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Autore: gemelli89    28/01/2014    1 recensioni
E' ambientata qualche anno dopo la partenza di Cuddy dal PPTH...ci saranno delle piccole sorprese che sconvolgeranno la vita dei protagonisti. Anticipo che è presente un personaggio nuovo che non è presente nella serie, così come saranno ancora presenti sia Wilson che Dominika. E' la mia prima fanfiction, spero di scrivere qualcosa di interessante e che vi piaccia, la storia è ancora in lavorazione e sinceramente non so come andrà a finire. Lo scopriremo insieme:)
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Sei in quell’ufficio ormai da mezzora ma i tuoi amici non vogliono mollare. “Ho già deciso”, ripeti per la millesima volta. “Dovresti parlarne con lui” interviene Wilson, “Di cosa? Di ciò che è meglio per mio figlio? Non lo riguarda”, rispondi infastidita. “Credo che otterresti di più se gli parlasti prima di metterlo di fronte al fatto compiuto”, cerca di farti ragionare Anna ma non vuoi sentire ragione, “Vedrete che House dopo averci pensato capirà che accollarsi un figlio non è propriamente una delle sue priorità e sarà d’accordo con me”, “E allora perché non vuoi parlarne con lui visto che sei così sicura?”. Anna non perderà mai il vizio di sbattere la verità cruda e nuda in faccia alla gente. Ha capito che stai ostentando una sicurezza che non hai.
La porta dell’ufficio si apre di colpo facendoti sobbalzare. House rimane fermo sulla soglia, probabilmente non si aspettava di trovare così tanta gente nell’ufficio di Wilson. “Bugiarda numero uno”, ed indica me, “Bugiarda numero due”, e sposta il bastone verso Anna, “E amico traditore. Ci siete tutti all’appello, tanto meglio”, “Io non ho fatto niente”, gli fa notare Wilson, “Ti avevo chiesto di restarne fuori”, “L’ho fatto per il tuo bene. Per il vostro bene”, sposta lo sguardo verso di te, “Testardi come siete…”.
“Hai già parlato con il consiglio?”, House lo interrompe puntando gli occhi dritti nei tuoi, “Come fai a sapere…”, Wilson gli ha raccontato della proposta, gli lanci un’occhiata di rimprovero, sembra volersi scusare con lo sguardo. “Ancora no, ma questo a te non interessa”, “Vuoi rifiutare la proposta e tornare a New York”, dal tono non si direbbe una domanda, non rispondi, “Ti ho già detto che non sono affari tuoi”. Fa due passi verso di te, “Ti consiglio di accettare”, “Tu consigli…ma sei impazzito?!”, se il suo scopo è farti arrabbiare, ci sta riuscendo. “Ho parlato con un legale”, un’espressione sconvolta si dipinge sulla tua faccia e su quella dei tuoi amici, “Se decidi di tornare a New York chiederò il fare il test del DNA e se sarà positivo, anche se mi sembra ovvio, un giudice deciderà quando potrò vederlo”. Appoggi una mano sulla poltrona, hai come la sensazione che la terra sotto ai tuoi piedi abbia iniziato a tremare, la paura ti assale, paura di quello che potrebbe succedere se House rientrasse prepotentemente nella tua vita, di come spiegare a tuo figlio che gli hai mentito, di come potrebbe reagire Rachel sapendo che suo fratello ha un papà mentre lei no e di quello che potrebbe combinare House. Non vuoi vedere tuo figlio soffrire.
“Stai scherzando”, ti sforzi di alzare la voce così da sembrare più sicura ma il risultato è pessimo. “Per niente” e il suo timbro così spavaldo, così arrogante, ti fa rabbia. “House, forse sarebbe meglio parlarne con calma”, cerca di farlo ragionare Wilson. “Restatene fuori”. Sembra così sicuro; l’incertezza, la paura, il tormento che hai letto nei suoi occhi la sera prima sembrano un lontano ricordo. “Se deciderai di restare”, continua, “Vedremo come andranno le cose e decideremo insieme se e come dirgli che io sono…”, non trova le parole, ed ecco che i suoi occhi si ombrano, ne puoi leggere tutta la paura che lo tormenta, non riesce neanche a dare voce al pensiero di essere padre.
“Non puoi entrare nella vita delle persone e incasinargliela a tuo piacimento, in base ai tuoi capricci”, ti ha appena ricattato e non puoi tollerarlo.
“Non dovresti essere arrabbiata. Quella che ti sto offrendo è un’opportunità”.
Sei incredula, “Un’opportunità? A me questo sembra un ricatto”.
“Tu hai scelto per me e Matt fino ad adesso, da ora le decisioni le prenderemo insieme, mi sembra più che ragionevole”.
“Certo, ragionevole. Non riesci a prenderti cura neanche di te stesso e adesso vuoi crescere un figlio”, cominci a gesticolare, segno che la discussione si sta accendendo.
“Ti ho già detto cosa penso di te come madre? Ah sì, ieri sera. Non c’è bisogno che lo ripeta”.
Sorridi sarcastica, ti avvicini a lui, quasi a volerlo sfidare, “E cosa farai quando tuo figlio avrà bisogno di te? Correrai al tuo adorato vicodin?”, l’allusione alla conclusione della vostra storia è stato un colpo basso e forse hanno ragione Wilson e Anna, alzare i toni non risolverà il problema, “House”, cerchi di controllare il tono della voce, “Fare il padre non è un gioco, il ruolo di un padre non si limita a divertirsi con lui, a fargli da mangiare. Devi essere presente sempre, devi fargli capire che tu lo aiuterai in qualsiasi momento. Lui deve essere il tuo primo pensiero, prima di te stesso, prima del tuo lavoro. House non possiamo dirgli che sei suo padre se poi alla prima difficoltà lo lascerai da solo. Non fargli questo”, distoglie gli occhi, che fino a quel momento erano stati fissi nei tuoi e li punta verso la finestra, “Avvisami quando prenderai una decisione”.
Un’ira incontrollata monta dentro di te. Possibile che non capisca che non si tratta solo di te e lui ma della felicità di Matt, “Come diavolo fai a non capire! Non ti permetterò di distruggere la vita di mio figlio!” gli urli in faccia.
“E qui che sbagli, Cuddy”, gli occhi puntati di nuovo nei tuoi, “Non è tuo figlio. Matt è nostro figlio”.
Hai il respiro accelerato, sei agitata, spaventata, arrabbiata, ma sono bastate quelle due parole pronunciate dalla sua voce, e tutti quei sentimenti sembrano essere più lontani mentre il tuo cuore sembra in grado, di colpo, di vedere la situazione da una prospettiva differente rispetto al tuo cervello.
Lo fissi in quegli occhi azzurri come l’oceano, incapace di formulare qualsiasi frase, l’eco delle parole “nostro figlio” stordisce i tuoi sensi.
Esci da quella stanza, hai bisogno di stare da sola.
 
 
Sta per raggiungerti, il ticchettio dei suoi tacchi si fa sempre più vicino, fingi indifferenza. Dovrebbe essere già entrata nel tuo studio ma l’assenza di qualsiasi rumore ti spinge a sollevare lo sguardo. La vedi, ferma, dietro la porta a vetri del tuo ufficio. Vi guardate mentre la sua mano raggiunge la maniglia della porta. Si ferma a pochi passi dalla scrivania, “Ho appena accettato la proposta del consiglio”, non c’è risentimento nella sua voce, fai un cenno con la testa come a volerla ringraziare per averti comunicato la sua decisione. “Promettimi che non gli dirai per nessuna ragione di essere suo padre senza averne parlato prima con me”, “Certo”.
Si morde il labbro inferiore, “Ho sempre fatto un gran casino nella mia vita privata e quando il mio casino si è unito al tuo sappiamo com’è andata a finire. Cerchiamo di non rovinare l’unica cosa buona che abbiamo fatto”, “Cuddy, lui può essere la mia ultima possibilità”.
Raggiunge la porta, sta per uscire ma poi sembra ripensarci, “Ti raddoppio le ore di ambulatorio”, ti dice sorridendo compiaciuta, “Ma…sei il capo da neanche mezzora e poi io non ho fatto niente” le rispondi scandalizzato, “Così impari a ricattarmi. Ci vediamo domani mattina alle nove” e lascia il tuo studio.
Un sorriso sale fino alle tue labbra. Andrà tutto bene ti dici.
  
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