Serie TV > Supernatural
Segui la storia  |       
Autore: _Blanca_    26/01/2014    1 recensioni
| Spoiler VIII Stagione |
Jane Leigh, ragazza inglese trasferita nel nord della Pennsylvania, trascorre le sue giornate nel negozio di libri della signora Sternwood, dove lavora come commessa. Ma quando la piccola libreria diventa il palcoscenico di una morte inspiegabile, Jane dovrà vedersela con due cacciatori di mostri e un doppio mistero da sbrogliare.
"Jane si volta, rallentata da un vago senso di panico. I legittimi occupanti della camera sono sulla soglia. La stanno guardando male, ma almeno non ci sono fucili spianati nelle vicinanze. La donna si schiarisce la voce, rilassa le spalle e chiude il diario, avvicinandolo al petto. Chiama a raccolta tutta la sua capacità di affabile chiacchiericcio: «Oh, be', questo sarebbe il momento di una frase brillante per... convincervi che non sto facendo quello che sembra che io stia facendo. Ma non riesco a pensare a niente del genere. Anche perché sto facendo esattamente quello che sembra che io stia facendo, quindi... oh, smettetela con le occhiatacce. Qui siete voi quelli che vanno in giro a farsi passare per agenti federali. Io ho solo forzato una serratura. Che, per la cronaca, era una serratura da quattro soldi»."
Genere: Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Dean Winchester, Nuovo personaggio, Sam Winchester
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Ottava stagione
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'The Hardy Boys & Nancy Drew '
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
part 1
Capitolo:  05/08.
N/A. tutte le volte, prima di pubblicare, vengo sempre presa da un attacco di insicurezza acuta del tipo "non è venuto come sperato" o "potevo farlo meglio". Non sono soddisfatta nemmeno a questo giro però, nel complesso, scrivere questa parte è stato divertente. Non mi resta che incrociare le dita e sperare che non sia malaccio neppure da leggere. Ormai siamo a uno dei punti cruciali trama e io, come sempre, ringranzio tantissimo chiunque passi di qui.

______________________________________________________________

x










Parte quarta










È una visione agghiacciante. Nella semioscurità, si è materializzata una figura femminile, vestita di bianco. Dalla stoffa dell'abito, di foggia antica, sembra levarsi una sorta di livido chiarore e, per un attimo, Jane crede che la donna sia spaventosamente alta. Poi capisce che è sospesa nell'aria, a più di metro dal pavimento: i piedi nudi spuntano oltre l'orlo sdrucito della lunga gonna. La scura e liscia matassa di capelli, che le nasconde parte del viso, lambisce una vita troppo stretta e sottile per essere naturale. Ed è l'intero corpo della donna ad essere in una posizione innaturale: con le braccia lungo i fianchi, il capo reclinato e le spalle curve, somiglia al cadavere di un impiccato appeso alla forca. Fin quando, come strattonata da una mano invisibile, il fantasma non raddrizza la testa. Ha gli occhi chiusi e la bocca spalancata, tanto che la mandibola, sostenuta da un rigido colletto, sembra sul punto di staccarsi.
Tutto accade in un batter d'occhio.
Jane sente qualcosa chiudersi attorno al suo polso. E non urla soltanto perché è così spaventata da non avere più fiato. Ma quel qualcosa è la mano di Sam: il cacciatore la sta trascinando al riparo, dietro di sé.
Nello stesso momento, il fantasma solleva un braccio. I suoi movimenti sono rigidi e rapidi, quasi fossero manovrati da fili invisibili. La mano pallidissima stende un dito, lungo e ossuto come un ramoscello secco.
E Sam, all'improvviso, cade a peso morto sul pavimento. E poiché il ragazzo è grosso, alto e pesante, e ha ancora la mano sul braccio di Jane, lei viene trascinata giù con lui e sbatte dolorosamente le ginocchia contro le assi di legno.
Dean fa fuoco all'istante sul fantasma. Esplodono tre colpi di pistola e la donna svanisce in un turbinio grigio, simile a nebbia, che si disperde subito nell'aria.
La libreria è ancora senza luce, ma Jane — pur rallentata dal dolore alle gambe e da un sano terrore — si rende subito conto che non fa più freddo.
«Sam!»
Dean si precipita accanto a suo fratello, riveso su un fianco, e lo adagia sulla schiena.
Jane lo vede tastare il collo di Sam. «È..?» sussurra, senza riuscire ad arrivare alla fine della domanda.
«Vivo!» abbaia Dean. «Sam! Sammy!».


* * *


Silenzioso. Freddo. E bianco.
Sam non sarebbe in grado di dire se sia in piedi o sdraiato. Non è neppure sicuro di avere gli occhi aperti.
Eppure sa di trovarsi in un luogo silenzioso, freddo e bianco. 
Neve, pensa.
Ma la neve c'è davvero? La sta vedendo? O la sta solo pensando?
A un tratto, si accorge di essersi sbagliato.
Non c'è silenzio. C'è una voce.
È la voce di Dean.


* * *


Sam apre gli occhi. Dopo un attimo di stordimento, riconosce il negozio di libri, riconosce il suono della pioggia in strada, comprende di essere steso sul duro pavimento di legno. Vede Dean, piegato su di lui, e scorge Jane, inginocchiata lì accanto.
«Sam! Ehi, Sam, sei con noi?»
La voce di suo fratello è così intrisa di ansia da suonare infuriata. Sam lo conosce bene quel tono. «S-sì... sto bene...». Scosta bruscamente la mano di Dean dal proprio viso. Strizza le palpebre e si mette seduto, tirando un ginocchio verso il petto. «Che... diavolo è successo? Dov'è il fantasma?»
Dean lo aiuta a rimettersi in piedi, facendolo aggrappare al suo braccio. «Ho sparato. È scomparso. Per ora. Ma che è successo a te?»
«Io... non lo so... ».
Sam passa entrambe le mani sul viso, per scacciare via l'ultimo rimasuglio di intorpidimento, e raccoglie la pistola dal pavimento.
«A-addormentarsi... è una delle... fasi dell'assideramento» mormora Jane, con un filo di voce. Sam vede l'esile sagoma della ragazza rimettersi in piedi, muovendosi con fin troppa lentezza e cautela. «Probabilmente, stava cercando di farti fare la fine di Allen. E... okay, a questo punto è chiaro che il fantasma non è Jonathan Sternwood».
«Oh. Grazie per averlo notato e condiviso con noi, Nancy» commenta Dean, sardonico.
Jane lo ignora. «Cosa... chi pensate che sia... quella... donna?» chiede.
A Sam la risposta appare così chiara da essere scontata. Deludente, quasi.
«Che ne dite di lei?».
Il suo sguardo scivola diritto verso il ritratto di donna.
Man a mano che scorrono i secondi, quella poca e livida luce che filtra ancora dall'esterno si fa sempre più flebile e Sam deve recuperare una torcia elettrica dalla sacca — rimasta sul pavimento, insieme al lettore EMF. 
Accesa la torcia, l'alone di luce lattiginosa guizza sul pavimento, mentre tutti e tre attraversano velocemente la sala. Sam si accovaccia davanti al quadro, piegandosi sulle ginocchia e appoggiando un avambraccio sopra la gamba. Osserva il ritratto con molta più attenzione di poco prima.
Alto, ad occhio e croce, un metro e mezzo e largo uno, è un dipinto estremamente realistico. Le pennellate sono fitte, uniformi, precise, indistinguibili l'una dall'altra. La donna nel ritratto è molto giovane. E probabilmente anche molto bella, per i suoi contemporanei. Ma per Sam la delicatezza dei lineamenti non compensa la tristezza dei grandi occhi cerulei e la piega severa della piccola bocca scarlatta. Il collo è chiuso in un alto colletto irrigidito da stecche e l'ovale del viso, sottile e candido come neve, è coronato da una vaporosa crocchia di capelli neri —  neri come il nastro che serra la vita e spezza il bianco assoluto del morbido abito dalle maniche a sbuffo. Con la mano destra adagiata sopra il manico di un ombrellino di stoffa scura, la donna è raffigurata all'interno di una stanza dall'arredamento elegante. Ed è seduta su di una sedia intagliata: si vede la linea dolcemente ricurva di un sottile bracciolo, che termina in una forma di foglia. Il pittore non ha lesinato su nessun dettaglio. Si è preso anche la briga di riprodurre un quadro nel quadro: appesa alla parete, sullo sfondo, c'è quella che — per quanto ne sa Sam — dovrebbe essere una stampa giapponese. Il resto dello sfondo, è occupato da una finestra aperta su di un cielo limpidissimo e su uno scorcio di paesaggio cittadino: si vedono palazzi rossi e tetti di case, comignoli fumanti, il profilo di una torre molto alta.
Sam è costretto a studiareil quadro con lo scambio di battute, offerto dai due alle sua spalle, come sottofondo.
Jane sta mormorando: «Non posso crederci. L'ho avuta sotto gli occhi tutti i giorni negli ultimi sette mesi... e non l'ho riconosciuta».
Dean gongola e si cimenta nelle imitazioni.
«"Se c'è qualcosa di diverso, anche un dettaglio, lo noterò subito"».
«Il tuo finto accento inglese fa venire i brividi» .
«Ora sai cosa provo ogni volta che apri bocca, Nancy».
«Hai davvero intenzione di continuare a chiamarmi "Nancy"?»
«Mh, sì».
«Ma Nancy Drew non è nemmeno inglese».
Sam li interrompe.
«Jane, cosa sai di questo quadro?».
Il cacciatore avverte il tocco leggero della mano della ragazza, sopra la propria spalla, mentre Jane si accovaccia accanto a lui. «So solo che è uno dei primi pezzi che la signora Sternwood ha acquistato». Jane fa scivolare i polpastrelli sulla tela. Ha la mano ferma. E lo è anche la voce, adesso. «È un olio. Non l'ho mai osservato da così vicino... Dov'è la firma del pittore?»
«Non c'è» afferma Sam. «È un autoritratto».
«Come lo sai?»
Per tutta risposta, Sam passa la torcia a Jane, afferra i bordi del quadro e lo gira. Quando Jane punta la luce sull'angolo destro del retro della tela, pur sbiadita dal tempo, si legge chiaramente la parola autoritratto tracciata in una calligrafia elegante.
«Okay. C'è scritto. Voltalo di nuovo, per favore».
Sam fa come le ha chiesto la ragazza e Jane lascia vagare la luce della torcia in lungo e in largo sulla tela, scivolando anche sulla liscia cornice di legno. «Qui!» Sta indicando l'ombrellino: tra una piega della stoffa, aguzzando bene la vista, Sam scorge tre lettere. Grigie, sottili, non più grandi dell'unghia di un pollice.
C. B. W.
«Ehi, Shaggy e Daphne» interviene Dean. «Dobbiamo dargli fuoco, non venderlo all'asta. Vado a prendere la tanica di benzina».
«Non vorrete brucialo qui dentro?» esclama Jane.
Sam alza lo sguardo verso il soffitto.
«No. Di sopra».
«Oh. Giusto».
E dal tono spicciolo e dalla velocità della risposta, Sam comprende che Jane ha capito.
Dean, però, non sembra avere le idee altrettanto chiare.
«Di sopra... cosa?»
Con un'inaspettata sincronia, Sam e Jane prima si guardano l'un l'altra, poi si voltano verso Dean.
«Le stanza dei piani superiori erano abitazioni» inizia Sam.
«Chi ci viveva avrà pur avuto bisogno di scaldarsi» continua Jane.
«Accendendo fuochi».
«Dentro ai cam—».
Ma, con un gesto della mano e un'espressione seccata, Dean interrompe la trasmissione in stereofonia.
«Ehi, ho afferrato!»


* * *


In un attimo, Sam recupera la sacca e il lettore EMF. E tutti si armano di torce elettriche. Poi, quando Dean rompe la serratura della porta con un calcio, Jane li delizia con un impreco, borbottato a bassa voce, contro la categoria dei cacciatori, il genere maschile e l'America tutta.
La porta dà accesso a un androne piuttosto stretto. A un'estremità una porta chiusa, una prima rampa di scale dall'altra. Jane spiega che l'androne doveva essere l'ingresso per gli inquilini, ma è chiaro che sono passati anni dall'ultima volta in cui qualcuno ci ha messo piede. L'odore di chiuso è quasi soffocante. Una sottile e uniforme patina di polvere ricopre pavimento, gradini e corrimano. Centimetro per centimetro. Tra le assi della balaustra, al passaggio del chiarore della torcia, Sam vede un tozzo ragno nero rintanarsi in un angolo della ragnatela.
Le scale vengono salite in fretta, quasi di corsa, e sul pianerottolo del primo piano, al quarto tentativo, Dean riesce a far cedere una vecchia porta sotto la spinta della sua spalla. La nuvola di polvere che si solleva fa pizzicare le narici di Sam. Hanno appena messo piede in una stanza completamente vuota. A giudicare dalle dimensioni e dalla finestra a bovindo, Sam intuisce che deve essere stata un modesto salottino. Le pareti sono in parte coperte di pannelli di legno e in parte dai remasugli di una vecchia tappezzeria. Ovunque la torcia illumini, compare l'ossessivo ripetersi dello stesso motivo sbiadito: un uccellino dalle penne marroni e il petto rosso, sopra a un ramoscello in fiore. Ma i tre comprendono, con sollievo, di essere arrivati alla fine della loro ricerca.
C'è un caminetto annerito, a ridosso del muro.


* * *


«Ci sta mettendo troppo».
Con la presa ben salda sulla pistola, non troppo tranquillo, Sam tiene d'occhio la porta sfondata. Il cacciatore è in piedi, al centro della sala vuota, e del cerchio di sale che è stato tracciato sul polveroso pavimento.
«Non è sceso neppure da un minuto».
Sam si volta verso Jane.
La ragazza se ne sta in ginocchio, davanti al caminetto. E al quadro. Con una mano regge la torcia, per illuminare la tela, con l'altra scatta fotografie con il telefono cellulare.
«Esattamente, tu che cosa stai facendo?» sospira Sam.
«Restituisco uno scopo a questa inutile scatolina» risponde Jane.
Sam aggrotta la fronte.
«Il tuo telefono ha qualcosa che non va?» butta lì.
«Fa tutto quello per cui è stato progettato, tranne farmi fare una telefonata. Ironico, eh? Sono tre giorni che, ogni volta che ci provo, non sento la voce di chi chiamo, anche se loro sentono me. Magari il fatto di farlo cadere di continuo centra qualcosa ma, detto fra noi, sono convinta che la tecnologia stia portando avanti una crociata contro me. E... ventidue foto dovrebbero bastare».
Jane si alza in piedi. Ha ancora lo sguardo incollato allo schermo del telefono, mentre con una mano scrolla via la polvere dalla stoffa dei jeans.
Sam è perplesso. La osserva e chiede: «Vuoi tenerti delle foto ricordo?»
Jane gli restitusce lo sguardo e sbuffa un sorriso pacato, mentre fa sparire il cellulare nella borsa.
«Tu e tuo fratello siete cacciatori. Per voi magari è sufficiente togliere di mezzo il fantasma, ma io voglio sapere chi è stata questa donna. Chi era da viva. Come è vissuta. Come è morta. E se scopro che cosa le è successo, magari capirò perché ha ucciso Allen e attaccato noi. Cercare e scoprire: anche questo è il lavoro dello storico».
Ora è Sam ad abbozzare un sorriso.
«Pensavo fossi una commessa».
«Che sarebbe diventata ufficialmente una storica, se si fosse degnata di completare i suoi esami. Ero anche brava, nei miei corsi. Ma, alla fine, sai com'è?». Jane traccia con le dita il contorno di una decorazione in rilievo, al centro esatto della mensola di marmo. IV. Iniziali, forse. Un numero romano, più probabilmente. «Ho realizzato di essere troppo sveglia per elemosinare l'approvazione di un branco di professori incartapecoriti».
Sam sorride ancora, ma non può far a meno di aggrottare le fronte. Gli sembra che Jane abbia un modo di fare così calmo e dolcemente risoluto che è difficile capire dove finisce l'ironia e dove inizia il discorso serio. E, a proposito di calma: «I fantasmi non ti spaventano granché, eh?» commenta Sam, dopo un attimo di silenzio.
Jane batte due volte le palpebre, in un accenno di onesta sorpresa.
«Felice di dare questa impressione. Quando è apparso il fantasma, ho perso sei o sette anni di vita, ma... okay, è consolante sapere di sembrare a mio agio».
Prima che Sam possa dire altro, Dean compare sulla soglia. Ha una piccola tanica arancione con sé e Jane lo accoglie con un leggiadro: «Com'era il Texas?»
«Perché ci hai messo tanto?» s'informa Sam.
«Avrei fatto prima se qualcuno non avesse chiuso la porta del retrobottega a chiave».
Dean rivolge un'occhiata a Jane, mentre svita in fretta il coperchio nero della tanica. Inizia a gettare la benzina sul quadro.
La ragazza cade dalle nuvole.
«Io non ho chiuso la porta a chiave!» esclama. «Seguo sempre la regola ventidue».
Sam e Dean la guardano, confusi.
Jane agita una mano, come a dire di sorvolare sull'ultima frase. «Ma non ho chiuso la porta» ribadisce.
«Be', qualcuno l'ha fatto» ripete Dean.
Tutti rivolgono lo sguardo al quadro e nessuno dice altro.
Dean infila una mano nella tasca della giacca e ne tira fuori una scatola di fiammiferi. C'è il secco sfregamento e il bagliore aranciato della fiammella.
Il cacciatore getta il fiammifero nel camino e il vecchio dipinto viene subito avvolto dalle fiamme. Il fuoco consuma la tela, divora i colori, deforma implacabile il viso della donna.


* * *


Nella sua difficile e penosa esistenza, sono poche le cose dalle quali Dean Winchester riesce a trarre un po' di sollievo, sia pure superficiale e momentaneo. Nello scarno elenco sono compresi i casi risolti in meno di un giorno e gli hamburger di manzo e bacon grondanti cheedar fuso. Oggi, Dean ha goduto di entrambi.
Appoggia il bicchiere, appena svuotato dell'ultimo sorso di birra scura, accanto al piatto vuoto. Si umetta le labbra e osserva attorno a sè, in cerca di una certa cameriera — una bionda straordinariamente somigliante a Scarlett Johansson — che per due volte ha incrociato il suo sguardo. La vede davanti al bancone, sta sistemando tre bottiglie su di un vassoio. Il Red Creek è un tranquillo locale al pian terreno di un edificio storico: ha un pavimento in cotto, piccoli e tondi tavoli di legno e locandine di vecchi film appesi alle pareti.
«...allora, sempre decisa a scoprire l'identità del nostro fantasma?» sta chiedendo Sam. Avambracci incrociati sul tavolo, si è rivolto a Jane, che è intenta a scorrere le foto sul proprio telefono.
«Voglio almeno sapere il suo nome. Sarà anche diventata uno spaventoso fantasma omicida ma... sapete, in un certo senso, mi ha salvata da Allen». 
«Senza una data o un posto da cui partire, sarà un lavoro difficile».
«Difficile non è impossibile» puntualizza la ragazza. Poi, con un'ostentata indifferenza e dopo una pausa ad effetto, continua: «Io credo che C. B. W. sia nata attorno al 1890. Che abbia vissuto nel Maryland. A Baltimora, per la precisione. E che abbia dipinto l'autoritratto nel 1911, quand'era ancora nubile».
A quelle parole, Dean aggrotta la fronte e smette di contemplare il fondoschiena della cameriera. Si gira verso i suoi commensali e fissa Jane. Nella luce calda del locale, i capelli arancioni della ragazza hanno chiari riflessi dorati. Gli occhi, leggermente a mandorla e di quel colore incerto tra l'ambra e il verde scuro, mostrano un velo d'entusiasmo di cui Dean non riesce a capacitarsi. Ma, poiché lo stomaco pieno ha migliorato il suo umore, l'uomo è giunto alla conclusione che Jane Leigh sia una a posto — anche se parla troppo e con un accento strano ed è incapace di riconoscere una bella auto. E, comunque, si ritrova un viso grazioso e delle gran belle gambe. Ragion per cui, Dean non nega a sé stesso che, se mai dovesse capitare l'occasione di apprezzare quel che Jane nasconde sotto al ridicolo maglioncino con la trina, lui sarebbe lieto di coglierla.
Per ora, si accontenta dell'appagamento che gli suscita punzecchiarla a parole.
«Ti stai inventando tutto di sana pianta?»
Jane lo guarda senza fare una piega — a parte quella sorridente della bocca — e appoggia la schiena alla spalliera della sedia.
«Il vestito. L'acconciatura. Il semplice bracciolo della sedia. Perfino la stampa giapponese sulla parete. Tutto dichiara "primi venti anni del ventesimo secolo" e "sono una donna ricca". E questo lo capirebbe chiunque. Sarà chiaro perfino a voi due, immagino».
Per qualche motivo, Dean intuisce di essere in diritto di sentirsi offeso.
Jane continua: «Una donna di quella classe sociale, se fosse stata una madre, una moglie o anche solo promessa in matrimonio a qualcuno, avrebbe inserito nel proprio autoritratto un dettaglio che lo rendesse chiaro. Ma non c'è nulla. Nemmeno un banale anello al dito. Considerando che nel primo decennio del Novecento, l'età media per un matrimonio per le donne era di ventuno anni, e considerando che la donna nel ritratto è giovane, molto giovane, questo porta la sua data di nascita dritta al 1890. Anno più, anno meno».
«Okay» la interrompe Dean. «Ma da dove hai tirato fuori il 1911? E perché proprio Baltimora?»
Jane fa scivolare l'indice sullo schermo del cellulare e allunga il telefono verso Dean.
«Quella è una foto del dettaglio del paesaggio, fuori dalla finestra della stanza. Che cosa vedi?»
Preso il telefono, Dean si ritrova a fissare un paesaggio in cui, da principio, non nota nulla di particolare. È solo uno scorcio di città. Una città come tante, dell'inizio del secolo scorso. Poi focalizza l'attenzione sulla presenza della torre. E la cosa strana è che si tratta di una torre medioevale, con tanto di merlature e feritoie. È l'edificio più alto di tutti,  mostra il quadrante di un orologio e sorregge un qualcosa, dalla forma vagamente cilindrica, sormontato da una corona.
«C'è... una torre medioevale?».
«Quattordicesimo secolo» specifica Jane.
«Jane, l'arte non è il mio campo» interviene Sam, ironico. «Ma sono sicuro che a Baltimora non ci sia proprio niente di medioevale».
«Esatto. Ecco perché quella torre è così riconoscibile: è la Emerson Tower. Isaac Emerson era a capo di una compagnia farmaceutica del Maryland diventata famosa, alla fine dell'Ottocento, per aver messo in commercio un antiacido». Jane fa una smorfia, arricciando il naso. «Immagino che ci fosse un mucchio di gente in balia dei bruciori di stomaco all'epoca... comunque, nel 1911, Emerson decide di regalare un monumento alla città. Fa copiare il modello della torre dell'orologio di un palazzo rinascimentale in Italia: il Palazzo Vecchio, a Firenze. E ci mette in cima una gigantesca riproduzione di una bottiglia del suo famoso antiacido. Credo che l'abbiano rimossa negli anni Trenta, per... non ricordo quale motivo». Jane fa di nuovo quella sua smorfietta di sufficienza. «Piegare l'arte al servizio del commercio: molto americano e straordinariamente di cattivo gusto. Ma, in questo caso, anche molto utile, perché rende la sagoma della torre inconfondibile».
«Questo significa solo che il ritratto potrebbe essere stato fatto in qualsiasi anno, a partire dal 1911» obbietta Sam.
Jane sembra trattenersi dall'alzare gli occhi al cielo.
«Il vestito» sospira, alternando lo sguardo tra i due fratelli. «C'è un'enorme differenza tra gli abiti dei primi anni dieci anni del Novecento e dei cinque seguenti. Il 1911 è il solo anno in cui una donna, sopratutto una ricca, avrebbe ancora potuto indossare quel tipo di vestito. Fidatevi di me: conosco la moda».
Dean compie l'immane sforzo di non far commenti sulla trina del maglione. Guarda Sam e lo vede sorridere a Jane: è un misto di piacevole sorpresa e di apprezzamento.  Il sorriso di un nerd che incontra un suo pari, conclude Dean, tra sé e sé.
«Dove le prendi tutte queste nozioni?» domanda Sam.
«Leggo tanto. Tendo a memorizzare molto» risponde Jane che, come se niente fosse, recupera la bottiglia di Coca-cola dal tavolo e si porta la cannuccia alla bocca.
Dean, appoggiato il cellulare sul piano, lo spinge verso la ragazza.
«Sei inquietante» ci tiene a far presente, sebbene non sia affatto lo stesso aggettivo che gli ronza in testa.


* * *


Jane è in cucina. Con una tazza verde tra le mani e un piacevole senso di sollievo che si espande dal petto, guarda fuori dalla finestra, oltre la curva metallica del rubinetto.
È sera, i lampioni in strada sono accesi e la pioggia, adesso leggera e silenziosa, lascia sul vetro segni sottili come aghi di pino.
Dean e Sam hanno avuto la premura di accompagnare Jane fino al vialetto del 2601 di Wakefield Terrace. Una volta rientrata in casa, la ragazza si è preparata un tè, ha caricato le foto del ritratto sul portatile e fatto una telefonata alla signora Sternwood. Si è informata sulla salute della signora e poi, con tutta la nonchalance che è riuscita a tirar fuori, ha chiesto: «Signora Sternwood, il quadro che tiene il negozio... sa, il ritratto femminile... mi stavo chiedendo se ricorda dove l'ha comprato?»
«Oh, buon Dio, che domanda. È passato così tanto tempo». La voce della signora Sternwood le è sembrata più sottile del solito, ma non meno gentile. «Vediamo... se non sbaglio, lo comprai a un mercatino... davanti a una casa. Sai, di quelli che si organizzano in giardino. Appena lo vidi, pensai subito che quel ritratto fosse un'opera deliziosa».
Jane ha tenuto accostato il cordless all'orecchio con la spalla, riempiendo il bollitore dell'acqua per il tè. Sforzandosi di non pensare ai danni in negozio —  il quadro sparito, due serrature rotte, tre fori di proiettile nel muro — ha continuato: «Ricorda l'indirizzo?»
«Jane, cara, ora pretendi l'impossibile» ha ridacchiato l'anziana. «Ma perché me lo chiedi?»
E Jane, stanca e colta alla sprovvista, si è tolta d'impiccio con un banale: «Curiosità».
Abbandonando la tazza vuota nel lavello, la ragazza guarda l'orologio alla parete. Sono le dieci e quindici minuti. A questo punto, Jane desidera solo due cose: una doccia calda e otto ore di sonno, possibilmente scevro da incubi e donne spettrali. Transita in soggiorno e recupera il telefono cellullare dalla mensola del caminetto. Nel farlo, si sofferma ad osservare il proprio riflesso, nello specchio che copre la cappa: le sembra di essere più pallida del solito, gli occhi sono un po' gonfi, le labbra un po' screpolate. Si chiede se abbia avuto quell'aspetto per tutto il giorno.
Al tavolo del Red Creek, c'è stato il tempo di raccontare di essere nata in una cittadina di mare, Mablethorpe, sulla costa orientale dell'Inghilterra. Di avere una sorella minore che vive ancora lì con i suoi genitori. Di essere stata altre volte negli States, prima del trasferimento in Pennsylvania, perché ha dei parenti nel Maine. Per qualche motivo, Sam e Dean non hanno fatto domande sul suo precedente incontro con un cacciatore — il che, per Jane, è stato un sollievo. I due, dal canto loro, si sono mostrati vaghi e riservati. Adesso Jane sa che il loro cognome è Winchester. Che cacciano da anni. E che sono capitati da quelle parti perché in cerca di una persona. Sull'identità della persona o sul motivo della ricerca non hanno detto nulla. Jane ha restituito il favore e si è trattenuta dal fare domande. Ora si sta rigirando il telefono tra le mani: i Winchester le hanno lasciato dei numeri di telefono e l'hanno avvertita che resteranno al Tioga per uno o due giorni.
Senza alcun preavviso, un rumore violento — è il rumore di  qualcosa che va in frantumi — costringe Jane a voltarsi di scatto.
«Oh, ma che...»
La fruttiera, sul tavolino da caffé, è andata in pezzi. Le mele stanno rotolando lungo il tavolo e una, rossa, cade oltre il bordo e rimbalza sopra... a un libro aperto, gettato sul pavimento.
Con un crescendo di confusione, Jane gira lentamente il capo verso la libreria.
C'è uno spazio vuoto sugli scaffali.
Prima che lo sguardo della ragazza possa saettare di nuovo verso il libro sul pavimento, il mobile inizia a tremare, come nel mezzo di un terremoto. 
I libri crollano sul pavimento, uno dopo l'altro.
Il lampadario si spegne.
Jane resta al buio. In una stanza improvvisamente fredda.
Ed è così inorridita da non riuscire a muovere un solo muscolo.
Quel che sta accadendo è privo di senso. Non può succedere. Non in casa sua.
Nella mente della ragazza, la linea tra panico e lucidità è sottile come un capello.
Ma Jane si ci aggrappa, disperatamente.
È da sola adesso. Non può permettersi di essere codarda.
Pensa al coltello nella borsa, in camera da letto.
Troppo lontano.
Sale, allora.
Jane corre verso la porta della cucina. Urta gli attrezzi per il caminetto. Li sente rovesciarsi sul pavimento ed è ormai a un passo dalla soglia della cucina. Ma è costretta a fare un scatto all'indietro: la porta si chiude, da sola, con uno schianto che fa tremare stipiti e architrave.
Jane si getta sul pomello: è freddo come un pezzo di ghiaccio. Tenta di girarlo. Lo scuote. Niente da fare. La serratura è bloccata, la porta è chiusa.
E ora la ragazza riesce a pensare solo a una cosa: a costo di sfondare una finestra, deve uscire di casa. Si gira e attraversa di nuovo la stanza, di corsa. Ma l'attizzatoio di ferro finisce sotto il suo piede e lei perde l'equilibrio. Incespica, si piega sul ginocchio destro e, per non strillare, è costretta a piantarsi i denti nel labbro inferiore. Al dolore al ginocchio, già ammaccato, si unisce quello al palmo sinistro: per frenare la caduta, la ragazza ha steso le braccia in avanti e la mano è finita sopra a uno dei cocci della fruttiera. Jane avverte subito la vischiosa umidità del sangue tra le dita, ma non perde tempo.
Scatta in piedi.
E adesso un urlo, rauco e strozzato, non riesce a trattenerlo.
Il fantasma è lì.
Davanti a lei. Con le palpebre pallide calate sugli occhi, con lo stesso spaventoso aspetto, la stessa bocca orribilmente spalancata, la spettrale figura scivola in avanti e solleva il braccio. E Jane, spinta da un misto di terrore e di adrenalina, reagisce. L'attizzatoio è a pochi centimetri dal suo piede. La ragazza si abbassa per afferrare il ferro con entrambe le mani, torna in piedi e contemporaneamente colpisce il fantasma.
È come colpire l'aria.
Il fantasma si ferma.
Ma non scompare.
Jane arretra di qualche passo, spalancando gli occhi.
«Oh, n-no...» rantola. «Che cosa...?»
Ed è solo adesso che la donna si dissolve nel turbine nebbioso.
Poi si sente uno scricchilio.
Jane ci mette un attimo di troppo per capire.
Non fa in tempo a spostarsi.
Come sotto il colpo di un martello, lo specchio sopra al camino esplode e le schegge schizzano in avanti, con la velocità dei proiettili.

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Supernatural / Vai alla pagina dell'autore: _Blanca_