alle spalle, un paio di Converse sgualcite ai piedi, la borsa nera a penzoloni nella sua mano sinistra, la mano destra ad afferrare il gomito sinistro, la bocca privata di quel piercing nero così invitante e gli occhi colmi di scuse verso di me.
Era bellissima. Nonostante non sopportassi la sua menzogna, nonostante la maggior parte delle volte non riuscissi bene a comprenderla, nonostante con il passare dei giorni fosse sempre più stanca e più magra, nonostante le due profonde occhiaie violacee sotto gli occhi, era bellissima.
Nessuno dei due sapeva cosa dire all’altro, così cominciai io, invitandola dentro casa. Era alquanto timorosa nonostante fosse almeno la quarta volta che veniva a casa mia.
Stavo per parlare, ma lei stroncò il mio discorso appena improvvisato sul nascere, zittendomi con un gesto della mano. La vidi fissarmi per qualche secondo, per poi chiudere le palpebre per riordinare le idee.
Dopo poco riaprì gli occhi e riprese a fissarmi, poi parlò.
-Ho un melanoma con metastasi al cervello al terzo stadio. Ciò significa che tre volte al mese, ogni mese, ho due cicli di chemioterapia intensiva e che tra due mesi mi dovranno aprire il cranio in due per potermi togliere il tumore.- fu diretta, inespressiva, approfondita e mi fece sentire una merda.
-Non lo sa nessuno. Mio fratello, Elèna e adesso tu. I miei genitori lo sanno, ma l’unica cosa che fanno è chiedermi a fine giornata come sto e non mi sono mai stati vicini in ospedale.- di nuovo, fu diretta, concisa ed io ormai stentavo a sentirmi le gambe.
-Ho scelto io di non dire niente a nessuno ed è l’unica cosa che riesco a ripetere con serietà, mentre mi curano e anche mentre sono a casa, perché non voglio essere privilegiata solo perché ho il cancro.- qui la sua voce cominciò ad incrinarsi, ma non la interruppi, perché non ne avevo la forza.
-Non voglio essere compatita o vista come quella debole, perché non lo sopporterei. Ed Eros sta male, molto. Non l’ho mai visto così distrutto. Ed anche Elèna non è più la stessa. Credo seriamente che impazzirò perché le uniche due persone al Mondo che non volevo far stare male ora stanno peggio di me e questa è la cosa peggiore. E no, non mi sento in colpa perché non ti ho incluso in quelle ‘uniche persone al mondo’, perché non te l’avevo detto proprio per non farti stare male, perciò non di devo nulla.- aveva ragione, aveva perfettamente ragione mentre cominciava a fare sempre più velocemente avanti-indietro nel mio salotto.
-Tu non mi dovevi vedere quel giorno, ero vulnerabile e non voglio assolutamente che tu mi veda così, perché io non sono così. Io sono forte e lo dimostra il fatto che io sia qui, ora, a spiegarti tutto d’un fiato ciò che non sono riuscita a fare in più di due mesi di relazione. Ma lì dentro non ci sono, c’è una copia distorta di me. Piegata dal dolore e… da tutto ciò che mi circonda perché quelle maledette medicine fanno male, bruciano come fuoco, e rendono stanche le persone. Per questo ho le occhiaie. Sono dimagrita. Molto. Perché nei giorni prima e dopo la chemio qualsiasi cosa io mangi la rigetto nel giro di tre ore al massimo.- mi sentivo mancare. Tutto ciò avevo potuto ipotizzare su tale menzogna era sbagliato, completamente. Ed era molto peggio di ciò che riusciva a formulare il mio cervello.
-Non ho mai nessuno con cui parlare, di nulla. Ho sempre paura che si accorgano della mia malattia e io non voglio questo. Ho paura che tutti mi vedano debole, che mi vedano per quello che non sono. Ho paura di non farcela, Ryan.- aveva le lacrime agli occhi mentre di colpo arrestava la sua marcia continua e mi fissava negli occhi per l’ultima, inesorabile stilettata al cuore.
-Io ho paura di morire.- qui. Qui capii che razza di idiota io fossi e che razza di fortuna io avessi per le mani in quel momento. La vidi piangere, come non aveva mai fatto e io non potei fare altro che andare da lei ed abbracciarla, stringerla a me come mai prima e baciarle la testa, i capelli, le tempie, le guancie, le labbra, le lacrime, le occhiaie, il naso, gli occhi, il collo, le spalle, le mani, le braccia e cullarla dolcemente per portare via tutto il suo dolore. Il suo cancro, il semi abbandono dei suoi genitori, il peso di avermi tenuto nascosto un tale fardello da distruggere anche sé stessa, senza rendersene conto.
Alla sera, quando lei fu andata via, tornata a casa, io piansi. Piansi seriamente per la prima volta in vita mia e sperai con tutto me stesso che quello che stavo provando potesse essere almeno una minima parte del dolore che avevo provato ad estirpare dal cuore della mia Mag.


**spazio autrice**
D'accordo. Sono un disastro di autrice.
1. Non è scritto magnificamente, ma posso dire almeno di avercela messa tutta (?)
2. Non è molto lungo, ma almeno la storia va avanti.
3. Sono in ritardo, ma non mi scuserò per questo.
Personalmente, sono abbastanza scocciata per il numero di recensioni che NON ho ricevuto. Insomma... ho un sacco di visite -e intendo davvero un sacco, perchè 130 visite ad ogni capitolo sono tante-, ma è possibile che proprio nessuno spenda cinque minuti della sua vita per scrivere anche una minimissiam recensione, anche se pur più lunga di 10 parole? Io ci metto impegno, lavoro e tempo che potrei tranquillamente dedicare ad altro sicuramente più fruttuoso, visto che qui nessuno se le calcola nemmeno le mie storie... Mi va bene anche una critica, non deve per forza essere una di quelle recensione chilometriche su quanto io si brava e la storia via abbia preso; mi basta semplicemente un commento, giusto per sapere come la pensate.
Con questo fermo la mia lamentela perchè negli ultimi giorni ne sto facendo anche troppe.
Perciò passando alla storia, Ryan per puro caso scopre tutto di Margaret e lei non può fare altro che dirgli per filo e per segno ogni cosa. Devo ammettere che mi è piaciuto scrivere questo capitolo, sicuramente perchè c'è un po' di spiegazione in più da parte di Ryan sui propri sentimenti.
Ora vi saluto e ringrazio tutti quelli che spendono una briciola di tempo per leggere questo capitolo. Come al solito vi invito ad una recensione, e spero che almeno questa volta qualcuno ne faccia una.

E qui c'è Miranda Kerr -  alias, Mag
 -immaginatevela con un piercing al labbro-

E poi Francisco Lachowski - cioè Ryan


Adesso vi lascio per davvero,
Baci, Nicky <3
  
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