Inadeguatezza.
Never feel I’m quite enough.
Avrebbe preferito di gran lunga aspettare Owen in
macchina. Probabilmente avrebbe preferito di tutto, di tutto pur di non stare lì mentre Teddy
gli parlava come se lei non ci fosse. E diceva di amare Owen e di volerselo
rimangiare. Diceva di potercela fare, di poter reggere quella situazione.
E diceva che doveva prepararsi per la sostituzione di
una valvola.
È fatta! Sono salva, pensò Cristina, dileguandosi
velocemente, salutando appena il suo ragazzo. Ed era sollevata mentre scappava
via da loro due, perché davvero non voleva sapere nulla di tutto quello. Nulla.
Arrivò al proprio armadietto con il fiatone – lei non
aveva mai il fiatone – e si accorse di respirare male anche mentre indossava il
camice ed usciva nuovamente dalla stanza. No, la corsa non c’entrava nulla con
la troppo poca aria che le sembrava di ispirare ad ogni boccata.
Trovò la Altman ad attenderla nella stanza del
paziente che doveva preparare. Le sorrise e Cristina fece altrettanto, più per
riflesso che perché lo trovasse appropriato. Non c’era nulla che fosse
appropriato in quella situazione. Fece ciò che doveva nel più religioso
silenzio, mentre Teddy rispondeva alle ultime domande
dell’uomo; poi lo portò fuori, fino all’ascensore e alla sala operatoria.
Il suo respiro non si era ancora regolarizzato e
quella brutta sensazione che le parole della donna le avevano lasciato addosso
non era ancora scivolata via dalla sua pelle – come faceva di solito.
«Pronta, Yang?».
Sentì a mala pena quella domanda e fu il segnale che
avrebbe dovuto smettere di pensarci quanto meno per tutta la durata
dell’intervento. Se fosse stato facile… La presenza di Teddy
non l’aveva mai innervosita come in quel momento e tutto ciò la turbava perché
non riusciva ad essere calma e lucida, non riusciva ad essere Cristina Yang.
Sospirò contro la mascherina sottile e socchiuse gli
occhi per qualche istante, cercando di concentrarsi solo sui gesti da fare.
Nessuna Teddy, nessun Owen, nessun amore passato.
Nessuna brutta sensazione ad appesantirgli le spalle. Solo lei, il suo bisturi
e quell’innesto vascolare.
Tutto improvvisamente diventava semplice. Tutto
semplice tornava a posto quando era in sala operatoria. Sapeva che cosa fare,
come rimediare, come prevenire problemi e complicazioni. Era il suo habitat e
ci stava in modo perfetto.
L’operazione sembrò durare pochi minuti invece delle
ore che in realtà richiese e solo quando Cristina mise piede fuori dalla sala,
affiancata da Teddy, capì veramente che cosa l’aveva
sconvolta tanto. Era come un animale allo zoo. Una bellissima tigre allo zoo,
strappata dal suo habitat e chiamata a confrontarsi con qualcosa che non
voleva, che non aveva chiesto. La situazione con Owen e la Altman era il suo
zoo.
Quello che provava, al di là del fastidio, della paura
e di quel briciolo di tristezza, era semplicemente inadeguatezza. Era
inadeguata. Lei non era certa di sapere che cosa volesse dire combattere per il
proprio uomo, che cosa volesse dire amare a tal punto da fare di tutto.
Maledizione, le aveva gridato che poteva prendere
Owen. Ed aveva sbagliato. Sapeva di aver sbagliato, ma questo non toglieva che
per un attimo l’avesse pensato, che per un attimo la chirurgia fosse stata la
sua prima scelta.
«A domani, Yang».
La voce di Teddy la riscosse
ancora una volta dai suoi pensieri, così che si ritrovò a fissarla, mentre la
donna si avviava da sola alla sua macchina. Teddy
Altman sembrava così distante in quel momento, che Cristina si trovò a pensare
che, nonostante tutto, non avevano nulla in comune. Perché in fondo era vero.
E si trovò a chiedersi perché Owen avesse scelto
proprio lei. Perché pur avendo Teddy, aveva scelto
lei? Quella imperfetta, quella fredda, quella inadeguata?
Di nuovo quella sensazione le attanagliò il petto. Lei
non era così, lei era ferma e decisa, lei non si faceva trascinare dalle
emozioni, non di lasciava confondere. Ed ora eccola a tremare per un uomo, a
chiedersi cosa ci fosse di sbagliato in tutta quella situazione. Perché gli
aveva dato modo di scegliere e lui aveva scelto lei, gli aveva detto che capiva
cosa li legava, che il fatto che avessero affrontato una guerra assieme
significava tanto e lui aveva comunque scelto lei.
“Sto con te perché voglio stare
con te. Sto con te perché amo te”. Così aveva detto…
Cristina si trovò ad infilare la chiave giusta nella
serratura di casa senza essersene neanche accorta. Era passata mezzanotte e
probabilmente Owen dormiva già, per questo fece piano, camminando in punta di
piedi e poggiando il giubbino sul divano. Scivolò in bagno e si sciacquò il
viso, sperando che almeno così avrebbe scacciato via tutto.
Ovviamente non accadde.
Entrò nel letto facendo attenzione a non svegliarlo –
dormiva così bene – e sospirò, fissando il soffitto, col il rumore assordante
del battito accelerato del proprio cuore a farle da sottofondo. Inadeguatezza
che scandiva i secondi e che quella notte minacciava di mangiarla.
«Avrei… voluto aspettarti…».
Un mormorio la scosse, facendola voltare. Gli occhi
assonnati di Owen la scrutavano con innocente colpa.
«Sarai stanco, dormi», lo esortò, forse più per paura
di probabili domande che per gentilezza.
Lui stette a guardarla, ormai del tutto sveglio, e le
lasciò un bacio veloce sulla spalla nuda.
«Che cos’hai?».
Cristina non provò neanche a dissimulare il groviglio
di sentimenti che la attanagliava.
«Alle volte vorrei che la mia vita cominciasse e
finisse nella sala operatoria, Owen. Sai, quello è il mio posto: lì so cosa
fare, chi essere, cosa mi è concesso e cosa no. Lì posso risolvere qualsiasi
problema. Lì non vengo divorata».
«Non c’è solo la sala operatoria, però, Cristina».
«Già. Non c’è solo la sala operatoria».
***
“Non dirgli mai che cosa
fare, digli solo… che cosa provi”.
Cristina lo aveva fatto. Era bastato dire ad Owen che
aveva paura, che quando lui aveva quegli scatti lei non sapeva che cosa gli
passasse per la testa, e semplicemente ne aveva paura. Parlare, semplicemente
parlare ed aveva capito da solo che doveva tornare dall’analista.
Ora lo osservava, nel buio, e sembrava stare meglio.
Dormiva – il che era già un gran risultato – e stava meglio, era più
tranquillo. Quella che stava di nuovo male era lei. Lei che ancora una volta
non aveva saputo che cosa fare, come prenderlo.
Lei che era di nuovo attanagliata dalla persistente
sensazione di inadeguatezza. Lei che aveva dovuto chiedere e confrontarsi per
sapere come comportarsi con il suo uomo.
Oh, Teddy sapeva sempre che
cosa fare. Teddy lo capiva con un solo sguardo, Teddy indovinava minuti prima quale sarebbe stata la sua
prossima parola o decisione. Loro due erano così in simbiosi che alle volte lei
se ne sentiva semplicemente esclusa. E lo era. Era esclusa da quella parte del
passato di Owen, dalla guerra che invece lui aveva condiviso con la Altman.
Teddy sapeva e lei no. E questo
non sarebbe cambiato. Lei non avrebbe mai saputo tutto di quegli anni tra la
sabbia; sarebbe rimasta sempre un passo indietro, troppo piccola per capire,
troppo lontana per vedere.
Inadeguata a stare con lui.
Gli accarezzò il viso con leggerezza, sperando di non
svegliarlo. Aveva un bisogno quasi disperato di sentirlo vicino in quel
momento, di sapere che non lo aveva perduto, che aveva scelto ancora lei.
“Perché me?”, si chiese “Se Teddy lo
capisce così bene, perché ha scelto me?” .
Non le bastava più sapere che stava con lei perché
l’amava, non le bastavano più le sue parole, quando l’inadeguatezza metteva in
dubbio la sua presenza accanto a lui. O meglio, le sarebbe bastato, se lui gliel’avesse
ripetuto.
Ma non avrebbe mai messo di nuovo in mezzo quella
storia. In fondo, potevano semplicemente essere solo sue turbe mentali senza
alcun fondamento. Forse stavano bene, forse fuori dalla sua testa le cose
stavano andando bene e non c’era nessuna Teddy tra
loro.
Non avrebbe fatto domande che avrebbero potuto
minacciare quel precario equilibrio.
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Stranamente puntuale, ecco la seconda shot della raccolta ^^ Stavolta i due missing
moments erano abbastanza ravvicinati, rispettivamente
della 6x14 e 6x19. Il personaggio di Teddy è stato
uno di quelli che personalmente ho amato di più – e può sembrare strano
considerato quanto ami i Crowen. Eppure lei mi ha
conquistata e non potevo non inserirla!
Dunque, spero abbiate apprezzato e magari se vi va,
lasciate due paroline come segno del vostro passaggio.
Il titolo stavolta era tratto da “I’m Yours” degli Script.
Al prossimo mercoledì!
Alchimista ♥
Ps: lo dimentico sempre, ma
potete trovarmi anche a questa pagina facebook ^^