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Autore: Hellen96    29/01/2014    0 recensioni
Il mondo non è più come una volta, la distruzione e la morte ha preso il posto della prosperità e della gioia. Nel regno di Leira la vita non è più degna di essere vissuta. Le persone percorrono le strade con le teste basse e con occhi vacui, ma non tutti hanno perso la speranza. Una ragazza e il suo dono, porteranno un cambiamento e la vita riacquisterà un senso...
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 3

 
 
Il magazzino era una struttura imponente, nessun edificio eguagliava la sua grandezza. Era situato sul margine est del villaggio ed era stato costruito subito dopo l’invasione di Travian. I cittadini che si erano occupati della costruzione avevano svolto un magnifico lavoro, donando alla struttura un figura tutt’altro che scialba e povera, come invece erano le case degli abitanti del paese.
I mattoni a faccia vista di color grigio topo sporgevano dando un effetto antico e mistico, facendo accapponare la pelle a chiunque passasse di lì. Non c’erano molte finestre, solo un paio erano usate per lasciar entrare un po’ di luce così da permettere alle cibarie, come spezie e legumi, di conservarsi più a lungo. C’erano due entrate, di cui una posteriore, ed entrambe erano sorvegliate costantemente da tre soldati per porta. Sarebbe stato molto difficile penetrarvi dentro, l’unica possibilità era quella di aspettare il cambio di turno delle guardie. Esse infatti tendevano ad essere negligenti nelle ore serali, ridendo sguaiatamente intorno ad un cadente tavolino in legno posto a qualche metro di distanza dalla porta principale.
Avevo osservato attentamente tutto quello che poteva servirmi, persino un ottimo nascondiglio non molto lontano e con una visuale buona. I turni venivano cambiati a intervalli di quattro ore e tendenzialmente i soldati erano sempre gli stessi. Fortunatamente, molti di loro erano di età avanzata, il che rendeva più facile un’eventuale fuga se mi avessero scoperta. Ero rimasta tutto il giorno ad analizzare ogni piccolo movimento e variazione, il nascondiglio che avevo trovato era collocato dietro ad un folto cespuglio di more.
Vicino all’entrata, si trovavano diversi bidoni di uno strano liquido infiammabile, probabilmente utilizzato per accendere il fuoco durante le stagioni fredde in caso di mancanza di corrente.
“Hai pianificato tutto, adesso sei libera di andare a casa…”
Tendevo sempre più a darmi comandi secchi nella testa, mi ci attaccavo come se fosse aria per respirare. Era vero, aveva pianificato tutto: avrei agito di notte quando i soldati sarebbero stati molto più stanchi, sarei sgusciata fuori senza farmi vedere e mi sarei introdotta dentro senza fare il minimo rumore.
La porta d’entrata non era mai chiusa a chiave poiché sempre sorvegliata. “Che sciocchi, pensano di tenere tutto sotto controllo”  mi concessi un sorriso, ma quello aleggiò poco sulle mie labbra per lasciare posto subito dopo alla mia solita espressione indifferente, mentre mi incamminavo a passo lento e strascicato verso casa.
Si era già fatta sera, non mi ero resa realmente conto del tempo che avevo utilizzato per organizzare il piano, ma adesso l’accelerare del mio cuore mi ricordava che il tempo stava stringendo e che domani avrei agito, magari ritrovandomi morta poco dopo l’intrusione nel magazzino.
Era impossibile riuscire a pensare positivamente, non dopo tanto tempo passato ad avere paura anche solo ad emettere un respiro.
Entrai in casa più in tensione del solito e trovai mia madre in cucina indaffarata ai fornelli. Spalancai gli occhi sorpresa e mi dovetti sorreggere alla sedia per non cadere.
- M-mamma? – dissi con voce smorzata. La donna si girò verso di me con un sorriso che non le vedevo da tempo e, con il mestolo ancora in mano, disse:
- Violet sei tornata, finalmente! Guarda qua? Per stasera abbiamo cibo a volontà, mi è stata concessa una razione in più di cereali e patate! – le brillavano gli occhi per la contentezza e la gioia spontanea.
- Come? – forse avevo capito male, non era possibile che avessero concesso ai lavoratori una dose in più rispetto al solito.
- Non fare quella faccia e siediti – disse non smettendo di sorridere nemmeno per un secondo – Ti sto dicendo la verità! Stasera sentiremo finalmente lo stomaco pieno dopo mesi dall’ultima volta – finì di dire, girandosi nuovamente verso le pentole.
- Perché hanno fatto una cosa del genere? – le chiesi dopo essermi ripresa dallo sgomento iniziale.
- Ci hanno detto che il raccolto quest’anno è andato piuttosto bene e quindi è stato possibile per loro darci una razione in più – spiegò lei con tono gioviale.  
Non sembrava assolutamente una cosa plausibile: possibile mai che dopo anni di sfruttamento, miseria ed egoismo, si giungeva ad un cambiamento tanto repentino?! Qualcosa non tornava…
- Cosa ti hanno chiesto in cambio mamma? – chiesi finalmente dopo un po’ di esitazione.
- Niente Violet! Non avrei accettato altrimenti! Sono stati solo generosi per una volta – rispose dandomi sempre le spalle.
Era davvero felice, sembrava la donna che aveva cresciuto la bambina che ero stata, la donna che accoglieva mio padre sulla soglia di casa con un sorriso ed un bacio caldo pronto solo per lui.
Che diritto avevo di smontare la sua gioia? In fondo non avevo nessuna certezza che quelle derrate in più fossero un ricatto escogitato da Travian per uno dei suoi sporchi piani.
Cercai quindi di rispondere al suo entusiasmo con altro entusiasmo.
- Cosa stai cucinando? Dall’odore sembrerebbe carne… ma forse mi sbaglio, non ricordo più neanche che sapore ha… -
- E’ proprio carne! – rispose tutta entusiasta – un pollo intero, ma ci pensi! – si voltò una seconda volta verso di me con un sorriso stampato sulla faccia. Questa volta ricambiai sentendo tutti i muscoli delle guance che entravano nuovamente in azione, la osservai fare su e giù per la cucina come farebbe una bambina curiosa.
“ Saranno anni che non la vedo comportarsi in questo modo. Sembra… rinata.”  Bastava così poco per risollevarci il morale, purtroppo avevo come il presentimento che tutta questa improvvisa generosità avrebbe avuto delle ripercussioni.   
- Prepara la tavola Violet – mi chiese. Apparecchiai con precisione, volevo che le cose fossero ben messe al loro posto, così da richiamare la dolce atmosfera della famiglia che ci era mancata.
Il pensiero corse involontariamente a mio padre e un ricordo si fece strada da solo nella mia testa…
 
“ Dalla piccola finestra della cucina si intravvedeva il cielo scuro della notte. Le stelle erano piccoli fari su una città buia, sembravano dire:
- Tranquilla piccola, ci sono io –
Io ero accucciata proprio lì ed osservavo con occhi grandi tutto quello che riuscivo ad includere nella visuale. Tutti gli abitanti del villaggio erano nelle proprie case a preparare la cena, i bambini con cui avevo giocato fino a poche ore prima, erano rintanati in casa vicino al fuoco.
Era inverno inoltrato e ormai le sere erano talmente fredde che si tendeva a mangiare tutti in cerchio davanti al camino. Il villaggio era sempre tranquillo, non avevo visto altro luogo se non quello, ma amavo l’aria familiare che si respirava.
- Violet basta fantasticare, vai a preparare davanti al focolare – mi sgridò mia mamma dai fornelli.
-Suvvia Elisabeth, lasciala fare un po’. È una bambina e ha bisogno di comportarsi da tale – ridacchiò mio padre seduto a tavola mentre intrecciava vimini per farne dei cestini. Mia madre li adorava, li utilizzava per contenere qualsiasi cosa, così mio padre glieli costruiva molto spesso.
Ogni volta che glieli dava, lui la prendeva per le mani e la faceva girare su se stessa come una ballerina. Il sorriso che le spuntava sul volto in quei momenti, lo sapevo, era solo per lui.
Mi imbambolai ad osservarli insieme. Mia madre, in piedi a fianco a mio padre, sorrideva con la mano appoggiata sopra alla sua spalla e lui, con quel suo volto dolce, le teneva stretta la mano tra la sua, appoggiando delicatamente il volto su di essa.
Andai a preparare la tavola con il cuore grande di felicità.
Quella sera mangiammo intorno al fuoco e quando andammo a letto, mi sentii la bambina più fortunata del mondo”
 
Finito di cenare, obbligai mia madre a mettersi seduta sulla poltrona a rilassarsi un po’, mentre io restai in cucina a lavare i piatti e i bicchieri appena usati. Mi sentivo sazia.
Non mi sentivo così da tempo, non ricordavo nemmeno bene da quanto. Mi sentivo lenta nei movimenti e una strana sonnolenza si era impadronita dei miei occhi. Il movimento calmo e meccanico delle mie mani sulla porcellana del servizio di piatti, mi aiutò a non cadere dal sonno.
Oggi mentre osservavo i soldati che restavano seduti a non fare niente davanti alla porta d’ingresso del magazzino, non ero riuscita ad evitare di pensare alle migliaia di persone che in quello stesso momento si stavano praticamente ammazzando dalla fatica nelle piantagioni e alle tante persone ferite e sul punto di morire nel campus.
- E’ colpa vostra… - avevo sussurrato, digrignando i denti, mentre guardavo un uomo farsi una rilassante dormita durante il suo turno di guardia.
Li odiavo tutti quanti, dal primo all’ultimo senza distinzione, ci avevano portato via la famiglia, la voglia stessa di vivere e la cosa più importante in assoluto: la speranza.
Più ci pensavo e più sapevo di stare facendo la cosa giusta, avrei distrutto il loro simbolo, avrei dato fuoco alle loro di speranze.
In un modo o in un altro avrei finito di sentirmi inutile.
- Violet, io vado a letto. Sono molto stanca – mi avvertì mia madre, ormai a metà scale.
- D’accordo, tra un po’ salgo anche io. Buonanotte – la salutai. Lei bisbigliò qualcosa, ma non riuscii a sentirla tanto aveva parlato a bassa voce. “Deve essere stata una giornata stressante anche per lei, mi meraviglierei del contrario…”
Era avanzato molto dalle scorte aggiuntive, cosa strana dato che solitamente non avevamo di che mangiare, quindi presi i due sacchi rimasti e li misi nello sgabuzzino in soggiorno.
Era pieno di ragnatele e polvere la dentro, ne io ne mia madre lo aprivamo più dato che non c’era niente da conservare, quindi mi sorpresi quando mi imbattei in un oggetto che fece saltare un battito al mio cuore.
Sfiorai il tessuto con le dita: era morbido e soffice come ricordavo. Il colore era sbiadito, ma ciò che rappresentava era ancora lì e trasudava dalla stoffa.   
Proprio davanti ai miei occhi c’era la giacca che mio padre indossava sempre, sia per andare a caccia sia per le passeggiate sul prato nei pressi del villaggio. Con mani tremanti lo sganciai dal suo appiglio e me lo strinsi al petto aspirandone l’odore.
“Papà perché te ne sei andato? Non so se sono in grado di gestire tutto…”
Un sapore salato mi era sceso in gola e un mattone si era posato sul mio petto come se fosse passato solo qualche minuto dal giorno in cui avevo perso una parte di me stessa.
Rimasi in quella posizione per quelle che mi parvero ore, poi quando finalmente avevo riversato tutta la mia angoscia e la disperazione u quel delicato tessuto, indossai la giacca e mi incamminai al piano di sopra verso la mia stanza.
La porta della camera di mia madre era chiusa come al solito. Valutai la possibilità di entrare nella stanza, svegliarla e accoccolarmi vicino a lei come facevo da piccola quando avevo gli incubi su strani mostri che volevano mangiarmi. Ma adesso non c’era nessuna creatura orribile che voleva divorarmi, quello che dovevo temere era solo di non riuscire ad uscire dal baratro in cui stavo per ripiombare.
Se fossi andata da lei, avrebbe visto quello che stavo indossando e avrei rischiato di trasportarla con me nel buco nero.
Avevo deciso di proteggerla, la figlia che protegge la madre perché facendo rimanere in vita lei, anche la ragazza avrebbe assorbito quel poco di realtà che rimaneva.
Con passo più deciso entrai in camera dove la finestra era ancora aperta e lasciava entrare l’aria pungente della sera. La chiusi aggrappandomi alla maniglia per non cadere, le gambe avevano preso a tremarmi senza che potessi controllarle così, con le ultime forze rimaste, mi gettai sul letto a pancia in giù.
“Che qualcuno lo faccia finire… vi prego!”
Non ricordo quando mi addormentai, quando il dolore lasciò finalmente via libera alla beatitudine dell’incoscienza, so solo che quando mi svegliai non c’era più traccia di esitazione. Mi avrebbero uccisa? Al diavolo, dovevano solo provarci.
 

***ANGOLO AUTRICE***
E' tanto tempo che non pubblico niente e pre questo mi scuso, ma fra una cosa e l'altra non ho potuto continuare >-< per scrivere questo capitolo ci ho messo una vita perchè volevo che risultasse migliore rispetto agli altri... ultimamente avevo pensato addirittura di riscrivere tutto da capo (per l'ennesima volta!). Più vado indietro con la lettura e più mi rendo conto che i primi capitoli sono scritti in modo infantile...
da ora in po cercherò sempre più di migliorare!

Questo capitolo, ad esempio, mi piace e mi soddisfa sia nel contenuto che nella forma... anche voi la pensate così?
so che la storia non ha ricevuto molte recenzioni, in ogni caso ringrazio anche solo chi ha letto la prima riga e poi ha chiuso il file... ringrazio infinitivamente chi recensirà e non abbiate timore, bombardatemi di critiche se necessario... aspetto solo quelle xD
A presto (spero)!
H.

 

  
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