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Autore: ladyvampiretta    23/01/2014    6 recensioni
Layla è destinata a morire tragicamente, così hanno deciso gli angeli. Castiel, però, ignaro di tutto, le salva la vita. I loro destini si incroceranno in un turbinio di amore e morte che li porterà ad attraversare l'Inferno e il Paradiso per sfuggire alla sorte avversa.
[Dalla storia]
"« Devo tenerti d'occhio... » continuò « ... corri un grave pericolo »
Rimasi colpita « Eh? Quale pericolo? » sbottai.
Castiel rimase impassibile « Ti vogliono morta »
Genere: Azione, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Castiel, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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PERDIZIONE

 

Il terzo girone era nettamente diverso dal precedendente. Al posto della strada cupa, la cui unica illuminazione veniva da alcune fiaccole, quel girone era costituito da una landa ghiacciata. Appena entrai, i miei piedi affondarono nella neve.

Il freddo era glaciale e ovviamente non era il normale gelo invernare. Diversamente da un normale inverno, qui il freddo entrava direttamente nelle ossa, nei muscoli, tanto da sentire perfino del ghiaccio stringermi il cuore. Mi premetti una mano sul petto mentre battevo i denti dal freddo. I miei muscoli cominciarono ad irrigidirsi e il passo mi si fece pesante. Abbassai lo sguardo e vidi che la mia pelle stava cambiando colore.

Rischiavo l'ipodermia.

Mi strinsi le braccia al petto, cercando di conservare il maggior calore corporeo.

Perfino respirare divenne difficile.

Cominciai ad avanzare con passo mal fermo, fino a quando non vidi delle figure in lontananza.

"Altri dannati... questo che girone sarà?".

Incespicando, arrivai su una specie di altura e da lì ebbi la piena visuale del girone.

In mezzo ai ghiacci, c'erano uomini e donne dall'aspetto pauroso per quanto erano scheletrici. Riuscivo per fino a distinguere la forma delle ossa del loro corpo, avvolti in miseri stracci. I volti erano pallidi e scavati, con gli occhi sgranati.

E urlavano... urlavano e si lamentavano. Il vento fendeva il loro corpo fino a procurar loro ampi tagli da cui, ormai, non fuoriusciva niente... nemmeno il sangue.

Sembravano morti viventi.

Davanti a loro, si estendevano montagne di cibarie. Spalancai gli occhi davanti a tanto ben di Dio. Riuscivo a vedere un piatto posato su una lastra di ghiaccio con sopra un delizioso tacchino fumante. Accanto ad esso, su altri piatti, c'erano torte ricoperte di glassa, di panna, di cioccolato, di marmellata. Erano immuni alle intemperie.

Improvvisamente sentii uno schiocco di frusta. Aguzzai la vista e quello che a primo impatto mi era sembrato un dannato, in realtà era il loro aguzzino.

« Mangiate, bastardi! » urlò, schioccando la frusta su un uomo. Urlando di dolore, il dannato alzò il braccio scheletrico e prese una fetta di torta. Con le labbra tremanti, se la portò alla bocca e diede un piccolo morso.

Fu come vederlo fulminare all'istante. Un brivido percorse tutto il suo corpo. Si portò le mani al collo e cominciò a gemere dal dolore. Cadde a terra e iniziò a contorcersi, come se avesse appena ingerito della candeggina. Una strana poltiglia bianca gli raggiunse le labbra e stramazzò a terra, inerme.

Sapevo già che si sarebbe ripreso di lì a poco e infatti lo fece. Il demone con la frusta riprese a fender colpi sul corpo del dannato che, urlando, cominciò a chidere perdono e pietà.

Avevo capito quale girone fosse: quello dei condannati per gola.

Le risate dell'aguzzino arrivarono fino a me. Sentii crescermi dentro una rabbia, ma dentro di me sentivo che non dovevo avere pietà per i dannati.

Reprimendo un conato di vomito, contiuai ad avanzare nella neve.

Ad ogni passo, sentivo il freddo gelido diminuire di intensità, fino a quando, davanti alla porta, i brividi cessarono di botto.

Mi voltai e i miei occhi intercettarono il nuovo vibrare di una frusta.

Disgustata, aprii la porta verso il quarto girone.

 

La porta mi si chiuse alle spalle e il panorama che mi trovai davanti era ancora diverso rispetto agli altri tre. Mi guardai intorno e vidi un'enorme e imponente gabbia.

Aveva delle sbarre spesse e scure, probabilmente di ferrro o acciaio. Al suo interno, dei dannati scappavano a destra e a manca, cercando invano di evitare che delle belve si accanissero su di loro. Ad ogni dannato era riservato un cane dall'aspetto minaccioso.

Erano grandi come un alano adulto, sembravano dei doberman mutati, con il muso da pitbul. Erano scuri con gli occhi iniettati di sangue. Uno si scagliò contro un uomo e, come se stesse scavando sul suo corpo, lasciò profondi solchi, da cui fuoriuscivano copiose quantità di sangue. L'animale graffiava, mordeva, sbrindellava ogni parte dell'uomo.

Rabbrividii.

Mi sentii per un attimo sollevata, credendo che la porta fosse lontana dalla gabbia.

Mi sbagliavo di grosso.

Un urlo mi costrinse nuovamente a spostare la mia attenzione verso di essa.

Un uomo, alto e dai capelli a spazzola, stava scappando, inseguito dal segugio infernale. Correva a perdifiato, driblando gli altri dannati e le altre belve. Correva come se avesse una meta precisa.

E alla fine la vidi. Il dannato stava correndo in direzione di quella che era a tutti gli effetti una porta di legno. Rimasi con il fiato sospeso, credendo che ormai ce l'avesse fatta a raggiungere la salvezza.

Ormai era a due passi dalla porta, ma il cane infernale fece un lungo balzo, atterrando con tutto il suo peso sul corpo dell'uomo, schiacciandolo a terra.

Voltai la testa dall'altra parte, inorridendo da come l'animale si accanisse su quell'anima.

"Perché mettere la porta nella gabbia?" Un fremito di paura mi fece tremare le gambe.

Pensai di entrare nella gabbia dal punto più vicino alla porta, passando per l'esterno, ma il suo perimetro doveva essere immenso.

Sconsolata, dovetti arrendermi all'evidenza. Dovevo entrare e attraversare tutta la gabbia.

Come se mi avesse letto nel pensiero, si aprì un varco tra le sbarre e venni attirata all'interno da una forza misteriosa.

Una volta dentro, temendo di essere attaccata, mi rannicchiai su me stessa, preparandomi al dolore. Ma non accadde nulla.

Abbandonai la mia posizione difensiva e mi tirai su, in piedi. Sembrava che nessuno facesse caso a me. Quelle urla, però, mi riportarono nuovamente alla mente le torture del re dell'Inferno. Le immagini del suo sorriso sadico mentre il fuoco mi bruciava la pelle, arrivando fino alle ossa e bruciando anche quelle.... no, non dovevo pensarci. In quei momenti di agonia, però, la sofferenza, non mi faceva mai perdere i sensi ed ero sicura che ci fosse lo zampino del demone. Se fossi caduta nell'incoscienza, non avrei potuto soffrire.

« Bene, bene, bene, chi si rivede » mormorò una voce alle mie spalle, riportandomi bruscamente alla realtà.

La mia voce.

Mi voltai di scatto. Alle mie spalle c'era una belva infernale, più grande e possente delle altre. Era di colore grigio e sbuffava nuvole di fumo bianco dalle narici. Gli occhi erano due puntini rossi.

« Ancora tu?! » urlai, esasperata e impaurita da quella creatura che non mi lasciava in pace.

« Sei entrata nella gabbia degli invidiosi » disse il cane, muovendo la mascella come se a parlare fosse un umano «... e farò in modo che tu non ne esca! » e senza aggiungere altro, si lanciò verso di me. Con gli occhi sgranati, mi voltai e cominciai a correre verso la porta.

Le anime dei dannati mi correvano vicino, alcune tagliandomi anche la strada cercando invano di fuggire dalla loro pena.

Un ragazzo mi passò davanti, si fermò e con la follia nello sguardo, mi afferrò per le spalle.

Voleva usarmi come scudo per il suo cerbero.

Ormai ero al limite della sopportazione.

Lo spostai con una violenta gomitata, ma ero stata ferma per un attimo di troppo.

Lo spettro ululò e con un balzo mi schiacciò a terra.

Mi fissò negli occhi, lasciando che la sua bava mi sporcasse i vestiti.

« Lasciami! » esclamai, mentre le unghie della bestia mi si conficcavano nelle spalle.

« Contro-natura » ringhiò e fece per mordermi all'altezza della clavicola.

Mossa dall'istinto di sopravvivenza, riuscii a rotolare di lato, facendo cadere la bestia da sopra di me. In quel girone, lo spirito era stranamente corporeo.

Un ringhio mi perforò le orecchie.

Senza voltarmi verso la bestia, raggiunsi la porta con uno scatto.

Ero di nuovo salva.

 

 

Non ero sicura che sarei riuscita a sopravvivere ancora. Non ce la facevo più. Tutte quelle sofferenze... le torture di Crowley, lo spettro che mi dava la caccia in quasi tutti i gironi... ero davvero al limite della sopportazione.

"Lasciate ogni speranze oh voi che entrate" recitava la scritta sul cancello d'accesso ai gironi infernali. Per quanto io fossi speranzosa, sentivo ad ogni passo la possibilità di uscire venir meno.

Avevo superato con non poche ferite i primi quattro gironi. Mancavano la lussuria, l'avarizia e la superbia.

Le possibilità di rivedere Castiel si facevano sempre più flebili.

Ero entrata nel quinto girone, ma non avevo il coraggio di alzarmi in piedi. Mi ero accasciata a terra non appena ne avevo superato la soglia.

Come dei flashback, le torture di Crowley facevano capolino nella mia testa. Risuonavano come colpi sordi. Strinsi gli occhi e mi portai le mani sulle tempie, premendo forte. Ricordavo le urla... fuoco, ghiaccio... dolore. Era un incubo.

Quanto tempo era passato? Giorni? Settimane? Ore?

Non riuscivo più a trovare le forze per andare avanti... per camminare... per lottare.

Sentii dei passi davanti a me. Alzai lo sguardo e vidi una landa deserta. Tra la sabbia e le dune, una figura stava avanzando verso di me. Non impiegai molto a capire che lo spettro era tornato, questa volta in forma umana: la mia.

« Uccidimi » mormorai, quando fu abbastanza vicino per potermi sentire. Che senso aveva vivere? Stavo lottando da troppo tempo e le possibilità di uscire viva dall'Inferno si facevano sempre di meno. Ero stanca delle percosse, delle violenze, di tutto. Ero semplicemente stanca. La mia era una richiesta, per quanto vigliacca, di un po' di pace.

"Non la merito anche io?" pensai, mentre gli occhi mi si inumidivano. Avevo subito violenze psicologiche e fisiche. Ero arrivata allo stremo delle forze.

Lo spettro non sembrò sorpreso « Per essere un semplice essere umano, te la sei cavata più di quanto mi aspettassi » disse. Fece una breve pausa.

« Sai che girone è questo? » domandò con fare canzonatorio. Scossi la testa.

La sentii sbuffare « Non è difficile » mi guardò, inclinando la testa di lato. Dato che non risposi, continuò « E' il girone della lussuria, avrei dovuto attenderti qui, ma il mio compito è anche quello di eliminare le anomalie come te » disse indicandomi.

Mi avrebbe dovuta aspettare nel girone della lussuria? Mi uscì una mezza risata amara.

« Wow » sbottai « Devo avere proprio la fortuna dalla mia parte se ho avuto il piacere di incontrarti prima ». dissi, enfatizzando la parola "piacere". Il tono di voce tradiva il mio nervosismo.

Mi fece l'occhiolino « Per questo voglio proporti un accordo » sussurrò.

La guardai negli occhi. Stranamente. le sue iridi verdi sembravano più intense delle mie.

« Se supererai una prova, ti lascerò passare » continuò, interpretando il mio silenzio come un tacito assenso.

Mi si accucciò vicino. Era inquietante trovarmi di fronte a me stessa.

Il cuore prese a martellarmi nel petto.

« Che prova? »

Paura, ansia, dolore. Era bastato guardarmi negli occhi perché tutte quelle sensazioni tornassero a galla, accendendo qualcosa in me.

« Oh, finalmente si è risvegliato il tuo istinto di sopravvivenza! » esclamò con una risata, incredibilmente minacciosa, ignorando la mia domanda.

Per un breve e intenso istante, sperai di non essere in tutto e per tutto come lei.

Qualcosa scattò improvvisamente dentro di me. Non mi sarei arresa. Dovevo lottare, c'era un motivo se ero scesa all'Inferno.

« Sei venuta per uccidermi? » ringhia. In quel momento volevo aggrapparmi alla vita più che mai.

Mai stringere accordi con i demoni.

« Certo » sorrise, serafica « Ma voglio anche chiederti cosa ti abbia spinto qui ai piani bassi »

« Non ti riguarda »

Lo spettro mi ignorò. « Castiel? Il tuo angelo? » mi provò ad incentivarmi « Eppure lui non è qui ». Il suo ghigno era inquietante.

Mi irrigidii all'istante.

"Ti verrò a prendere" mi aveva promesso, guardandomi negli occhi. Invece ero all'Inferno, da sola, con lo spettro di me stessa intento a torturarmi.

« Ho fatto centro! » esultò con la mia voce.

Abbassai lo sguardo. Non volevo dubitare di Castiel, doveva avere una buona ragione per non essermi ancora venuto a cercare.

"Sicuramente è così"

« Non credo » disse, intuendo i miei pensieri « Non hai mai pensato che con te fuori dai piedi, lui poteva tornare in Paradiso? » domandò.

Deglutii.

"Castiel mi voleva fuori dai piedi?"

« Ho scelto io di scendere » mormorai, con la gola che mi si era fatta d'un tratto molto secca.

« Già, ma se ci teneva, sarebbe sceso a prenderti scattate le quarant'otto ore » mi fece notare. Non chiesi come mai sapesse tutte quelle cose. Probabilmente, all'Inferno le informazioni giravano più in fretta che sulla Terra.

"No, non può avermi abbandonato" pensai, mentre le mie sicurezza sembravano iniziare a vacillare.

« Rassegnati » asserì « sei ancora nel quinto girone e sei ferita, in più, sempre se sopravvivi, dovrai affrontare anche il Purgatorio, quante possibilità hai di farcela? »

Strinsi i denti.

Odiavo la sua (mia) voce, il suo sparare sentenze, il suo dire ad alta voce quello che cercavo di reprimere.

« Ecco che spunta il dubbio » rise.

"No, non può essere così!"

« Sta zitta! » urlai. Mi fidavo di Castiel... mi fidavo ciecamente di lui. Se avessi dubitato anche per un solo istante dell'angelo, non avrei mai accettato di prendere accordi con dei demoni.

Mi aveva salvata, protetta, aiutata per tanto tempo. Si era scontrato contro il Paradiso per me.

No, non dubitavo del mio angelo.

« Diceva di amarti, eppure sei ancora qui! »

« Sta zitta! » ripetei con più determinazione.

L'Inferno ti farà perdere la rotta, ti farà vacillare...Ricordati chi sei e perché vuoi risalire.

Sgranai per un attimo gli occhi. Quelle parole sembravano essere state sussurrate direttamente nella mia testa... non con la voce di Minosse, ma con quella di Castiel.

Sorrisi.

« Tu non sei reale » dissi, dolcemente.

Finalmente lo avevo capito.

Lo spettro tremò.

« Sì che lo sono » disse con veemenza « Ti ho anche ferita, non vedi »> e mi indicò la spalla sinistra.

Abbassai lo sguardo sul punto indicatomi dallo spettro.

« Il dolore » dissi, seguendo con lo sguardo un piccolo rivolo di sangue scendermi lungo il braccio « E' quello che proverei se perdessi me stessa... se perdessi Castiel » la guardai con compassione « Tu sei me e tutto quello che cercavo di sopprimere »

Avevo avuto una piccola intuizione di questo non appena lo spettro aveva assunto le sembianze di Castiel.

Mentre Crowley mi torturava, avevo invocato l'angelo per giorni, senza ottenere risposta. Lo spettro era nato dal risentimento, dalla paura di essere stata abbandonata.

Quando dubitavo di farcela, ecco che questo si rafforzava.

Era una parte di me, quella che per tutta la permanenza agl'Inferi avevo cercato di schiacciare, di mettere a tacere. Improvvisamente, mi balenò in mente un altro pensiero: forse, la pena della lussuria era proprio il perdere le certezze verso il proprio amato, agoniando una fine che in realtà non sarebbe mai arrivata.

"Una tortura psicologica è di certo più dura di una fisica" pensai.

Il paesaggio dietro la creatura sembrò oscillare, iniziando a sfaldarsi e andando in fumo.

Lanciai uno sguardo alle spalle dello spettro, confusa.

"Che sta succedendo?"

Anche la mia copia si guardò indietro, serrando la mascella.

« Diciamo che hai superato la prova » ringhiò, tornando a guardarmi. Sembrava che la cosa la infastidisse « ma... non sono intenzionata a lasciarti passare ». Lo spettro dalle mie sembianze piegò leggermente le gambe, preparandosi all'attacco.

Improvvisamente si irrigidì, inarcando la schiena all'indietro. Urlò di dolore, guardando il nulla con lo sguardo vitreo. Si accasciò al suolo con un gemito.

Strabuzzai gli occhi, incredula.

"Cos'è successo?" pensai impaurita.

Vidi il mio doppio a terra con la faccia nella sabbia, ormai privo di vita.

« Layla... » sussurrò una voce dolce e calda.

Alzai lo sguardo.

Castiel era lì, davanti a me, bello e statuario come sempre. La sua solita bellezza, però, sembrava straziata da un dolore interno. Mi si strinse il cuore.

Il volto era segnato da profondi solchi ed erano visibili delle enormi borse sotto gli occhi.

Era Castiel, ma al tempo stesso non lo era.

Non riuscii ad alzarmi. L'angelo rimase a guardarmi, con lo sguardo colmo di tristezza. Mi faceva male vederlo così.

Non ce la facevo. Fui costretta a distogliere lo sguardo dai suoi enormi occhi blu cobalto. Mi schiacciai ancora di più verso la porta del girone, indietreggiando di pochi millimetri.

Sentii un piccolo tonfo e con la coda dell'occhio vidi che Castiel era caduto in ginocchio. Eravamo ad una distanza di sicurezza, ma tra noi la tensione era papabile.

Non riuscivo a spiegarmi il motivo del mio rifiuto. Dopotutto, mi fidavo di lui.

Forse non ero del tutto certa che fosse reale.

« Andiamo... » mormorò con voce rauca, tendendomi la mano destra.

Restai a guardarla, impassibile.

« No... » . Quelle due lettere mi erano uscite fuori senza che potesse fare qualcosa per fermarle.

« Torniamo a casa... » ci riprovò. Il suo sorriso andava scemando.

Alla fine mi alzai in piedi e mi avvicinai a lui a testa bassa.

Castiel sorrise, rincuorato e si tirò su, allargando le braccia.

Alzai lo sguardo e incrociai il suo. Gli occhi cominciarono a bruciarmi, ma non feci nulla. Sentii la mano fremere e con un solo colpo deciso, stampai uno schiaffo sul volto di Castiel.

L'angelo non sembrò sorpreso. Abbassò le mani senza fare niente.

« Mi hai lasciata sola! » urlai con tutta la rabbia che avevo in corpo « Hai detto che saresti venuto, invece ho dovuto attraversare quasi tutto l'Inferno da sola! » continuai. Una lacrima mi rigò la guancia sinistra, ma non me ne curai. Avevo accumulato per troppo tempo, non riuscivo più a tenermi tutto dentro.

« Mi dispiace... » sussurrò, guardandomi negli occhi. Il suo viso si contorse in una smorfia di dolore « Mi dispiace... » ripetè.

« Ti dispiace?! » continuai, lasciando che la rabbia fluisse dal mio corpo « Tu non puoi neanche immaginare cosa ho dovuto subire qui sotto! E tutto quello che sai dire è che ti dispiace?! Dov'eri mentre quella cosa... » e indicai il mio doppio in terra « mi malmenava? Dov'eri mentre io percorrevo i gironi dell'inferno? ». Le energie cominciavano ad abbandonarmi. Mi sentivo stanca, ma la rabbia ancora non sbolliva. Strinsi i denti ripensando a tutto il dolore che avevo provato. Erano come flashback. Il sorriso sadico di Crowley mi perseguitava.

Rabbrividii.

« Mi dispiace » ripetè Cass per l'ennesima volta.

A quel punto, persi nuovamente la pazienza. Gli diedi una spinta con tutta la forza che avevo, ma ovviamente non lo scansai di un millimentro. Era come cercare di spingere una montagna: inutile.

« Parlami! Dimmi di cosa cazzo ti dispiace! » sbraitai « Ti dispiace di avermi incontrata? Di avermi salvata? Dimmelo! » ero fuori di me dalla rabbia e dalla disperazione. Sentivo che il mondo intorno a me cadeva a pezzi, si sbriciolava intorno all'incertezza.

Perché dovevo soffrire tanto? Qual'era la mia colpa?

Castiel non disse niente, rimase a guardarmi, spaesato e confuso. La sua espressione infantile mi feriva nel profondo e mi odiavo per quello.

Non avevo sofferto abbastanza?

Odiavo lo sguardo di pietà che l'angelo mi riservava.

Inaspettatamente, allungò una mano nella mia direzione. Mi sfiorò la guancia e l'istinto mi disse di non mi tirai indietro. Il suo tocco fu gentile e delicato, come se a sfiorarmi fosse stato un fiore. Sentii un brivido partire dalla guancia e attraversarmi tutto il corpo. Per la prima volta, da quando ero scesa negli Inferi, mi sentii... bene, in pace con il mondo.

La rabbia che avevo dentro sembrò scemare velocemente.

Avvicinò lentamente il suo viso al mio e posò delicatamente le sue labbra sulle mie. Chiusi gli occhi e mi abbandonai a quel tocco. Le sue labbra si mossero delicate sulle mie, mentre la sua lingua mi sfiorava. Sorrise, mordicchiandomi dolcemente il labbro inferiore. Sorridetti a mia volta e gli passai le mani tra i capelli scuri, avvicinandolo a me.

Castiel era tutti quello di cui avevo bisogno... e lo avevo dimenticato. Le sue labbra tornarono sulle mie, questa volta con maggior intensità. Le sue mani scivolarono lungo i miei fianchi e mi avvicinò ancora di più a se'. Ormai sentivo l'eccitazione scorrere dentro di me. Mi era mancato il suo tocco più di quanto ammettessi. Due mesi senza di lui mi erano sembrati un'eternità.

Si allontanò da me proprio nel momento in cui stavo perdendo la testa. Solo allora mi resi conto di avere della rabbia repressa in corpo e che l'Ade mi stava facendo perdere di vista chi ero realmente. Stavo scaricando tutta la mia ira verso colui che mi era venuto a salvare.

Castiel mi rivolse un sorriso radioso, un'inclinazione del labbro così perfetta che poteva appartenere solo ad un essere celeste.

« Non mi sono mai pentito di averti incontrata » sussurrò.

Non potei non sciogliermi davanti a quelle parole. Nei suoi occhi leggevo la sincerità, nel suo tocco la necessità di avermi più vicina. Il mio cuore partì all'impazzata mentre avvertivo la solennità delle sue parole.

Castiel era il mio posto felice: era il mio angolo di Paradiso.

Si tirò in piedi e mi allungò una mano. Senza pensarci due volte, l'afferrai.

« Ti salverò dalla perdizione » dise con un sorriso sincero.

L'angelo rilassò le spalle. Da esse, spuntarono fuori le sue magnifiche ali. Erano brillanti e irradiavano purezza da tutte le piume. Stonavano molto con il peccato che ci circondava.

Stirò le ali quel tanto che bastava per coprirmi. Rimasi stupita del fatto che, anche senza toccarle, avvertivo il calore che irradiavano.

« Portami via da questo posto » sussurrai. Castiel strinse più forte la mia mano.

Un fruscio d'ali... avevamo finalmente lasciato l'Inferno.

 

 

 

 

  
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