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Autore: northernlight    27/01/2014    0 recensioni
Spin-off che prende vita dal capitolo 29 di Crying Lightning scritta da Lairygirl, consiglio vivamente di leggerla anche se è comprensibile in ogni caso anche così.
"“Ma cosa cazzo stai facendo, Turner?” gli sussurrò Margaret afferrandolo per il bavero della felpa e trascinandolo dentro, nel piccolo ingresso della sua stanza. Spalle al muro, porta chiusa, continuava a ripetergli silenziosamente quella domanda ma senza pronunciare una sola parola, solo guardandolo negli occhi. Occhi vuoti che guardavano fisso le mani di lei aggrappate alla felpa grigia."
Genere: Drammatico, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Alex Turner, Miles Kane, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Forget but not forgive, part I.

(piccola nota: è un capitolo interattivo, ho sparso degli allegati nel corso del testo, APRITELI!)





Los Angeles, 16 novembre 2007.
Ma com’è possibile che in pieno novembre ci sia un sole del genere? Dov’è la neve? Dov’è il freddo polare? E i pinguini? E i bambini che giocano fuori? Voglio tornare a casa.
Il troppo sole iniziava a dargli fastidio, non pensava avrebbe mai rimpianto il cielo britannico sempre così perennemente grigio, ed era a Los Angeles da appena una settimana e ne aveva ancora un’altra da trascorrere lì. Miles maledisse il giorno in cui aveva acconsentito a registrare l’album dei Rascals in quella dannata città quando avrebbero potuto tranquillamente registrarlo a Liverpool. Sospirò malinconico pensando a casa sua, al tè caldo il pomeriggio, alla cioccolata bollente serale in cui Margaret aggiungeva sempre troppi marshmallow. Margaret. Il volto della ragazza – della sua ragazza – gli balenò davanti agli occhi. Margaret che ora viveva a Londra con una nuova coinquilina – Sara – che a Miles stava molto simpatica, Margaret che aveva lasciato gli studi di letteratura dopo aver casualmente incontrato Alan McGee ad un dj set dove era andata con Miles a fine agosto: aveva deciso di intraprendere un corso di band management.

“Ho ascoltato musica per così tanti anni che saprei quali potrebbero essere le mosse giuste per gestire una band o per sapere cosa potrebbe sfondare e cosa no” furono le parole di una Margaret entusiasta mentre Miles l’aiutava a compilare la domanda online per l’iscrizione ai corsi. Erano a letto, a casa del cantante a Liverpool, il ragazzo l’abbracciava da dietro e, ridendo, le lasciò un bacio sul collo.

“Certo, Margaret, vedremo quanto sarà facile una volta che avrai iniziato.”

E avevo ragione’ pensò Miles sorridendo e ricordando come era tornata a casa una mattina dopo una settimana di lezione e l’aveva chiamato arrabbiatissima perché i corsi non erano quelli che si aspettava. Ma era Margaret, era testarda e tenace e alla fine sarebbero stati i corsi ad adattarsi a lei e non il contrario. Sospirò ancora una volta, più profondamente, rigirandosi un bicchierone di tè freddo al limone tra le mani e per lui era una sconfitta aver rinunciato ad una buona tazza di tè bollente visto il caldo insopportabile; sospirò pensando a tutto ciò che avevano passato dopo che Alex era andato via lasciando solo la sua acustica e quel biglietto davanti la camera di Miles in Francia. Era sparito, letteralmente, o almeno con loro due visto che, secondo Miles, si sentiva regolarmente con Matt che, sotto minaccia del cantante, non osava aprire bocca. Margaret era stata malissimo, Miles anche però avevano affrontato la cosa insieme e in qualche modo ne stavano venendo fuori. Alex era importante per entrambi e non è stato facile abituarsi alla sua totale assenza. All’inizio è stato terribile anche stare insieme, il ricordo di ciò che era successo in quella camera d’hotel aleggiava su di loro come una spada di Damocle pronta a cadere e a fare male ad entrambi. Erano stati lontani, ci avevano davvero provato ma non ci erano riusciti: Miles pensava a Margaret e Margaret pensava a Miles ma entrambi pensavano ad Alex. Ne avevano parlato, eccome se ne avevano parlato ma erano finiti nuovamente a letto; c’era questa cosa tra di loro, questa attrazione che stava diventando quasi una legge fisica, era impossibile per loro non sfiorarsi in qualche modo quando erano insieme. Miles ricordò quella sera come la sera più brutta della sua vita perché Margaret scoppiò a piangere mentre erano abbracciati dopo aver fatto l’amore e aver ascoltato un po’ di musica insieme. Miles si era assopito mentre le accarezzava la testa.

“Margaret?” le chiese dolcemente non appena si accorse dei singhiozzi.

“Sssh, torna a dormire, non è n-niente. Adesso m-mi passa” disse lei. Miles si spostò, le prese il viso tra le mani e la guardò negli occhi, implorante, le diede un leggero bacio sulle labbra.

“Cosa c’è?” chiese il cantante.

“Perché mi sembra tutto c-così… sbagliato? E so che non lo è perché lui non è nessuno per ostacolarci, se v-vogliamo stare insieme. E io voglio stare con te, Miles. E, cazzo, non voglio fare i soliti discorsi da adolescente innamorata ma tu… tu sei davvero quello che aspettavo da anni, sei il morso mancante alla mia mela, quello che manca per completarla, insomma. P-però, sento ancora la sua voce che mi urla dietro e che mi dice determinate cose.”
Miles non sapeva cosa dirle, cosa fare per farle dimenticare ciò che Alex le aveva detto a luglio. La strinse forte a sé cullandola dolcemente.

“Tornerà, Margaret, quel biglietto era una promessa e la manterrà. Tornerà quando sarà tornato l’Alex di sempre”  provò a rassicurarla, le cantò qualcosa per farla addormentare, di solito funzionava sempre anche se lei lo odiava perché diceva che la faceva sembrare una bambina. Così fragile, così arrabbiata con se stessa, così Margaret. La mattina dopo decisero di continuare a stare insieme, come e più di prima. Alex non era morto stava… stava soltanto facendo l’Alex incazzato, l’Alex che ce l’aveva col mondo perché non riusciva a prendersela con se stesso, l’Alex che aveva perso il controllo e aveva bisogno di rimettere mano alla propria vita. Da quella sera le cose andavano a gonfie vele tra di loro, ora che Miles era via si sentivano appena entrambi avevano un attimo di respiro, lei dai corsi e lui dalle registrazioni. Avevano parlato al telefono poco prima, mentre lui usciva dagli studi: stava bene, era tranquilla, Matt sarebbe andato a trovarla tra qualche giorno così non sarebbe stata completamente da sola. E sarebbe andata lei stessa a prendere Miles in aeroporto quando sarebbe tornato a Londra.

“È questo che fanno i fidanzati, no?” gli chiese ridendo ma Miles non era del tutto sicuro che stesse scherzando. Erano passate alcune ore da quella telefonata, ora lui era in giro per Los Angeles, guardava le vetrine di negozi con delle camicie talmente strane che pensò che mai sarebbe arrivato ad indossare una cosa del genere. Improvvisamente il telefono prese a squillare, numero privato.

Chi diavolo sarà?
Aprì subito la comunicazione.

“Pronto?”

“Pronto, Miles? Sono Alex, Kapranos intendo” rispose la voce dall’altro lato del telefono.

Ma certo, Alex! Avevo totalmente dimenticato che avrebbe dovuto richiamarmi qualche giorno fa’ pensò Miles.

“Alex! Tutto okay? Dimmi” disse invece il più giovane allontanandosi dalla strada per cercare un posto tranquillo dove parlare al telefono in pace.

“Tutto bene, Miles. So che sei a Los Angeles e sei impegnato, perciò sarò breve: perdonami per il ritardo nella risposta ma… hai la casa, nel senso, puoi usarla a tuo piacimento per quello di cui mi hai parlato” spiegò il cantate scozzese con la sua solita parlantina acuta. Miles quasi si strozzò col tè.

“D-dici sul serio? Per il 27 intendi?”

“Certo, Miles, per il 27. Chiaramente i tuoi ospiti potranno anche alloggiare lì se dovesse essercene la necessità e se hai bisogno di una mano con le spese, ovviamente conta su di me” disse Alex.

“È fantastico, Alex, grazie davvero! Ah e ovviamente tra gli ospiti ci sei anche tu, ci mancherebbe altro, e sentiti libero di portare chi vuoi” affermò Miles entusiasta di questa notizia “ti chiamo appena torno in patria e non ho gente che mi ronza attorno così mettiamo a punto qualche dettaglio. Al resto provvedo io da qui oggi stesso, va bene?”

“Perfetto, mi casa es tu casa, Kane, non dimenticarlo” concluse Kapranos chiudendo la conversazione. Miles sorrise come un ebete per qualche minuto dandosi dell’idiota per aver dimenticato una cosa così importante. Il 27 novembre era il compleanno di Margaret e lui voleva farle un regalo che difficilmente avrebbe dimenticato: una festa a sorpresa in suo onore, ma non una festa qualunque bensì un ballo in maschera al quale avrebbero partecipato molte personalità musicali e non. Margaret sarebbe impazzita al solo pensiero ragion per cui Miles aveva messo al corrente solo la sua coinquilina, alla quale aveva sottoposto infiniti modelli di potenziali abiti per Margaret, e l’unica persona che gli era venuta in mente che possedesse una casa abbastanza grande per organizzare una cosa del genere: Alex Kapranos aveva una splendida casa a Londra – ricordò Miles visto che ci aveva messo piede un paio di volte quando i due Alex si erano sporadicamente incontrati e lui era con Turner – lasciatagli in eredità da qualche suo lontano parente ormai defunto da eoni. L’aveva chiamato qualche settimana prima mentre era in treno per andare da Margaret e gli aveva spiegato la situazione, Alex gli aveva detto che doveva sistemare giusto alcune cose e poi gli avrebbe dato conferma e, nel frattempo, preso da altro, Miles aveva totalmente dimenticato la cosa. Si scosse dallo stato di ebbrezza in cui era temporaneamente caduto e prese il cellulare, scrisse rapidamente un messaggio.
                                                                 
                                                                                  Sara, è fatta, abbiamo la casa.
                                                                       K. mi ha chiamato poco fa e ha confermato.
                                                         Tempo di tornare in hotel e ti mando tutti i dettagli per mail.


Ripose il cellulare in tasca e si incamminò verso l’albergo dove alloggiava, l’operazione stupisci-Margaret-tenendola-all’-oscuro-di-tutto era appena iniziata.


                                                                                                   ***

Londra, 27 novembre 2007.
Miles si alzò dal letto, per qualche secondo osservò Margaret dormire e si chiese come facesse a ronfare così serenamente messa in quella posizione da contorsionista. Piegò leggermente la testa a sinistra osservando le snelle gambe della ragazza perdersi tra le lenzuola azzurre. Scosse la testa, sorridendo si avviò verso la cucina gettando un’occhiata all’orologio; erano le nove e quarantacinque, erano ancora in tempo per la colazione e perciò si mise al lavoro in attesa che Margaret si svegliasse. Si svegliasse… il giorno del suo compleanno. Non dovette attendere molto, la ragazza lo raggiunse una mezz’oretta dopo che lui aveva terminato tutti i preparativi, entrando in cucina stropicciandosi gli occhi, i capelli arruffati. Miles distolse un attimo lo sguardo dal libro che stava leggendo e le lanciò una rapida occhiata mentre lei sbadigliava sonoramente, notò come il solo indumento che portava oltre alla biancheria intima – una sua vecchia maglia gialla che ormai la ragazza usava perennemente come pigiama – le copriva a malapena la vita. Si costrinse a distogliere lo sguardo prima di strozzarsi col tè che stava bevendo e, soprattutto, prima di trascinarla di nuovo a letto.

“Buongiorno, raggio di sole. La colazione della festeggiata” disse lui sorridendole dolcemente e indicandole il tavolo pronto per la colazione. Aveva preparato tutto ciò che sapeva lei adorasse: spremuta d’arance, una quantità industriale di caffè, pane tostato e del misero tè per se stesso.

“Mmh, non dovevi” mugugnò lei ancora con la voce impastata dal sonno, gli si sedette in braccio lasciandosi cadere a peso morto, prendendo e addentando una fetta di pane accuratamente imburrata e cosparsa di marmellata. Miles gemette contro la spalla di Margaret che lo guardò interrogativa.

“La schiena” disse semplicemente lui, sorridendo.

“Oddio, è vero! Scusa scusa scusa scusa” strillò lei mollando il pane, prendendogli il viso tra le mani e, ad ogni scusa, corrispondeva un bacio casuale sul viso e poi sulle labbra, assaporando risate e marmellata insieme. Poi si fermò un attimo a riflettere.

“Stanotte però non sembravi avere tanto dolore, Kane” gli disse ammiccando nel tentativo di farlo ridere. Ci riuscì e Miles rise anche ripensando a come si era fatto male, quattro giorni prima. Margaret gli aveva mandato un messaggio per dirgli che sarebbe andata a prenderlo in aeroporto, lui si aspettava di trovarla non appena fosse uscito dalle porte degli arrivi ma lei non c’era. Qualche secondo e qualche passo dopo quella triste scoperta, un piccolo uragano proveniente dalla sua sinistra gli si abbatté contro, Miles perse l’equilibrio e cadde rovinosamente battendo schiena e sedere per terra. Margaret non ci aveva fatto caso tanto era occupata ad abbracciarlo e a prendersi gli applausi della gente divertita e sorpresa da quel simpatico siparietto. Tra una risata e l’altra, Margaret aiutò Miles a rialzarsi e raggiunsero Sara, la coinquilina di Margaret, che li stava aspettando lì vicino.

“Allora, Kane, tutto intero?” disse la ragazza assestandogli una sonora pacca sulla spalla.

“Sì, Sara, fino a cinque minuti fa sì” rispose lui abbracciandola forte. Miles l’aveva conosciuta qualche mese prima, quando aveva aiutato Margaret con il trasferimento. Sara era un’energica ragazza di Manchester che era a Londra dopo aver vinto una borsa di studio in Storia. Una cascata di capelli castano scuro, modellati in morbide onde, contornavano un viso dolce e sorridente che, in realtà, nascondeva un acuto senso dell’umorismo a volte con una punta di sarcasmo e cinismo. Gli occhiali da vista incorniciavano uno sguardo molto timido, Miles difficilmente avrebbe potuto dire di che colore avesse gli occhi visto che non riusciva a tenere il suo sguardo per più di tre secondi. Appena Margaret gliel’aveva presentata, Miles capì subito perché avevano stretto amicizia così velocemente: era il suo opposto. All’inizio Miles non sapeva come comportarsi con lei, era dispiaciuto di vederla arrossire ogni volta che lui le rivolgeva la parola anche solo per chiederle come stava. Si riavviava continuamente i capelli, come se le dessero fastidio, subito dopo però sembrava pentirsene pensando di aver rinunciato ad una specie di barriera che la nascondeva agli occhi degli altri. Ma dopo un po’ la situazione era migliorata, Sara si era abituata alla presenza del ragazzo e non sembrava più sull’orlo di un collasso ogni volta che Miles le parlava. Anzi, avevano scoperto di avere una passione in comune: il calcio, cosa che Margaret odiava con tutta l’anima quindi era felice che entrambi avessero una persona fidata con cui discuterne. Sara una volta era riuscita addirittura a raccontare riuscendo a guardarlo negli occhi e senza arrossire, di come aveva conosciuto Margaret che l’aveva praticamente intercettata in uno Starbucks mentre attaccava volantini in cerca di una coinquilina. Miles si era affidato a lei per l’organizzazione della festa di Margaret di quella sera e aveva fatto bene: Sara era via quasi tutto il giorno, tra studio e lavoro, perciò era stato facile anche mandarle mail con foto di abiti o con proposte per la festa da poter controllare fuori casa senza Margaret attorno. E, a questo proposito, quel giorno in aeroporto si scambiarono uno sguardo di intesa che, ovviamente, a Margaret passò inosservato. Dopo aver caricato i bagagli in macchina, Miles pensò a quanto fosse bello quel cielo grigio e senza sole cocente.

“Allora, Miles, fatto buon viaggio? Hai fame?” chiese Sara controllando l’ora, era quasi mezzogiorno e non avevano ancora pranzato. Il ragazzo rispose che aveva fame perciò montarono in macchina e Margaret li portò a mangiare in un posto tranquillo a metà strada verso la biblioteca dove Sara sarebbe andata dopo pranzo mentre loro sarebbero andati a casa. Quei giorni insieme furono un toccasana, uno scorrere indefinito di cose, quelle due settimane di distanza erano servite a far capire ad entrambi quello di cui avevano bisogno. E quello di cui avevano bisogno era stare insieme come una coppia normale senza drammi né stravolgimenti improvvisi. Tornarono a casa e fecero l’amore, si addormentarono aggrappati l’uno all’altra; a Miles erano mancate le mani di Margaret così esili ed impacciate, così com’era impacciata lei quando gli aveva detto che la intimidiva e che aveva sempre il terrore di fare qualcosa di sbagliato. Margaret e il suo sorriso imperfetto, l’odore del suo shampoo che profumava sempre di buono. Per la prima volta dopo aver incontrato Alex, Margaret era l’unica persona che riusciva a farlo sentire a casa, al sicuro. Quei giorni, nella testa di Miles, erano un continuo flusso di emozioni, colori e sensazioni: la pizza mangiata seduti per terra mentre lui le raccontava delle registrazioni a Los Angeles, i baci rubati quando Margaret cercava di studiare e Miles leggeva il libro di poesie di Shelley che lei gli aveva regalato, la sera in qualche pub tranquillo o nel locale dove lavorava Sara; Margaret era anche riuscito a trascinarlo a fare shopping e a pranzare una volta al ristorante giapponese. Miles rabbrividì pensando al saporaccio che aveva quella roba ma l’aveva fatto perché Margaret adorava quel tipo di cibo e almeno una volta nella vita voleva provarlo anche lui. Tornò alla realtà quando lei gli si raggomitolò tra le braccia, i suoi capelli gli solleticarono il mento, il respiro iniziava a rallentare.

“Ma che fai? Ti addormenti di nuovo?” sussurrò Miles delicatamente “guarda che oggi non c’è tempo per dormire.”

“Mmh, lasciami stare” rispose lei strofinandogli il naso sul collo “non me ne frega niente del mio compleanno.”

“E nemmeno se ti facessi gli auguri così?” chiese lui scostandola leggermente. Miles prese il viso della ragazza tra le mani, con i pollici le accarezzò le guance morbide e ancora calde per il sonno, posò le labbra sulle sue. Un bacio lunghissimo, uno di quei baci dove i denti collidono e si scontrano lasciando spazio ad un sorriso a fior di labbra; un bacio caldo, possessivo, uno di quei baci che – se dato per strada – avrebbero suscitato le vivaci proteste dei meno giovani. Margaret sembrava essersi svegliata, infilò le dita tra i capelli di Miles stringendolo a sé. La mano del cantante scivolò sulla coscia della ragazza.

“Mmh… o-okay, stupido Kane, cosa diamine hai in mente oggi?” disse lei infine, staccandosi e prendendo fiato. Miles rise abbracciandola forte. Le baciò la punta del naso, si alzò tenendola in braccio e andò a depositarla sul divano; poi le portò un bicchiere di spremuta e una fetta di pane imburrata.

“Tu mangia, mi faccio una doccia e ne parliamo” disse lui scompigliandole i capelli e avviandosi in bagno; sentì Margaret sussurrare l’ennesimo “stupido Kane” mentre rosicchiava il pezzo di pane tostato. Un quarto d’ora più tardi, Miles tornò in cucina e la trovò a riporre tazze e bicchieri appena lavati. Afferrò la sua copia delle poesie di Shelley e si sedette sul divano. Aprì il libro alzando lo sguardo su Margaret che gli dava le spalle, gli occhi si soffermarono sulle culotte grigie di Margaret.

Miles, smettila, trattieniti dal trascinarla in camera da letto come l’ultima volta. Forza, devi chiederle se ha programmi per stasera’ rimproverò a se stesso. Si schiarì la voce.

“Allora, programmi per stasera?” chiese innocentemente.

“No. Cioè, non lo so. Magari raggiungiamo Sara al pub dove lavora e beviamo qualcosa tutti insieme, che dici? Non… non ho molta voglia di festeggiare, a dire il vero” propose lei. Pur dandogli le spalle, Miles sentì il suo tono di voce incrinarsi impercettibilmente. Sapeva benissimo a cosa si riferiva perciò si alzò e la raggiunse abbracciandola da dietro.

“È tutto okay, per me va benissimo. Per quanto mi riguarda potremmo anche guardarci un film sul divano e mangiare schifezze con Sara se fosse quello di cui hai bisogno” disse facendola ridere “tuttavia ventuno anni si compiono una volta sola perciò stasera si va a bere tutti insieme!”

“Facciamo, uhm, per le sette e trenta?”

“E sette e trenta siano.”
La prese per i fianchi e iniziò a farle il solletico. Il resto della mattinata passò tranquillamente: pranzarono velocemente, ascoltarono Abbey Road abbracciati sul divano mangiando caramelle gommose e discutendo su quale Beatle fosse il migliore. Iniziarono a guardare un film ma Margaret non ne aveva voglia, cominciava ad aver sonno.

“Leggimi qualcosa” chiese mezza addormentata, così Miles prese il libro di poesie e aprì la pagina su una poesia che l’aveva colpito perché, leggendola per la prima volta, in mente aveva solo lei. A questo pensiero, ricordò di essersi dato dell’adolescente alla prima cotta da solo; si schiarì la voce e iniziò a leggere molto lentamente:

                                                                                Temo i tuoi baci, fanciulla gentile;
                                                                                 non hai motivo di temere i miei;
                                                                     Troppo profondamente il mio spirito è oppresso
                                                                            perché io possa opprimere anche il tuo.
                                                                          Temo il tuo viso, la tua voce, i tuoi gesti;
                                                                                non hai motivo di temere i miei;
                                                                        La devozione del cuore con la quale adoro
                                                                              il tuo cuore, sii certa, è innocente


Quando Miles terminò la lettura, stringeva Margaret contro il suo petto, rannicchiati sul divano; lei aveva gli occhi chiusi, come sempre si era addormentata col suono della sua voce.

Devo iniziare a prenderlo come un fatto personale’ pensò tra sé e sé sorridendo; chiuse il libro e si addormentò con Margaret. Furono svegliati qualche ora dopo dal cellulare di Margaret che squillava. Margaret si rigirò tra le braccia di Miles dandogli una manata sul naso, lui protestò ancora mezzo addormentato.

“Se continui così fino a stasera mi porti al pronto soccorso e non al pub” disse lui.

“Sta’ zitto e fai tacere quello stupido aggeggio, ti prego” borbottò Margaret nascondendosi tra le sue braccia.

“Ah no, io non mi alzo. Quel coso sta suonando una canzone dei Kooks o sbaglio? Perché hai una canzone dei Kooks come suoneria?”

“È simpatica e tu invece non lo sei affatto” disse la ragazza alzandosi e cercando il cellulare per tutta la stanza. Miles, dal canto suo, riuscì a solo a pensare a cosa avrebbe potuto dire Alex sul fatto che Margaret avesse una canzone dei Kooks come suoneria del cellulare, ma ebbe la decenza di tacere.

“Pronto?” rispose Margaret facendo finalmente tacere quel tormento “ciao, Sara, dimmi!”

Cazzo, è vero, ma dove ho la testa? Devono essere le sei, Sara doveva telefonare per dire a Margaret di portarle un cambio di abito a lavoro in modo da cambiarsi per uscire a festeggiare.

“Un cambio di vestiti? Uh, sì, certo che non ci sono problemi. Cosa devo portarti?”
Appena Margaret sparì dalla stanza per andare verso quella di Sara, Miles si precipitò nella camera della ragazza. Sara aveva il compito di tenere Margaret al telefono almeno un quarto d’ora così Miles avrebbe avuto il tempo per sistemare tutto.

Perché noi, stasera, non stiamo affatto andando solo a bere qualcosa’ pensò estraendo dall’enorme armadio di Margaret una sacca bianca per i vestiti; Sara aveva accuratamente nascosto il necessario per la festa. Miles si era premurato di farle recapitare il tutto, il giorno prima del suo arrivo a Londra in modo che Margaret fosse talmente indaffarata con altre cose che non sarebbe mai andata a guardare nell’armadio dove teneva i vestiti estivi. La sacca conteneva l’abito di Miles, uno smoking nero e una camicia bianca; indossò rapidamente il tutto, infilando accuratamente la camicia nei pantaloni e stringendo la cintura. Da sotto il letto, invece, tirò fuori una gigantesca scatola bianca sulla quale capeggiava il marchio di un famoso stilista, Elie Saab; la scatola conteneva l’abito che Margaret avrebbe indossato quella sera. Sara si era commossa al telefono con Miles quando lui le aveva chiesto se l’abito che le aveva mostrato per mail fosse adatto a Margaret.

“M-Miles, se ti muore tra le braccia io non voglio essere messa in mezzo” furono le precise parole della ragazza. Miles scosse la testa, non aveva tempo per quei pensieri. Posò la scatola sul letto rifatto, afferrò la sua giacca, cravatta, scarpe e calzini e si chiuse nel bagno che Margaret aveva in camera. Poco dopo sentì lei chiamarlo dal corridoio, si affrettò ad allacciarsi le scarpe e ad infilare la giacca.

“Miles?”
Non ottenne nessuna risposta.

“Andiamo, Kane, dove sei finito? Non ho voglia di giocare. Ho preparato la borsa per Sara e dobbiamo uscire perciò devi prepara-…”
Margaret si interruppe, Miles capì che aveva visto la scatola sul letto e trattenne il respiro. Dalla stanza giungevano solo rumori della carta velina che proteggeva l’abito.

“Kane! Esci fuori, ovunque tu sia, non costringermi a cercarti perché poi sono cazzi tuoi” urlò Margaret. Il cantante prese un bel respiro, si sistemò la cravatta ed uscì. Margaret era seduta sul suo letto, al petto stringeva il bellissimo abito rosso scarlatto che Miles aveva scelto per lei. L’ampiezza della gonna ricopriva tutto il piumone, la ragazza era letteralmente sommersa da quel fiume rosso. Accarezzava l’abito lentamente, aveva gli occhi enormi, sgranati e lucidi e guardava Miles con un misto di stupore  e meraviglia.

“Sei bellissimo” sussurrò Margaret che parve accorgersi di cosa Miles avesse addosso. Guardò prima lui e poi l’abito e alzò impercettibilmente le spalle, in una tacita domanda.

Dai, Miles, devi solo dirle un’altra piccola bugia a fin di bene ed è fatta.

“Margaret, io… vedi, volevo che questo tuo compleanno fosse speciale perché sono i tuoi ventuno anni e sei lontana dalla tua famiglia. Una volta mi hai detto che quando leggi i classici della letteratura è come se ti sentissi a casa. E-ecco, ho indagato un po’ e ho scoperto che all’Opera stasera c’è una riproduzione di Sogno di una notte di mezza estate e a-avevo pensato che ti avrebbe aiutato a sentirti a casa, rivivere una delle opere che più ti piacciono” disse Miles finalmente. Margaret stava lottando con tutte le sue forze per non piangere.

“C-come fai a ricordartelo? Te l’ho detto una volta sola mentre eravamo in F-Francia” chiese lei ma non attese risposta: gli si avvicinò e gli prese il viso tra le mani, gli diede un casto, salato ed umidiccio bacio sulle labbra. Una volta staccatasi, con il dorso della mano si asciugò le lacrime.

“Non voglio stropicciarti il vestito, stai davvero benissimo” gli disse “ma quindi stasera non andiamo a bere fuori?”

“Penso proprio di no.”

“Ma c-come hai fatto ad organizzare tutto?” chiese ancora tornando a circondarsi del vestito.

“Sara” rispose semplicemente Miles alzando le spalle, le andò incontro “ti piace?”

“Miles, è bellissimo. I-io non so se sarò in grado di indossare un abito del genere, non ho l’eleganza, il portamento e la raffinatezza adatta ma, Dio, se amo quest’abito! L’hai scelto tu?” chiese alzando lo sguardo verso di lui.

“Sì, era l’unico che ho scelto, grazie a Dio Sara è stata subito d’accordo con me!”

“Beh, è bellissimo e siete stati bravissimi, non ho avuto il minimo sospetto di nulla” dichiarò Margaret. Miles le scompigliò i capelli, le accarezzò una guancia e le disse di prepararsi in modo da poter uscire in tempo di lì ad un’ora. Il ragazzo fu letteralmente cacciato dalla camera di Margaret che vi si chiuse dentro e non ne riemerse per molto tempo. Dopo quella che gli sembrò un’eternità Miles, rifugiatosi compostamente sul divano, sentì la serratura scattare.

“Miles?”
Margaret aveva uno strano tono di voce quando lo chiamò.

Oddio, cosa sarà successo?
Si precipitò nella stanza che era diventata un uniforme bagliore rosso dovuto al riflettersi della luce sul davanti dell’abito, interamente ricoperto da piccoli cristalli rossi. Margaret era davanti allo specchio a figura intera e si guardava incredula; l’abito le cadeva a pennello, il seno riempiva perfettamente quella scollatura azzardata ma che su Margaret non risultava per niente volgare, la gonna rendeva giustizia al resto dell’abito. La scollatura tonda dietro, invece, mostrava una schiena perfetta, pallida, liscia. Miles notò che aveva elegantemente acconciato i capelli in una treccia laterale che scendeva morbida sulla spalla sinistra. Il poco trucco che aveva sul viso si limitava ad un ombretto scuro ed una linea di eyeliner nero sugli occhi, sulle labbra capeggiava una passata di rossetto rosso intenso. Miles pensò a come sarebbe stata una volta indossata la maschera che aveva scelto per lei e che aveva consegnato all’autista dell’auto che li avrebbe portati alla festa in modo da non destare sospetti. Sgranò gli occhi, la ragazza incrociò il suo sguardo attraverso lo specchio.

“Non ti piace” affermò. Miles le si avvicinò, le posò una mano sulla schiena nuda.

“Sei impazzita? Margaret, sei bellissima, questo vestito sembra fatto apposta per te” la rassicurò Miles davvero convinto di quello che aveva detto. Lei lo squadrò per qualche secondo.

“Io… secondo te posso andare in giro con questo vestito tipo per sempre?”
Miles tirò un sospiro di sollievo e sorrise.

“Certo che puoi, è tuo, decidi tu cosa fare” le disse “però a questo pensiamo domani, magari. Siamo un po’ in ritardo. Sei pronta?”
Margaret annuì. Infilarono i soprabiti e, con qualche impedimento dovuto all’abito della ragazza, riuscirono finalmente a salire in macchina e a partire. Miles aiutò Margaret a salire, non ci fu bisogno di dare indicazioni all’autista perché già avevano concordato precedentemente su dove andare. La ragazza si tormentava la fine della treccia, Miles le prese la mano e l’accarezzò dolcemente per tranquillizzarla. Dopo qualche minuto estrasse una striscia di stoffa nera dalla tasca del cappotto.

“Kane, non mi sembra il caso di fare questi giochetti adesso, non siamo soli e per togliermi quest’abito ti ci vorrebbero due giorni” ironizzò Margaret guardando curiosa ciò che Miles aveva in mano. Quella frase lo fece ridere e dovette fare appello a tutte le sue forze per tornare serio.

“Smettila, fai la persona seria e dimmi che quel trucco meraviglioso non verrà via se ti poggio questa sugli occhi per qualche minuto” chiese infine.

“No che non viene via per così poco. Ma perché devi bendarmi?”

“Beh, se ti bendo è perché non voglio che tu veda determinate cose. Che senso ha se ti dico il motivo?”

“Mmh” mugugnò lei indispettita “devo toglierti tutte quelle robe di psicologia che leggi quando non hai nulla da fare, smettila di psicanalizzarmi.”

“Su, non fare la bambina e avvicinati così evito di guastarti i capelli.”
Le mise delicatamente la benda sugli occhi, Margaret non fece obiezioni né tantomeno continuò a fare domande ma picchiettava con le dita sul sedile di pelle, segno che era nervosa perché aveva percepito che qualcosa non stava andando come previsto. Una ventina di minuti dopo, erano finalmente arrivati sul luogo della festa, casa di Alex. Miles prese un enorme respiro.

“Resta un attimo qui” sussurrò a Margaret scoccandole un bacio sulla guancia e scendendo rapidamente dall’auto sapendo che lei non l’avrebbe seguito avendo l’impedimento del vestito.

“Miles!”
Il ragazzo corse ad aprire il cofano prendendo la delicatissima maschera che aveva scelto per lei, tornò ad aprirle la portiera.

“Miles?” chiese Margaret più arrabbiata che spaventata.

“Sono qui” rispose lui prendendola per mano e aiutandola a scendere, i tacchi vertiginosi sulla ghiaia non aiutavano per niente. Miles

“Da quando davanti all’Opera c’è della ghiaia, Kane?”

Dannazione, ma perché non mi sono messo con una cretina invece di stare con una così sveglia? Probabilmente ci è passata solo due volte davanti l’Opera eppure si ricorda…
Miles non rispose, tenendola per mano la portò esattamente al centro del lunghissimo viale immerso nel verde che conduceva all’ingresso di casa Kapranos. Con mani tremanti le tolse la benda dagli occhi.

“Tu cos-…” iniziò a dire ma si bloccò di colpo sgranando gli occhi e osservandosi attorno. Il giardino di quella villa era meraviglioso, impeccabile, pieno di alberi e cespugli curatissimi; alla fine del viale c’era l’enorme casa su due piani, completamente illuminata e dalla quale proveniva una debole musica.

“Miles, Miles dove siamo?”

“Ehm, non siamo all’Opera” tentò il ragazzo provando a ritardare il momento in cui le avrebbe detto dove erano realmente e perché. Non funzionò: Margaret incrociò le braccia sul petto picchiettando un piede per terra, in attesa.

“Ehm, okay, allora… potresti metterti questa e seguirmi dentro casa? Sarebbe meglio farti vedere che limitarmi a spiegarti a parole?”
Miles le porse la delicata maschera di filigrana nera che le aveva preso, si intonava perfettamente con gli accessori dell’abito.

“Okay, questa cosa sta diventando inquietante ma ti assecondo solo perché sono curiosa e non hai dilapidato tutto il tuo patrimonio per un Elie Saab giusto per rimediare una scopata fantasiosa” protestò vivacemente lei suscitando un sorriso nel ragazzo che l’aiutò ad indossare la maschera: le copriva metà del viso, sembrava un’elegantissima farfalla.

“Come sto?”

Sublime” rispose Miles “andiamo?”

“Andiamo.”
Insieme si incamminarono verso l’ingresso della casa con la musica che iniziava ad essere più forte; una melodia classica composta da vari archi diede loro il benvenuto sulla soglia di quel posto meraviglioso.

“Mi aiuti, per favore?” chiese Miles alla ragazza, stava chiedendo aiuto per allacciare una bellissima maschera bianca identica a quella di Erik ne Il Fantasma Dell’Opera.

“Mh, modesto, bella scelta. Mi piace” ironizzò Margaret annodando i laccetti neri della maschera “ora però mi spieghi?”

“Okay, sarò breve: benvenuta alla tua festa di compleanno, Margaret” soffiò fuori Miles tutto d’un fiato aprendo la porta d’ingresso e trascinandosi dietro lei prima che potesse ribattere in qualche modo. La casa era bellissima, ovviamente, spaziosa e luminosa e, per l’occasione, era stata sgombrata dei mobili in più per fare più spazio. Di tutto ciò si era occupato ben volentieri Alex che ‘era in pausa dal tour e non organizzava una festa da una vita’, gli aveva detto assumendosi tutta la responsabilità di gestire la casa, le decorazioni ed il catering togliendo a Miles una bella fetta di lavoro.

“La mia cosa?!” chiese Margaret con un tono abbastanza alto.                                  

 
 
  
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