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Autore: MedOrMad    27/01/2014    11 recensioni
Med ha 24 anni e non ne fa una giusta. Porta avanti una relazione di sesso con un soggetto di discutibile fascino, è 2 anni fuori corso ad una facoltà che non ha intenzione di terminare, è sovrappeso ed è pure stronza. O forse è solo socialmente inadeguata.
Ma più di tutto è persa: nella collana di errori che l’hanno portata a questo punto, ha dimenticato chi voleva essere.
Con Med ci sono Bet e Jules, le persone che di lei sanno tutto. Un trio improbabile, con l’eleganza oratoria di un gruppo di scaricatori di porto, che passa la metà del tempo a prendersi in giro e parlare di sesso. L’altra metà del tempo, però, si completano a vicenda.
All’apice della stronzaggine di Med, arriva lui: un po’ arrogante, impiccione e con un’ossessione - a quanto pare - per il grosso culo di lei.
Una storia di affetti, ridicoli avvenimenti, sesso e parolacce: perché a 24 anni la vita è anche quello.
E anche le ciccione, stronze e infelici fanno sesso. A volte.
Dal Testo:
“Che...che...che cosa vuol dire?” balbetto inebetita.
“Vuol dire che da oggi io e te avremo tantissimo tempo per fare l’amore in ogni stanza della casa.” mi risponde lui, facendomi l’occhiolino.
Questo mi manda ancor più fuori di testa.
“Tu sei tutto scemo! Io starò con la Amish che non si lava, non con uno la cui priorità è il proprio pisello!”
Lui mi fissa smarrito e, suppongo, anche un po' divertito.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Capitolo 15 Tuttotondo "QUel maledetto Dove"

Previously on TuttoTondo:

Di importante da ricordare c'è che Alex e Med hanno consumato... nel capitolo prima dell'ultimo. La farina... la focaccia... Ricordate? Ottimo.
Nel capitolo 14 abbiamo Med e Alex che affrontano a modo loro il momento post sesso... e non dormono insieme.
Poi Med, Bet e Jules (ovviamente) analizzano l'intero atto passo per passo, come solo noi donne sappiamo fare.
In un momento di follia, le ragazze decidono di andare un paio di giorni a casa di Bet in montagna... con loro ci saranno anche J, Leo e Roby.
Ecco, per finire ci sono Bet e Med al telefono che parlano di vongole e Alex che gioca con le fragole su Med.
Fanno le cose loro e si addormentano insieme; Alex svela l'identità di Andie (suo nipote) e racconta a Med dei suoi problemi con suo fratello Adam.
Poi Med, su precedente suggerimento di Bet, invita Alex ad unirsi a loro nei due giorni di trasferta.
Che altro? Mi pare tutto. Vediamo le ultime battute del capitolo 14 e poi potete tuffarvi nel nuovo con la memoria più fresca:



“Vieni in montagna da Bet con noi due giorni?”
Sembra per un secondo stupito dalla mia idea; io non ho ancora avuto il tempo di rendermi conto delle implicazioni di questa proposta quando lui, sorridendo, risponde:

"Quando?"
"Domenica e lunedì..."

“Devo controllare i miei turni, ma il lunedì siamo chiusi, quindi non vedo perché no.”

Oddio.






- Dove? -



AN
: a S.



Da quando Alex ha deciso di condividere con me almeno una parte di verità su se stesso e sulla sua famiglia, mi sembra di aver guadagnato qualcosa: non necessariamente la sua fiducia, ma ho l'impressione che sia meno guardingo.
Un'impressione, quindi potrebbe tranquillamente essere pura illusione o uno dei miei caratteristici momenti di fantasia. L'idea di far cadere qualche segreto che lo circonda, però, mi stimola immensamente e, volenti o nolenti, è qualcosa che bisogna fare: non possiamo costantemente succhiarci la faccia a vicenda e basta, sperando di trasmetterci informazioni attraverso la saliva.
E Alex, che fa tanto il maturo, è un vero codardo: se il rischio è che si debba esporre un po', si ritira come una patella contro lo scoglio. Poi, per essere sicuro di non essere più in pericolo, usa il suo faccino per sedurti. Da lì si giunge al fantomatico scambio di verità con lo sfregamento delle lingue: ne sto praticando un sacco ultimamente, ma non ho imparato nulla di nuovo su Alex.

Nel frattempo, tra una pomiciata e l'altra, sabato è arrivato più in fretta di quanto mi aspettassi.

Dovrei già essere seduta in macchina con le mie amiche in questo momento, in viaggio verso la casa di montagna di Bet. È tutto pronto: le provviste sono già stipate nel baule della Circe e Bet - dopo una visita non programmata a casa mia mentre io mi trascinavo per la città a fare la spesa - è stata cacciata al piano terra circa quindici minuti fa, con l’unico scopo di placare Jules e di lasciarmi qualche attimo di privacy con Alex.
Alex, che al momento sta usando ogni grammo del suo testosterone per farmi pagare gli attimi di dubbio riguardo alla sua presenza in questo weekend di trasferta. Apparentemente la mia amica, oltre ad essersi presentata qui con un’ora di anticipo, ha anche pensato di condividere con il mio coinquilino la mia reticenza ad invitarlo, vanificando ogni speranza che avevo di una sveltina contro il muro.

Sospendete il giudizio: in ventiquattro anni io non ho mai avuto il piacere della sveltina contro il muro. Sto scoprendo anche io le mie esigenze, ma sembra che ora Alex non sia troppo entusiasta della cosa.

“Mi hanno detto che hai posto iniziale resistenza alla mia presenza con voi…” sussurra quando gli spingo le spalle contro la porta per guadagnarmi un bacio prima di andare, il mio precedente piano ormai un lontano miraggio.
“Le mie amiche hanno la lingua troppo lunga…” rispondo senza spostare gli occhi dalle sue labbra.
Le dita premute sulla mia nuca allontanano di poco il mio viso dal suo, costringendomi a muovere lo sguardo quando vedo spuntare un leggero sorriso.
“Scintilla, perché non mi volevi?”
Sento i suoi polsi fare forza sul collo per controllare la mia posizione prima di avvicinare la bocca alla mia, evitando di toccarla.

“Alex…”
“Mi sento molto offeso.” continua imperterrito, accarezzandomi la pelle con il respiro ma senza decidersi a baciarmi.

“Alex, devo andare. Mi vuoi dare questo benedetto bacio?”
Gli angoli dei suoi occhi mostrano un sorriso compiaciuto per un secondo, il suo pollice passa tra le nostre labbra lentamente. Poi, quando buona parte del mio sangue sembra essersi concentrata dove le sue mani premono contro di me, il sorriso si trasforma in un piccolo ghigno: mi spinge lontana, aprendo la porta alle sue spalle e sollevando la mia valigia.

“No.”

State condividendo con me la frustrazione e lo stupore? Bene, non vi dico le mie gonadi come la stanno vivendo.

Il mio coinquilino muove la borsa verso di me, in un gesto che mi invita ad impugnarla; chiaramente indignata, però, sollevo il mento verso l'alto ed esco a passi decisi dall'appartamento. Lo sento ridere dietro di me, eppure mi segue senza esitare troppo.
"Non porterò giù la tua valigia, Med."
Mi fermo sul primo gradino, voltandomi per mostrargli il mio migliore sguardo di sdegno.
"Perché no? La cavalleria è proprio morta... Insieme alla tua mascolinità."
"Sfottermi non ti servirà a nulla."

Ma io dico, con tutti i maschi che ci sono in giro, proprio a me doveva capitare quello permaloso? Mi rendo conto che tentennare di fronte all'idea di portarmelo in vacanza non sia stato molto carino, ma abbiamo consumato da poco: credo di meritare un po' di tolleranza.

"Visto che sono una persona ragionevole, ti lascio scegliere," lui inarca scettico le sopracciglia, "hai due opzioni: puoi essere gentile e accompagnarmi alla macchina, oppure puoi essere il passionale americano che tanto millanti di essere e darmi un bacio d'addio."
"Ci vediamo domani, Sofia... non è un addio."
"Sai cosa intendevo. Allora, cavaliere o uomo?"

Alex smette improvvisamente di sorridere.
Appoggia la mia borsa a terra e affonda le mani nelle tasche dei jeans tutti stropicciati che, sotto la pressione delle sue braccia, gli scendono pericolosamente sui fianchi, rendendolo ancora più allettante.
Un paio di passi nella mia direzione mi costringono ad appoggiarmi alla ringhiera alle mie spalle. Il suo viso è ancora una volta vicino al mio: gli occhi scuri ed incredibilmente seri.

"Posso essere entrambe le cose senza cedere alle tue stupide provocazioni."
La sua voce bassa sembra portare una nota pericolosa, così strana se associata ad Alex.
Inspiro per nascondere il lieve vacillare della mia impassibilità e con gli occhi fissi nei suoi, rispondo:

"Potresti.” le sue pupille si dilatano al suono sordo della mia voce, resa diversa dall’effetto del suo corpo così vicino a me, “Ma io potrei anche dubitare."
Una mano sguscia nella tasca posteriore dei miei pantaloni, facendo esultare le mie parti basse per pochi secondi.
"Perché ti piace così tanto fare giochetti?" la punta del suo naso scorre contro la mia clavicola e non mandarlo a ‘fanculo si fa sempre più difficile.
"Alex..."

Sento le sue dita premermi contro la carne mentre si muovono nella mia tasca, la frizione che aumenta il calore della pelle: poi improvvisamente la sua mano si allontana da me. Un momento dopo lo vedo sventolarmi il telefono di fronte al viso.
"Chiama Jules. Dille di andare a prendersi un aperitivo con Bet." il sorriso ritorna impercettibile, "Glielo offri tu."

Spinge la mia valigia in casa e nel frattempo mi afferra per un polso, trascinandomi dentro:
"Che cosa? Scusa, che razza di gentiluomo sei se fai offrire a me?"
"Lo sarò dandoti un orgasmo che non ti meriti prima che tu parta."

Chiude la porta con un calcio e mi slaccia con impazienza i pantaloni, ammiccando.
Un brivido di gioia genera sul mio viso un sorriso. In un attimo vedo lo stesso riflettersi sulle labbra di Alex mentre mi spinge contro il muro e fa scivolare le dita nel bordo dei miei slip.

"Mi sembra sensato..." biascico quando lo vedo abbassarsi per togliermi i jeans e le scarpe.

I suoi gesti sono così decisi che fatico a stargli dietro e mi trovo a starmene lì in piedi, seminuda e collaborativa come una trota.

Mi concentro sul cellulare, cercando di vincere contro il correttore automatico, per scrivere a Jules che devo obbligatoriamente fare sesso prima di raggiungerle.
Quando anche i miei slip seguono il percorso dei pantaloni, mi riprendo e con una mano accarezzo il collo del mio coinquilino, tirando il cotone della sua maglia finché Alex non è a petto nudo.

Molto, molto meglio. Starei realmente a guardarlo per ore quando è senza maglia.
Il modo in cui i muscoli delle sue braccia si flettono senza sforzo, la naturalezza con cui una risata scorre dal suo sorriso fino alla pancia. La delicatezza delle sue dita che giocano con quella invitante strisciolina di peluria che scende stuzzicante dall’ombelico, che si muovono leggere e distratte quando legge o racconta qualcosa che lo rilassa. Pagherei per essere quelle dita. E scenderei decisamente più in basso dell’ombelico. Non credo di dover specificare dove.

Mentre io fantastico sul suo petto e valuto seriamente l’idea di morderlo, lui si inginocchia di fronte a me: i polpastrelli che salgono dalle caviglie verso l'alto e il suo respiro sulla pelle.

"Niente baci, però."
"La sveltina contro il muro senza baci fa così Pretty Woman che è quasi patetico." ridacchio in risposta e la voce mi si spegne nel petto quando lui mi solleva una coscia per ancorarsela sulla spalla.

I suoi occhi tornano a guardare il mio viso:

"Non era quello che avevo in mente."

E no, non lo era affatto. Era qualcosa di decisamente diverso ma ugualmente soddisfacente. Almeno per me.

Ho scoperto talenti di Alex sempre più apprezzabili e sono venuta a conoscenza del fatto che sperimentare quello specifico orgasmo e mantenersi in posizione eretta - per la sottoscritta - è impossibile.

Ho anche avuto modo di notare che Alex guarda: studia, contempla, mi fissa. Probabilmente si compiace quando può vedere sul mio viso l’effetto che sta avendo, perché mentre ero - per così dire - sull’orlo del baratro, i nostri sguardi si sono incrociati. Sorprenderlo a guardarmi in quel preciso istante mi ha stupita (e anche arrapata, lo ammetto); quello che però mi ha fatto stringere lo stomaco è stata quella scintilla di meraviglia che gli ha illuminato il viso nella frazione di secondo in cui ha capito che la sua “missione” era compiuto.

Le iridi chiare, il respiro affannato quasi quanto il mio e il viso curioso mentre scopriva cosa riusciva a farmi. Tutto senza spostare gli occhi da me, credo.

Credo (senza esserne sicura) perché, ad un certo punto, io non ho capito più niente e ho dovuto chiudere gli occhi e serrare la bocca per non attirare l’attenzione dei vicini.

Ma quando mi sono seduta a terra e lui si è accucciato accanto a me, il mio sguardo ha ritrovato il suo, che era pieno di interesse; un bacio sulla tempia e l’ho sentito sussurrare:
Amazing.

A meno che non stesse cercando di complimentarsi da solo, credo stesse parlando della mia faccia e delle mie espressioni quando mi sciolgo il cioccolato a bagnomaria.

Dovrei essere imbarazzata, invece sono soddisfatta in modo schifoso.
Nota a me stessa: sei in debito di un orgasmo. E lui è in debito di un bacio. Pagare i conti il prima possibile.

Mezz'ora dopo sto lottando contro le borse formato famiglia che Bet ha portato per due - due! - giorni di vacanza; occupano quasi tutto il baule della Circe e sono rigide, rendendo impossibile il mio piano di saltarci sopra per comprimerle.

"Bet, io ti scortico la faccia." sibila Jules mentre, assieme a me, preme i bagagli tra loro per cercare di chiudere il baule "Ti strappo tutte le cuticole e poi te le cospargo di acetone."
"Scusa, sei tu quella che eccede sempre il peso dei bagagli: dovresti capirmi. Mi sono fatta prendere la mano." risponde Bet tirando una boccata di sigaretta mentre sta appoggiata alla portiera dall'auto.

Stremata e sconfitta, mi allontano dalla macchina, asciugandomi la fronte con un braccio.
"Chiamiamo Alex. Io non ce la faccio più, ho esaurito le forze."
"Quelle le hai esaurite col sesso acrobatico poco fa." risponde la mia amica riccia, rinunciando poco dopo. "Chiamalo. Digli che io non chiedo orgasmi, mi accontento di partire."

Lui, a differenza nostra, in un paio di manovre da cazzo di ingegnere edile incastra tutto alla perfezione in tempo zero, permettendosi anche di sbeffeggiarci per l'evidente mancanza di capacità logistiche.

Io sospetto abbia solo passato più ore di me a giocare a Tetris.

"Non fare il figo: ti abbiamo dato il tempo di fare sesso tantrico con Med anche se non era previsto. Eri in debito con noi." dice Jules mentre sale al posto del passeggero, confinando Bet sul sedile posteriore e ignorandone le proteste.
"Non era acrobatico?" rido, chiudendo la portiera dietro di lei.
"Veramente avrei una precisazione da fare a riguardo." afferma Alex maligno e io, ben intenzionata a non condividere l'informazione con le mie amiche, lo spintono frettolosamente verso il portone: le sue risa che mi riempiono le orecchie e le guance che vanno a fuoco.

Bet si sporge dal finestrino, strillando alle nostre spalle:
"Veramente sei ancora in debito con noi: un orgasmo vale molto di più di un pidocchioso spritz!"
"Scema tu che hai preso lo spritz." puntualizzo lottando con Alex per chiuderlo nel nostro palazzo e, nel contempo, cercando di stampargli un bacio sulla bocca.
"La pianti di fare il cretino? Dammi un bacio prima che a Jules esploda un occhio per lo stress da ritardo!”
Eppure lui mi schiva ancora una volta, tirandomi dentro il portone con lui.
“Alex, devo andare!”
“Stai calma, ci vorrà solo un minuto.” sussurra lui appoggiandosi alla ringhiera delle scale.
“Scintilla, seriamente: ci sono problemi se vengo con voi?”

Ancora? Alex è peggio di una donna!

“No, Alex. Non ci sono problemi. Ammetto che invitarti non è stato il mio primo pensiero, ma sono contenta che tu abbia accettato.”

Più o meno: in realtà sono terrorizzata. Ma questo credo che non glielo dirò.
Il mio coinquilino è chiaramente scettico e tace qualche secondo, esplorando il mio viso con quegli occhi da Pokemon alla ricerca di non so bene cosa.
“D’accordo.” sembra essersi convinto fin troppo facilmente, “Ci vediamo domani.”

Abbozza un sorriso per poi voltarsi, salendo le scale.
“Aleman, il mio bacio?”
“Tieniti stretto il ricordo di poco fa e fattelo bastare. Il bacio te lo darò domani, se te lo meriti.”
“Come so che manterrai la promessa?”
“Perché mi devi un orgasmo. E a me piace baciare mentre lo faccio certe cose con te.”

Vi sono esplose le ovaie? Sì, anche a me.

Terribilmente eccitata, lancio un ultimo sguardo al suo delizioso sedere: sospiro lievemente contrariata e mi decido a raggiungere le mie amiche in macchina.


 
Primo Stop

Sfortunatamente per voi la strada è lunga, quindi dobbiamo fare un po' di pause:
questa la facciamo breve e neutra, visto che siamo all'inizio. Due flessioni e potete tornare a leggere.



Posizionata al posto del guidatore, sento i loro occhi fissi su di me. A nulla sembra servire la mia indifferenza, al punto che, quando Bet si schiarisce la voce con insistenza, mi volto fingendo sorpresa:
“Cosa?”
“Il sesso ti rende impudente…” afferma Jules, “era meglio quando non scopavi.”
“Veramente scopava anche prima,” risponde Bet accarezzandomi la testa orgogliosa, “solo che quello era sesso scadente.”
Io le porgo il palmo della mano invitandola a batterci contro il suo.

“Errori imperdonabili che ho pagato. Ora solo sesso con i sacri crismi.”

Jules si limita ad additarmi insistentemente, borbottando che per un orgasmo venderei anche lei e che ora verremo azzannate dalle nutrie che si annidano certamente in casa di Bet. Vorrei avere una risposta intelligente da dare alla mia amica, ma la mancanza di logica che permea il suo monologo mi lascia perplessa. Troppo perplessa.

La vedo afferrare un CD dalla borsa: benché ancora intenta a brontolare, me lo porge scocciata, invitandomi ad accendere “il cazzo di motore.”

Premo la frizione, ingranando la marcia e leggo la scritta che occupa praticamente tutta la superficie del CD: “SEG On The Rod.”

Spengo il motore e fisso le parole.
“Ti vuoi muovere?” domanda Bet infilando la testa tra i due sedili anteriori per vedere cosa mi ha nuovamente distratta.

SEG. On the Rod.

“Jules, si scrive "Road" non Rod.” le faccio notare mentre lei si divincola per cercare di girare di nuovo le chiavi e mettere in moto.
“Che mi frega di come si scrive. È il mio CD, non la copertina della tesi.”
Bet, sempre incastrata tra i sedili, si concentra sull’altra parola che ora attrae anche la mia attenzione.

“Si scrive sega, non seg. Fai le seghe on the road? Jules, ma mi pare un disturbo gravissimo.”
“Che cosa?!” si indigna la riccia accanto a me, voltandosi verso di noi disorientata.

“Hai scritto Sega on the road… e hai sbagliato due parole su quattro.”
“Io non ho scritto sega, ho scritto SEG. Maiuscolo.”
“Eh, non è che col maiuscolo cambi molto.”

Jules appare improvvisamente esasperata da quella che lei pare identificare come nostra stupidità; si massaggia le tempie e ribadisce con voce calma:
“Ho scritto SEG. Le seghe le farete voi… Io con le mani il coso non lo tocco.”

Il che fa partire nella mia testa la voce del presentatore del circo che annuncia “Senza mani, siori, senza mani!”: ogni tanto divento come Homer Simpson, solo che le mie scimmiette sono meno dinamiche.

“Tu a Cucciolo fai solo pompini?!” la voce di Bet è schifosamente ammirata; io vorrei solo non aver avuto tra le mani il CD che fa da colonna sonora al petting automobilistico di Jules e Cucciolo.

“Sono le nostre iniziali, cretine.”

Al rimprovero, io e Bet ci zittiamo, gli occhi ancora sulla scritta e le rotelline nei nostri cervelli che si attivano.

S, Sofia. Okay, quella sono io.
E, Elisa. Ah, già, a volte mi scordo anche io che Bet si chiama Elisa. Non è importante: nessuno la chiama così da un po'.
G.

“Tu ti chiami Mariagrazia Giulietta…” le faccio notare inarcando le sopracciglia, cercando di capire. Sì, si chiama davvero così: i suoi non sapevano decidere quale nonna onorare, quindi le hanno dato entrambi i nomi.
“Shhhh! Avevate promesso di non chiamarmi più così!”
“Quando?” domanda Bet accasciandosi sul sedile posteriore.
“In quinta ginnasio.”
“In quinta ginnasio avevo anche promesso di darla solo ed esclusivamente a Nick Carter.”

Io ridacchio al ricordo di una rachitica Bet che giura sul poster dei Backstreet Boys che quello sarà l’unico autorizzato a renderla donna, come diceva sua madre.
“Jules, mezzo mondo ha un nome composto.”
“Sì, ma il mio ricorda troppo le tre grazie.” sbuffa infilando il CD nella radio e invitandomi con un gesto a decidermi a partire. “Grazia, Graziella e Grazie al cazzo.”

“Tu deliri. E in ogni caso non spiega perché ti sei segnata con una G, invece che con la M. O semplicemente la J, se il tuo nome ti urta tanto.” ribatto accendendo l’auto e uscendo dal parcheggio.
“Perché sì. Preferisco perdere il primo nome e tenermi solo Giulietta, okay?”
“Così puoi farti toccare la tetta destra da tutti come la statua di Giulietta Capuleti a Verona?” la voce di Bet giunge stranamente distante alle mie spalle e, guardando nello specchietto retrovisore, capisco che si è sdraiata ed è intenzionata a dormire per buona parte del viaggio.

La conversazione muore in una bolla, perdendo di significato per un po’ e lasciandomi il dubbio sulla grossa avversione di Jules al suo - certamente ingombrante - nome composto.
Mentre imbocco lo svincolo per l’autostrada, la voce fluttuante di Bet giunge a noi lievemente ovattata:
“Med, ma non dovevi pranzare con Leo invece di approfittare di Alex?”

Approfittare. Che brutto termine. Ho saggiato i doni di madre natura e i suoi talenti. Ne avevo diritto: le mie esperienze precedenti mi avevano dato una visione del tutto distorta di alcune specifiche maschili.
“Ha disdetto stamattina. Non so bene perché; ha solo detto che non ce la faceva e che dovevamo rimandare.”

Alla mia sinistra Jules sibila qualche parola rabbiosamente; nulla che io capisca, ma l’irritazione è abbastanza evidente dal tipo di suoni che emette. Le lancio un’occhiata curiosa, ma vedo che si sta lentamente massaggiando le tempie ad occhi chiusi: probabilmente l’accumulo di rabbia le ha causato un meritato mal di testa e non è esattamente connessa con me e Bet.
“E tu non hai indagato?”
“No. Tanto lo vedo domani. E poi anche tu mi hai più volte mollata all’ultimo e ancora non ti ho fatto un processo.”

Jules è ancora silenziosa; la mia amica bionda si mette a sedere, ignora la mia non troppo velata accusa e mi invita ad alzare il volume della radio: si unisce a Etta James armonizzando "At Least". 
Bet canta da Dio. Davvero. Potrebbe far addormentare Big-foot con un sorriso sulle labbra cantandogli una canzone Rap.

Ricordo che al liceo eravamo andati in gita a Venezia e - non so come - un gruppo di noi è ovviamente finito in gondola. Mentre ci muovevamo lentamente sull’acqua e parlavamo del più e del meno, Bet si è alzata in piedi di scatto e ha iniziato a cantare a squarciagola:

“Amami, Alfredo! Amami quant’io t’amo!”

Leo è quasi volato fuori dalla gondola, io ho avuto un ictus per lo spavento, mentre Jules e Jack hanno cominciato ad applaudire eccitati insieme al gondoliere.
La piccola bionda, con le sue doti canore, ci ha guadagnato un giro gratis in gondola.

Mentre Bet prosegue nel suo concerto personale, Jules sembra addormentarsi e io ne approfitto per fare un giro nel mio cervellino, cercando la lista di cose che mi piace fare, nell’inutile tentativo di capire quale debba essere la mia prossima mossa.
Tutto quello con cui mi ritrovo sono comuni passioni che non saprei trasformare in un lavoro neppure se ne fossi un’esperta, cosa che non sono. Il problema sembra essere non tanto che non ci siano cose che mi piacciono; ce ne sono molte. Il problema è che mi mancano le competenze e le conoscenze. Un po’ come se mi piacesse e sapessi un po’ di tutto, ma nulla sufficientemente bene.

Non avrei mai pensato che la parte più difficile sarebbe stata decretare cosa fare una volta mollata biologia; credevo che il macigno sarebbe stato essere onesta con tutti sul mio fallimento. Credevo: credevo un sacco di cose. Non ho ancora imparato che la maggior parte delle volte le induzioni basate sul nulla si dimostrano sbagliate e naïf.

Sulle note di “You & I” di Lady Gaga - mentre Bet improvvisa un controcanto Gospel - vedo l’uscita dell’autostrada che devo prendere e metto la freccia a destra:
“Bet, ora che usciamo dall’autostrada dove devo andare?”
Lei s’interrompe sul ritornello, addenta una caramella a forma di Puffo e, con sguardo confuso, mi domanda:
“E io che ne so?”
Jules si volta di scatto verso di lei, ora sveglissima, e sibila:
“È casa tua.”

“Allora?”

“Allora sei tu quella che deve sapere la strada per arrivarci.” le spiego con tono grave e minaccioso.
Lei incontra i miei occhi nello specchietto retrovisore:
“Ti sembro un fottuto navigatore satellitare? Cosa vuoi che ne sappia di dove dobbiamo andare?”
“Non ci sei mai venuta prima?” le chiede nel panico Jules prima di voltarsi verso di me e continuare: “Oddio come minimo non c’è neanche una cazzo di casa tra quei boschi. Finiremo a dormire in una grotta accerchiate dai lupi e dalle antilopi .”

Che glielo dice che in Italia non ci sono le antilopi? E che l’incontro più probabile sarebbe con una volpe?

“Certo che c’è una casa e sì, ci sono venuta diverse volte.”
“Dunque?” domando io in attesa che continui mentre Jules mi passa le monete per pagare il pedaggio.
“Ci sono sempre venuta con J.”
Io e Jules ci guardiamo per un istante confuse, poi Jules chiede:
“E cosa? Hai passato le due ore di viaggio ricurva su di lui e quindi non sai la strada?”

“Jules! Fai vomitare!” mi lamento cercando di bloccare l’immagine fuori dal mio cervello mentre Bet le tira uno scappellotto e risponde:
“Io non sono te. Non so la strada perché guidava sempre lui e io dormivo.”
“Meraviglioso.” borbotto io sottovoce cercando una piazzola dove accostare appena uscita dal casello. C’è di sicuro una tangenziale da prendere, ma la direzione?
“Tu sei l’amica più stupida che abbia.” si lagna Jules incrociando le braccia sul petto e sprofondando nel sedile.
“E tu sei la più ninfomane.” risponde Bet imitando le sue azioni e mettendo il broncio.

“No, quel premio lo vince Med.”
“D’accordo, ora chiudete il becco tutte e due. Jules, apri Google Maps. Bet, chiama J e chiedigli l’indirizzo. Non vi voglio più sentir fiatare fino a che non arriviamo a quella maledetta casa.” minaccio e sospiro spazientita.
Vedo Bet fare delle smorfie mentre ripete le mie parole con una fastidiosa cantilena ed estrae il cellulare dalla borsa. Quando riattacca sollevo le sopracciglia in attesa di istruzioni, ma lei mi fissa e tace.

“Quindi?”
Lei fa spallucce mentre, con aria di sfida, borbotta in risposta:
“Hai detto che non volevi più sentirci fiatare.”
Io e Jules ci guardiamo incredule per pochi secondi, poi la mia amica riccia si slaccia la cintura di sicurezza e si lancia sul sedile posteriore, allungando le braccia nel disperato tentativo di strangolare Bet. Io mi copro il viso stupita e allarmata, ma comincio a ridere quando vedo le gambe di Jules dimenarsi nell’aria.
Bet si è appallottolata dietro di me, sghignazza indicando la nostra comune amica che è rimasta incastrata tra i due sedili anteriori e che strilla in preda all’ira.
Opto per lasciare che risolvano la questione tra loro con la violenza, sperando che non ci siano eccessivi spargimenti di sangue.
                        
Come per i bambini, la discussione si spegne una volta che Bet è riuscita a disincastrare Jules; la riconoscenza in un’amicizia viene prima di tutto.
Un paio d’ore dopo, giunte alla nostra meta (che si rivela essere una splendida ed enorme casa davvero rustica circondata da un piccolo boschetto privato e munita di una impercettibile vista lago), Bet si rifiuta di aiutarci a sistemare la casa e scaricare l’auto, adducendo ad una fantomatica nausea causata dalla mia pessima guida e dagli innumerevoli tornanti che ci hanno condotte fino qui.

Stranamente Jules non protesta più di tanto di fronte alla pigrizia della nostra amica.

Più tardi, quando tutto è stato stipato nella dispensa della cucina e ognuna di noi ha preso possesso di una delle sei stanze, ci ritroviamo accoccolate sotto il portico con un bicchiere di vino rosso a guardare il tramonto.

“Ho lasciato Giorgio.” mormora Jules nel confortevole silenzio sceso tra di noi.
Jules non chiama mai Cucciolo Giorgio. Mai.

Io e Bet, sedute ai lati della nostra amica, ci solleviamo dagli schienali delle nostre sdraio e ci scambiamo un’occhiata sorpresa.
“Che cosa?” chiedo io confusa.
“L’ho lasciato.” risponde lei senza spostare gli occhi dall’orizzonte e bevendo un sorso di vino dal suo calice gigante.

Improvvisamente il suo comportamento bizzarro di oggi sembra trovare un senso. Anche la sua avversione per parte del suo nome: Cucciolo era l’unico che a volte la chiamava Mariagrazia.

Non erano certo una coppia d’oro, ma rompere con qualcuno non è mai facile. Soprattutto se ci stai insieme da così tanto.

“Per quanto questa volta?” domanda Bet scherzosa, ma non ottiene nessun sorriso dalla nostra amica, che sospira e ribatte:
“Per sempre, credo.”
Le sue affermazioni silenziose e brevi ci fanno capire che questa volta è diverso. Stavolta fa sul serio. Non è una delle tante volte in cui, in un momento di noia o d’ira, ha mandato a casa Cucciolo dicendogli che era un uomo delle caverne senza un briciolo di cervello o rispetto per gli altri.
Mi mordo il labbro inferiore, colta alla sprovvista dalla notizia e dall’ombra di vulnerabilità che oscura il viso di Jules. Appoggio una mano sul suo ginocchio e le sussurro:

“Quando è successo?”
“Due giorni fa.” mormora lei con il viso chino sul suo grembo.
Sembra quasi che le parole che lasciano la sua bocca siano registrate. Come se si stesse sforzando di rispondere alle nostre domande. Come se la sua voce non fosse davvero la sua.
                                        
Cadiamo nuovamente in un silenzio breve e teso, rotto solo dal cinguettio di qualche uccellino e dal frinire dei grilli, fino a che Bet chiede:
“Perché non ce l’hai detto prima?”
Lei sposta gli occhi verso il soffitto e si lascia cadere sullo schienale della sua poltroncina, appoggiando il bicchiere a terra e tirando le maniche della felpa oltre le dita:
                        
“Che differenza avrebbe fatto?”
“Nessuna.” rispondo sinceramente io.
“Esatto. Nessuna. Ormai l’ho fatto.” la sua voce è bassa e un po' tremolante.
“Sei pentita?” provo a capire, preoccupata.
“No, non sono pentita. Solo che è strano.” spiega lei gesticolando, eppure la sua voce sembra riflettere la nostra stessa confusione.

“Che intendi per strano?” le domando fissandole un ciuffo di ricci dietro l’orecchio per riuscire a vederla meglio.
“Insomma, io ho passato gli ultimi anni sapendo che lui era nella mia vita. Non lo so, non riesco a scinderlo bene da me. Non so di preciso come mi sento. Dire che non mi manca sarebbe un’ipocrisia: ero talmente abituata alla sua presenza che, ora che so che non c’è, mi sembra impossibile. Però l’ho fatto perché era il momento di farlo. Io e Cucciolo come coppia non funzionavamo, non abbiamo mai funzionato...”
Lascia la frase sospesa nell’aria, come se non sapesse bene cosa dire. Come se le venisse difficile raccontare quello che sente e pensa. Ma, in fondo, sappiamo tutti che ridurre i sentimenti ed i pensieri a parole è sempre un’impresa impossibile. È come cercare di chiudere un elefante dentro una bottiglia da mezzo litro.

Bet cerca di attirare la sua attenzione pronunciando piano il suo nome, ma Jules sembra proiettata da un’altra parte.
“Jules...” ripete lei più forte.
La nostra amica si volta a guardarla con grandi occhi interrogativi.
“Perché l’hai lasciato?” domanda Bet timida.
Il silenzio torna a dominare per qualche attimo. Posso quasi vedere le rotelle di Jules muoversi nella sua testa mentre cerca la spiegazione giusta.

“Ho scritto una lista di motivi per cui non dovevo stare con lui.” inizia imbarazzata e noi inspiriamo consapevoli dell’abitudine della nostra amica di fare liste di pro e contro per prendere decisioni. Poi lei prosegue.
“Erano cinquantadue. Negli anni ho accumulato più di cinquanta motivi per non stare con lui. E solo cinque per continuare la nostra storia.”
Fa una breve pausa, deglutendo a fatica, probabilmente aspettando un nostro intervento che non arriva.
                        
“Forse l’unica ragione per cui l’ho tenuto con me è che credevo di averne bisogno. Per esistere, ecco.”
“Che vuol dire?” chiedo confusa.

 “Non lo so. Vuol dire che ho come l’impressione che lui fosse un’accentuata proiezione di quello che mi manca. Ma non delle cose positive. Dei difetti.” spiega lei, aumentando la nostra confusione.
“Non ho capito.” dice secca Bet, incrociando le gambe e voltando tutto il corpo verso Jules.
“Neanche io.” ride lei, raccogliendosi i capelli e fermandoli con un bracciale tondo d’argento. Sorrido quando muove la testa e vedo quel piccolo oggetto luccicare tra la cascata nera di riccioli che intrappola.
Il sole ormai è praticamente tramontato e comincia a fare freddo, ma siamo troppo pigre e stanche per muoverci.
                        
“Però mi manca.” sussurra Jules mentre fa scivolare tra le dita una ciocca per poi arrotolarsela distrattamente attorno alla punta del naso.
“Mi pare normale.” puntualizza Bet senza muoversi di un millimetro.
“Jules, sei davvero sicura che sia quello che vuoi?” provo a domandarle cauta.
                        
“ Sì, sono sicura di aver preso la decisione giusta per me. Ma questo non rende le cose più facili.” bisbiglia con voce cristallina, ma senza tristezza.
“Okay, allora. Forse è solo questione di tempo. Dicono che il tempo migliori tutti. Personalmente la ritengo una gran stronzata, ma chi lo sa, magari è vero.” dico pacifica rotolandomi su un fianco e chiudendo gli occhi e Jules sopprime una risata.
                        
“Tu non sei mai d’accordo con le perle di saggezza che il mondo ha accumulato.” esclama senza dubbi.
Io inspiro e sorrido fiera non so neanche di che cosa, ribattendo:
“Non sono perle di saggezza, amica mia. Sono un mucchio di luoghi comuni e banalità inventate da chi aveva bisogno di convincersi di avere una speranza.”
                        
“Quanto sei distruttiva. Vado a farmi la doccia, il tuo pessimismo mi deprime.” annuncia Bet alzandosi e, lasciando cadere un bacio sui capelli di Jules, sparisce dietro la porta di casa.

Jules si solleva dalla sua posizione e mi spintona un po’, costringendomi a farle spazio sulla mia sdraio; si appallottola al mio fianco, abbracciandomi e sprofondando il naso contro il mio collo.
Io le avvolgo le spalle, sussurrando piano:
“Starai bene, amica.”
“Anche tu.” mormora lei rilassandosi e chiudendo gli occhi.


ALT! STOP! FERMi!

So che volete vedere come va avanti, ma se sono stanca io... non oso immaginare come state voi.
Pigliate della cioccolata: potrebbe essere utile per proseguire.
E acqua, tanta acqua.
Se dovete fumare, fatelo ora... Non so ancora quando lo potrete fare. Le pause si decidono in corso d'opera.





Quella sera, dopo aver cenato (con porcherie che farebbero inorridire ogni mamma con una figlia sovrappeso) e aver scolato ben due bottiglie di vino per rendere ufficiale la rottura di Jules e Cucciolo, mi cambio in un - per me molto sobrio - pigiama e mi siedo sul materasso. Fisso lo schermo dell’iPhone, combattuta sul da farsi.

Chiamare o non chiamare Alex.

Dilemma lecito: se lo faccio il rischio è di apparire appiccicosa. Se opto per il no, potrei dargli l’impressione di non essere interessata ad altro che non sia il sesso.
Per una volta, però, decido di lasciarmi guidare dall’istinto: apro l’applicazione di FaceTime e, senza troppi indugi, premo sul contatto di Alex.

Tre squilli dopo il mio schermo si riempie dell’immagine del mio coinquilino seduto al tavolo della nostra cucina, ricurvo su un foglio.
“Ciao, Scintilla…”
“Ciao a te,” borbotto distratta con gli occhi fissi sulla sua mano che fa scorrere la penna sul piccolo pezzo di carta.
“Che stai scrivendo?”

“Facevo una lista molto volgare di modi con cui puoi mostrarmi la tua gratitudine.”  
“Io non ti devo niente… Ti ricordo che non mi hai voluto baciare.”
“Sì, ho considerato anche quello nella mia lista, ma alla fine io ci metterò poco a risolvere quella questione.”
“Sbrigativo… Molto invitante, Alex.” ribatto rotolandomi a pancia in su sul letto e reggendo lo schermo dell’iPhone con un braccio teso.

Alex appoggia la penna sul tavolo e, d’un tratto, i suoi occhi sembrano catalizzati da qualcosa di specifico sulla parte inferiore dello schermo.
“Mi senti?”
“Scintilla, ti spiace abbassare il telefono di una decina di centimetri?”
“Perché?”
“Tu fallo, poi te lo spiego…” insiste con aria sempre più attenta e avvicinando il viso allo schermo.
Io, dubbiosa, piego il braccio in modo che l’iPhone sia un po’ più vicino al mio volto; Alex però disapprova all’istante.
“Non verso la faccia. Verso il basso… Tipo… più giù!”

In momenti come questi mi chiedo se il suo sia un problema linguistico o se è solo incapace di comunicare in modo diverso da Io Tarzan, tu Jane.

“Giù dove?”
Lui gesticola con enfasi indicando il pavimento e, senza pensarci, imito i suoi gesti e sposto il telefono orizzontalmente verso la pancia.
“No, troppo!”

Inverto di nuovo la rotta e torno a inquadrare il mio viso, cominciando ad essere un pelo frustrata.
“Okay, ora un po’ più giù…”
“Così?”
“Ancora qualche centimetro…”
Io ubbidisco, pericolosamente vicina al desistere e ad interrompere la comunicazione, fingendo un guasto al 3G, finché lui non esclama estasiato:
“Perfetto!”
Cerco di spiare nello schermo che cosa diavolo stesse cercando, ma il riflesso del vetro mi impedisce di cogliere il dettaglio tanto bramato da Alex:
“Quindi?”
“Messa così hai delle tette spettacolari!”

Alla sua affermazione, invece di scandalizzarmi, riesco a pensare solo ad una cosa: qualcosa di nuovo, qualcosa di… beh, lussurioso.
“È il tuo modo per chiedermi di fare sesso al telefono?”
“Lo faresti?”

La domanda è complicata: lo farei? No, in tutta onestà non ho mai pensato di essere una da sesso telefonico. Non ho mai capito cosa si dicesse la gente di così particolare da far eccitare l’altro semplicemente con le parole: non credo che due porcherie sussurrate qui e là senza sostanza da toccare possano soddisfare.
Senza considerare il fatto che l’autoerotismo è qualcosa di molto privato; una volta col telefono non c’era il problema del “guardami tu che ti guardo io”. Ora mi sembra di tirare un po’ troppo la corda della mia trasgressione.

Non sono decisamente pronta a farmi vedere da Alex in quello specifico atteggiamento; e - a dirla tutta - non so se sono pronta a  vedere lui.

Dai, siamo onesti: potrebbe essere una delle cose più ridicole del mondo. Inoltre - grazie a quei signori che pensavano che dovessimo essere sempre tutti rintracciabili, visibili, disponibili - c’è il problema telecamera: già, perché quando tu videochiami c’è una maledizione che ti perseguita e ti impedisce di guardare in camera o di osservare effettivamente il tuo interlocutore.
Sto parlando della propria immagine, piccina, appiccicata sopra l’immagine più grande di quello che avete videochiamato; bene, io quando sto parlando ogni sei secondi mi trovo ad abbassare lo sguardo sulla mia immagine, notando ogni mostruosità evidente sul mio viso.
Ecco, ci immaginiamo una situazione del genere durante una videochiamata hot?

“Lo faresti? Con me, intendo…” ritenta Alex, per nulla scoraggiato dal mio silenzio - evidente sintomo di indecisione. D’un tratto mi si annida nella mente un quesito, un dubbio, un sospetto lancinante.
“Tu l’hai mai fatto?”
Way to deflect…” borbotta lui alzando gli occhi al cielo e, per un momento, sono sicura che questo voglia dire che l’ha fatto.
“Non sto tergiversando, è solo una curiosità.”

Una curiosità proprio per un cazzo. Voglio saperlo, perché se la risposta fosse sì, temo di avere un grosso e velenoso problema: la gelosia.

“Se dico di sì che cosa succede?”

Succede che voglio i dati della svergognata con cui l’hai fatto, in modo da poterle andare a tirare uova marce sulla porta di casa.

“Nulla.”
“Bugiarda.” Alex sorride, incrocia le braccia e si avvicina alla telecamera, “Scintilla, sei gelosa?”
“La gelosia è per gli sfigati.”

E io sono una sfigata, perché credo proprio di essere gelosa.

“Allora non hai nulla in contrario se ti insegno come si fa? Lo hanno insegnato anche a me un paio di anni fa.”

Ora riattacco.

“Ovviamente no. Prego, Eros, mostrami l’arte della porno videochiamata!”
La mia è indubbiamente una sfida e Alex lo percepisce nella mia voce, lasciandosi sfuggire una risatina e accarezzando fin troppo il suo ego, avendo possibilmente trovato conferma della mia lieve gelosia.
Essere gelosa in questo caso è alquanto pericoloso.

“Il problema è che ho una insana voglia di sentire il sapore della tua pelle sulle labbra…” mormora pianissimo fissando dritto nello schermo.

Merda.
Indifferenza, Med, mostra indifferenza.

“E non mi dispiacerebbe affondare le unghie da qualche parte.”
“Non suona molto sensuale.” sto balbettando, il che mostra assolutamente che solo immaginare la cosa mi manda in calore.
È anche vero che Alex sembra aver risvegliato certi istinti: forse il mio è un problema di tiroide.

“C’è un punto...” sussurra lui leccandosi le labbra e lascia la frase a metà.
Cinque secondi di silenzio e sto soffocando per l’onda di calore che è salita dalle mie parti femminili fino alla gola; sei secondi e cedo.
“... sì?”
I suoi occhi si stringono in un sorriso orgoglioso e consapevole, che diventa subito contagioso.
Lo vedo ritrarsi dallo schermo per appoggiarsi allo schienale della sedia, in modo da offrirmi una migliore prospettiva; solleva la maglia per mostrarmi il suo ventre.

“Più o meno qui…” le sue dita si posano accanto all’ombelico, “No, più giù,”
il polpastrelli precipitano verso il basso e completamente fuori dalla mia visuale, bloccata dal bordo del tavolo.
Glielo dico?
“Ecco, qui. Qui è il punto in cui si sente di più il profumo della tua pelle.”

Dove? Dove?

“E non so se mi basta immaginare di passare lì e respirati. E vorrei anche provare a morderti lì, per vedere se anche il sapore è così intenso.”

DOVE?!

“Quindi, credo che mi terrò questo piacevole desiderio fino a domani.”
Desiderio? Lui? Io ho il sistema ormonale che grida mayday: ora io cosa faccio?
Forse è arrivato il momento che, ad esempio, emetta qualche suono. Dovrei anche controllare la mia immagine perché credo di aver “arrapata” stampato sulla faccia.

“Sei troppo spaccone, Aleman…” sibilo tra i denti, un po’ imbarazzata per la facilità con cui mi lascio coinvolgere da Alex, ma allo stesso tempo compiaciuta del fatto che per la prima volta il sesso ha come filo conduttore un aspetto ludico e passionale.
Insomma, non è squallido: è una continua esperienza diversa.

“Davvero?”
“Non pensare di poter fare la femmina tra di noi: mi piace un sacco quello che facciamo, ma se pensi di essere l’unico che può usare il sesso come arma, ti sbagli di grosso.”
Ed è lì che ottengo la mini-vittoria della serata: lui impallidisce lievemente e si irrigidisce.
“Non lo faresti…
Stai minacciando di non fare più sesso con me? Non tollereresti l'astinenza.
“Dici? Vuoi mettermi alla prova?”

No, non vuole: mi eccita in modo vergognosamente impuro, ma devo far valere il potere della vagina, o qui finisce che lui diventa quello col coltello dalla parte del manico.
“No, no… cioè…” ora a balbettare è lui, “Non ne saresti capace. ”
“Se te la senti di rischiare.”

Si mordicchia l’unghia del pollice per un tempo non definito: i suoi occhi che si muovono sulla mia immagine sullo schermo e il suo viso che si contrae in piccole microespressioni di indecisione. Poi fa un respiro profondo, ammicca e conclude:
“Fatti trovare nuda domani e nessuno si farà male.”
“Imbecille.”
“Prometto di saldare il mio debito con un bacio degno dell’attesa.”
“Buono a sapersi.”
“E tu? Cosa prometti?”

Ridendo mi muovo sul letto per mettermi seduta, provando un vergognoso piacere nella sola idea di prolungare un po’ la sua sofferenza. Alla fine decido che concludere con un non-detto è la cosa più giusta.
“Prometto di pensare a te come qualcosa di diverso da un semplice oggetto sessuale.”

Sì, lo so, non significa niente: anzi, suona decisamente come una minaccia di deprivazione erotica, ma la sua espressione delusa è una conquista troppo grande per fargli sapere che la cosa turba forse di più me.

“A domani, Aleman.” e riattacco, senza concedergli la possibilità di replicare.
Un attimo dopo lo schermo del mio telefono si illumina, segnalando un messaggio in arrivo.

Stai diventando troppo sicura di te. Sarò costretto a fartela pagare… Una volta che la mia bocca sarà in prossimità di quello specifico punto di cui ti parlavo poco fa.

E, per l’ennesima volta, un brivido si scioglie nella mia pancia mentre nella mia testa risuona uno stizzito “Quale punto? Dove?!”.

Mi scopro a sorridere come una cretina, rileggendo un paio di volte il suo sms, quando la porta della mia stanza si spalanca e le mie amiche si fanno strada fino al mio letto.
Jules, sfoggiando un discutibile pigiama leopardato, solleva le coperte e ci si infila sotto:

“Le pareti di questa casa sono molto sottili, Med. E tu sei una vera vacca.”

Quando anche Bet, con la sua tutina intera da notte (che, concedetemelo, non è certo meglio dei miei pigiami), prende possesso di parte del mio letto, capisco che hanno deciso che vogliono dormire con me.
“Io non ho mai fatto le porcherie al telefono: quell’Alex ti ha tolto i freni inibitori.”
“Non ho fatto sesso al telefono, ma ammetto che ora sono incredibilmente affascinata dall’idea di provarlo.”
Bet si sporge in avanti per trovare lo sguardo di Jules:
“La nostra bimba cresce.”
“Se cresce a questo ritmo tra poco supera la barriera del sesso.”

Che cos’è la barriera del sesso?

“Nah, troppo presto per il lato b.” risponde la bionda alla mia sinistra.

Ah, quella è la barriera del sesso? No, non sono pronta per andare oltre la barriera del sesso con Alex. Decisamente non pronta.
“Nel sesso c’è solo una cosa troppo presto.”
“Che sembra essere il problema di Med.”

Proseguono come se io non fossi attualmente posizionata sul materasso insieme a loro: la loro attenta analisi della mia sessualità ormai è diventata un normale argomento di conversazione. Il che è abbastanza comune tra donne.

“Med, la prossima volta cerca di pensare ai tuoi, magari ti si blocca la libido.” suggerisce placida Jules, sdraiandosi completamente sotto la coperta e mettendosi comoda.

A quel punto suppongo sia arrivato il momento di far notare loro che ci sono altre camere in cui dormire.
“C’è una ragione per cui avete deciso che potevate invadere il mio letto?”
Vedo Bet sporgersi verso l’interruttore e spegnere la luce, prima di degnarmi di una risposta:
“Jules ha detto che la sua camera era inquietante e che tu avresti condiviso con gioia le coperte con lei.”
“Si sbagliava.” mi limito a ribattere mentre tento di conquistarmi un po’ di spazio tra loro per sgusciare sotto le lenzuola. Eppure il mio disappunto non viene registrato dal cervello delle mie amiche.
“Quindi Bet, che non percepisce assolutamente la competizione, ha deciso che se io dormivo con te, era giusto che lo facesse anche lei.”

A poco servono le mie proteste: cinque minuti dopo entrambe hanno liquidato la mia volontà di stare da sola e, dopo avermi assegnato la porzione centrale di materasso, sono rapidamente cadute in un sonno profondo.

La mattina successiva, nel totale silenzio di questo posto incontaminato e privo di sveglie a traumatizzarci, mi alzo dal letto ad un orario socialmente vergognoso: sono le 12 e 53 e, alla mia destra, Jules è ancora immersa in un sonno profondissimo.
Il lato sinistro del letto, però, è vuoto e freddo, ad indicare che Bet si è alzata da un bel po’.

La trovo sotto il portico, avvolta in una coperta leggerissima, mentre sorseggia una cosa che puzza di finocchio.
Con una tazza di caffèlatte tra le mani e un pacco di merendine sotto al braccio, mi siedo sulla vecchia sedia a dondolo accanto a lei e, solo in quel momento, la mia amica si volta verso di me e mi sorride:
“Ho sentito J. Tra qualche ora partono…”

Con il sonno ancora negli occhi, mi limito ad annuire e a sorseggiare lentamente il caffè, cercando di non sentire il suo sguardo fisso su di me.
“Med, hai pensato a cosa vuoi fare? Al posto di biologia, intendo…”

Ah, se ci ho pensato. Sì, ci ho pensato parecchio: e stavolta non l’ho fatto perché so di dover dare una risposta ai miei. L’ho fatto perché capirlo mi serve per comprendere meglio i miei confini.
Non saperlo sfuma i contorni dell’immagine che ho di me: prima di decidere di lasciare l’università avevo qualcosa con cui identificarmi. Per quanto statica fossi, avevo una categoria dentro la quale piazzarmi.
È vero che ciò che scegliamo come mestiere non può definirci come persone, ma è parte di ciò che vogliamo essere.

Ci sto pensando, eccome: mi serve solo un po’ di tempo. O forse qualche suggerimento. O un’occasione. O di crearmela da sola, l’occasione.

“Sto vagliando le possibilità, per ora con scarsi risultati.”
La mia amica sposta gli occhi da me, concentrandosi sullo scorcio di lago che si intravede tra gli alberi del boschetto in cui è immersa la casa.
“So che vorresti una risposta subito, Med. Lo capisco, ma non farti fretta: le risposte giuste non arrivano facilmente.”
“Non ho intenzione di farlo…”
“Bene. E non cercarla in fretta per i tuoi genitori, okay?”

Quando sei trasparente per un amico, rischi di sentirti in pericolo; ma quando l’amico è qualcuno come Bet, puoi solo sorridere, perché nonostante le tue imperfezioni, lei è ancora lì:
“Non stavolta.” rispondo dando una piccola spinta con i piedi e godendomi il leggero ondeggiare della sedia a dondolo.
Cadiamo in un confortevole silenzio per qualche minuto, godendoci l’aria fresca e assaporando una colazione che sa di pace.
“Se ti serve qualche idea, fammelo sapere.” mormora lei sorridendo, la voce leggera nel tentativo di non spezzare il ritmo lento e disteso di questo risveglio. Così diverso dai nostri risvegli in città. Così surreale.

“Per ora vorrei fare da sola.” rispondo piano. Sono grata per l’offerta, però sento il bisogno di essere indipendente. Autonoma. Responsabile per me e di me.
Tutte sensazioni nuove per me: nuove e immensamente piacevoli.
“Così si parla.”

“Sarebbe meglio se si parlasse di meno quando la finestra della camera confina col portico e si lasciasse dormire la propria amica.”

La voce di Jules dietro di noi è appesantita dal sonno, mentre si fa strada verso di noi: i ricci scuri che le coprono il viso e gli occhi ancora  stanchi.
“Med ha deciso che vuole fare da sola…”
Jules si siede accanto a Bet, rubandole la tazza dalle mani e annusando disgustata il suo contenuto.
“Che roba è?”
“Tisana al finocchio.”
“Che schifo.” le restituisce l’oggetto e opta per la scatola di merendine. “Fare cosa da sola? Stasera c’è Alex… Non riesci ad aspettare lui?”
“Non quello, sporcacciona!” l’apostrofa Bet “Vuole scoprire da sola cosa fare da grande.”

Jules mastica lentamente un morso della sua colazione, scrutandomi silenziosa: ricambio il suo sguardo, principalmente perché è ancora troppo presto per elaborare una frase con più di sette parole. La mia amica deglutisce, scambia un’occhiata veloce con Bet e poi mi sorride assonnata:
“Brava, piccola Sofia. Autorealizzazione: punti alla cima della Piramide di Maslow.”
Cosa cazzo stia dicendo non lo so io e - dalla sua espressione - non lo sa neanche Bet, però la lasciamo parlare.

“Intanto posso fare una lista di emergenza di professioni che ritengo perfette per te?”
“Se proprio devi.”
“Devo.” gattona in casa velocemente e ritorna in posizione eretta con il suo telefono tra le mani.
“Jules,” dico sospettosa quando la vedo sogghignare compiaciuta, “Leggimi il primo lavoro…” ma lei scuote la testa.

Bet si alza dalla sua posizione e, in punta di piedi, sbircia oltre il telefono della riccia.
“Rappresentante de La vagina rossa...” dice confusa contorcendo il viso in una smorfia che perdura anche quando Jules la corregge:
"Valigia rossa."
“Cosa cavolo è la valigia rossa?”

Vorrei saperlo anche io, benché qualunque lavoro in cui io debba fare la rappresentante di qualcosa sembra una pessima idea.
“Avete presente le riunioni del Bimby e della Tupperware?” risponde Jules alternando lo sguardo da me a Bet. Quando ci vede annuire, prosegue:
“Ecco, tipo quello, ma con i sex toys!”

Ora, so che degli amici veri non ci si dovrebbe mai lamentare, però di quelli con un pessimo senso dell’umorismo si può, eccome. 
Ma, vista la sua recente rottura, mi sento clemente e lascio che prosegua nella stesura di una lista che non verrà mai presa in considerazione; probabilmente in metà di quei lavori io sarei nuda.


Pausa di emergenza:

sono certa che tra di voi ci sarà qualche temeraria che prima non ha approfittato delle pause
e non ha seguito i consigli della direzione.
Potete correre ora a fare pipì, procacciarvi del cibo, bere (solo acqua per i minori di 18 anni!) e varie ed eventuali!




Passiamo buona parte del pomeriggio in pigiama, oziando, mettendoci e togliendoci lo smalto e cercando di mantenere la conversazione su argomenti leggeri, non del tutto seri: a volte distrarsi serve di più che affondare in strazianti analisi.

Quando si è quasi fatta sera, ormai terminato il nostro giorno di cura personale e di chiacchiere che non vanno da nessuna parte, il rumore di un’auto che arranca per superare la salita che porta a casa di Bet attrae la nostra attenzione.
Pochi secondi dopo vediamo spuntare la macchina di J che attraversa il cancello arrugginito e percorre il breve sentiero di mattonelle che conduce fino al portico da cui noi osserviamo la scena.

Bet schizza in piedi e lancia un urletto estasiato, saltellando in mezzo al prato finché non raggiunge la portiera dal guidatore, spalancandola.
Trascina il suo ragazzo fuori dall’abitacolo, tirandolo per un braccio.
                    
                        
In lontananza intravediamo Leo, Roby ed Alex uscire dall’auto; scaricano le loro borse dal bagagliaio in una perfetta catena di montaggio e, accanto a loro, appoggiati alla portiera, J e Bet si incollano l’uno all’altra.
                    
Bet, con le braccia agganciate attorno al collo del suo ragazzo, con una piccola spintarella fa un minuscolo salto; le mani di J sono rapidissime nell’afferrarla per sostenere il suo peso, mentre le gambe di lei si avvolgono attorno alla sua vita.
J, con gli occhi chiusi e le mani sotto il fondoschiena della nostra amica, si lascia andare contro la carrozzeria della macchina e china la testa all’indietro, mentre cattura le labbra di Bet in un bacio dolcissimo. I capelli biondi di lei scendono attorno al suo viso e nascondono l’attimo di intimità ai nostri occhi, ma la sentiamo ridacchiare felice mentre gli accarezza il collo e lui le solletica la schiena.
                        
“Se vi dite che vi amate, vomito!” urlo mentre anche io e Jules ci avviciniamo.

Il viso di J spunta dalla spalla di Bet con un sorriso enorme e accompagna con delicatezza la mia amica fino a che i suoi piedi non toccano di nuovo terra. Lei si volta verso di me, solleva una mano e mi porge il terzo dito. Poi, ignorandoci, ricomincia a molestare il suo ragazzo che, ridendo, affonda una mano nelle onde dei suoi capelli e si dimentica di noi.
                        
Jules, una volta raggiunti gli altri, si lancia sulla schiena di Roby e gli strilla nell’orecchio:
“Ehi, secchione! A cosa dobbiamo l’onore di averti qui? Non ti senti in colpa per aver abbandonato i tuoi poveri libri? Non vorrei mai che ti si staccassero pezzi di cervello per la mancanza di informazioni. La devi nutrire questa testolina, se no chi ci mantiene quando saremo tutti disoccupati e infelici?”
                        
Roby lascia cadere la borsa che ha in mano; sghignazza, piegandosi in avanti per assicurarsi di non far cadere Jules.
“Mi preoccupo di più per la mia colonna vertebrale. Sei ingrassata Jules! Pesi quanto una elefantessa incinta!” risponde il mio amico con un sorriso quando Jules emette un suono indignato prima di tirargli uno scappellotto.
                        
“Non te la prendere Jules,” si intromette Leo emergendo dal bagagliaio “basta che ammetti di essere un travestito e il tuo peso non sembrerà più fuori luogo. Gli uomini pesano di più, è un dato di fatto.”
Jules, scesa dalle povere spalle di Roby, borbotta qualcosa che somiglia molto a impotente segaiolo prima di marciare stizzita verso la porta d’entrata.

“Come è andato il viaggio?” chiedo raggiungendo il retro della macchina.
Alex solleva la testa dal bagagliaio e accenna un sorriso, prima di tirare fuori il suo borsone.
“Benone,” risponde con un’espressione poco convincente, “ho sentito un sacco di racconti sulla tua gioventù.”

Rabbrividisco. Altri racconti sulla mia gioventù. Fatti da Leo e Roby: non è un bene.
Vedo Roby sollevare il suo trolley e, non appena le sue parole giungono al mio orecchio, capisco il perché dell’aria severa di Alex.
“Alex non sapeva che sei stata innamorata di Leo.”

E ovviamente era il caso di raccontarglielo, vero?

Deglutisco colpevole e, al sorriso compiaciuto di Leo, devo davvero trattenermi per non colpirlo con una pietra sui denti.
“Innamorata, che parolone.”
“Eri cotta come un cotechino, ammettilo.” si pavoneggia Leo, completamente ignaro degli occhi di Alex piantati sul retro della sua testa, lo sguardo scuro e il viso rigido.

Ehm.
Non dovrei essere esaltata per il suo evidente turbamento, vero?
Pazienza. Lo sono. Molto.

Quando Bet arriva a salutare anche Alex - senza baci con la lingua, ovviamente - Leo si piega lievemente verso di me.

“Ti sei fatta Alex?”
“Leo!”
“Rispondi: sei andata a letto con Alex?”
“Impiccione…”
“Sì o no?”
Trascino il silenzio per qualche altro secondo, godendomi parzialmente la leggera tortura che l’attesa sembra provocargli, e poi rispondo:
“Sì.”
“No, merda!” esclama lui, dandomi una piccola spinta sulla spalla e controllando dietro di sé per assicurarsi che nessuno lo senta.

“Che problema hai?” chiedo confusa e lievemente contrariata.
Dovrebbe solo essere felice per me che sono passata da L a Alex; lui ha sempre disprezzato L ed ero più che sicura che Alex gli facesse simpatia.
“Non potevi tenertela stretta ancora una settimana?”

Me la sono tenuta stretta anche fin troppo: io ad Alex l’avrei donata diversi giorni prima. Solo che le circostanze mi hanno costretta a posticipare.
“Perché?”
“Avevo scommesso con Jack che non avresti consumato prima della settimana prossima.”

Quando i tuoi amici scommettono soldi sull’attività della tua vagina, capisci che è il momento di mettere qualche paletto.
“La prossima volta che fai una cosa così squallida, ti assicuro che dichiaro defunta la nostra amicizia.”
“Il fatto che tu non mi abbia detto che stavi con Alex non è comunque un buon segno per la nostra amicizia. Pensavo ti fidassi di me.”
“Mi fido…” rispondo con sicurezza.

Una sicurezza che, però, non sembra convincerlo più di tanto; comincio davvero a pensare che io e Leo dobbiamo trovare un nuovo modo di comunicare. Tutta le tensioni e le insicurezze degli ultimi mesi sembrano incombere sempre e comunque sui nostri discorsi.
Sto per proseguire, quando alle mie spalle sopraggiunge Alex.

“Mi fai vedere dove devo dormire?” mi chiede costringendomi a voltarmi, “Ho anche una cosa per te, se non sbaglio.”
I suoi occhi rovinano veloci sulle mie labbra, ricordandomi che ho un bacio da riscuotere.
Leo, accanto a me, viene fortunatamente distratto dalla mia amica che gli getta le braccia al collo (credo più in un tentativo di salvare me che per un reale entusiasmo incontenibile di avere Leo qui).
Mi incammino verso l’entrata e Alex - dopo un ultimo sguardo a Leo - mi segue in silenzio fino alla camera che ho scelto ieri.

Quando varco la soglia della stanza, il mio coinquilino chiude la porta alle sue spalle, voltandomi verso di lui con un gesto secco.
"Ti devo parlare." afferma avvicinandosi pericolosamente al mio viso, lo sguardo duro.

"Di Leo?"
"No, ma prima saldo il mio debito."

Non mi lascia il tempo di rispondere: in un attimo le sue labbra sono premute contro le mie e le mani sono scivolate sul mio sedere. Le dita prepotenti contro di me, mentre la sua bocca infierisce quasi irritata.
Dovrei essere infastidita dal suo comportamento infantile, invece ne sono vergognosamente compiaciuta: ogni volta che affonda accidentalmente i denti nel mio labbro inferiore, un senso di vittoria mi avvelena le arterie. Quando lo fa, dura una frazione di secondo, l’azione presto sostituita dalla sua lingua che massaggia il punto su cui ha concentrato la rabbia, quasi come se si scusasse per il gesto aggressivo.

Sarà pure aggressivo, ma io lo trovo delizioso.

Non collaboro quanto dovrei: lascio che sia lui a baciare me, partecipando quanto necessario ma non troppo.
È un bacio maschile; uno di quei baci in cui lui cerca di farti sapere che solo lui può baciarti. Che solo lui deve poterti assaporare.

Lo assecondo, consapevole della sua frustrazione quando le sue labbra reclamano una precisa risposta dalle mie; risposta che arriva molto più debole di quello che lui avrebbe voluto.

Lentamente lascio che nel bacio si accorga di essere irrazionale; gli permetto di fare per un po’ l’Alfa, rilassandomi quando le sue dita salgono più leggere fino al mio collo e il suo bacio diventa più delicato.

La pressione diminuisce, fino quasi a sparire con un’ultima carezza della sua lingua contro la mia pelle e due baci solitari prima al mio labbro superiore e poi a quello inferiore.

Quando ha finito, appoggio la fronte alla sua: gli occhi chiusi e il respiro corto.
"Avevo 18 anni, Alex. Non c'è bisogno di diventare possessivi."
"I don't like to share..."
"Neanche a me piace condividere... Tienilo a mente la prossima volta che  mi racconti dei giochi erotici che ti hanno insegnato."

Accenna un sorriso impercettibile e poi cerca i miei occhi: l’ombra dell’imbarazzo che si scioglie liquida nel suo sguardo.

Med, are we exclusive?”
“Devi chiedermelo in italiano perché, se è quello che penso io, è il caso di evitare fraintendimenti.”

Allontana la fronte da me e sospira profondamente:
“So che dobbiamo andare piano, conoscerci e tutta quella roba lì.”

Quella roba lì. I maschi. Così poetici.

“Però ci ho pensato: l’idea che tu possa uscire con qualcuno non mi piace affatto.” mentre parla le sue mani scendono lungo le mie braccia, avvolgendomi i polsi e portando le mie dita sui suoi fianchi.
Si zittisce per un po’ e credo che si aspetti una risposta.
“Dimmi che anche a te non piace…”
“L’idea di uscire con qualcuno che non sia tu?”
“No. Che io mi veda con altre.”

Alla sola idea mi sale il sangue al cervello.
“No, non mi piace affatto.” sorrido quando le sue spalle si abbassano in un sospiro di sollievo.
“Quindi… Senza fretta, però… siamo esclusivi, giusto?”

Siamo esclusivi è una delle traduzioni peggiori che abbia mai sentito, ma il concetto è chiaro: non vuole che io frequenti altri mentre capiamo cosa vogliamo fare e come gestire il nostro rapporto.
“Esclusivissimi.” sorrido lentamente e, portando una mano sul retro del suo collo, faccio schioccare un bacio possessivo sulla sua bocca.

“Sistema la tua roba. Ti aspetto di là.” e, senza guardarmi indietro, raggiungo gli altri in salotto.
In che direzione andiamo io e Alex ancora non lo posso dire con certezza, ma - a prescindere dal dove - almeno ora è ufficiale che ci andiamo insieme. Solo io e lui.
La cosa mi inebria e mi terrorizza allo stesso tempo.


AN: Se trovate ancora errori, nonostante l'immenso lavoro della Beta, perdonatemi: credo di aver perso anche io la vista a forza di leggere, rillegere e correggere.
Purtroppo Gennaio è mese di esami e io devo rimettermi sui libri... Subito.

Mi dispiace per la lunga attesa: chi è nel gruppo ha avuto qualche aggiornamento passo per passo sui motivi per cui non sono stata presente. Mi scuso con tutti quelli che hanno aspettato l'aggiornamento per così tanto e ringrazio per essere ancora qui dopo tutto questo tempo. 
Avrei voluto saldare il mio debito con le risposte alle recensioni ma, avendo procrastinato troppo a lungo, se mi fossi dedicata prima a quelle non avrei più aggiornato. Sappiate che sono la gioia più grande e che sono la motivazione più forte ogni volta che mi abbatto o che non so come tornare a questa storia. Ogni commento che mi lasciate sa farmi tornare la voglia di scrivere: ve ne sono incredibilemnte grata. Sempre.
La mia riconoscenza più grande va a quella santissima donna di Letizia che riesce sempre a fare magie con le assurdità che metto insieme. E le mie scuse ai suoi capillari. Sono mortificata. Il rene che ti ho promesso in segno di gratitudine è stato spedito. Con uno vivo, senza Beta sono spacciata ahahhaah!
Col cuore in mano dico grazie alle mie TuttoTondine che ancora hanno la voglia e la pazienza di non abbandonare questi due e di pazientare quando la mia vita prende il sopravvento.
Nell'ultima settimana c'è stata una spinta che mi ha "caricato" al punto da riuscire a ricominciare questo capitolo dal principio (la prima stesura era stata un fallimento ed è stata eliminata un paio di settimane fa) e che hanno tenuto viva e attiva la mia ispirazione per giorni: le new entry - spero di ricordarvi tutte - su twitter kikka, annecleire, imma (non proprio new entry), Karen, Rac (che, in realtà, spero si sia salvata da TuttoTondo) e tutte le donzelle che mi hanno incitata su FB e su twitter. Senza il vostro entusiasmo, forse, sarei ancora a pagina due dell'aggiornamento. Voi e il tag #TuttoTondo mi avete messo il turbo!

In ultimo, va una dedica particolare: S., una mia carissima amica, che conosco da sempre e che a breve vedrà arrivare il suo GRANDE giorno. Questo capitolo lo dedico a te e a quel sabato che verrà: consideralo una piccola parte del mio regalo per te. Ti adoro.
       
                
            
        
     

   
 
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