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Autore: cheek_s    28/01/2014    0 recensioni
Perché si era reso conto di far parte di tutta quella gente cieca, ignorante, che egoisticamente non voleva vedere e che ignorava i ragazzi come me perché farlo risultava più facile?!
O forse perché viviamo in un mondo che nelle migliori delle ipotesi è stato creato da Dio, dove se non puoi impedire ad un albero di essere un albero, che senso ha impedire a qualcuno di essere se stesso?!
Saremmo andati lontano, lontano da quella porta, da quei mostri, lontano dall’ignoranza e dall’incomprensione.
Lontano, dove il verde dei prati è solo il verde dei prati e l’azzurro può ancora essere considerato cielo.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dove il verde dei prati è solo il verde dei prati. 
 







Tremilacinquecentottantasette.
Tremicilacinquecentottantasette diverse sfumature di ocra rivestivano per esteso l’intero soffitto sopra di me.
Ero stato in grado di riconoscerle una ad una in poche ore, disteso com’ero sul mio letto dalle coperte blu notte foderate di piuma d’oca, la testa rivolta verso l’alto: ocra chiaro, ocra scuro, ocra chiaro-scuro, ocra sporco, ocra striato, ocra opaco, ocra limpido, ocra acceso, ocra spento.
Ocra, ocra, ocra. L’avevo ripetuta e sussurrata talmente tante volte quella parola, negli ultimi venti minuti, da farla sembrare quasi senza senso.
Tra l’altro, era un colore orrendo. Mi faceva specie che una donna così attenta all’esteriorità delle cose e alla loro armonia come mia madre non se ne fosse accorta prima e avesse fatto ridipingere “immediatamente” le pareti di camera mia.
“Immediatamente”: era il suo avverbio preferito, di questo ero certo.
Pronunciava sempre le lettere che lo componevano con un’inclinazione particolare nella voce, arrotondandone il suono e rendendolo meno affilato, più dolce e piacevole all’udito. Quasi come se quell’elemento grammaticalmente affine ad altri mille e passa avverbi presenti nel lessico italiano fosse cresciuto sotto la sua ala protettrice, e lei dovesse farne per sempre le veci.
Quando lo aveva urlato, prima, nell’ambiente spazioso e spocchiosamente elegante della sala da pranzo, avevo avuto l’impressione che il suo ruolo di balia accomodante di locuzioni e preposizioni si fosse improvvisamente spaccato a metà.
Un po’ come il piatto di ceramica antica ripieno di minestra che mio padre aveva fatto cadere per terra non appena avevo pronunciato quella fatidica e, forse ai loro occhi persino pericolosa, frase poche ore prima.
Luca me lo aveva anticipato, che la loro reazione a quella mia confessione avrebbe comportato una serie di eventi disastrosi l’uno dopo l’altro, che farlo era rischioso, che Anita e Riccardo Berli erano chiusi nella loro cieca e conservatrice mentalità borghese e che avrebbero preferito perdere un braccio, piuttosto che farsi protagonisti dello scandalo cittadino che con le mie parole avrei inconsapevolmente innescato.
Eppure io non gli avevo dato retta; sebbene lo amassi e sebbene Luca rappresentasse una finestra spalancata sul mondo e sulla vita che avrei voluto condurre fuori da quelle ripide stradine provinciali pugliesi, covavo una minima, flebile speranza che una volta confessato a coloro che mi avevano donato il respiro, per poi insegnarmi a controllarlo, che ero follemente e sinceramente innamorato di un ventenne di Brescia e che avevo intenzione di andare a vivere con lui, le cose sarebbero rimaste com’erano sempre state.
Che quel mio “Mamma, papà, sono gay”, venisse accolto con un silenzio pieno di tenerezza e complicità, e che entrambi, lui con i capelli ormai radi sul capo e lei vestita come sempre di tutto punto, si fossero alzati e, abbracciandomi, mi avrebbero accettato come mi sembrava avessero sempre fatto nei miei 18 anni di vita.
E invece la scena si era svolta con una rapidità assurda, con una frenesia e un clamore di cui i divani di pelle bordeaux e i mobili tirati a lucido di quella casa maledetta non erano mai stati spettatori.
Le parole non erano state molte, questo era vero, ma che importanza avevano degli stupidi numeri di fronte a quell’agglomerato di rabbia e disgusto dipinti sul volto di quell’uomo e quella donna?!
“Come puoi farmi questo?! Come puoi ferirmi così?!”
“Vai in camera tua, Enrico! Vacci immediatamente!”
Ed eccolo lì, quell’ “immediatamente”; sempre in mezzo, sempre presente, sempre al primo posto nei discorsi di mia madre. Probabilmente in quell’istante avrebbe preferito aver generato un “immediatamente”, al posto di quello scherzo della natura che le era capitato come figlio.
Mi alzai di scatto dal letto, e asciugai con rabbia le lacrime che mi rigavano in modo infantile le guance, i pugni stretti e l’animo che sembrava pesare più di un macigno.
Ferito. Era così che mio padre aveva detto di sentirsi, ma ferito per cosa?! Ferito perché?! Perché aveva sempre vissuto in una bolla di sapone, estraneo da me e da tutto ciò che riguardasse la mia vita?! Perché si era reso conto di far parte di tutta quella gente cieca, ignorante, che egoisticamente non voleva vedere e che ignorava i ragazzi come me perché farlo risultava più facile?!
O forse perché viviamo in un mondo che nelle migliori delle ipotesi è stato creato da Dio, dove se non puoi impedire ad un albero di essere un albero, che senso ha impedire a qualcuno di essere se stesso?!
Ottusi. Ignoranti. Ciechi. Sconosciuti. E’ questo ciò che erano, è questo ciò che erano sempre stati.
Chiusi nella loro stupidità e nella loro assurda concezione di cosa è naturale e cosa non lo è esattamente come io ero chiuso in quel momento a chiave in quella stanza troppo calda e dalle pareti troppo strette, con quella maledetta serratura arrugginita, senza chiave, che mi fissava da lontano e sembrava essersi trasformata in un’oscura e terribile promessa di castigo.
Guardai il poster appeso alla parete davanti a me, una riduzione in scala dell’intero globo terrestre, e ricominciai a piangere; piangevo, e sapevo che nonostante tutto, avrei continuato a sognare un mondo migliore. Un mondo dove avrei potuto essere solo Enrico, e Luca avrebbe potuto essere solo Luca,  e insieme avremmo potuto essere soltanto due giovani che si amano e vogliono passare il resto della loro vita insieme.
Saremmo andati lontano, lontano da quella porta, da quei mostri, lontano dall’ignoranza e dall’incomprensione.
Lontano, dove il verde dei prati è solo il verde dei prati e l’azzurro può ancora essere considerato cielo.
 
 
 







Salve!
Premetto che questa è la prima storia originale che posto qui, e sono un po’ nervosa su quale possa essere l’impressione dei lettori!
Confesso che questo mio scritto non è altro che la copia di un tema di italiano redatto qualche giorno fa durante un compito in classe, ma mi piaceva così tanto ed ero così fiera di me per averlo ideato e trascritto che sentivo il bisogno di condividerlo con qualcuno.
In genere mi dedico alla scrittura di fan fiction nella sezione One Direction (o almeno, cerco di portare avanti una storia con la massima serietà possibile), ma ho sempre avuto il desiderio di pubblicare qualcosa qui e dunque eccomi qua!
Spero che vi piaccia, o che mi facciate sapere cosa pensate di questa mia piccola parentesi di vita:)
Un bacio.
 
 
  
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