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Autore: Fragolina84    23/01/2014    0 recensioni
Megatron ha un nuovo piano: impadronitosi di un'immensa fonte di Energon, sta cercando di distruggere tutto quello rimasto. E ha tra le mani un'arma potente, un virus in grado di piegare anche gli Autobots.
Per combatterlo serviranno coraggio, sacrificio e un'antica Reliquia aliena.
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bumblebee, Nuovo personaggio, Optimus Prime
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Destiny era finalmente riuscita a prendere sonno quando fu svegliata da un rombo, come di centinaia di aerei che passassero a volo radente nel cielo sopra il motel.
Si precipitò giù dal letto e guardò fuori dalla finestra. Non erano centinaia di aerei, ma una sola, mostruosa, macchina aliena. Passò rombando sopra il motel, spinta da due potenti reattori. Altre due navi più piccole la seguivano a distanza. Mentre osservava, tre grossi Suburban neri passarono sulla strada, colpendo un’utilitaria che veniva in senso contrario. I tre veicoli proseguirono indenni, mentre la piccola auto finì nella vetrina di una lavanderia.
Destiny capì immediatamente cos’erano. «Decepticons» mormorò.
Heaven mise in moto e fece rombare il motore. La ragazza si vestì in fretta e si precipitò fuori. Heaven le aprì la portiera e partì non appena fu a bordo, sollevando un polverone nella ghiaia del parcheggio.
Destiny sapeva che la sua Camaro era più veloce dei Suburban, ma a giudicare dalle dimensioni, se si fossero trasformati nella loro forma robotica sarebbero stati un osso troppo duro per Heaven, soprattutto perché era sola.
«Puoi inserirti nelle frequenze radio della base Nest e avvertirli del pericolo?» chiese a Heaven.
«Ho già provato. Li hanno isolati, probabilmente c’è Soundwave nei paraggi».
Tanto tra gli Autobots quanto tra i Decepticons c’erano nomi conosciuti. Erano guerrieri leggendari delle due fazioni, come Optimus Prime. Soundwave era lo specialista delle comunicazioni per i Decepticons e uno dei fedeli luogotenenti di Megatron.
«Allora dobbiamo cercare di arrivare prima di quei tre maledetti Decepticons» disse Destiny e strinse più forte il volante. Ormai era in vista dei tre veicoli neri e non voleva che si accorgessero di lei, quindi scalò una marcia e svoltò su una strada laterale.
Doveva arrivare prima di loro e contava sulla maggiore velocità di Heaven per riuscirci. Doveva avvisare gli Autobots per far sì che non si trovassero del tutto impreparati. Ricordava benissimo le parole del colonnello Lennox: credeva che Megatron non avesse forze sufficienti per attaccare. Anche se aveva innalzato al massimo le misure di sicurezza, lo schieramento di forze poteva non essere sufficiente. I Decepticons non si sarebbero fatti scrupoli ad attaccare, mentre gli Autobots avrebbero dovuto tener conto della salvaguardia degli umani.
«Li abbiamo superati» annunciò Heaven, che teneva d’occhio il sistema satellitare.
Destiny guidava come una pazza per le strade secondarie. C’era un altro motivo che la spingeva a premere a tavoletta l’acceleratore, anche se non voleva ammetterlo con se stessa. Ma mentre sfrecciava per le strade di Washington, c’era un viso davanti ai suoi occhi.
Si distrasse un attimo e la ruota anteriore destra colpì di striscio il marciapiede. La velocità era eccessiva e Destiny perse il controllo, finendo in testacoda e in quel momento un’auto sbucò da una via laterale.
Heaven non perse tempo: si trasformò a metà, dandosi lo slancio per saltare l’ostacolo e Destiny vide la faccia sconvolta del guidatore mentre passavano a non più di un metro dal tetto della sua berlina blu.
«Vuoi che guidi io?» chiese Heaven mentre atterravano indenni e riprendevano a sfrecciare in direzione del Nest.
«No, ce la faccio» disse Destiny, rimproverandosi per la disattenzione.
«Cerca di stare concentrata. Non vale la pena ammazzarci per recuperare una giacca di pelle e un paio di stivali» disse Heaven e la ragazza sogghignò.
«Non è per quello che stiamo tornando al Nest a tutta velocità?» chiese il robot quando non ebbe risposta. «O forse c’entra qualcosa un certo colonnello?» concluse, lasciando la frase in sospeso.
«O una certa Camaro gialla e nera?» rispose Destiny.
«Touché!» esclamò Heaven e ridacchiò. Poi si fece seria. «Tempo stimato per l’arrivo al Nest, novanta secondi».
Destiny svoltò bruscamente a sinistra e si immise sulla strada principale. I Suburban neri non si vedevano ancora, ma i tre velivoli che l’avevano svegliata erano poco dietro di lei. Uno dei due più piccoli si staccò dalla formazione e scese di quota. Probabilmente capì che si trattava di un Autobot perché lanciò due missili che si staccarono da sotto le ali e partirono con uno sbuffo di fumo.
Destiny li teneva d’occhio nello specchietto laterale e scartò di lato quando il primo abbassò la testata per colpire. Il missile esplose sulla strada, lanciando pezzi d’asfalto tutt’intorno. Destiny riuscì ad evitare anche il secondo proiettile con un’abile manovra, ma anche la seconda nave stava scendendo per unirsi all’attacco.
Ora riusciva a vedere la base ma non poteva comunicare con loro per avvertirli. Sperò che le due esplosioni li avessero messi in allarme.
Arrivò in derapata davanti al cancello e, tra lo stupore delle guardie, Heaven iniziò la trasformazione e saltò la recinzione, atterrando all’interno. Posò a terra Destiny e si mise completamente eretta, girandosi per fronteggiare i Decepticons che sarebbero arrivati di lì a poco.
All’udire quel trambusto alcuni soldati uscirono dalla base. Tra loro c’era anche Lennox e Destiny ebbe un tuffo al cuore quando lo vide. Dino e Ironhide, che probabilmente stavano effettuando la ronda, si fermarono accanto a Destiny.
«Che succede?» domandò Dino mentre le lame fissate alle sue braccia mandavano lampi.
«Decepticons in arrivo» gridò Destiny e ci fu immediatamente un gran trambusto. Ironhide si abbassò su di lei. «Quanti?» domandò.
«Tre Suburban stanno arrivando a tutta velocità da ovest e ci sono tre navi aliene a meno di un minuto da qui. Le due più piccole mi hanno attaccata».
Ci fu un’esplosione e un angolo del palazzo andò in frantumi. Istintivamente, Heaven e Dino si accucciarono sugli umani, proteggendoli dai detriti.
«Uomini, ai posti di combattimento!» urlò Lennox e trascinò con sé Destiny mentre rientrava nell’hangar.
«Optimus!» gridò quando lo vide già trasformato. Al suo fianco stava Bumblebee i cui occhi si illuminarono quando vide Heaven. «Siamo sotto attacco, amico» disse, mentre un’altra potente esplosione faceva tremare il palazzo.
«Vogliono distruggere il vostro Energon» fece notare Destiny.
«Autobots!» gridò Prime. «A me».
Tutti gli Autobots si trasformarono e corsero fuori, mentre Optimus abbassava lo sguardo su Heaven. «Sei in grado di combattere?».
Per tutta risposta Heaven fece uscire dal braccio destro il suo cannone al plasma e lo armò.
«Molto bene! Uno in più ci servirà».
Scambiò un cenno con Bumblebee e insieme si precipitarono fuori.
«Sta attenta là fuori, Heaven» raccomandò Destiny prima che l’Autobot uscisse dal portone. Poi si voltò verso Lennox. «Dimmi come posso aiutarti».
«Ti faccio evacuare con il resto dei civili» rispose lui risoluto, trascinandola verso la parte posteriore del capannone, mentre le esplosioni si susseguivano sempre più ravvicinate e le raffiche di mitragliatrice cantavano la loro melodia di morte.
«Io non me ne vado» replicò lei, piantando i piedi. Ma Lennox era molto più forte di lei e la tirava quasi senza sforzo. «Lasciami, William» sbottò alla fine e lui si fermò di colpo.
«I miei uomini stanno morendo là fuori, non posso occuparmi anche di te, Destiny» disse, afferrandola per le braccia. «Ho bisogno di saperti al sicuro, capisci?»
«Non posso abbandonare Heaven» replicò la donna.
«Heaven se la caverà. Bumblebee è uno dei nostri guerrieri migliori e non permetterà a nessuno di toccarla».
Erano in mezzo ad un pandemonio di grida e imprecazioni, immersi in una fiumana di gente che cercava di fuggire. Un soldato con l’uniforme impolverata e un segno insanguinato sulla guancia venne a cercare Lennox.
«Colonnello, abbiamo bisogno di lei».
«Devo andare, Destiny. Ora ascolta: mettiti al sicuro, qui ce la caveremo. Anche Heaven combatterà più concentrata sapendoti al riparo». L’ennesima esplosione quasi coprì la sua voce e tutti si abbassarono istintivamente. Poi chiamò il soldato. «Assicurati che la ragazza lasci il palazzo con il resto dei civili, ok?»
L’uomo annuì e Lennox tornò a guardarla e si accorse che non era mai stata più bella, con quei grandi occhi neri che sembravano volergli leggere l’anima. «Andrà tutto bene, non è la prima volta che ci scontriamo con i Decepticons, credimi». E sorrise.
«Sta attento, Will». Lo disse con un tono supplice che gli fece salire un nodo in gola. Annuì e corse via, lasciandola con il soldato.
Mentre correva per raggiungere i suoi uomini e gli Autobots all’esterno recuperò il suo giubbotto antiproiettile e il suo Bushmaster ACR, la sua arma preferita. Controllò di avere caricatori a sufficienza, sgombrò la mente da un paio di splendidi occhi neri e uscì.
Nei pochi minuti che gli erano serviti per allontanare Destiny, la situazione era drasticamente cambiata. E dalla rapida occhiata che Lennox gettò intorno, capì che le cose non si mettevano bene per gli Autobots.
Erano ancora tutti in piedi, ma proprio mentre guardava Topspin si accasciò. Ironhide lo coprì mentre Ratchet lo trascinava via. Doveva essere ferito, anche se Lennox non sapeva in che misura. Si dedicò a organizzare i suoi uomini in posizioni difensive, passando da una postazione all’altra. Purtroppo i Decepticons continuavano a bombardarli dall’alto, mentre altri tenevano impegnati gli Autobots che non potevano aiutare gli umani.
Lennox vide Heaven e Bumblebee battersi spalla a spalla. Erano più piccoli e più agili di molti loro fratelli, quindi schivavano e sparavano con una velocità inaspettata. Insieme bloccarono un Decepticon in un angolo e lo tempestarono di colpi. Heaven lo prese per la collottola e lo spinse con la testa contro il muro di cemento armato dell’hangar. Olio e metallo uscirono dalla testa fracassata del cyborg ma era ancora vivo almeno finché Bee si girò di spalle, afferrò la testa del robot e la strappò, facendo leva sulle spalle. Lasciando a terra i resti fumanti del nemico si gettarono di nuovo nella mischia, in cerca di un altro bersaglio.
Gli uomini di Lennox stavano facendo del loro meglio per coprire gli Autobots, ma la battaglia infuriava e loro erano isolati, senza possibilità di richiedere rinforzi. Dovevano cavarsela da soli, ma i Decepticons sembravano moltiplicarsi, mentre gli Autobots cominciavano a dare segni di cedimento. Anche Ironhide era ferito e si teneva il fianco. Dino aveva perso una delle lame fissate alle braccia. Ma nessuno si arrendeva, nessuno voleva mollare. Non era nella loro natura.
Optimus Prime continuava a combattere e il suo coraggio risollevava il morale dei suoi e anche degli umani. Sembrava inamovibile come una montagna e, sebbene ammaccato e forse ferito, non gettava la spugna.
Mentre continuava a sparare, Lennox vide Heaven voltarsi di scatto. Raggiunse in fretta il palazzo e abbatté una delle grande vetrate con un pugno. Era un comportamento strano da tenere nel bel mezzo di quella furiosa battaglia. La vide toccarsi la gamba destra e staccare qualcosa che lanciò all’interno del palazzo.
Una granata esplose poco distante e lui dovette abbassarsi. Il soldato vicino fu colpito in pieno dalle schegge e una gli si conficcò nel collo, recidendo l’arteria. Mentre il soldato veniva soccorso dai compagni, Lennox tornò a guardare avanti; Heaven era tornata a combattere con gli altri.
Lennox capì che se voleva dare una mano agli Autobots doveva portarsi più in alto. Gli occhi erano una parte molto vulnerabile di ogni cyborg, ed era lì che dovevano colpire. Ma per farlo doveva salire più in alto con i suoi cecchini.
Mentre Leadfoot faceva cantare le sue mitragliatrici Brownig innaffiando i Decepticons, Lennox approfittò della copertura per organizzare i suoi uomini. Stava indicando che dovevano salire a livello delle finestre più alte o addirittura del tetto quando dalla vetrata che Heaven aveva sfondato vide uscire qualcosa. E quando si piantò preciso nell’occhio destro del Decepticon con cui stava combattendo Optimus Prime, capì che era un dardo. La freccia, dotata evidentemente di una carica, esplose e il cyborg, ululando di dolore, si accasciò. Optimus ne approfittò per finirlo; poi si voltò verso il palazzo e fece un cenno con il capo, come a ringraziare per l’aiuto.
In quel momento, Lennox ebbe il terribile sospetto di sapere chi avesse lanciato la freccia. Raccolse i suoi uomini e, mentre una seconda freccia volava in una parabola precisa e colpiva un Decepticon che stava per abbattere la sua scure d’acciaio su Sideswipe facendolo barcollare quel tanto che bastava perché l’Autobot si rialzasse e lo colpisse, rientrò nel palazzo.
Salì precipitosamente le scale fino all’ultimo piano, mentre i colpi continuavano a tempestare l’edificio che cominciava a cedere. L’ultimo piano era deserto, sgomberato anni prima quando il vero Dipartimento di Sanità era stato trasferito in altra sede. Era buio perché la luce era andata via quando i Decepticons avevano fatto saltare anche i generatori ausiliari. Era difficile orientarsi, ma poi il lampo di un’esplosione all’esterno illuminò tutto come un palcoscenico e lui la vide.
Destiny era in piedi e stava tendendo l’arco. Lo teneva con la sinistra e gli voltava le spalle, mentre con la destra attirò a sé la freccia. Prese la mira con cura e la scagliò. Imprecò quando il dardo non andò a segno, ma si chinò subito per recuperarne un’altro.
Lennox segnalò ai suoi uomini di prendere posto e Destiny si voltò appena quando lui le si avvicinò.
«Mi dispiace di averti disobbedito, William» mormorò lei. «Ma non avrei mai abbandonato Heaven. E poi te l’avevo detto che potevo esserti utile».
«Non parlare» sbottò lui, in tono burbero per nascondere il sollievo di averla vicina. «Continua a tirare».
I suoi uomini erano equipaggiati con LaRue Tactical OBR calibro 7.62 e da quella distanza non potevano sbagliare.
«Mirate agli occhi» ricordò Lennox. «Fuoco!».
La battaglia si era trasformata in una serie di conflitti isolati, dove gli Autobots combattevano praticamente soli o in coppia contro i nemici. Gli uomini di Lennox spararono e fecero subito un paio di centri, ma dovevano stare attenti a non colpire i loro. Il colonnello sbirciò l’arco di Destiny la cui corda continuava a cantare. Era chiaramente tecnologia aliena e ricordò che Heaven si era toccata la gamba prima di gettare qualcosa all’interno del palazzo. Evidentemente Heaven portava l’arco attaccato alla gamba, pronta a lanciarlo a Destiny in caso di bisogno. Quelle due erano davvero formidabili.
Lennox tornò a guardare la battaglia. Gli Autobots erano in inferiorità numerica e nuovi Decepticons continuavano ad arrivare. Si rese conto che non avrebbero potuto trattenerli ancora per molto.
Alcuni Decepticons erano rimasti al di fuori del conflitto, sul tetto dell’edificio di fronte. Quando si alzarono, Lennox li riconobbe subito.
Megatron era il più alto e massiccio dei tre. Gli occhi rossi brillavano di eccitazione mentre seguiva dall’alto lo svolgimento della battaglia. Era il leader dei Decepticons, l’antagonista numero uno di Optimus Prime. Megatron vedeva nella Terra un pianeta da sfruttare e nell’umanità intera una massa di schiavi da piegare al suo volere.
Alla sua destra stava Starscream. Più che un luogotenente era il galoppino di Megatron. Era più piccolo e la differenza di dimensioni era evidenziata dal fatto che restava sempre un po’ curvo, in perenne ossequio del suo signore.
Ciò che preoccupava veramente Lennox era il cyborg sulla sinistra. Era Shockwave, comandante delle operazioni militari dei Decepticons. Scrutava il combattimento con il suo unico occhio rosso, ma ciò che turbava di più il colonnello era che dove c’era Shockwave c’era anche Driller.
Lennox si affacciò alla finestra. «Optimus!» gridò a gran voce e nonostante il frastuono della battaglia, Prime lo sentì e si voltò. Lennox indicò il tetto del palazzo di fronte e Optimus seguì il gesto, dopo aver strappato un braccio al cyborg con cui stava combattendo.
Destiny aveva finito i dardi e si affacciò proprio mentre un cyborg grande due volte Heaven la atterrava. «Heaven!» urlò, impotente, mentre il Decepticon la schiacciava a terra con un piede enorme.
Destiny avrebbe voluto precipitarsi giù per aiutarla, ma Lennox glielo impedì, chiudendola nel cerchio delle sue braccia. «Non puoi fare nulla per lei, Destiny». La ragazza sapeva che aveva ragione: non poteva competere con il cyborg, e rimase lì, orrendamente attratta da quella scena, mentre le lacrime cominciavano a scendere dai suoi occhi alla vista dell’amica in difficoltà.
Heaven tentò di fare fuoco con il cannone sul braccio, ma un altro nemico glielo impedì, sbattendole violentemente il braccio a terra. Le lamiere scricchiolarono e l’Autobot gridò di dolore.
«Sei finita» borbottò con voce cavernosa e al posto del suo braccio destro comparve una lunga lama. Si puntellò per colpire Heaven al centro del petto dove ardeva la Scintilla che le dava vita, mentre Destiny nascondeva il viso nell’abbraccio di William.
Ma la spada non calò. Il cyborg gigante rimase bloccato in quella posizione, mentre la testa gli esplodeva in una vampata di fuoco. Cadde a terra con un tonfo e lì rimase, mentre Bumblebee ricaricava il cannone con cui aveva fatto fuoco.
Calpestando il nemico che aveva abbattuto lo superò e afferrò l’altro Decepticon, quello che aveva tenuto bloccato il braccio di Heaven e che in quel momento stava tentando di fuggire.
«È troppo presto per andarsene, amico» disse con aria truce. Lo prese per le braccia da dietro, gli piantò un piede al centro della schiena e tirò, strappandogli entrambe le braccia.
Sollecitata da Lennox, Destiny guardò in basso e si asciugò le lacrime mentre Heaven si rialzava fulminea come una vipera. Mentre Bee lo teneva fermo gli fece saltare la testa con un colpo. Poi accarezzò Bumblebee con uno sguardo dolcissimo. «Grazie» sussurrò.
Il fuoco dei cecchini di Lennox aveva infine attirato l’attenzione di Shockwave che ruggì un ordine. Immediatamente, due Decepticons girarono le loro mitragliatrici contro il palazzo.
«Giù!» gridò Lennox e spinse a terra Destiny, stendendosi su di lei per proteggerla. Il bordo della finestra si sgretolò sotto i colpi. Due uomini di Lennox furono falciati immediatamente e caddero. Gli altri riuscirono a mettersi al riparo.
«Dobbiamo andarcene di qui» gridò Lennox all’orecchio di Destiny. La ragazza annuì. Recuperò il suo arco e strisciò al fianco di William. Guadagnarono la porta e stavano scendendo le scale quando un terremoto squassò l’edificio. Non c’era stata alcuna esplosione e Lennox capì immediatamente.
La loro fonte di Energon era conservata in un caveau sotterraneo. I Decepticons dovevano averlo capito e ora Shockwave aveva messo in campo la sua ultima pedina: Driller. Si trattava di un mostruoso Decepticons tentacolare, una supertrivella aliena in grado di abbattere ogni cosa sul suo cammino. Lennox l’aveva visto in azione una volta soltanto e in quell’occasione nemmeno Optimus era riuscito ad averne ragione.
Fece appena in tempo ad afferrare Destiny per un braccio e a tirarla verso il muro che il pavimento esplose. La potentissima trivella di Driller macinava il cemento armato come fosse inconsistente. La scala di acciaio su cui stavano vacillò pericolosamente e l’ultimo tratto, quello che portava al pavimento, crollò. Uno degli uomini di Lennox cadde urlando e fu risucchiato dalla trivella del mostro d’acciaio.
Sparare contro quel mostro era inutile. Lennox trascinò con sé Destiny, cercando di riguadagnare il piano superiore, unica via di fuga che gli fosse rimasta. Il mostro d’acciaio notò gli uomini sulla scala e lanciò i suoi tentacoli.
L’uomo alla sinistra di Destiny fu colpito in pieno e la donna soffocò a stento un grido. Il tentacolo di metallo lo tranciò a metà, e l’uomo morì sul colpo, scivolando giù dalla scala. Ma Lennox non le permise di fermarsi. La teneva ancora per mano e la fece passare davanti a sé. La spinse a salire, nonostante la scala fosse pericolante e instabile.
Furono i soli a riuscire a salire: tutti gli otto uomini che avevano messo piede sulla scala furono uccisi e caddero nelle fauci metalliche di Driller. Destiny era già sul pianerottolo e Lennox la stava raggiungendo quando Driller afferrò l’ultimo tratto di scala con uno dei suoi tentacoli e tirò. La scala fu divelta dai sostegni a muro e precipitò di sotto.
William riuscì per un soffio ad aggrapparsi al bordo del pianerottolo. La ragazza si gettò a terra e lo aiutò a tirarsi su, afferrando le cinghie del giubbotto antiproiettile e aiutandolo a salire. Mentre scalciava per issarsi, una delle appendici di Driller lo colpì di striscio ad una gamba e gli aprì un taglio lungo il polpaccio. Ma con l’aiuto di Destiny ben presto fu in salvo. Seduto a terra, Lennox guardò in basso: poteva star certo che il loro Energon era perduto e faticava a credere che l’edificio potesse stare in piedi dopo quell’assalto. Quasi a confermare la sua impressione, la costruzione tremò.
«Dobbiamo muoverci» disse Destiny. Lennox si alzò e zoppicando leggermente si affacciò cautamente alla finestra da cui avevano sparato poco prima.
Capì subito che dovevano abbandonare la battaglia. Molti Autobots erano erano feriti e vide tre piccoli Decepticons attaccare Ironhide che si difese a stento.
«Optimus!» gridò e il gigante di acciaio si voltò subito. «Dobbiamo ritirarci o ci faranno a pezzi».
Prime annuì. «Autobots! Ritirata!» gridò con voce stentorea.
Tutti i cyborg si disimpegnarono in fretta e, riprendendo la forma di auto, cercarono di mettersi in salvo. Optimus si avvicinò alla finestra.
«Driller sta facendo a pezzi il palazzo. Io e Destiny siamo gli unici sopravvissuti qui dentro».
«Ho già fatto evacuare i tuoi uomini. Alcuni sono partiti con Sideswipe e gli altri Autobots. Il resto aspetta sul retro, già dentro il mio rimorchio. Messi in salvo voi due, partirò anche io».
Optimus tese la mano ed entrambi vi salirono. Coprendoli con il proprio corpo li mise a terra. Heaven sistemò l’arco di Destiny agganciandolo alla gamba destra e riprese le sembianze della Camaro. Destiny aiutò Lennox a salire; poi si mise alla guida e sfrecciò via, seguita da Bumblebee.
Optimus perse ancora qualche secondo. Si voltò verso Megatron che non era sceso ad ingaggiare battaglia con lui.
«Hai vinto una battaglia. Ma ci rivedremo presto» disse a voce normale, sicuro che Megatron lo sentisse. Poi si trasformò nel Peterbilt rosso e blu e, dopo aver girato attorno alla costruzione e aver agganciato il rimorchio, partì in fretta mentre dietro di lui l’edificio che era stato la loro casa per molto tempo collassava e crollava su se stesso.
  
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