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Autore: SusanTheGentle    29/01/2014    10 recensioni
Questa storia fa parte della serie "CHRONICLES OF QUEEN"

Il loro sogno si è avverato.
Tornati a Narnia, Caspian e Susan si apprestano ad iniziare una nuova vita insieme: una famiglia, tanti amici, e due splendidi figli da amare e proteggere da ogni cosa.
Ma quando la felicità e la pace sembrano regnare sovrane, qualcosa accade...
"E' solo un attimo, al sorgere e al tramontar del sole, attimo in cui riescono a malapena a sfiorarsi....
Sempre insieme, eternamente divisi"

SEGUITO DI "Queen of my Heart", ispirato al libro de "La sedia d'agento" e al film "Ladyhawke".
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Caspian, Susan Pevensie
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Chronicles of Queen'
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8. Ciò che accadde in entrambi i mondi
 
 
Da questo momento la vita è iniziata.
Da questo momento tu sei l’unica.
Proprio accanto a te
È il luogo a cui appartengo,
Da questo momento in poi…
 
 

Finchley, 5 dicembre 1947
 
Caro Eustace, come stai?
So che starai pensando che farei molto prima a telefonarti, ma mi conosci e sai quanto mi piace inviare biglietti d’auguri nel periodo natalizio.
Ti scrivo per confermarti che arriveremo a Cambridge il ventiquattro, e che purtroppo Susan non sarà con noi. Non può proprio lasciare l’America, nemmeno in un’occasione così speciale come il Natale. Speriamo tutti di avere presto sue notizie.
Le vacanze da te quando cominciano? Qui il venti.
Scommetto che sei sovraccarico di compiti quanto me. Dobbiamo impegnarci, è l’ultimo anno!
Invidio Edmund, che è già diplomato. Ah, non sai l’ultima su di lui: ha trovato un posto alla redazione di un giornale locale. E’ una piccola testata, ma il lavoro è buono e gli piace. Sono contenta per lui!
In quanto a Peter, di allo zio Harold di non insistere troppo: non lavorerà con lui nella sua bottega, diventerà professore di letteratura, ormai è tanto che l’ha deciso. Seguirà le orme di mio padre. Scommetto che sarà l’argomento principale del pranzo natalizio.
Tu hai già deciso cosa farai dopo aver preso il diploma? Io vorrei fare l’infermiera. Se vuoi un consiglio, dovresti davvero pensare a una possibile carriera di scrittore.
Un’altra cosa: anche quest’anno il dolce di natale lo preparerò io! Niente storie, lo mangerai!
Per ora ti saluto.
Ci vediamo presto.
 
Lucy
 
 
Eustace voltò il cartoncino e osservò la capretta bianca che vi era raffigurata, seduta in mezzo a quattro o cinque coniglietti in un paesaggio tipicamente natalizio: uno spiazzo innevato, circondato da abeti. I brodi della figura erano ricamati d’oro.
Una capretta…come il signor Tumnus, pensò Eustace.
Lucy non si smentiva mai: ogni cosa per lei era riconducibile a Narnia.
Tra le righe di quel biglietto c’erano cose che sua cugina non aveva potuto scrivere, cose che riguardavano la verità sul conto di Susan. Ne avrebbero parlato a voce, lontano da orecchie indiscrete, anche se non sarebbe cambiato molto: i signori Scrubb dovevano continuare a credere che Susan fosse in America, inizialmente per studiare e adesso per lavoro, e che avesse preso la decisione di rimanere a vivere laggiù.
Erano quattro anni che non avevano notizie da Narnia, da Susan, da Caspian, da Aslan.
Chissà come andavano le cose… Di sicuro stavano tutti bene, o il Grande Leone li avrebbe chiamati.
Da un lato era confortante sapere che Narnia non correva pericoli, ma era triste il pensiero che i Pevensie non sapessero nulla di loro sorella e di loro figlia da ben quattro anni. 
Una volta, Aslan aveva detto che il portale che collegava Narnia alla Terra non poteva essere aperto e chiuso ogni volte che lo si desiderava. La Grande Magia – la forza che dominava su tutto – aveva delle regole precise.
Si erano recati a Narnia tre volte in poco tempo. Prima l’avventura a bordo del Veliero dell’Alba, poi la nascita di Rilian e Myra, e poi il matrimonio.
Forse avevano abusato del passaggio tra i due mondi? Doveva – per così dire – ricaricarsi? Come funzionava?
Eustace rimaneva sveglio la notte a pensarci, rimuginandoci per ore. E oltre che sulla funzionalità del portale, ragionava anche sul trascorrere del tempo tra le due dimensioni.
Ricapitolando: qualche ora trascorsa da Lucy a casa di Tumnus corrispondevano a pochi secondi sulla Terra; quindici anni di regno dei Pevensie, nemmeno un minuto; milletrecento anni, un anno; tre anni a Narnia, un mese in questo mondo; circa nove mesi laggiù, un paio di mesi qui; altri sei mesi e…
Dannazione, erano calcoli matematici! Tutto l’universo è un calcolo matematico, doveva trovare un senso!
Ma sembrava impossibile cavarne qualcosa. Aveva solo finito per farsi venire mal di testa...
Eustace ripiegò la lettera e si recò in cucina, dove trovò solo sua madre. Harold era già uscito.
Non appena gli confermò l’arrivo di Pevensie per la vigilia, Alberta si disse molto dispiaciuta per il fatto che non ci fosse anche Susan.
La signora Scrubb era sempre stata dell’idea di farla entrare in società, di farle conoscere qualche bel giovanotto da sposare, e le era sorto un dubbio quand’era partita per andare oltreoceano: che Susan si fosse defilata a causa dalle sue insistenze? Oppure era fuggita con qualche giovanotto americano, un marinaio magari... Forse questo tipo l’aveva messa nei guai, e Helen e Robert avevano spedito la ragazza lontano per non dare scandalo.
Povera cara Helen, che figlia degenere!
“Susan con un marinaio?!” aveva chiesto Harold, distogliendo lo sguardo dal giornale. “Come ti vengono certe idee?!”
“Ma sì, magari un pirata” la signora Scrubb aveva agitato il piumino per la polvere verso il marito, scoccandogli un’occhiataccia. “Di sicuro sarà molto più affascinante di te, che te ne stai sempre in poltrona a far niente”.
“Alberta cara, io lavoro tutta la settimana! Nel weekend concedimi un pò di relax!” aveva esclamato Harold.
Ma la moglie lo aveva ingorato e aveva sospirato sognante: “Oh, sì: un bell’uomo alto e vigoroso, con spalle larghe e occhi profondi, la pelle abbronzata dal sole, i capelli al vento…”
“Mamma!”
“Alberta!”
Avevano esclamato in coro Eustace e Harold, scambiandosi uno sguardo disgustato, mentre la signora Scrubb rideva come una ragazzina.
“Oh cielo, cosa mi fate dire!”
Ma anche Eustace aveva riso sotto i baffi, pensando che sua madre non era andata molto lontano dalla realtà. Un po’ pirati lo erano stati tutti durante la traversata dell’Oceano Orientale. E non era nemmeno sbagliato affermare che Caspian (del quale aveva fatto un descrizione quasi perfetta) avesse rapito Susan. Quei due erano o non erano scappati sull'Isola delle Rose per sposarsi di nascosto? In un certo senso sì.
E siccome le era scappata l’occasione di trasformare la nipote maggiore in una bambola da salotto, quella furba di mamma aveva pensato di vergere il suo interesse su Lucy.
Le era andata male per la seconda volta.
“Vuoi fare cosa?!” esclamò Alberta la mattina del ventiquattro dicembre, quando andarono a prendere i Pevensie alla stazione.
“L’infermiera” rispose Lucy in tutta calma.
“Cara, tutto quel sangue, qui feriti, le malattie…”
“Non farla tragica, zia. La vista del sangue non mi disturba. Io lo trovo un lavoro nobile: salverò delle vite, in fondo”
Alberta storse il naso. “Sì…Se ne sei convinta, tesoro…”. Poi la prese sottobraccio e divenne tutta uno zucchero. “Santo cielo, però, come ti sei fatta grande! Che peccato che io non abbia trovato il tempo di organizzarmi per il ballo di Natale del mio circolo. Ti sarebbe piaciuto venire?”
“Non saprei…”. Lucy arrossi per il complimento.
Non era abituata a riceverne, non tanti quanti Susan. Ma era vero che era bella: ormai aveva diciassette anni ed era sbocciata in una splendida giovane donna. Numerosi corteggiatori si erano fatti avanti e avevano allarmato Peter e Edmund, i quali erano come sempre molto protettivi con la loro sorellina, specialmente il primo.
Ma non avevano di che preoccuparsi: Lucy declinava qualsiasi invito e scoraggiava ogni pretendente. Il suo cuore era già impegnato.
A scuola, le amiche mormoravano su chi potesse essere il misterioso ragazzo di Lucy; e lo stesso gli amici di Peter, all’università, si chiedevano chi mai fosse la sua fidanzata della quale parlava continuamente.
Anche il maggiore dei Pevensie aveva dovuto vedersela con le parecchie ragazze che avevano mostravano interesse per lui.
“Ma non lo sai?” dicevano i compagni di corso alle compagne. “Peter si deve sposare, è inutile provarci con lui. E’ fidanzato da quattro anni, ma lui e la sua ragazza vivono lontani. Appena prenderà la laurea la raggiungerà nel suo paese. Almeno, questo è quello che ha raccontato”
Edmund, invece, a differenza dei fratelli, non aveva disdegnato qualche uscita al cinema con qualche bella ragazza. Nulla di serio, comunque.
C’era una tizia, della quale Lucy e Peter non ricordavano il nome, che gli ronzava intorno piuttosto insistentemente, ma Ed non aveva voglia di impegnarsi.
Lucy sapeva perché.
“Pensa sempre a Shanna. E’ inutile che nega, io lo so”
I Pevensie sarebbero rimasti a Cambridge per tre giorni appena, e avrebbero preso stanza in un albergo poco lontano dalla stazione. Era un posticino accogliente, ma niente di che. Bisognava risparmiare, poiché il dopoguerra aveva gettato il paese nella crisi finanziaria ed economica, e la vita era diventata ancora più difficile.
Di questo si parlò a pranzo, a casa degli Scrubb, dove gli uomini discussero sulle idee del primo ministro statunitense, George Marshall, il quale aveva annunciato l’attivazione di un piano di aiuti economico-finanziari per l’intera Europa. 
Finito di mangiare, gli adulti si spostarono in salotto e i ragazzi salirono in camera di Eustace a chiacchierare.
“Vi ricordate come ci detestavamo quando siamo venuti qui durante la guerra?” ricordò Edmund.
“Se è un modo per dirmi che stanotte vuoi dormire a casa mia…” fece Eustace. “Scordatelo!”
Peter e Lucy risero. Subito si immersero nei ricordi di quei giorni a casa Scrubb, e ovviamente tra quelli riguardanti Narnia.
 
 
C’erano giorni in cui Jill, girando per le vie di Cambridge, provava ancora la terribile sensazione di quando gli aerei avevano bombardato l’Inghilterra, e le strade e i palazzi tremavano, e la gente gridava temendo per la propria vita.
La guerra era finita da due anni, ma aveva portato via con sé milioni di vite innocenti.
Le sue compagne di scuola ancora non sapevano quale strada percorrere per il loro futuro, Jill invece sì: voleva aiutare il prossimo, occuparsi di beneficenza, dei diritti dei poveri, dei bambini orfani, e altre cose del genere.
Aveva preso questa decisone un giorno di ormai quattro anni prima, il giorno della morte di suo cugino.
Non aveva ancora un’idea concreta sul da farsi, ma sentiva che era quella la sua strada: voleva aiutare le persone ad essere felici.
Sua madre, che era una persona un po’ cinica, diceva che il suo era un pensiero utopistico, ma suo padre appoggiava le sue scelte.
Anche nella primavera del 1945, quando alla radio avevano annunciato la fine della guerra, sembrava quasi che non fosse vero. Ma se infine si era riusciti a porre fine a quello che sarebbe stato ricordato come il più grande conflitto della storia, perché non poteva riuscire lei a portare un po’ di serenità alle persone?
“Tesoro, spostati. Blocchi il passaggio”
Al richiamo di suo padre, Jill si voltò, appena in tempo per non essere travolta da una piccola folla di gente che usciva dal negozio accanto al quale si trovava.
Come ogni anno, faceva acquisti insieme ai genitori, e chissà com’era si riducevano sempre all’ultimo momento.
Quando la calca si diradò, il signor Pole si avvicinò alla figlia, osservando gli oggetti esposti nella vetrina del punto vendita.
“Hai trovato qualcosa?”
“Sì” Jill indicò una macchina da scrivere di un nero lucente.
“Sembra molto costosa”
“Lo so, ma con i miei risparmi dovrei farcela”
Frugò nella borsetta e ne estrasse il portafogli.
Forse non le sarebbe più rimasto uno spicciolo, ma voleva assolutamente comprarla.
Non importa, si disse.
Quando uscì dal negozio con il suo pacchetto, suo padre notò che sembrava molto soddisfatta. E mentre raggiungevano la signora Pole alla drogheria dall’altra parte della strada, il singor Pole non poté fare a meno di chiedere: “E’ una persona speciale?”
La ragazza si volse verso di lui. Dire che era perplessa era poco.
“Scusa?”
Per un momento, lei pensò si riferisse al negoziante.
No, non era carino, nemmeno un po’.
“Il ragazzo a cui regalerai quella macchina da scrivere”
“E’ Eustace, papà” cantilenò Jill, alzando gli occhi al cielo.
“Sì, questo lo so. Volevo solo sapere se è speciale per te”
La ragazza sospirò. “E’ il mio migliore amico, è ovvio che sia speciale. Ma è solo un amico”
“Sei sicura?”
“Papà, mi imbarazza parlare di queste cose con te, ti prego!”
“Perché? Sei la mia bambina, è normale che io mi preoccupi”
Non era la prima volta che si trovava ad affrontare questo discorso, sia con i genitori che con le compagne di scuola. Jill voleva bene a Eustace, stava bene in sua compagnia, si divertiva, parlavano di tutto (di Narnia, soprattutto), e sapeva che anche per lui era lo stesso. Ma al di là di questo...nulla.
“Da quanto conosciamo Eustace?”
Fu il signor Pole ora a sembrare perplesso. “Da cinque anni, su per giù”
“Esatto. E ti è mai parso che tra noi ci sia qualcosa?”
“No, direi di no”
“Appunto. Siamo solo amici. E adesso raggiungiamo mamma, avrà un sacco di borse da trasportare”
Jill corse avanti ed entrò nella drogheria, facendo tintinnare il campanello appeso alla porta.
Una volta a casa, la ragazza impacchettò la macchina da scrivere avvolgendola in una bella carta rossa, legandoci attorno un grande fiocco dorato, arricciandone le estremità con la punte delle forbici. Osservò il lavoro finito e posò il tutto sul comodino, sedendo a gambe incorciate sul letto
Era d’accordo con Eustace di passare da lui l’indomani, per scambiarsi i regali. Non vedeva l’ora di vedere la faccia che avrebbe fatto quando avrebbe scartato il suo.
Jill s’infilò sotto le coperte e si addormentò quasi subito.
Si svegliò di soprassalto nel mezzo della notte, guardandosi attorno come in cerca di qualcosa. Ma che cosa?
Accese la lampada sul comodino. Voleva la luce, l’oscurità le metteva inquietudine.
Fece una smorfia. Le faceva male il polso destro. Se l’afferrò con il sinistro, sovrappensiero, iniziando a massaggiarselo mentre cercava di ricordare qualcosa ma senza riuscirci. Il sogno di poco prima le aveva lasciato addosso una strana e spiacevole sensazione.
Abbassò lo sguardo sul proprio braccio. Perché le faceva così male?
Scostò la manica della camicia da notte, come se si aspettasse di trovare un segno sul braccio.
E lo trovò.
Alla luce soffusa della lampada, vide l’impronta di una mano, di un rosso acceso, come un marchio inciso a fuoco.
“Oddio!”
Si alzò svelta e pigiò l’interruttore sulla parete accanto alla porta, e il lampadario si accese. Si guardò ancora il braccio, ma il segno era scomparso.
Che fosse stata la sua immaginazione?
Si accorse di tremare, di freddo e di terrore.
Pian piano, le immagini del sogno riapparvero: rammentò l’oscurità, fitta e impenetrabile. Ricordò una foresta pena di neve. Aveva avuto così freddo da battere i denti. Ricordò la bufera, i fiocchi di neve che si abbattevano feroci su di lei. Poi qualcuno l’aveva chiamata, per aiutarla, per farla uscire dalla foresta e condurla verso una collina verde e calda, piena di sole. E allora aveva sentito la fitta al braccio. Una morsa d’acciaio. Si era voltata, benché chi l’avesse chiamata le avesse intimato di non farlo. Dietro di lei aveva scorto solo neve vorticante, ma in mezzo ad essa erano apparsi due occhi di ghiaccio, che d’un tratto erano diventati neri come la pece. Avevano inghiottito il mondo intero, e anche lei, dentro quel sogno che era diventato un incubo. La creatura a cui appartenevano quegli occhi la teneva saldamente, per non permetterle di allontanarsi, per non farla risvegliare e impedendole di raggiungere la collina luminosa. Infine, un brontolio minaccioso.
“Oh, Signore, aiutami!” aveva esclamato Jill nella sua mente, e allora la mano aveva lasciato il suo braccio e lei era come caduta all’indietro, nel vuoto, mentre l’eco di un fragore vibrante risuonava lontano.
E le parve di sentirlo ancora, vicino a lei, sussurrare accanto al suo orecchio. Una voce che diceva cose che non capiva, perché tropo lontana.
Spense la luce grande e tornò verso il letto, le gambe improvvisamente molli. Jill fece un lungo sospiro, allungò la mano verso l’interruttore della lampada, ritirandola all’ultimo momento.
Era infantile, ma la voleva accesa.
Fece un altro lungo sospiro e si sdraiò sul fianco.
Suo padre le aveva insegnato a pregare ogniqualvolta si sentisse impaurita o smarrita, così chiuse gli occhi e si sentì improvvisamente meglio non appena invocò l’Iddio del cielo.
Forse era sciocco pregare solo perché si era spaventata per via di un incubo, ma il fatto era che qualcosa le diceva che il segno sul braccio non se l’era immaginato. C’era stato, e poteva ancora sentire il dolore di quella morsa gelata.
A poco a poco, l’inquietudine lasciò il posto a quella tranquillità che precede il sonno. Le parve di udire un suono, come le fusa di un grosso gatto, ma era troppo stanca per aprire di nuovo gli occhi.
Il Leone si chinò su di lei, ascoltando il suo respiro regolare.
Si era riaddormentata. Bene. Era al sciuro, ora.
“Non ancora, ma presto... Presto sarai con noi a Narnia” mormorò Aslan, soffiando su di lei, donandole un nuovo sonno senza sogni, per proteggerla da chi aveva cercato di farle del male.
 
 
“Auguri!” esclamarono in coro Eustace e Jill quando lui aprì la porta, il pomeriggio seguente.
“Dai, entra, si congela”.
Jill mise piede sullo zerbino d’entrata, pulendosi le scarpe coperte di neve. Era caduta tutta la notte in fiocchi grandi e compatti, e non accennava a smettere. Ma per i ragazzi non c’era niente di meglio che una bella nevicata il giorno di Natale.
“Avete ospiti? Sono i tuoi parenti?” chiese Jill, appendendo il cappotto e seguendo l’amico fino alla soglia del salotto.
“Esatto. Sono arrivati ieri. Vieni, te li presento” rispose Eustace, dopo un attimo esclamando: “Mamma, è arrivata Jill!”
Alberta balzò in piedi e allargò le braccia. “Cara, benvenuta!”
“Buon pomeriggio” salutò la ragazza, baciando la signora Scrubb sulle guance e stringendo la mano al signor Scrubb.
Poi, posò lo sguardo sul resto dei presenti: un uomo con i capelli biondi scuri e gli occhi azzurri. Una donna dal viso gentile, gli occhi castani, i capelli scuri, mossi, sulle spalle. Tre ragazzi, ovviamente i loro figli: il primo era un giovane uomo di vent’anni o poco più, praticamente identico al padre, biondo con gli occhi azzurri. Il secondo era un ragazzo moro con gli occhi nocciola. A occhio e corce doveva avere la sua età, proprio come la ragazza al suo fianco, la quale aveva lunghi capelli rosso scuro, gli occhi azzurri brillanti.
Jill capì immediatamente chi erano. Nel suo libro, Eustace li aveva descritti più giovani, ma erano loro, non c’erano dubbi: Peter, Edmund e Lucy, i protagonisti del romanzo di Eustace.
Mancava solo Susan.
Jill sapeva perché non c’era. L’amico le aveva raccontato tutto.
Sedette accanto a Lucy, presentandosi ai Pevensie, emozionata. Conoscerli era quasi come incontrare un famoso attore del cinema. Per un fugace momento pensò addirittura di chieder loro l’autografo. Erano delle specie di eroi per lei, che ne aveva seguito le gesta su carta. Era così strano averli davanti, ora…
“Tieni” disse infine Jill, porgendo all’amico il suo grande e pesante regalo.
Eustace fece una smorfia. Il pacchettino che le consegnò era molto più piccolo.
“Non è la dimensione che conta. Dai aprilo” lo esortò la ragazza, capendo il suo disagio.
“Prima tu”
“No tu”
“No, dai”
“Se andate avanti così ci mettete tutto il giorno” intervenne Edmund con aria divertita.
Infine, Jill si decise e aprì per prima il pacchettino rettangolare, ringraizando di cuore quando ne estrasse una magnifica penna stilografica. Jill ne faceva collezione oltre ad usarle. Quello che aveva tra le mani era un modello rarissimo, a tiratura limitata: un piccolo capolavoro laminato in oro, con particolari incisione sul corpo e sul cappuccio.
“Era quello che volevo. Grazie, Eustace! Adesso però tocca a te.”
Jill era impaziente.
Il ragazzo strappò la carta rossa e restò a bocca aperta quando vide ciò che aveva contenuto.
“Accidenti, che bella!” esclamò, posando la macchina da scrivere sul tavolino del salotto e contemplandola da tutte le direzioni.
Jill ne fu felicissima. “Sapevo che ti sarebbe piaciuta! Avevi detto che la tua non funziona più bene, e che te ne sarebbe servita una nuova al più presto. Così ci ho pensato io!”
“Grazie, è bellissima!”
“Così puoi finalmente finire di scrivere il…” continuò Jill, fermandosi in tempo.
“Il mio nuovo racconto, certo” le venne subito in aiuto Eustace.
“Hai una nuova opera in cantiere, figliolo?” chiese Harod.
“Ehm...più o meno” mentì Eustace. Lui e Jill si scambiarono uno sguardo. Lo stesso fecero i fratelli Pevensie.
Da quel famigerato giorno in cui aveva perso i suoi appunti, il cugino aveva assicurato loro che la sua amica non sapesse e non avesse chiesto più nulla di Narnia. Eustace non aveva mai ammesso di aver rivelato il segreto di Narnia a Jill. Il fatto era che non voleva che lo costringessero a mentirle ancora. Lei era l’unica amica sincera che aveva. Ogni volta che lui terminava un pezzo glielo faceva leggere subito, e lei lo consigliava, gli correggeva gli errori, e poi chiedeva di Narnia, pregandolo di non smettere mai di raccontarle di quel mondo meraviglioso. Avevano formato un duo molto affiatato, anche se finivano per litigare spesso e volentieri. Lui non era sempre molto propeso ad ascoltare le critiche di lei, nemmeno quelle potenzialmente  costruttive.
“Se hai un nuovo racconto” disse infatti Jill. “Allora la mia penna capita giusto in tempo per correggerti gli errori”
Eustace mise il broncio. “Non ne ho bisogno!”
A quel punto, Harold non perse tempo e si mise a decantare la bravura del figlio, dei successi che aveva conseguito in un concorso letterario indetto dal giornale della scuola.
“Per ora è poco, ma è un primo passo verso una brillante carriera!”
“Complimenti, Eustace” disse Robert, davvero compiaciuto.
Tutti in famiglia conoscevano la passione che Eustace aveva sempre avuto per la scrittura.
Peter, come tutti gli altri, osservò la bella macchina da scrivere nera lucente, pensando esattamente la stessa cosa che Jill Pole stava per dire poco fa: con quella, Eustace era finalmente in grado di terminare di battere in bella grafia il lungo romanzo che aveva intitolato Le Cronache di Narnia.
Il cugino aveva deciso di dividerlo in parti e di dare ad ognuna un titolo diverso. Per ora, le suddette parti erano tre, ma il ragazzo prometteva di cimentarsi nella stesura di una nuova avventura.
Certe volte, i Pevensie pensavano che fosse un peccato non poterlo far conoscere ad altri, ma non era possibile. Il segreto di Narnia doveva rimanere un segreto, almeno finché Aslan non avesse detto loro diversamente.
Condividevano quel segreto Peter, Susan, Edmund, Lucy e i loro genitori; Eustace, il professor Kirke e la sua amica Polly Plummer.
E poi c’era Jill Pole, che qualche anno prima era quasi venuta a conoscenza di cose che nessuno, al di fuori di coloro che avevano visitato Narnia, avrebbe mai dovuto sapere.
Eustace diceva che Jill era un’amica vera e che non avrebbe mai tradito il loro segreto, ma i Pevensie erano stati tassativi: nessuno doveva sapere di Narnia. L’avevano ripetuto fino allo sfinimento.
Conoscevano Jill solo di nome, era la prima volta in assoluto che la incontravano di persona.
Al primo impatto, Peter pensò che fosse simpatica, e non sembrava affatto una ficcanaso come una volta l’aveva definita Eustace.
Quando suonarono le cinque, Alberta e Helen prepararono il thè e Lucy servì il dolce fatto con le sue mani.
 “E’ ottimo” si complimentò Jill. “Vorrei saper cucinare bene come te, ma devo ammettere di essere una vera frana.”
“Grazie, sei gentile” sorrise la Valorosa. “Basta fare tanta pratica. A me ha insegnato mia sorella Susan.”
D’un tratto, osservando quella ragazza chiacchierare allegramente con sua sorella, Peter ebbe come un presentimento. E il regalo che aveva fatto a Eustace era la base di quel presentimento.
Un macchina da scrivere...buffo. Però…
“Ne prendo un’altra fetta” disse Eustace, alzandosi e andando verso la cucina.
“Anch’io” disse Peter seguendolo.
Il Re Supremo accostò la porta per chiudere fuori le voci che provenivano dal salotto, per poter porre alcune domande al cugino senza che gli altri sentissero.
“La tua amica ti ha fatto un regalo molto utile”
Eustace sorrsie. “Sì, è fantastico! Proprio quello che ci voleva per completare il romanzo su Narnia!”
Peter lo fissò severamente. “Eustace, tu non hai più parlato di Narnia con lei, vero?”
“No, certo che no” mentì il cugino.
Ebbe appena un fremito, ma Peter se ne accorse.
“Davvero?”
“Sì, davvero. Perché questa domanda tutto a un tratto?”
“Perché Jill stava dicendo qualcosa a proposito di un libro, prima. Forse di quel libro”
“Bè…” balbettò Eustace. “Jill sa che sto scrivendo un libro su Narnia, lo sai, ma crede che sia una storia inventata, proprio come mi avete sempre raccomandato di sostenere.”
“Non dirle niente” ripeté Peter per l’ennesima volta.
“Non le ho detto nulla!” s’innervosì Eustace. “Senti, è mia amica!”
“Lo so, e per questo capisco che sia difficile mentirle. Ma non dovresti coinvolgerla troppo”
“Non posso nemmeno smettere di farle leggere i miei racconti da un giorno all’altro!”
“Lei legge tutto quello che scrivi?”
“Di solito sì”. Eustace sbuffò “Smettila di fare l’insistente. Jill è a posto”
Prima che Peter potesse aggiungere qualcos’altro, il cugino prese la sua fetta di dolce e se ne tornò in salotto. Nell’uscire, quasi travolse Edmund che entrava in cucina in quel momento.
“Ehi, che succede?” chiese il Giusto, guardando il fratello e facnedo un cenno con la testa verso la porta. “Che ha combinato?”
Peter raccontò brevemente i suoi timori. Edmund lo ascoltò con attenzione e poi scosse il capo.
“Non penso che Eustace abbia cantato”
Peter si appoggiò al tavolo. “Sai non è tanto Jill che mi preoccupa. Non è lei, è…questo mondo, la gente che ci vive. Io non vedo l’ora di tornare a Narnia”.
Edmund sospirò. “So cosa vuoi dire. Dopo la guerra, niente è stato più come prima. Tutto sta cambiando e in peggio. Se potessimo vivere laggiù…”
“Certe volte vorrei che tutto il mondo potesse conoscere Narnia” ammise Peter, notando lo sguardo sbalordito del fratello. Fece un sorrisetto. “So che ho appena detto a Eustace di non dire nulla a nessuno, so che l’ho tormentato per mesi su questo, ma non è forse per aiutare le persone del nostro mondo ad avvicinarsi a Narnia che Aslan ci ha scelti per essere suoi Re e Regine? Lo scopo è questo, Ed.”
Il Giusto abbassò lo sguardo, riflettendo intensamente. “Hai ragione. Me ne rendo conto solo ora che l’hai detto. Però Peter, Aslan ci disse di non parlarne. E se non ne parliamo, come possiamo far conoscere Narnia al mondo?”
“Forse tramite il libro di Eustace” azzardò Peter. “Forse un giorno lo pubblicherà davvero e allora tutti sapranno…E’ probabile che il giorno in cui Aslan ci dirà che il mondo è pronto per sapere, sarà il giorno in cui anche il settimo Amico di Narnia sarà con noi”
“Può darsi” annuì Edmund. “Io pensavo…ma non so”
“Avanti” lo esortò il Re Supremo.
“Sono passati quattro anni e non abbiamo ancora trovato traccia di questo settimo Amico. Inizialmente avevo creduto potesse trattarsi di Digory, o di zia Polly, ma loro stessi ci hanno assicurato di no”
Peter annuì. Ricordava quando un paio d’estati prima, lui, Ed e Lucy erano andati a trovare Digory nella grande casa fuori Londra, insieme a Eustace. In quell’occasione era arrivata anche Polly.
Il vecchio professor Kirke e la sua migliore amica avevano ascoltato le nuove strabilianti avventure di Nanria, e poi avevano tolto ogni dubbio ai ragazzi: se uno di loro due fosse stato il detentore della Spada di Rhoop, l’avrebbero avvertito, percepito.
“Ma io e Polly abbiamo già dato a Narnia tutto ciò che potevamo” aveva detto Digory.
“Peter” continuò Edmund. “E se non trovassimo mai il settimo Amico di Narnia?”
“Non è possibile. Non essere sempre pessimista”
Edmund fissò il fratello con sguardo cupo. “Anch’io non ce la faccio più! Anch’io voglio tornare a Narnia! Vorrei poter rivedere nostra sorella, il mio migliore amico, i miei nipoti! Eppure Aslan non ci chiama, perché lo farà solo quando avremo trovato questo famigerato Amico. Ma se non lo trovassimo? Cosa succederebbe allora?”
“Ha detto che lo avrei trovato e lo troverò” rispose Peter, risoluto. “Ho completa fiducia in Aslan”
“Anch’io ne ho, ma quando accadrà? Quanto tempo passerà ancora? E quanto ne sarà passato laggiù? Non mi stupirei di trovare Rilian e Myra già adulti, e a quel punto Caspian e Susan potrebbero essere…”
Edmund si fermò prima di pronunciare quella terribile parola che rimase sospesa tra loro.
Peter lo fulminò con un solo sguardo. Lo sguardo del Re Supremo, davanti al quale il Giusto chinò il capo.
“Scusa”
“La possibilità che Caspian e Susan siano…” Peter prese un respiro, “non la devi nemmeno prendere in considerazione”
“Lo so, ma…” Edmund strinse i pungi. “E’ frustrante quest’attesa, molto più delle altre volte. Tu e Lucy sembrate così tranquilli…”
“Non è facile per nessuno, Edmund. Tantomeno quando sai che c’è una persona che ti aspetta, e che non vedendoti tornare potrebbe pensare che l’hai abbandonata”
Gli occhi di Peter divennero tristi. Immensamente tristi.
“No, Miriel non lo penserebbe mai” cercò di rassicurarlo Edmund.
Un attimo di silenzio, nel quale il nome della Driade li riportò tra i ricordi.
Poi, con uno sforzo immane, Peter si mosse, lentamente, afferrò il coltello e tagliò due fette del dolce di Lucy.
“Ne vuoi anche tu?”
“Eh?” fece Edmund, per un momento smarrito. “Ah, sì…”
Quando fecero per uscire dalla cucina, Peter disse: “Ed, che impressione ti ha fatto Jill?”
Edmund si volse indietro, la mano sulla maniglia. “Buona, direi. E’ simpatica” sintetizzò con un’alzata di spalle.
“Io ho come avuto l’impressione di conoscerla” aggiunse Peter, la fronte aggrottata in un’espressione pensosa. “Guardandola parlare con Lucy ho avuto come la sensazione che fossero…simili. Non saprei dirti come. Ho pensato che lei…bè, che abbia qualcosa di speciale.”
“Vuoi dire che…” balbettò Edmund.
“Non lo so. Non ne sono sicuro” si schermò Peter.
I due ragazzi Pevensie si fissarono qualche secondo, trasalendo quando la testa di Lucy spuntò in cucina.
“Ma dove siete finiti? Vi siete mangiati il resto del dolce da soli?”
Lucy sorrise, i fratelli no.
“Che cosa c’è?”
“Lu” fece Peter, con aria serissima. “Cosa pensi di Jill Pole?”.
La Valorosa sbatté le palpebre, sorpresa. “Perché me lo chiedi?”
 
 
 
~·~
 
 
 
C’erano decine di momenti meravigliosi durante le sue giornate, ma quello che Susan adorava più di tutti era concedersi una passeggiata sulla spiaggia, la mattina presto. A volte era sola, quando Caspian si svegliava molto presto e non poteva andare con lei, richiamato dagli impegni di corte. Di solito, però, lui l’accompagnava sempre: mano nella mano, a piedi nudi sulla sabbia, le onde che lambivano leggere la loro pelle, la brezza mattutina che li costringeva a stringersi l’uno all’altra, sedendo in riva al mare a guardare il sole sorgere.
Quando loro due erano gli unici già svegli, mentre tutta Narnia ancora dormiva.
Erano istanti magici, rilassanti, speciali, pieni di tenerezza e qualche volta di passione.
A volte, infrangere le regole era piacevole…
Ma se con loro c’erano anche Rilian e Myra, allora si divertivano a giocare, costruendo castelli di sabbia, raccogliendo conchiglie, rincorrendosi sulla spiaggia.
Poi tornavano di corsa al castello, richiamati dai servitori che, puntuali, ricordavano ai Sovrani i mille obblighi del giorno.
Erano un Re e una Regina, ma Cornelius, Miriel, Briscola e altri, riuscivano anche a vederli per quello che erano davvero: giovani.
Caspian aveva ventisei anni, Susan ventitré. Qualche volta, tornare ragazzini era più che lecito, e inevitabile.
Nonostante questo, nonostante la giovane età, erano due Sovrani e due genitori esemplari.
Susan istruiva personalmente i due principi, aiutata dal dottor Cornelius. Caspian, benché avesse meno tempo di lei, cercava sempre di essere presente.
Erano consapevoli di avere una doppia responsabilità: oltre a imprimere ai loro figli i giusti princìpi e valori, un giorno quei bambini sarebbero divenuti un Re e una Regina, e Caspian e Susan avevano un’idea molto precisa su come dovevano venire allevati per essere all’altezza del loro titolo.
Accettavano consigli, ma non si facevano influenzare.
Amavano i loro bambini con tutto il cuore. Li coccolavano, giocavano e studiavano con loro. Erano un padre e una madre affettuosi, ma anche severi quando serviva: Rilian e Myra non erano esenti dai rimproveri, e nemmeno da qualche bella sculacciata.
Avevano impartito loro le buone maniere e la disciplina, l’amore e il rispetto altrui, e soprattutto la fede in Aslan.
I gemelli adoravano ascoltare le vecchie storie di Narnia, soprattutto quelle in cui comparivano i loro zii e i loro genitori insieme al Grande Leone.
Avevano un solo ricordo di Aslan e pochi della famiglia della madre. Ma di Peter, Edmund e Lucy avevano visti i ritratti sia sui libri, che nella lunga Sala dei Dipinti di Cair Paravel (dov’erano appesi tutti gli affreschi dei Sovrani di Narnia dall’inizio dei tempi). Erano stati anche alla Casa di Aslan: Caspian e Susan li avevano portati laggiù qualche volta. Avevano anche visitato la Tavola di Pietra, Lanterna Perduta, la Diga dei Castori, il vecchio castello del defunto zio di loro padre, e tutti gli altri luoghi che apparivano nelle storie che Susan raccontava loro ogni sera prima di addormentarsi.
Non erano di aspetto identico: Rilian somigliava a Caspian in tutto e per tutto, tranne che per gli occhi, azzurri come quelli di Susan, ma i capelli erano scuri come quelli di suo padre. Fin in tenera età, si rivelò essere un bambino coraggioso e un po’ spericolato, troppo a volte, con una spiccata curiosità e un’attitudine naturale per il tiro con l’arco e la scherma.
Myra, invece, assomigliava molto alla madre, con gli stessi lineamenti dolci, lo sguardo gentile e il carattere amabile e generoso. I capelli erano come quelli di sua madre, lunghi, dritti, di un bel castano lucente. Gli occhi invece erano quelli del padre, anche se non così scuri e profondi, ma di una bella sfumatura color nocciola scuro. Amava lo studio e la tranquillità, ed era una provetta cavallerizza.
Briscola li chiamava affettuosamente Caspian e Susan in miniatura.
Come tutti i fratelli, anche Rilian e Myra talvolta bisticciavano (lui le tirava i capelli e lei qualche calcio) ma per la maggior parte del tempo andavano molto d’accordo. Dove c’era l’uno c’era anche l’altro, complici di innocenti marachelle al povero vecchio Cornelius, che li considerava un po’ come dei nipotini. Avevano un legame molto forte, e questo loro attaccamento dipendeva soprattutto dal fatto che fossero gemelli. Separarli per troppo tempo era impensabile. Avevano ognuno la sua camera, ma spesso li si trovava a dormire assieme.
Quella mattina di maggio, nella quale niente sembrava poter turbare la pace del regno, Rilian e Myra dormivano ancora, e Caspian e Susan erano scesi in riva al mare, passando per la piccola scala di pietra nascosta sotto i tralci di gelsomino che cresceva sulla facciata ovest del castello, dove il balcone della stanza reale si affacciava sull’Oceano Orientale. La scaletta esterna girava per un piccolo tratto attorno alle mura e dava direttamente sulla spiaggia.
Il Re e la Regina la usavano spesso quando volevano scappare per un po’ dalle mura del palazzo, a volte opprimente, in quelle giornate oltremodo stressanti, piene di visite di ambasciatori stranieri, ricevimenti, riunioni, pranzi e cene. Giornate nelle quali era perfino difficile dare un bacio ai propri bambini.
Fortunatamente non capitavano più così spesso, poiché dopo il secondo compleanno dei principi, nel quinto anno del regno di Caspian X, non solo il regno, ma l’intero mondo di Narnia entrò in un lungo periodo di pace.
Il sole era già sorto e faceva caldo. Fare il bagno fu piacevole.
“E’ presto per rientrare. Restiamo ancora un pò” disse Susan, quando uscì dall’acqua e vide Caspian porgerle gli abiti.
“Potrebbe vederci qualcuno. Il palazzo si sta svegliando, ormai”
Tornarono in camera e si asciugarono, continuando a chiacchierare allegramente. Susan strofinò energicamente i capelli di lui, e Caspian le pettinò la lunga chioma.
D’un tratto l’afferrò per la vita e la trascinò sui guanciali, facendole appoggiare la schiena al suo petto.
“Sei un bugiardo senza ritegno” scherzò lei, mentre Caspian rideva e scendeva a solleticarle il collo con le labbra. “Non ti preoccupava affatto che qualcuno ci vedesse, avevi semplicemente in mente altro”
“Non lo nego” sussurrò il Re, continuando imperterrito ad assaporare la sua pelle.
Susan si voltò e gli fu di fronte. Si accomodò su di lui, allacciando le braccia attorno al suo collo. “Rilian e Myra saranno già in piedi” mormorò.
“Non, non penso. E’ presto”
Caspian iniziò a baciarla lentamente, prima le labbra, poi le guance, e infine scese di nuovo sul collo. Susan alzò il viso per permettergli maggiore accesso, lasciando andare un sospiro.
“Caspian…”
“Sì?”
“Cinque minuti?”
Lui rise. “Andata”
Il Liberatore la trasportò lentamente sotto di sé, cercando il contatto con il suo corpo.
“E la riunione di stamattina?” chiese Susan, ricordando all’improvviso che suo marito era atteso nella sala del Gran Consiglio di lì a poco.
Si fissarono un attimo soltanto.
“Al diavolo la riunione” sbuffò Caspian, rotolando sul letto con lei, cingendole i fianchi, iniziando ad approfondire il bacio. Le coccolò la schiena con delicate ma audaci carezze.
“Ho idea che i minuti diventeranno dieci” mormorò lei, facendogli una carezza tra i peli del petto, allungandosi per posarvi le labbra. “Facciamo anche quindici”
“Facciamo anche un’ora” la corresse Caspian, guardandola appena un attimo, prima di baciarla di nuovo.
Susan fremette tra quelle labbra meravigliosamente impazienti, tra quelle braccia forti che la facevano sentire protetta, sicura.
E vi furono solo le carezze di quelle mani grandi, delicate, gentili e bramose al tempo stesso, e i suoi occhi…Dopo anni, certe volte la facevano ancora arrossire.
Era un altro mondo. Non esisteva niente. Solo lui.
“Dovremmo farlo più spesso” disse piano, rilassata come non mai, sdraiata come lui a pancia sotto, l’uno a fianco all’altra.  “Concederci queste mattine. Restare a letto un po’ di più”
“Sì, è vero”. Caspian le accarezzò la schiena, languidamente.
Susan si mosse appena. “Mi fai il solletico”.
Lui le sorrise, lo sguardo pieno d’amore e tenerezza.
Non riuscirono a staccarsi gli occhi di dosso.
Caspian la faceva quasi vergognare per come la faceva sentire in certe notti, in certi momenti, regalandole emozioni così forti da confonderla. Una vera signora non può provare certe sensazioni, o almeno così si diceva. Ma lui sapeva essere anche così dolce...
E anche quella mattina avrebbe dovuto arrossire fino alla punta dei capelli per il modo in cui si erano amati, e invece…sorrise.
Si sistemò meglio accanto a lui, voltandosi su un fianco e portandosi le lenzuola quasi fino al naso.
“Che c’è?” chiese il giovane.
Lei scosse il capo. “Niente”
Caspian si alzò su un gomito. “Dai, dimmelo”
Susan allungò una mano e con dita leggere giocherellò con una ciocca di capelli che gli ricadeva sulla fronte.
“Mi è piaciuto fare l’amore con te” sussurrò dolcemente.
“Anche a me”. Lui sorrise ancora e si chinò a baciarla. Poi si ridistese accanto a lei, avvicinando il viso a quello di Susan, posando la propria fronte contro la sua.
“Certe volte…” disse la Regina, interrompendo quel tenero silenzio. “Certe volte mi capita ancora di sognare di lasciare Narnia, lasciare te. Penso che se dovessi tornare alla mia vecchia vita, ti giuro, potrei impazzire”
“Mi hai insegnato che i sogni che facciamo la notte sono solo sogni” disse lui, senza mai smettere di accarezzarle la schiena e le spalle, i capelli.
“Lo so. Ma certe volte mettono angoscia”
“Sei in ansia per qualcosa?”
Susan scosse il capo. “No. No, non c’è nulla che può turbarmi. Ho tutto ciò che desidero dalla vita. Ho l’amore, e sei tu: l’uomo e il marito più straordinario che esista”
Caspian sorrise di nuovo, allungandosi per baciarle una guancia, poi la spalla.
“Abbiamo due bellissimi bambini…”
“Due uragani” la corresse lui.
Susan rise. “Sì, è vero”. Appoggiò le mani al cuscino e poi vi poggiò il viso. “Tu, i nostri figli, la felicità, la pace a Narnia, la nostra gente e i nostri amici che vivono sereni... Cosa potrei chiedere di più?”
Caspian la strinse forte e si voltò sulla schiena, facendola sdraiare su di sé.
“Potrei morire di te, lo sai?”
Susan appoggiò la testa al suo petto, posando il palmo della mano sul suo cuore. “Vorrebbe dire che mi ami?”
“Come il primo giorno”
Gli occhi della Regina splendettero di pura gioia.
Il Liberatore le strinse la mano e poi se la portò alle labbra.  “Dovremmo vestirci”
“Già”
Fecero appena in tempo a ricomporsi che la porta si aprì con un tonfo.
“Mami, papi, sveglia!” gridò una vocetta infantile, mentre il suo proprietario saliva sul letto e si metteva a saltellare allegramente, come fosse la cosa più naturale del mondo. “Sveglia! Sveglia! Sveglia!”
 “Rilian…” fece Caspian, con voce bassa e minacciosa. Si alzò di scatto a sedere e afferrò suo figlio, iniziando a fargli il solletico. “Piccolo terremoto, vuoi smetterla di farmi venire un colpo tutte le mattine?!”
“Aiuto!” gridò il bambino, ridendo come un matto.
“Mamma! Papà!” esclamò un’altra voce, mentre una bella bambina di sei anni entrava nella camera correndo e si arrampicava sul letto. “Lora dice che possiamo saltare le lezioni del mattino visto che è domenica, e scendere subito in giardino a giocare. E’ vero? Possiamo?”
Lady Lora, tesoro” la corresse Susan. “Certo che potete scendere”
Caspian le scoccò un’occhiata. “Subito?”
La Regina fece un sorrisetto furbo, afferrando il guanciale. “Bè…prima direi di…”
“NO!” esclamarono il principe e la principessa, cercando di scappare. Ma i genitori li avevano già riacchiappati e trascinati in una favolosa lotta coi cuscini.
Le risate e le piume invasero la stanza reale, così come i caldi raggi del sole di primavera che fecero capolino dalle porte del balcone, lasciate socchiuse. Un uccellino si posò sulla balaustra di pietra, sbirciando nella stanza e commentando con un cinguettio la scena che osservò per qualche secondo: l’amore e la felicità assoluti.
“Fermi tutti!” esclamò Caspian all’improvviso. “Mi è appena venuta un’idea”
Rilian diede un’ultima cuscinata a Myra, che cadde dal letto. La bimba sbuffò perché era stata battuta.
Caspian la tirò su senza sforzo, con un braccio solo. “Fatta male?”
“No, no”
“Bene, allora ascoltatemi: che ne dite di fare una gita, oggi pomeriggio?”
“Sì!” esclamarono in coro i gemelli.
Poi si voltarono tutti e tre verso Susan. Lei sorrideva.
“Sono assolutamente d’accordo”
“Evviva!” gridò Rilian. “Andiamo in gita!”
“E dove andremo, papà?” chiese Myra, con la sua vocina tranquilla come quella della madre, osservando il genitore, in attesa.
Caspian guardò negli occhi di lei, così simili ai suoi. “Ah…io…credo di non saperlo ancora”.
Scese un silenzio imbarazzante. Il Re si passò una mano tra i capelli, assumendo un’espressione smarrita, cercando aiuto nello sguardo di sua moglie.
“Lo so io” agì subito la Regina, battendo le mani una volta. “Prenderemo i cavalli e galopperemo fino a Bosco Gufo. In questa stagione è davvero una delizia per gli occhi. E sapete cosa faremo una volta là?”
“Cosa?” chiesero in coro i gemelli.
“Un bel pic-nic”
“E staremo fuori tutto tutto il giorno, mamma?” domandò Rilian.
“Vedremo”
I due principini furono entusiasti all’idea. Erano occasioni speciali quelle in cui trascorrevano una giornata intera da soli con i loro genitori, senza noiosi paggi e ancelle che dicessero sempre al Re e alla Regina che era tardi, che dovevano fare questo o quello.
Alcune volte, ai due fratellini sembrava che papà e mamma venissero ripresi e rimproverati più di loro.
Dopo colazione, il principe e la principessa scesero nel parco assieme a Lady Lora. Caspian arrivò in tempo per la riunione fissata per il mattino. Susan si recò in cucina a dare disposizioni per la preparazione dei cestini del pranzo, mettendoci lo zampino lei stessa.
Verso le undici si cambiarono, indossando abiti comodi e leggeri. Il cielo era di un azzurro profondo, preludio di una giornata perfetta. Portarono comunque appresso i mantelli, poiché in quella stagione la pioggia poteva sorprenderli all’improvviso.
Il clima era così bello che trasmetteva il buonumore in chiunque. Persino quel muso lungo di Drinian si lasciò andare ai suoi rari sorrisi, mentre vigilava sui gemelli che giocavano nel parco. Per lui e Lora erano stati una cura al grande dolore che li aveva colpiti tanti anni prima.
Destriero e Aurora (la bianca giumenta di Susan) erano già stati sellati quando la famiglia reale scese alle scuderie.
“Sicuri di non volere che prepariamo la carrozza, Maestà?” chiese il capo scudiero.
“Sicurissimo” rispose Caspian, dando una pacca amichevole sul dorso del suo cavallo.
Rilian e Myra lo raggiunsero assieme alla madre, eccitatissimi.
“Tutto pronto?” chiese il Re.
“Direi di sì” fece la Regina, fissando le ceste alle selle.
Caspian prese braccio Myra e la posò sulla groppa di Aurora. Subito la bambina si mise a sedere all’amazzone, proprio come le aveva insegnato sua madre, rassettandosi la gonnellina rosa e osservando i goffi tentativi del fratello mentre cercava di salire da solo su Destriero.
“Ce la faccio” disse Rilian, protestando quando suo padre cercò di aiutarlo.
Il Liberatore sorrise, osservando il figlioletto saltellare su un piede solo, l’altro nella staffa.
“E’ troppo alto per te, Rirì” commentò Myra. “Lascia che papà ti aiuti, altrimenti faremo notte”
Rilian sbuffò e la guardò torvo. “Non siamo tutti bravi come te, Mia!”
“Su, su non bisticciate” li rabbonì Susan, salendo dietro la principessa. “Tua sorella ha ragione, amore, Destriero è troppo alto per te”
Rilian sembrò offeso e imbarazzato quando Caspian lo afferrò sotto le ascelle e lo posizionò sulla sella.
Il Re si issò dietro di lui e poi partirono, mentre Miriel, Clipse, Tara, Lora e Drinian salutavano, raccomandando la prudenza.
Procedettero al passo e uscirono in fretta dalla città, verso le praterie.
 “Dovevamo portare i nostri pony” disse Rilian ad un tratto.
Io ho un pony. Tu non sai ancora cavalcare” lo punzecchiò Myra.
“Non è vero, so cavalcare benissimo! E’ che voglio un cavallo come quello di papà”
“Quando sarai un po’ più grande, tesoro” disse Caspian. “Dai tempo al tempo, Rilian. Tra un paio d’anni sarai più alto di tua sorella e allora avrai un magnifico stallone tutto tuo”
Il bambino si voltò verso il Re, il malumore scomparso e sostituito da uno sguardo quasi adorante. “Veramente? Un cavallo vero tutto per me?”
Caspian gli sorrise e gli arruffò i capelli neri “Assolutamente sì. Io ricevetti Destriero in dono per il mio decimo compleanno”
“Io tra due anni ne avrò otto”
Il Re sorrise ancora. “Mi supererai, allora”
Rilian sfoderò un sorriso raggiante.
Intanto, dietro di loro, Susan stava rimproverando Myra.
“Non devi sempre ricordare a tuo fratello quello che non sa fare.”
“Ma Miriel dice che la sincerità è una qualità importante e io voglio essere sempre sincera”
“Una bugia a fin di bene qualche volta non fa male, soprattutto se si tratta di non ferire i sentimenti altrui”
“Quindi avrei dovuto mentire a Rilian e dirgli che è bravo a cavalcare anche se non è vero?”
“Sì”
La principessa guardò la madre con stupore. “E tu hai mai detto una bugia a fin di bene, mamma?”
“Qualche volta”. Susan staccò una mano dalle redini e sistemò il fiocchetto che la bimba portava sempre al lato del capo. Myra lo metteva per imitare sua madre, che nei capelli aveva sempre infilato il fiore blu che le aveva regalato il Re.
“Lo so che può sembrarti strano, Myra, che ti ho sempre insegnato a non dire bugie, ma ricordi cosa ho detto poco fa riguardo ai sentimenti?”
“Che non dobbiamo ferire quelli degli altri”
“Bravissima. Per cui, la prossima volta, incoraggia tuo fratello quando lo vedi in difficoltà. Lodalo per i suoi sforzi, anche quando non riesce in qualcosa. Miriel ha ragione: l’onestà è importante, ma a volte troppa sincerità può far male”
“Sì, ho capito” Myra sospirò. “Stavolta ho sbagliato io. Più tardi gli chiederò scusa”
Susan si chinò sulla bambina e le posò un bacio sul capo.
Raggiunsero Caspian e Rilian e cavalcarono fianco a fianco per tutto il tempo.
I due gemelli si scambiarono sguardi furtivi, mentre i genitori parlavano.
“Scusa Rirì” mormorò Myra, con sguardo sincero.
Lui distolse gli occhi azzurri da quelli nocciola di lei. “Sì, fa niente. Tanto tra un paio d’anni avrò un cavallo enorme tutto per me”
Myra spalancò occhi e bocca. “Non è vero!”
“E’ vero, invece. Me l’ha promesso papà” disse Rilian, per il quale le parole di suo padre erano sacre.
Ricominciarono a bisticciare, ma in modo più scherzoso, e presto i loro genitori si unirono alle risate che scaturirono dalla infantile discussione.
“Ve bene, adesso basta” disse infine il Re di Narnia, spronando Destriero al galoppo. “Facciamo a chi arriva prima al fiume”
“Non vale, siete partiti prima!” esclamò Myra, mentre Susan incoraggiava Aurora con un lieve colpo sul fianco.
I cavalli attraversarono un basso torrente, spruzzando lievemente d’acqua gli abiti dei loro cavalieri, risalendo poi sulla riva opposta.
La famiglia reale seguì il fiumiciattolo, che non era altri che un piccolo affluente del Grande Fiume, il quale percorreva Narnia da ovest a est, estendendosi per tutto il regno e oltre come un enorme serpente azzurro. Poi presero il sentiero che portava verso nord, lasciandoselo alle spalle.
Le loro risa si unirono ai suoni della foresta: canti d’uccelli e brusii di insetti che riempivano l’aria insieme ai profumi primaverili. Il paesaggio era un alternarsi di sfumature: macchie di colori sgargianti di fiori blu, rossi, rosa, gialli, bianchi, lilla e arancioni, il predominante verde dell’erba e degli alberi, la terra bruna, i riflessi dorati del sole tra le foglie.
Incrociarono alcuni abitanti delle foreste: lepri, una famigliola di cinghiali, Fauni, Driadi e Amadriadi, e poi un gruppetto di Nani che tornava a casa per il pranzo di mezzogiorno. A Susan ricordarono tanto i sette nani della favola di Biancaneve.
La famiglia reale percorse un pezzo di tragitto assieme a loro, scendendo da cavallo e procedendo a piedi, finché non presero due strade diverse e dovettero salutarsi.
“Che Aslan benedica le Loro Maestà e le piccole Altezze Reali” li salutò il capo dei Nani, togliendosi il cappello, prima di sparire tra i cespugli insieme ai suoi compagni.
Rilian e Myra rimanevano sempre molto ammirati dall’affetto che gli abitanti di Narnia dimostravano nei confronti della loro mamma e del loro papà, quando si fermavano per salutarli. Erano davvero molto amati e i due bambini si sentivano fieri di averli per genitori.
E il Liberatore e la Dolce erano fieri di loro.
Si trovavano ora al limitare di una bassa collina. Spronarono i cavalli al galoppo e, quando furono sulla cima, davanti a loro apparve un boschetto circondato da querce, noci, betulle e abeti.
“Eccoci” disse Caspian, iniziando a discendere subito il pendio opposto.
Si inoltrarono nel bosco quando il sole aveva ormai superato lo zenit. Era quasi l’una del pomeriggio e i bambini erano affamati. Sostarono in una radura verde e ondulata, al centro della quale vi era un laghetto nel quale viveva una famigliola di tartarughe.
“Oh, è davvero incantevole!” esclamò Myra, quando vide i mille fiori selvatici che crescevano dappertutto: anemoni, campanule, denti di leone, margherite, narcisi e tantissimi altri. Myra sapeva il nome di ogni specie, mentre Rilian riconosceva gli insetti.
“Quello lì sull’albero è uno scarabeo stercorario e questo qui è un coleottero della famiglia delle Chrysomleidae”
Myra cacciò un urlo quando suo fratello le mostrò l’insetto che portava sul dito: una minuscola bestiolina dalla corazza verde e rossa.
Lei fuggì da lui e il bambino la rincorse per tutto il prato con il coleottero in mano.
“Non ti fa niente, Mia, è innocuo!”
“No, no, mi fa impressione!”
“Non fatevi male” li ammonì Susan, mentre si accomodava sotto un ciliegio in fiore, iniziando a stendere a terra la coperta e le varie leccornie per il pic-nic.
Caspian tolse le selle a Destriero e Aurora, lasciandoli liberi di correre per la radura. Era giusto che anche loro godessero di quella giornata. I due cavalli andarono subito ad abbeverarsi allo stagno e poi iniziarono a brucare l’erba. Avevano bisogno di ristorarsi dopo la lunga cavalcata.
Il Liberatore si sdraiò sotto il ciliegio accanto alla Regina, ma senza mai perdere di vista un momento i gemelli, che nel frattempo avevano fatto amicizia con le tartarughe. Erano animali parlanti.
E a proposito di animali parlanti...
“Bu-hu, chi fa tutto questo chiasso?” fece una voce sopra le loro teste.
Il Re e la Regina alzarono gli occhi. Tra i petali rosa e le foglie videro una massa di penne candide. Poco dopo spuntò una testa, un becco e due occhi arancioni semichiusi.
“Buongiorno Pennalucida!” salutarono in coro.
“Giorno?” fece il gufo. “Ah, allora non è ancora il momento di svegliarmi. Uh-uh, ma chi è che parla?”
Il grosso volatile aprì le ali e le stiracchiò. Tirò la zampa destra e per poco, sostenuto solo dalla sinistra, non cadde dal ramo.
“Oh, uh! Le Loro Maestà!” arrossì tra le piume, ricomponendosi in fretta. “Non vi avevo riconosciuto, perdonatemi. Sono un po’ intontito, sapete, a quest’ora di solito dormo”
“Perdonaci tu, Pennalucida” disse Susan. “Vuoi che ci spostiamo?”
“No, no, Regina. Ma dico, cosa vi porta qui?”
Caspian si raddrizzò e si mise seduto. “Siamo venuti a fare un pic-nic. Non volevamo disturbare la quiete del vostro bosco”
“Nessun problema, Sire! Ci sono tanti animali che fanno chiasso, soprattutto in questa stagione. In primavera il mondo si risveglia. Per questo preferisco l’inverno, così tranquillo…”
“Sei davvero sicuro che vada bene se restiamo sotto il tuo albero?” chiese ancora Susan.
“Sì, sì...” annuì il gufo, sbadigliando.
Sotto le fronde del ciliegio, il caldo si attenuò e si alzò un bel venticello.
Caspian e Susan richiamarono i bambini per pranzare e presentarono loro Pennalucida. Chiacchierarono un po’ con lui ma a un certo punto, a metà del discorso, notarono che il gufo era già bello che riaddormentato.
“Mi ricorda Grande Quercia” commentò Caspian. “Sta sempre a dormire”
“Non sta bene dire certe cose” sorrise Susan, porgendogli una fetta di dolce. “Questo l’ho fatto io”
Dopo pranzo si fecero una nuotata nello stagno tutti insieme. Poi, Rilian e Myra chiesero il permesso di inoltrarsi un poco nel bosco.
“Non so…” fece Susan, apprensiva.
“Li accompagnamo noi” si offrirono le testuggini (madre, padre e cinque piccoli). “Non ci sono pericoli tra i nostri alberi, Maestà”
“Va bene” acconsentì Caspian, “ma rimanete dove posiamo vedervi”
Così, i due bambini si allontanarono un poco. Il Liberatore e la Dolce rimasero sulla sponda del lago.
“Non avresti dovuto mandarli” disse Susan d’un tratto. “Non sono tranquilla”
“Calmati, amore, non c’è niente che non va” la rassicurò Caspian, posando una mano su quelle di lei.
La giovane sospirò, guardandolo ansiosa.
“Sue, non puoi tenerli sotto una campana di vetro”
“Non ho mai detto nulla del genere, ma hanno sei anni, sono così piccoli e indifesi…”
“Io scommetto” sorrise lui, scostandole una ciocca di capelli dalla spalla, “che se dovessero trovarsi davanti un serpente marino, sarebbero meno terrorizzati di noi”
“Myra odia i serpenti” rispose la Regina, le spalle rigide.
La battuta non la fece ridere come Caspian aveva sperato.
“Susy, rilassati”
Lei si passò una mano sul viso. “Oh cielo, scusami. Io…non so cosa mi prende”. Sospirò, cercando di calmarsi.
“E’ per il sogno che mi hai raccontato stamani?” chiese lui, guardandola attentamente.
Negli occhi celesti della Regina passò un lampo di terrore. “No, non proprio. Non è lo stesso, è un altro sogno che ho fatto qualche sera fa. Si tratta di…”. S’interruppe e tremò un poco. “Di lei
Caspian la fissò, divenendo molto serio. Sapeva a chi Susan si riferiva.
Non la nominavano da anni.
“L’hai sognata? Hai sognato la Stre…”
“No, non dirlo!” esclamò la Dolce, posandogli un dito sulle labbra. “Non pronunciare il suo nome. Ho paura che se lo facciamo, lei possa tornare”
“Sue, è impossibile”
“Lo so, lo so, ma… allora perché? Perché l’ho sognata?”
Lui le accarezzò le braccia. “Perché non me lo hai detto prima?”
“Non lo so. Forse perché non volevo rovinare questa magnifica giornata. Forse perché non volevo pensarci, e perché non volevo darti preoccupazioni. In fondo è vero, hai ragione tu: un sogno è solo un sogno”
Susan cercò di scacciare l’inquietudine, di pensare che i suoi presentimenti potevano non avverarsi.
Ma si stava ingannando: i suoi presentimenti, di solito, si avveravano sempre.
Cercò di non farsi sopraffare dall’emotività. Non era il tipo di persona che si fa condizionare da un semplice incubo.
Le accadeva tutte le volte… Tutte le volte che uscivano, o che doveva partire per un qualche viaggio insieme a suo marito e lasciarli al castello: allontanarsi dai suoi figli era motivo di grande ansia per lei. Avrebbe sempre voluto essere vicino a loro per proteggerli da ogni male.
Sapeva che anche Caspian provava lo stesso desiderio di protezione, ma lui non era così apprensivo. Sapeva dominare meglio le sue emozioni, così da non risultare opprimente.
Non che Susan lo fosse, ma in certi momenti...
“Vuoi tornare a casa?” le chiese poi Caspian.
Lei scosse il capo. “No, però andiamo a cercare i bambini. Voglio tenerli vicino a me”
Il Re si mise in piedi senza dire niente, porgendole le mani. Susan le afferrò saldamente e si lasciò sollevare.
“Non voglio diventare una madre assillante”
“Non lo sei”
“Mi dispiace, ho rovinato il nostro pomeriggio insieme. Mi sento così sciocca…”
“Susan, è normale che tu tema per loro” disse Caspian, abbracciandola per un momento. “Ma non c’è niente di cui tu ti debba preoccupare. Guardati attorno: vedi pericoli mortali?”
Lei storse le labbra e poi sorrise. “No”
Caspian la strinse di più, poi la sollevò e lei volteggiò tra le sue braccia, ridendo con lui. Quando lui la rimise a terra, il sorriso era ricomparso sul suo viso.
“Questa è la mia Susan” disse Caspian, accarezzandole una guancia.
Lei si alzò in punta di piedi, appoggiandosi a lui e baciandolo sulle labbra. “Scusami”
Lui rispose al bacio e poi la prese per mano. “Dai, andiamo a cercarli”
 
 
~·~
 
 
 
Il giorno in cui Rabadash si risvegliò dal coma fu lo stesso in cui l’intero mondo di Narnia entrò in pace.
L’imperatore Tisroc e sua moglie si recarono al tempio di Tash, e vi rimasero un giorno e una notte in preghiera, per ringraziarlo di aver salvato loro figlio.
Rabadash si era alzato dal letto dopo un mese. Spesso se ne stava sul balcone all’aria aperta, così che il suo viso pallido e scarno potesse riprendere un po’ di colore. Le sue numerose sorelle e le altre due mogli di suo padre erano molto premurose con lui, sempre pronte ad esaudire qualsiasi suo desiderio, così come i servitori al suo seguito.
Rabadash era il primogenito, l’erede al trono di Calormen, ed era giusto che avesse un trattamento speciale.
A poco a poco, il principe si rimise in forze, ma sembrava non reagire a nessuna di queste gentilezze. Teneva lo sguardo fisso nel vuoto, parlava poco, e se lo faceva nominava sempre Narnia.
Da quando suo padre l’aveva messo al corrente della notizia che meno di tutte avrebbe voluto ricevere, il suo cuore si era infiammato di un odio che lui stesso non avrebbe mai pensato di poter provare.
Aveva amato Susan Pevensie e adesso la voleva morta.
Sarebbe stato preferibile piuttosto che sapere che aveva dato due figli al Liberatore.
Ma le cose stavano così. E allora che fare?
“Non c’è soluzione, figlio” disse Tisroc, quando Rabadash gli espose le sue pene. “A noi serviva una vergine, ed ora la Regina ha partorito due gemelli. Il suo sangue è contaminato. E’ impensabile che tu possa prenderla in moglie, senza contare le difficoltà cui andremmo incontro. La lezione per mare non ti è bastata? Ti avevo raccomandato di non provare a uccidere i Sovrani, poiché saresti incorso nell’ira del Grande Leone.”
Rabadash digrignò i denti, i suoi occhi lampeggiarono d’ira. “Padre, la prossima volta…”
“Non ci sarà una prossima volta!” tuonò Tisroc. “Il nostro piano è miseramente fallito. Dovremo trovare un altro modo per salvare la stirpe di Calormen”
“E come?” s’infervorò il giovane. “Senza Susan…”
“Lascia perdere la Regina di Narnia! Non hai alcun diritto su di lei”. L’Imperatore tirò un sospiro e si avviò verso l’interno del palazzo. “Mi serve del tempo per pensare”
Ma Tisroc aveva già un piano in mente. Avrebbe voluto contare sul suo vecchio amico Lord Erton, purtroppo però di lui non aveva avuto più notizie. La sua fidata Shira gli aveva riportato la notizia che il Duca di Beruna aveva perso ogni titolo e privilegio, era stato accusato di tentato omicidio ed era fuggito chissà dove.
Un vero peccato…
Tisroc pensò e ripensò a se poteva esserci un modo per rintracciarlo.
Fu qualcun altro a farlo per lui.
La Strega Bianca, dopo la sconfitta, aveva cercato rifugio tra le terre del Nord. Lassù, la neve perenne, il ghiaccio, il gelo, erano stati il suo balsamo.
Le lunghe notti buie erano silenziose, ma il giorno era ancora troppo pericoloso. Benché al nord non vivessero molte creature per via delle lande inospitali e del clima troppo rigido (i narniani amavano le temperature tiepide della primavera) qualcuna ce n’era, e Jadis non voleva essere riconosciuta, non finché non fosse tornata in forze.
Aveva cambiato aspetto, allora, e cercato nuovi alleati tra i giganti. Poi c’erano stati gli abitanti del sottosuolo, e fu laggiù che la Strega Bianca decise di costruire il suo palazzo.
Nonostante fosse di nuovo fornita di un vasto esercito, i migliori alleati li trovò ancora una volta negli incauti esseri umani.
Il primo di essi era stato l’Imperatore Tisroc, al quale aveva dato il suo aiuto per salvare Rabadash: la maledizione che aveva tenuto in vita il principe per un po’, aveva ricominciato a consumarlo come la prima volta. Tisroc aveva spremuto i suoi stregoni e cerusici fino all’ultima goccia, ma solo chi aveva già salvato il principe una volta avrebbe potuto farlo di nuovo: la Strega Bianca.
Si dovevano un favore a vicenda.
Jadis aveva avvertito il bisogno di Tisroc e si era recata a Calormen. Non aveva aiutato Rabadash perché fosse stata mossa a compassione, ma perché pensava che un giorno potesse tornargli ancora utile, come il padre.
Il secondo alleato che la Strega trovò fu Lord Erton, che per un gioco del caso era una vecchia conoscenza di Tisroc.
Dopo la fuga dal regno, il vecchio ex Duca si era rintanato sulle montagne che dividevano il confine di Narnia e quello delle Terre del Nord. Viveva lassù da anni come uno di quei fuggiaschi ai quali aveva dato la caccia, finché un giorno aveva incrociato una bella signora a cavallo.
Non l’aveva riconosciuta, ma aveva accettato il suo aiuto.
“Siete malato, signore. Venite nel mio castello, vi darò vitto e alloggio per un po’. Intanto mi racconterete la vostra sfortunata storia”
La Strega aveva compreso immediatamente chi era e chi era stato. Si era ben informata su tutto quello che era accaduto nel mondo, e aveva saputo toccare i tasti giusti finché quell’uomo si era fidato di lei…almeno in parte.
“Perché mi aiutate, signora?” aveva chiesto Lord Erton con sospetto.
“Perché entrambi abbiamo qualcosa da fare, ed è meglio unire le forze” aveva risposto prontamente lei. “Due cervelli sono meglio di uno. Io mi reputo una donna intelligente, e so che anche voi siete un uomo intelligente”
“Come vi chiamate?”
Gli occhi di Erton la squadravano diffidenti. Lei aveva fatto un sorriso e si era alzata i piedi, levandosi il mantello, liberando un magnifico abito verde con smeraldi e pietre nere. I capelli biondi le ricadevano sulle spalle scoperte.
“Chiamatemi la Signora dalla Veste Verde. E’ così che mi conoscono qui. Dovete sapere solo questo, per ora”
Erton non aveva replicato. In fondo, quella donna gli aveva salvato la vita. Era meglio non lamentarsi. Aveva avuto l’immediata impressione che fosse più potente e pericolosa di quando sembrasse.
E così, finché non si era rimesso completamente dalla brutta polmonite che aveva contratto, aveva accettato le sue cure.
“E’ il momento di ripartire, per me” aveva detto poi un giorno. “Devo andare a sud, per raggiungere un vecchio amico”
“So chi è. Me ne avete parlato” aveva detto la Signora dalla Veste Verde. “Lasciate che venga con voi, poiché anch’io lo conosco ed è molto che non gli faccio visita”
Lord Erton aveva accettato.
Avevano cavalcato per molti giorni, seguendo le strade del sottosuolo.
“E’ molto più sicuro. Quaggiù non incontreremo brutte sorprese e arriveremo a Calormen sani e salvi” aveva detto la Signora.
“Avete molti nemici in superficie?” aveva indagato Lord Erton.
“Narnia è il mio nemico”
Lui l’aveva osservata molto intensamente. “Interessante. E’ anche il mio”
E allora, Jadis aveva gettato il seme del male in attesa che germogliasse. L’aveva innaffiato piano piano durante tutto il viaggio, dando poi i suoi frutti quand’erano apparsi davanti a Tisroc.
Anche l’Imperatore non riconobbe la Strega Bianca, poiché Jadis camuffava la sua figura con la magia.
Osservando i due uomini parlare, lei aveva capito di aver trovato le persone che cercava. Le servivano individui che non avessero più nulla se non il rancore e la sete di vendetta. Ebbene, eccoli lì: Tisroc non poteva far altro che guardare il suo regno andare verso la rovina senza un erede, mentre Erton era il fantasma dell’uomo che era stato fino a pochi anni prima.
Tisroc stava macchinando da tempo un piano per prendersi la rivincita sui narniani, e lo espose senza problemi ai suoi interlocutori.
“Voglio distruggere Narnia. Voglio vedere i suoi Sovrani umiliati, voglio vederli soffrire, voglio che venga sottratto loro ciò che hanno di più caro. Non avranno più un regno, come non lo avrò più io e come non lo avrà mio figlio. E soprattutto, non avranno più i loro figli”
“Cosa ne volete fare di bambini?” chiese Lord Erton, impassibile.
“Ancora non lo so”
“E vostro figlio? Avete detto che Rabadash, un tempo, desiderava il trono di Caspian”
Tisroc fece un verso sprezzante. “Sì, un tempo, ma non vorreste essere voi il Re di Narnia, Lord Erton?”
“No, affatto” rispose quello, posando la tazza di thè sul tavolino di vetro del salotto privato dell’Imperatore. “Io credevo di poter essere il primo consigliere del Re, ossia di Rabadash”
“E cosa interessa al principe, Imperatore?” chiese la Signora dalla Veste Verde, sistemandosi elegantemente sulla poltrona. “Sono certa che non l’avete lasciato all’oscuro del vostro piano”
Tisroc fece un’espressione di disgusto. “A Rabadash interessa solo la Regina Susan. Ne è ancora ossessionato ma ormai è tutto inutile. Rabadash non capisce: anche se dovesse riuscire ad averla, la stirpe di Calormen non si salverebbe comunque”.
Tisroc narrò ai suoi alleati la grande vergogna che attanagliava la sua persona, e la disgrazia che gravava sul suo regno.
Jadis, che aveva ascoltato con molta attenzione i discorsi e gli scambi di opinione dei due uomini senza quasi intervenire, infine si alzò e prese parola. 
Nella sua mente, il piano era già completo.
“Signori, voi volete la vendetta, volete che i vostri nemici subiscano dieci volte tanto la vergogna e la sofferenza che hanno inferto a voi. Lo stesso voglio io. Ma proprio come avete detto voi, Imperatore, tutto ciò richiederà molto tempo e molta pazienza. Siete disposti ad aspettare?”
I due uomini annuirono.
La Signora dalla Veste Verde sembrò molto compiaciuta. “Allora convocate vostro figlio, Tisroc. Anche Rabadash deve ascoltare”
L’Imperatore chiamò due servitori e ordinò loro di accompagnare il principe nel salotto.
Pochi minuti dopo, un ancora debole Rabadash si presentò agli ospiti del padre. Riconobbe Lord Erton ma non la donna.
“Come vi sentite, principe?” s’informò l’ex Duca.
Rabadash gli scoccò un‘occhiataccia. “Come dovrei sentirmi? Sono praticamente un invalido!”
“Guarirete, Rabadash” lo rassicurò la Signora dalla Veste Verde.
Poi, Jadis fece un movimento con la mano e cancellò la magia che la nascondeva agli occhi degli altri. Ormai era tempo che si rivelasse.
Tisroc e Rabadash rimasero molto stupiti ma non mossero un muscolo. Lord Erton invece fece un salto sulla poltrona.
“A che gioco giochiamo? La Strega Bianca?!” esclamò spaventato.
“Calmatevi, Vostra Grazia, sono qui per aiutarvi” disse la Strega, risedendosi al suo posto. “Volete o non volete vedere Narnia in ginocchio? Io sono l’unica persona che può aiutarvi a completare il vostro piano. E ora statemi a sentire, sciocchi essere umani!”
I tre uomini ripresero posto in silenzio, non potendo far altro che obbedire al tono fermo di lei.
“Il piano dell’Imperatore Tisroc accomuna tutti noi. Io voglio Narnia, voglio i segreti della Grande Magia, voglio vedere Aslan distrutto. Voglio il Re e la Regina morti. Ma so che su quest’ultimo punto abbiamo pareri discordanti, per cui vedremo di venirci incontro”
La Strega si volse verso L’Imperatore e suo figlio. “Tisroc e Rabadash: a voi il regno di Narnia non interessa più a quanto ho capito, e a Lord Erton nemmeno. Ma a me sì. Perciò, promettete ora e subito che sarò io la sola Regina di Narnia e l’Imperatrice delle Isole Solitarie”
I tre uomini si scambiarono uno sguardo.
“Perdonatemi, signora” disse Tisroc, “ma non vi giureremo fedeltà fino a quando non saremo sicuri che ciò che promettete non si avvererà”
“Bene, allora prometto che quando siederò Regina in Cair Paravel, Lord Erton avrà il ruolo che gli spetta: quello di mio primo consigliere. Inoltre, tornerà ad essere Duca, ad occupare il seggio al Gran Consiglio e quello alla Corte Suprema”
“Mi sta bene” annuì Erton compiaciuto.
“Imperatore Tisroc” riprese Jadis. “Voi pensate giustamente a salvaguardare il futuro del vostro paese e di vostro figlio, ed giusto, e mi aspetto che sarete il mio primo alleato. Ma, prima di questo, dobbiamo eliminare l’ostacolo più grande: il Re e la Regina di Narnia. Rabadash, voi volete Susan? L’avrete, ve lo posso assicurare, se assicurate a me e a Lord Erton che non la rivedremo mai più. Sapete cosa pensiamo di lei. E per quel che mi riguarda, una Pevensie in vita è sempre un pericolo”
“La piegherò al mio volere!” promise il principe del Sud.
“A che scopo, ormai?” chiese Tisroc.
La Strega li fissò attentamente. “Anche se il sangue di Susan è ormai contaminato, c’è ancora un modo perché le famiglie di Calormen e Narnia possano divenire una. Non avete calcolato che la Dolce ha avuto una figlia, oltre che un figlio”
Lord Erton sbarrò gli occhi dall’incredulità. “La principessa Myra?! Ma è appena una bambina!”
“Non lo sarà per sempre” disse la Strega con calma. “Rabadash: voi avete trent’anni; quando la principessa sarà in età da marito avrete superato la quarantina, ma sarete ancora un uomo piacente e vigoroso così da poter generare figli. Quanti re si sono sposati in tarda età con fanciulle molto più giovani di loro?”
“L’età non è un problema” disse subito Tisroc, al quale l’idea pareva ottima. “La mia terza moglie è molto più giovane di Rabadash. Pensaci bene, figliolo, potrebbe essere una soluzione”
Il principe rifletté attentamente.
Ormai per Susan provava più odio che amore. Sì, l’aveva amata e l’amava ancora dopotutto, e sarebbe stata sua, in un modo o nell’altro. Ma anche se gli avesse dato dei figli, essi non avrebbero salvato Calormen, poiché la Regina era ormai unita in matrimonio con il Liberatore.
Ma Myra… Forse le somigliava.
La figlia di Susan.
La figlia di Caspian.
Avrebbe voluto vedere la faccia del Re di Narnia. Gli avrebbe portato via prima sua moglie e poi sua figlia.
Era un’idea alettante, doveva ammetterlo. Avrebbe fatto felice suo padre, salvato Calormen e visto Caspian cadere in disgrazia.
“E il principe Rilian?” chiese infine Rabadash.
“A lui penserò io” disse Jadis. “Anzi, penserò ad entrambi. Avete detto che volete togliere a Caspian tutto ciò che ha? Bene: date a me i suoi figli. Li crescerò come fossero miei, farò dimenticare loro quella che è stata la loro vita, la loro casa, gli amici, i genitori, tutto. E quando saranno pronti, Rilian diverrà mio erede a Narnia e poi vi darò Myra in sposa”
Un lampo d’odio represso passò negli occhi del principe Rabadash. “Accetto”
“Ma come farete a prendere i bambini, signora?” chiese Erton.
“Vedremo di riuscirci. L’occasione propizia arriverà. Voi, milord, pensate a come fare per prendere le mura di Cair Paravel”
“E’ una cosa assurda” protestò di nuovo l’ex Duca. “Pensate che Caspian X e sua moglie guarderanno i loro figli crescere come vostri, Strega? E pensate che Susan si pieghi a voi, principe Rabadash? E i bambini? Anch’essi si ribelleranno se sono i degni figli dei loro genitori. Caspian morirà piuttosto che lasciarsi portar via coloro che ama. Si sacrificherà per riprendersi ciò che è suo”
“No!” esclamò Rabadash. “No, Caspian deve vivere, invece!”
Erton e Jadis l’osservarono sconcertati. Stava dicendo davvero che voleva che il Liberatore, il suo più acerrimo rivale, continuasse a vivere?
Tisroc fece una risata. “Il nostro piano inziale ha preso una piega inaspettata grazie a voi, Strega Bianca, e devo dire che ci piace. Accettiamo di avervi come Regina di Narnia, accettiamo l’aiuto di Lord Erton e la principessa Myra come salvatrice della nostra stirpe. Va bene, voi penserete ai bambini, ma Caspian il Liberatore e Susan la Dolce sono nostri”
“Caspian deve soffrire” esclamò Rabadash, gli occhi che mandavano scintille. “Deve vedere tutto il suo regno, la sua famiglia, la sua vita, distrutti. Voglio che assista al completo disfacimento del suo mondo. Caspian e Susan devono sapere di essere vivi e devono soffrire, sapendo che non si rivedranno mai più finché avranno vita. E se Tash me lo concederà, nemmeno nella prossima!”
“Pretendete troppo” criticò Lord Erton. “Prendere Narnia sarà già tanto”
“Tash ci aiuterà” sostenette L’Imperatore.
“So che Susan non mi vorrà mai” ringhiò Rabadash, stringendo i pungi tanto che le unghie penetrarono nella carne. “Ma piuttosto che lasciarla a lui, preferisco chiuderla in gabbia”
Jadis sorrise, si allungò verso il tavolino e posò la tazza vuota. “Ditemi, principe: quale sorta di uccello vorreste che fosse?”

 
 
 
 
 
 
Ciao a tutti, cari lettori, come state?
La vostra Susan è stata presissima questa settimana, e ancora una volta il capitolo è arrivato in ritardo…ma si tratta di cose importanti, e se tutto va bene a metà febbraio ricomincio a lavorare!!! Fate il tifo per me!!! >.<
Ci ho messo un po’ a scrivere questo capitolo, dovevano succedere molte cose. Ed è venuto anche bello lungo. Fin ora è il più corposo. Spero che vi sia piaciuto!!!
I bambini sono cresciuti, e anche sulla Terra abbiamo visto i Pevensie diventati più grandi, tutti pronti per una nuova avventura! Inoltre, abbiamo visto l'introduzione di un nuovo personaggio: il gufo Pennalucida.
Una lettrice mi aveva chiesto se Susan sarà più grande di Peter…ebbene, credo di sì. A Narnia sono passati sei anni, in Inghilterra quattro. Ma in fondo non è il tempo che conta: Peter è e sarà sempre il maggiore agli occhi dei suoi fratelli.
Mi sono concessa una scena Suspian coi fiocchi, contenti? XD Mi sono sbilanciata per i miei standard, ma visto che per un po’ non ce ne saranno più, ho proprio voluto regalarvela.

 
Passiamo ai ringraziamenti:
 
Per le preferite: Aesther, aleboh, Angel2000, Araba Stark, battle wound, Expecto_Patronus, Fly_My world, Francy 98, Fra_STSF, G4693, HikariMoon, Jordan Jordan, Joy_10, katydragons, lullabi2000,Mia Morgenstern, Muffin alla Carota, Mutny_Hina, oana98, piumetta, Queen Susan 21, Shadowfax, SweetSmile, TheWomanInRed e Zouzoufan7
 
Per le ricordate: Araba Stark, Cecimolli, Halfblood_Slytherin e Zouzoufan7
 
Per le seguite: Araba Stark, bulmettina, catherineheatcliff, Cecimolli, ChibiRoby,cleme_b , ecate_92, FioreDiMeruna, Fly_My world, Fra_STSF, GossipGirl88, Halfblood_Slytherin, JLullaby, Jordan Jordan, Joy_10, Judee, Lucinda Grey, Mia Morgenstern, niky25, Omega _ex Bolla_ , piumetta, Queen Susan 21, Revan93, Shadowfax e Zouzoufan7
 
Per le recensioni dello scorso capitolo: Angel2000, battle wound, fiamma di anor, Halfblood_Slytherin, Joy_10, piumetta, e Shadowfax
 
Angolino delle anticipazioni:
(Non mi sbilancio più di tanto, perché voglio tenervi col fiato sospeso…)
Pianeta Terra: ritroveremo i Pevensie a casa di Eustace, dove vedremo come si concluderà la giornata. Peter ha trovato la settima Amica di Narnia? Cosa succederà adesso?  
Narnia: dove saranno finiti Rilian e Myra? Caspian e Susan riusciranno a raggiungerli prima che si caccino nei guai? E intanto, a Cair Paravel arriveranno degli ospiti indesiderati.
 

Bene, anche per questa settimana è tutto…ma prima vi ricordo come sempre il mio gruppo facebook Chronicles of Queen per gli aggiornamenti. E poi….Sondaggino!!!
Chi è la vostra coppia preferita? La Suspian, la Petriel, la Lumeth, la Shandmund o Justill? (nomignolo provvisorio per Eustace e Jill). Dite la vostra!!!
 
Un abbraccio e un bacio grande, e grazie per essere sempre qui con me!!!
Susan
   
 
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