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Autore: LaniePaciock    30/01/2014    5 recensioni
Torniamo indietro nel tempo e spostiamoci di luogo: 1943, Berlino, Germania. Una storia diversa, ma forse simile ad altre. Un giovane colonnello, una ragazza in cerca della madre, un leale maggiore, una moglie combattiva, una cameriera silenziosa, una famiglia in fuga e un tipografo coraggioso. Cosa fa incrociare la vita di tutte queste persone? La Seconda Guerra Mondiale. E la voglia di ricominciare a vivere.
Genere: Guerra, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Quasi tutti | Coppie: Kate Beckett/Richard Castel
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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Cap.5 L’attacco
 

Bomba. Una bomba era appena stata lanciata giù da uno degli aerei sopra di loro.
Castle fece appena in tempo a realizzare la cosa quando una serie continua di fischi, sempre più vicini e forti, iniziò a forargli le orecchie.
“LEANDRO!!” urlò, cercando di sovrastare quel rumore sempre più assordante, sempre più letale. Il bambino era immobile pochi metri davanti a lui, gli occhi enormi e terrorizzati verso il cielo. Leandro aveva già assistito a un attacco aereo prima di arrivare in casa Ryan, anche se per fortuna non ne era rimasto coinvolto da vicino, quindi sapeva esattamente cosa stava per accadere. Chi avrebbe mai dimenticato quel fischio caratteristico del missile che trapassa l’aria, il fragoroso impatto di una bomba o il rombo dell’aereo che ti passa a bassa quota sulla testa?
In due passi Castle raggiunse il piccolo e lo prese in braccio senza troppe cerimonie. Proprio in quell’istante, la prima bomba scoppiò. Per fortuna il botto non avvenne troppo vicino, ma lo fu abbastanza perché l’onda d’urto scaraventasse il colonnello e il bambino a terra. Altri botti si susseguirono per qualche secondo, forti, spaventosi. Castle tenne Leandro sotto di sé, le braccia a coprirgli la testa per proteggerlo da qualsiasi cosa gli fosse piovuto addosso.
Un momento dopo gli scoppi cessarono. Rick si alzò velocemente sulle braccia, scuotendo la testa per riprendersi dal leggero stordimento causato dalle bombe. Abbassò lo sguardo e vide il bambino. Leandro era terrorizzato e, nonostante fosse schiacciato sotto di lui e tremasse visibilmente, era saldamente ancorato alla sua uniforme grigia, le sue piccole nocche scure sbiancate per la forza con cui si teneva.
“LEANDRO!! RICK!!” Dall’interno le voci di Lanie e degli altri si mischiavano spaventate chiamando i loro nomi. Castle alzò la testa e vide Ryan seduto a terra davanti alla porta finestre distrutta, come tutti vetri da quel lato della casa, a causa dell’onda d’urto. Kevin aveva una mano alla tempia e una smorfia sulla faccia. Tra le sue dita scorreva sangue.
Altre bombe iniziarono ad esplodere dietro di loro, ma sembravano già più lontane rispetto a prima, sia per il più basso e attutito rumore, sia per il minore spostamento d’aria.
“Andiamo!” sussurrò al bambino, alzandosi velocemente, ma continuando comunque a tenerlo in braccio. Leandro non disse una parola, si mosse solo per stringersi forte al suo collo. Rick percorse i pochi passi per tornare in casa di corsa. Lanie si affrettò a recuperare dalle sue braccia il bimbo terrorizzato e stringerselo al petto. “State bene?” chiese il colonnello in fretta, ma con una certa calma caratteristica di alcuni soldati durante i momenti di pericolo.
“Kevin è ferito!!” esclamò Jenny preoccupata mentre, inginocchiata a terra, cercava di tamponare freneticamente il sangue in uscita dalla fronte del marito con un fazzoletto. Dalla cucina uscì di corsa la Gates con un altro panno bianco più grande e pulito.
“Non è niente, è solo un graffio!” replicò Ryan deciso. “Devo solo metterci una benda e ci sono!” In effetti Castle sapeva per esperienza che i tagli alla testa sanguinavano molto anche se poco gravi. Osservò comunque per un momento Kevin dubbioso, ma il maggiore, sentendo il suo sguardo, aggiunse subito “Sto bene!” con tono quasi rabbioso.
“Puoi sistemarlo?” domandò il colonnello a Lanie. Lei era stata un’infermiera per molti anni, arrivando anche a curare ferite alla portata di un medico vero. Sarebbe diventata un dottore, se la guerra non avesse infranto i suoi sogni.
Lanie lasciò un bacio veloce sul capo del figlio, quindi lo passò a Javier che lo prese immediatamente tra le braccia. La donna si abbassò subito su Ryan e scostò il fazzoletto, ormai completamente imbrattato di sangue, dalla sua fronte per controllare la ferita. Sembrò fattibile una fasciatura, perché Lanie chiese alla Gates il panno che aveva in mano e le disse di allontanare un poco Jenny, troppo scossa per essere d’aiuto.
Castle intanto non rimase fermo. Si mosse velocemente nella casa, facendo scricchiolare i vetri rotti sotto le sue scarpe, e si accostò a una piccola porta chiusa nel corridoio dell’entrata. Quindi la aprì e vide davanti a lui una stretta scalinata di mattoni che scendeva nel seminterrato e, lo sapeva, conduceva a uno spiazzo non molto grande, ma sicuro: la cantina. Ryan aveva provveduto a rinforzarla nel tempo, in modo che fosse molto più resistente del normale, ed era stata riempita con diversi generi di prima necessità e kit di pronto soccorso, diventando così un buon rifugio antiaereo anche in caso di attacco prolungato. Forse non avrebbe resistito se una bomba gli fosse caduta direttamente sopra, ma era la loro migliore soluzione.
Dopo aver dato un’occhiata veloce perché tutto fosse in ordine, tornò in fretta nel salone.
“Allora??” domandò Rick.
“Fatto!” esclamò in quel momento Lanie. Aiutata dalla Gates, avevano creato una spessa fasciatura con il leggero panno bianco sopra la fronte di Ryan. Sembrava ben fatta perché non si vedeva sangue dalla superficie.
“Ottimo.” replicò Castle. “Ora tutti in cantina! Subito!” ordinò poi ai presenti indicando la piccola porta alle sue spalle. I fischi e gli scoppi continuavano a susseguirsi in lontananza. Rick e Kevin dovevano muoversi, mettere gli altri al sicuro e correre alle loro postazioni in centrale. In un attimo, tutti si avviarono verso quella piccola speranza di salvezza. “Restate qui e non muovetevi finché non sentite che è tutto silenzioso o finché non torniamo noi, intesi?” gli intimò il colonnello dalla porta non appena furono scesi tutti.
“Kevin!!” esclamò Jenny agitata, tanto che tentò subito di risalire dalla cantina. Ryan le corse in contro a metà scala per rassicurarla. Mentre il maggiore mormorava qualche parola di conforto alla moglie, Lanie fece un cenno a Castle perché lo guardasse.
Non farlo affaticare!” sillabò la donna indicando Kevin con la mano, senza far uscire un suono per non allarmare Jenny e perché Rick capisse. “Oppure non reggerà!” aggiunse poi indicandosi la testa. Il colonnello annuì.
“Ryan, dobbiamo andare!” lo chiamò Castle. Non voleva portarlo via dalla moglie, ma era loro dovere andare. Anche per loro.
“Arrivo!” esclamò il maggiore. Quindi sussurrò ancora qualcosa a Jenny, la baciò sulle labbra e si voltò, risalendo poi le scale e uscendo dalla porta della cantina senza voltarsi.
“RICK!” lo richiamò Jenny un attimo prima che lui chiudesse la porta. “Riportamelo!” Castle deglutì. Ecco un’altra promessa che non sapeva se avrebbe potuto mantenere. Annuì solo e chiuse la porta. Almeno loro sarebbero stati al sicuro.
“Andiamo!” esclamò poi rivolto a Ryan, già sulla porta di casa ad attenderlo. In un attimo erano in strada, già sulla via per la centrale. Correvano, perché ora che erano all’esterno i fischi e le esplosioni si erano fatte più forti e aggressive. L’onda d’urto, per quanto lontana, sembrava far vibrare gli organi interni. Attorno a loro erano già impressi i segni del primo attacco, quello che avevano sentito loro stessi sulla pelle. Passarono accanto a un enorme cratere che aveva fatto crollare una mezza palazzina. C’era gente presa dal panico ovunque che urlava e correva disperata senza sapere dove nascondersi, insanguinata o sporca di polvere.
Qualche minuto dopo raggiunsero senza fiato la centrale già in subbuglio. I soldati correvano da ogni parte, gli sfollati spingevano e chiedevano a gran voce asilo all’interno della struttura, i feriti si lamentavano e urlavano dal dolore. Tutto questo non faceva altro che aumentare il caos ogni secondo di più. E i suoni, ancora piuttosto forti, delle bombe non aiutavano certo a tranquillizzare la situazione.
Castle e Ryan si fecero largo quasi a gomitate tra la folla, raggiungendo così la parte interna dell’edificio e iniziando a dare ordini. Entrambi sapevano cosa fare. Erano stati addestrati per quello.
“Siamo stati fortunati che hanno fatto un solo attacco qui!” esclamò Ryan pochi minuti dopo, mentre ancora riprendeva il fiato per la corsa, non appena tutti gli ordini necessari furono dati. I cannoni agli angoli della caserma erano già puntati verso gli aerei nemici pronti a fare fuoco.
“Siamo in periferia!” replicò Castle nell’esatto momento in cui uno dei cannoni sparò il primo colpo, perforandogli un timpano. “Le zone da colpire sono in centro!” aggiunse con una smorfia, urlando per farsi sentire al di sopra del frastuono dei proiettili antiaerei.
“Meno male che siamo qui, allora!” gridò Kevin con un mezzo sorriso che non aveva nulla di allegro. Il secondo dopo infatti scomparve. “Non oso immaginare cosa stiamo passando quelli là in centro!” Con la coda dell’occhio, Rick vide una macchia rossa sopra la benda bianca sulla fronte del suo partner. Non avrebbe dovuto fare quella corsa. Si stava già sforzando troppo e secondo Lanie era una cosa da non fare. Era già sul punto di ordinargli di rientrare in caserma, quando un pensiero improvviso lo colpì. Noi siamo in periferia... le zone da colpire sono in centro… noi siamo al sicuro… ma quelli in centro… Un momento! Kate!!
“Kate…” mormorò Castle senza fiato, gli occhi sgranati. Si sentì come se avesse appena ricevuto un pugno nello stomaco. Lui l’aveva mandata al Fidel Weltbummler. E il Fidel Weltbummler era praticamente nel centro di Berlino. Lei era in pericolo.
“Cosa…??” cercò di chiedere Ryan, ma il colonnello lo interruppe.
“KATE!!” urlò al maggiore, con la consapevolezza improvvisa che in quel momento lei era sotto le bombe.
“CASTLE ASPETT…!!” Troppo tardi. L’urlo di Ryan rimase inascoltato. Rick era già partito verso l’uscita della centrale.
 
Il colonnello recuperò la sua auto ferma fuori dalla centrale e, pigiando sull’acceleratore, iniziò a correre per le affollate strade di Berlino verso il centro della città. Man mano che si avvicinava sentiva sempre più forte il suono acuto e penetrante delle sirene d’allarme, mescolato al basso rombo dei motori d’aereo e ai perforanti spari dei cannoni antiaerei. Per fortuna il cielo era rimasto coperto di nuvole e sembrava che questo avesse ostacolato di parecchio l’attacco in corso. Castle infatti vide diversi crateri intorno a sé causati dalle bombe, ma quasi nessuno era un obiettivo strategico e molti erano per strada. Solo alcune palazzine erano crollate in parte o del tutto. Per le vie, a quel punto dell’attacco quando tutti ormai avevano capito cosa stava accadendo, giravano solo i disperati arrancando e i soldati di corsa. Tutti gli altri si erano nascosti nelle cantine e i più fortunati nei rifugi antiaerei.
All’improvviso una granata rischiò di farlo saltare in aria con tutta la macchina. Sbandò pericolosamente e l’auto quasi si alzò su due ruote, ma poi Castle riuscì a gestirla e rimetterla in carreggiata. Si asciugò con il dorso della mano il sudore freddo e continuò a filare tra crateri, detriti e persone. Anche senza vederla, sapeva di avere buona parte della lamiera del fianco passeggero ammaccata. Ma in quel momento non gli importava. L’unico suo pensiero era arrivare il più presto possibile alla sua destinazione.
Finalmente, dopo l’ultima curva, frenò bruscamente a pochi passi dal Fidel Weltbummler e si precipitò fuori dall’auto. Quando alzò la testa però, rimase bloccato, il respiro mozzato in gola. Dove una volta c’era l’alberghetto, ora c’era solo un cumulo di macerie nere e fumanti. Una bomba aveva colpito il Fidel centrandolo in pieno.
Per un momento, Castle si sentì mancare e dovette fare qualche passo indietro fino ad appoggiarsi al cofano dell’auto. I suoi occhi sgranati non volevano credere a quello che vedevano. All’improvviso tutto sembrò ovattato. I rombi bassi nel cielo, le sirene acute, le esplosioni, gli spari, le grida. Tutto. Sentiva solo il battito veloce del suo cuore rimbombargli nelle orecchie. Alwara, Edzard… Kate. I loro volti erano davanti ai suoi occhi. Era stanco di perdere amici in quella stupida guerra. E Beckett… beh… ancora una volta aveva fatto una promessa che non aveva mantenuto. Aveva promesso a sé stesso che l’avrebbe protetta. E invece aveva segnato la fine di Kate, spedendola al Fidel Weltbummler. Così come era stato per sua madre.
Rick dovette stringere i pugni e serrare le labbra, gli occhi lucidi, per non mettersi a urlare. Contro chi poi? Hitler? Il nazismo? La Germania? L’Inghilterra? Il mondo? Nessun urlo avrebbe corretto i suoi errori. Niente gli avrebbe riportato Kate o Alwara o Edzard. L’unico pensiero positivo che gli passò per la mente, fu che almeno i due figli più grandi dei due coniugi erano al sicuro da una zia fuori città. Dopo la morte del loro bimbo più piccolo, li avevano spediti lontano quanto più era stato loro possibile da quella guerra.
Come un automa, Castle si voltò e fece per tornare in auto, ma qualcosa lo trattenne. Un debole suono, quasi più una sensazione, era riuscito a passare il suo stato di sordità momentanea al mondo e ad arrivare fino alla sua coscienza. Si girò di nuovo verso le macerie, reprimendo il peso che aveva nel cuore per restare lucido e ascoltare. Infine lo sentì. Era molto debole, quasi un sussurro rotto nascosto dietro a rumori assordanti. Rick fece qualche passo nella direzione del suono, mentre il cuore ripartiva a battergli freneticamente. Perché ora capiva cosa diceva quella fievole voce: il suo nome. Castle.
Un lieve movimento gli fece girare di scatto lo sguardo e alla fine vide la provenienza di quel tenue lamento. Mentre sentiva il cuore balzargli in gola, il colonnello percorse velocemente i pochi metri fino a quella esile figura rannicchiata a terra, tra diverse macerie, in un cappotto grigio chiaro. Quando finalmente vide il suo bellissimo viso sporco di cenere e tirato da una smorfia di dolore, il cuore di Rick perse un colpo.
“Kate…!” mormorò mentre la voce gli si spezzava tanto era il sollievo nell’averla ritrovata viva. “Dio, Kate…”
“Castle…” lo chiamò lei con voce flebile. Rick si abbassò subito sulla donna e le spostò delicatamente i capelli e la polvere dal viso. I suoi occhi blu controllarono velocemente il corpo rannicchiato di Beckett. Una manica grigia della giacca era strappata e da essa si vedeva la pelle chiara macchiata di sangue, ma pareva un taglio di poco conto. Sembrava l’unica ferita visibile, ma Rick non poteva esserne certo. Infatti un momento dopo una chiazza rossa sul marciapiede sotto il fianco di Kate richiamò la sua attenzione. Doveva fare presto. Prima di azzardarsi a toccarla però, si ripassò mentalmente alcune raccomandazioni di Lanie davanti a un ferito. Tranquillizzarlo e non muoverlo prima di aver appurato che un suo spostamento non possa danneggiarlo. “Castle…” lo richiamò Beckett dal suo esame preliminare, aggrappandosi, con una forza che non le avrebbe attribuito in quello stato, alla sua uniforme. Si piegò su di lei per cercare di afferrare le parole dalla sua debole voce nonostante il frastuono intorno a loro. “Chiamami di nuovo Kate… e ti rompo le gambe...” Castle represse a stento un sorriso divertito. A quanto pareva la testa non aveva subito danni.
“Te la senti di alzarti, Beckett?” le domandò, non appena fu di nuovo conscio della loro posizione esposta in mezzo alla strada.
“Forse…” borbottò Kate, stringendo i denti mentre già tentava di tirarsi su a sedere. Il colonnello la aiutò, cercando di toccarla il meno possibile per evitare che la donna si arrabbiasse. Ma qui stava il complicato. Dove cavolo le metteva le mani per aiutarla ad alzarsi se non poteva sfiorarla?
Uno scoppio di granata troppo vicino fece prendere a Castle la decisione finale. Senza tante cerimonie, ma stando comunque attento a non farle male, Rick passò le braccia sotto la schiena e le ginocchia di Beckett. Quindi la tirò su di peso. Kate stava già per protestare, ma una fitta la fece gemere e rannicchiare istintivamente di più contro di lui, mentre una mano le volava al fianco sotto il quale Castle aveva visto la macchia di sangue. Senza perdere altro tempo, il colonnello la portò alla macchina e, il più delicatamente e velocemente possibile, la appoggiò sul sedile passeggero per poi mettersi alla guida.
La strada del ritorno sembrò a Castle molto più lunga dell’andata. Il respiro rotto e ansante di lei lo spaventava, era terrorizzato che a un certo punto si affievolisse del tutto. Continuava a chiamare Beckett, pregandola di non addormentarsi, come gli aveva insegnato Lanie, e intanto guidava più svelto che poteva in strade spaccate o piene di macerie. Frenò solo quando arrivarono davanti a casa Ryan. Rick riprese la donna in braccio, non prestando la minima attenzione alle sue fievoli rimostranze, ed entrò nella casa ancora aperta come l’avevano lasciata. Velocemente andò alla porta della cantina e bussò forte.
“Jenny!! Lanie!! Javier!!” chiamò Castle a voce alta in modo che lo sentissero e venissero ad aprirgli. Meno di dieci secondi dopo la faccia di Esposito gli si presentò davanti. Javier lo guardò perplesso, stupito e preoccupato. Non si aspettavano una sua venuta prima della fine del bombardamento. E i rumori dell’attacco aereo erano ancora nell’aria e probabilmente, sentendolo da solo, avevano già pensato al peggio per Ryan.
“Rick!!” esclamò infatti Jenny terrorizzata nel vederlo. “Kevin…”
“Kevin sta bene!” replicò subito per tranquillizzarla, passando davanti a Esposito e scendendo i pochi gradini verso la cantina con attenzione, ma velocemente. “Lanie, ho bisogno del tuo aiuto!”
In fondo al seminterrato c’erano un paio di materassi. Castle portò lì Beckett e ve la adagiò piano sopra. Con la coda dell’occhio vide Lanie passare Leandro a Jenny in un angolo della cantina. Notò poi la Gates accanto alle scale con due spranghe. Probabilmente lei e Esposito avevano deciso di fare la guardia alla porta, tanto per stare sul sicuro.
“Che è successo?” domandò Lanie, guardando la ragazza ferita sul materasso con occhio medico e insieme preoccupato e un po’ diffidente. Era da capire. Praticamente nessuno sapeva di loro e la allarmava, soprattutto per Leandro, il fatto che ora un’estranea li avesse visti. “Chi è?”
“Lanie, non ho tempo di spiegarti ora.” rispose il colonnello con tono di scuse, ma deciso. “Posso solo dirti che lei è Kate Beckett…” Alle sue parole vide tutti i presenti stupiti, ma non diede alcun tempo per fare commenti. “…e credo sia stata ferita dalla bomba che ha distrutto il Fidel e…”
“Il Fidel distrutto?” chiese Jenny incredula. Rick non riuscì a risponderle. Abbassò solo lo sguardo per un attimo e prese un respiro profondo.
“Ti prego, Lanie, aiutala.” continuò Castle, rivolgendosi alla donna con sguardo supplicante. Lanie lo squadrò per un momento. Quindi annuì con un sospiro.
“Lo farò.” replicò la donna, iniziando ad alzarsi le maniche del vestito che indossava.
“Grazie.” rispose Rick sollevato. “Sei la migliore.” Lanie fece una mezza smorfia, ma non riuscì a non sorridere. Quindi diede istruzioni alla Gates su come aiutarla e sulle cose che le sarebbero servite. Nel frattempo Castle ne approfittò per inginocchiarsi un momento accanto a Beckett. “Ehi…” mormorò il colonnello con un mezzo sorriso, spostando una ciocca di capelli dal viso di Kate. Il volto di lei era impolverato e sudato, ma a lui sembrava splendido proprio come il primo giorno in cui l’aveva visto. “Ti lascio in buone mani.” le sussurrò. Beckett gli fece un debole sorriso, ma quando vide che stava per alzarsi, lo trattenne debolmente per la manica. Castle si abbassò subito di nuovo su di lei, preoccupato nel vederla all’improvviso così pallida e senza forze per il più piccolo sforzo. Sembrava quasi un’altra donna rispetto a quella che aveva recuperato tra le macerie e che ancora aveva l’energia per rimproverarlo. Doveva aver perso più sangue di quanto non avesse creduto.
“Tornerai, vero?” domandò lei piano con una lieve nota di panico mentre gli occhi le si chiudevano dalla stanchezza, come una bambina che non vuole andare a dormire per paura degli incubi. Rick la guardò con tenerezza. Sapeva che era così perché stava male, ma in quel momento Kate sembrava così bisognosa di protezione, in contrasto netto con la donna forte che aveva imparato a conoscere in quei giorni. Ma di certo ai suoi occhi non era meno stupenda.
Castle si riabbassò su di lei e le lasciò un bacio tra i capelli.
“Sempre.” mormorò, prima di alzarsi e uscire dalla cantina.
 
Castle e Ryan rientrarono solo a notte inoltrata. Il bombardamento era durato ore, ma, come il colonnello aveva già notato, le basse nuvole grigie in cielo avevano in parte protetto Berlino dall’attacco aereo a causa della scarsa visibilità che portavano con sé. Entrambi i soldati erano tornati pieni di polvere e cenere. Si sentivano sporchi, sudati e stanchi, ma almeno erano incolumi. Le uniche ferite visibili erano quella alla testa di Kevin (la benda gli era diventata di un vago colore grigiastro con un’enorme macchia rossa) e un taglio poco profondo al dorso di una mano di Rick. Ripensando a quello che era successo, il colonnello capì di esserselo fatto mentre recuperava Kate dalle macerie, ma senza accorgersene minimamente.
“Allora?” domandò Esposito con tono teso e basso. Era seduto su una delle sedie del tavolo da pranzo, che avevano spostato vicino a divano e poltrona, con Leandro saldamente in braccio. Vicino a loro, su altre due sedie, c’erano Lanie, con una mano intrecciata a quella del marito, e la Gates con il viso tirato, come tutti del resto, per la stanchezza e la preoccupazione. Per fortuna era riuscita a contattare la sua famiglia e stavano tutti bene. Le bombe da loro non erano arrivate.
Leandro si era appena addormentato con le braccia ancora avvolte al collo del padre e la testa sulla sua spalla. I bombardamenti erano cessati più di due ore prima, ma Castle e Ryan non erano potuti rientrare a casa subito. Il bambino aveva voluto aspettarli per forza, nonostante la stanchezza, e alla fine era crollato qualche minuto dopo che erano tornati a casa, mezz’ora prima.
“Nonostante tutto, ci sono stati meno danni del previsto.” rispose Ryan con un sospiro, stringendo di più a sé dalla vita la moglie accanto a lui. Il maggiore era seduto sulla poltrona, mentre Jenny era appollaiata sul bracciolo, una mano intorno alle spalle del marito, l’altra alla pancia un poco accennata. “Pochi edifici crollati, due incendi, un centinaio e poco più di morti...” elencò Kevin stancamente. “Poteva andare peggio.” concluse cupamente con lo sguardo vuoto fisso davanti a sé mentre Jenny gli accarezzava delicatamente i capelli. “Molto peggio.” Era pallido in volto, a causa della stanchezza e della ferita, e da quando era entrato in casa la sua mano non aveva mai abbandonato la moglie. Gli si leggeva in faccia che aveva bisogno di un contatto diretto con lei. Fino a quel momento i berlinesi erano stati piuttosto fortunati a scampare agli orrori della guerra, come se fossero in una bolla fuori dal mondo, ma quel giorno aveva ricordato loro con particolare forza che non era così.
“E per questo non finirà qui.” dichiarò Castle terribilmente serio. Lui era seduto a terra, la testa appoggiata al divanetto dietro di lui dove avevano fatto sdraiare Kate. Quando erano tornati, Lanie l’aveva già medicata. Aveva ricevuto un taglio superficiale al braccio mentre un pezzo di vetro le si era conficcato in parte nel fianco. Per fortuna la signora Esposito aveva estratto il pezzo e fasciato tutto con attenzione. Ora Beckett dormiva profondamente con il viso rivolto verso Castle, anche se in realtà questo lei non lo sapeva, visto che era già crollata quando l’avevano trasportata sul divano dalla cantina. “Hanno fatto troppo poco per quello che si aspettavano, ne sono certo.” continuò il colonnello con lo sguardo rivolto al soffitto, senza in realtà vederlo. “Le nuvole ci hanno salvati, ma non farà brutto tempo per sempre.” dichiarò alla fine cupo. Per un poco calò il silenzio. Ognuno era perso nei propri pensieri e la stanchezza stava facendo cedere tutti.
Un piccolo mugugno fece voltare i presenti verso Leandro. Iniziava a stare scomodo, rannicchiato contro il petto del padre, essendo ormai abbastanza cresciuto.
“E’ il caso di andare a riposare un po’.” mormorò stancamente Lanie con un mezzo sorriso, lasciando una lieve carezza tra i capelli del figlio. “Ne abbiamo tutti bisogno.”
“Rick, tu che pensi di fare?” chiese Jenny, mentre si alzava in piedi e come lei anche Kevin, Lanie, Javier e Gates. “Non è meglio se torni a casa a dormire un po’ anche tu?” La faccia di Castle si fece un po’ imbarazzata alle sue parole mentre i suoi occhi volavano subito verso il viso di Beckett poco lontano dal suo. “Kate non andrà da nessuna parte stanotte.” aggiunse dolcemente la signora Ryan vedendolo così indeciso.
“Se per voi va bene, preferirei rimanere qui.” replicò dopo un momento Rick passandosi la mano sana sul collo, percependo quasi la stanchezza come un peso sulle spalle. “Ho già chiamato mia madre dalla centrale. Il teatro dove recitava era vicino a un rifugio antiaereo e casa sua non è stata sfiorata. Abita dall’altra parte della città quindi le ho detto di non venire qui. Perciò sarei solo al mio appartamento…” mormorò alla fine, quasi timido mentre abbassava lo sguardo verso il pavimento.
“Non aggiungere altro.” lo fermò Kevin con un sorriso stanco. “Fermati quanto vuoi. Lo sai che qui sei sempre il benvenuto. Ma almeno usa il divano!” aggiunse poi ridacchiando leggermente. Castle lo ringraziò con il cenno del capo, quindi osservò i coniugi Esposito sparire dentro la stanza segreta, i Ryan avviarsi verso le scale per il secondo piano e la Gates tornare verso la cucina, oltre la quale c’era un’altra stanza dove dormiva.
A quel punto Castle si appoggiò di nuovo con la testa al divanetto, ma stavolta con lo sguardo rivolto verso Beckett. Non aveva voglia di mettersi sul divano. Preferiva restare lì, anche se per terra. Kate sembrava dormire tranquillamente, senza alcuna ruga di espressione in volto. Rick si accorse solo in quel momento che il suo viso era ancora pieno di cenere. Lui era riuscito a darsi una breve lavata al viso quando era rientrato, ma lei ovviamente non aveva potuto.
Cercando di non svegliarla, il colonnello si alzò sulle ginocchia, voltandosi completamente verso Kate, e allungò una mano verso di lei. Prima di sfiorarle il volto, esitò un momento. Quindi prese un respiro profondo e appoggiò delicatamente una mano alla guancia di lei. Notò che era calda e liscia. Il più piano possibile, iniziò a pulirle con il pollice i residui maggiori di sporco. Castle cercò di convincere sé stesso che lo stava facendo solo per Beckett, per ripulirla un poco dopo quello che aveva vissuto. Una parte di lui però continuava a urlargli che non lo stava facendo per lei, ma per sé stesso, per sentire la sua pelle sotto le dita, per osservare da vicino i suoi lineamenti, per essere certo che il suo respiro fosse presente e stabile.
Doveva essersi incantato a guardarla, perché non si era minimamente accorto che Kate si stava muovendo. Quando finalmente tornò in sé, Rick scostò velocemente la mano dalla donna, osservandola con il respiro trattenuto. Beckett si mosse leggermente, rannicchiandosi di più su sé stessa, quindi fece una piccola (e per Rick adorabile) smorfia nel sonno e riprese a dormire come se niente fosse. Castle attese dieci secondi, quindi si concesse di ritornare a respirare. Alla fine decise che un po’ di sonno avrebbe fatto bene anche a lui. Sentiva gli occhi chiudersi e si sentiva indolenzito.
Si alzò e recuperò le coperte che aveva tirato fuori in precedenza Jenny per Kate e che aveva lasciato sul tavolo da pranzo. Erano in tutto tre coperte di cui due molto più calde e pesanti. Mise quelle sopra Beckett, cercando di non disturbare di nuovo il suo sonno, e prese la rimanente per sé. Le finestre del salone, ancora distrutte, lasciavano entrare parecchi spifferi, ma per fortuna Esposito era riuscito a coprirle il più possibile con dei pezzi di stoffa. Alla fine Castle prese il cuscino della poltrona e lo buttò a terra, proprio accanto al divano. Quella poltrona l’aveva sempre trovata scomoda, mentre il soffice tappeto del pavimento gli era molto più congeniale, per quanto potesse sembrare strano.
Rick si addormentò pochi minuti dopo, il volto rivolto verso quello di Kate, che stava ancora osservando, fino all’attimo prima in cui la stanchezza aveva preso il sopravvento su di lui.
 
Castle si svegliò lentamente. Una lieve luce gli filtrava attraverso le palpebre, non abbastanza forte da costringerlo ad alzarsi, ma sufficiente per infastidirlo. Provò a muoversi leggermente, ma scoprì che praticamente tutti i muscoli gli dolevano. Una smorfia gli passò immediata sul volto e cercò di nasconderla infilando di più la faccia all’interno del cuscino. Fu in quel momento che sentì un lieve ridacchiare. Rimase immobile com’era, voltato su un fianco e seminascosto dal cuscino, per cercare di provare meno dolore possibile e intanto concentrarsi con gli altri sensi sull’ambiente esterno. Sentiva solo un leggero respiro poco sopra di lui.
Nonostante il sonno, Rick si costrinse a girare la testa e aprire gli occhi. Sbatté le palpebre un paio di volte prima di ricordarsi dove si trovava. Era sdraiato sul pavimento del salone dei Ryan e per questo era dolorante, anche se il morbido tappeto sotto di lui aveva attutito in parte la durezza del legno del parquet. La luce che gli arrivava dritta negli occhi era quella che filtrava da una delle imposte di stoffa improvvisate della porta finestre distrutta il giorno prima.
Con gesti lenti, si passò una mano tra i capelli e accennò uno sbadiglio, chiedendosi che cavolo ci facesse là a terra, quando, girando ancora la testa, si trovò davanti le gambe del divano. Fu a quel punto che si ricordò improvvisamente del perché era in quella posizione scomoda. Alzò lo sguardo e gli mancò il fiato. Due occhi verde-nocciola lo stavano fissando divertiti dal divano sopra di lui.
“Ehi.” lo salutò Kate piano mentre un piccolo sorriso le si allargava in volto.
“Ehi…” replicò Rick quasi in un sussurro. Ci mise un paio di secondi a riprendere la giusta lucidità. Sbatté di nuovo le palpebre e scosse la testa. “Che facevi? Mi spiavi?” domandò poi passandosi di nuovo la mano sana tra i capelli per cercare di dargli un’aria decente, che sapeva non avrebbero mai avuto in quel momento, e contemporaneamente alzandosi a sedere con la mano fasciata. Il movimento gli fece scricchiolare tutte le ossa. Represse il dolore facendo fuoriuscire solo una smorfia trattenuta. Si sentiva un vecchio.
“Uhm, no...” rispose Beckett poco convinta. Castle alzò un sopracciglio alla sua risposta.
“Sei inquietante, lo sai?” dichiarò qualche secondo dopo mentre un sorrisetto divertito e malizioso gli si stampava in faccia. “Ma devo ammettere che ti capisco. Insomma, con tutto questo ben di dio che ti ritrovi davanti…” aggiunse indicando sé stesso con un tono che indicava un fatto ovvio. Kate sbuffò.
Ben di dio,” ripeté lei sfottendolo. “Non pensare che non abbia visto come mi guardavi in questi giorni quando ci incontravamo. Osservarmi mentre mangio, quello sì che è inquietante, oltre che irritante!” Il colonnello fece un gesto noncurante con la mano, ma comunque arrossì un poco a quell’affermazione. Era convinto di essere stato attento, ma a quanto pareva invece era stato beccato a osservarla. Si stupì che non glielo avesse fatto notare prima, visto che quando si incontravano i suoi occhi blu rimanevano fissi su di lei dal primo all’ultimo secondo. Cercando di far finta di non curarsi delle sue parole, Rick si stiracchiò con le braccia sopra la testa, ma un dolore alla schiena lo fece immediatamente rannicchiare di nuovo su sé stesso con una smorfia. Decisamente mai più pavimento come letto. “Stai bene?” domandò Kate con una nota di preoccupazione nella voce al vedergli fare quel gesto. “Come ti è saltato in mente di dormire sul pavimento??” chiese ancora lei irritata. “E poi…” aggiunse guardandosi intorno, come se si accorgesse per la prima volta che il posto non le era familiare. “Dove siamo? Come ci sono arrivata qui?” Beckett cercò di alzarsi all’improvviso, ma appena lo fece un gemito le scappò dalle labbra, si irrigidì e si portò immediatamente le mani al fianco.
“Beckett!” esclamò Castle scattando in ginocchio accanto a lei, ignorando completamente il dolore sordo dei suoi muscoli. La vide respirare pesantemente, mentre aspettava che il dolore diminuisse. Rick attese con lei. Le mise una mano sul braccio, dal quale si intravedeva una fasciatura bianca dalla manica strappata, e iniziò ad accarezzarlo lievemente per darle un po’ di conforto. Si sentì impotente. Non aveva nulla per farle diminuire il dolore purtroppo. Attesero che il male si attenuasse, Beckett prendendo respiri profondi, Castle carezzandole il braccio dalla spalla alla mano e ritorno. Quando finalmente il corpo di Kate si rilassò, anche Rick tirò un sospiro di sollievo. “E chiedi a me come sto?” domandò il colonnello, con una punta di ironia nella voce per nascondere la preoccupazione. Le spostò delicatamente una ciocca di capelli che le era caduta sul viso e le pulì un poco la fronte ancora un po’ sporca di polvere e sudore. Tutto quello che la donna replicò in risposta fu un piccolo sbuffo scocciato. Castle la osservò nervoso. Era impallidita e sembrava più stanca di quando l’aveva trovata sveglia. Inoltre un momento dopo, dalla coperta spostata dal movimento di lei, il colonnello si accorse che le mani di Kate sul suo fianco si erano arrossate di sangue fresco. Se Lanie le aveva messo dei punti la sera prima probabilmente li aveva strappati o semplicemente il movimento brusco aveva riaperto la ferita.
“Non hai risposto alle mie domande.” commentò Beckett sottovoce, ancora provata dal dolore. Quando Castle rimase in silenzio, si voltò verso di lui con le sopracciglia aggrottate. Rick aveva lo sguardo perso verso la sua mano ancora appoggiata sopra di lei. Ora che la paura era in parte passata, la realtà di quello che era accaduto solo poche ore prima lo colpì con forza.
“Qual è l’ultimo ricordo che hai?” domandò il colonnello atono. Kate ci pensò su per un attimo, le sopracciglia aggrottate le formavano una piccola rughetta sulla sua fronte che Rick aveva imparato a conoscere bene in quei giorni. Poi Beckett spalancò gli occhi e la bocca le rimase semiaperta. Non respirava.
“Le bombe…” mormorò mentre all’improvviso gli occhi le si facevano lucidi, iniziando anche ad ansimare lievemente. “Le bombe hanno distrutto… Alwara e Edzard loro sono… sono ancora dentro!!” esclamò alzando di scatto gli occhi verso Castle, lo sguardo spaventato. “Devi andare ad aiutarli! Potrebbero essere ancora…”
“Morti.” la bloccò Rick. Cercò di mascherare il dolore nel suo tono, ma ci riuscì solo in parte. Lei lo guardò con gli occhi spalancati. “Quando sono arrivato per portarti via da quell’inferno, l’edificio era già distrutto.” spiegò Castle piano, senza guardarla. “Dopo averti nascosto qui sono tornato al Fidel. E… li ho trovati.” concluse solo con un gran sospiro. “Dovrò anche avvisare i figli…” aggiunse dopo qualche momento di cupo silenzio passandosi una mano sulla faccia.
“Mi dispiace…” bisbigliò Kate allungando una mano e stringendola intorno alla sua sana.
“Per cosa?” domandò il colonnello sorpreso, più per la mano che per la domanda. “Non hai sganciato tu quelle bombe e non hai iniziato tu la guerra.” le disse facendole un mezzo sorriso rassicurante.
“Ma li conoscevi bene. Erano tuoi amici.” insisté Beckett stringendogli di più la presa sulle sue dita. Rick prese un respiro profondo e annuì lentamente. Il calore della mano di lei sulla sua gli dava una sensazione di conforto che non avrebbe mai sperato, anche se non cancellava il dolore.
“Non sono i primi amici che perdo.” dichiarò distaccato, senza aggiungere altro. Rimasero qualche secondo in silenzio, tenendosi per mano come se fosse una cosa normale fra loro. Un momento dopo però, Kate si lasciò sfuggire un piccolo gemito di dolore e riportò la mano al fianco. “Ehi, ehi, tranquilla.” le sussurrò Castle per distrarla un poco, carezzandole di nuovo un braccio e i capelli per rassicurarla. “Comunque, per rispondere all’altra tua domanda, questa è la casa di Ryan.” le disse indicandole la stanza circostante. Beckett si guardò per un momento intorno con occhi stanchi e poi annuì. “Sarebbe il caso di aspettare Lanie per medicare la ferita.” continuò Rick. “Però se vuoi posso iniziare a dare un’occhiata per vedere quanto è grave.”
“Cerchi solo una scusa per alzarmi la maglia…” borbottò Kate dolorante, ma insieme divertita. Castle scoppiò a ridere. Non aveva minimamente pensato a un secondo fine, tanto era preoccupato per le sue condizioni.
“Lo ammetto, mi hai scoperto!” replicò ghignando. “Speravo fossi così spossata da non accorgertene.” Kate sbuffò piano.
“Rassegnati, Castle.” rispose mentre cercava di reprimere un sorriso. “Sarò sempre troppo sveglia per te.”
“Beh, su questo ha ragione, amico!” La voce di Ryan dall’entrata del piccolo corridoio fece sobbalzare entrambi. Non l’avevano minimamente sentito scendere le scale. Rick e Kate si lasciarono subito le mani, fino a quel momento strette insieme, prima che Kevin potesse avvicinarsi tanto al divano da vederle.
“Kev, Beckett ha bisogno di Lanie.” dichiarò Castle cambiando argomento. “Deve essersi riaperta la ferita perché sta sanguinando di nuovo.” Ryan si fece subito preoccupato e si avvicinò velocemente al divano.
“Sto bene…” borbottò Kate, ma le sue mani sporche di sangue fresco dicevano tutt’altro. Appena Kevin le diede un’occhiata, aggrottò le sopracciglia serio.
“Vado a chiamarla.” disse subito, quindi si voltò e si avviò rapido verso l’apertura della stanza segreta dove dormivano gli Esposito.
“No, io non…” mormorò Beckett, ma Castle la fermò.
“Kate, per favore, hai bisogno di cure.” la implorò il colonnello. Aveva perso degli amici quel giorno, non era stato in grado di aiutare sua madre a sopravvivere, era stanco e provato da tutto quello. Se non fosse riuscito a convincere almeno Beckett a farsi aiutare, sarebbe scoppiato. Il suo sguardo dovette far trasparire tutta la sua preoccupazione e ansia perché lei lo osservò per un momento, quindi sospirò e annuì piano. Non lo sgridò neppure per averla chiamata Kate.
“Puoi aiutarmi ad alzarmi?” domandò lei iniziando a far leva sulle braccia. Una smorfia di dolore la fece bloccare subito.
“Beckett, devi restare giù!” cercò di ordinarle Rick, ma stavolta lei scosse la testa con forza.
“No.” replicò decisa, anche se un po’ affannata. “Non voglio presentarmi a nessuno come una malata.”
“Ma tu sei malata.” rispose Castle in tono dolce e insieme un po’ esasperato per la testardaggine della donna. “Avevi un pezzo di vetro nel fianco, sei ferita e…”
“Non importa.” borbottò Kate in risposta. “Mi aiuti ad alzarmi o no?” gli domandò alla fine con tono di sfida. Castle le lanciò un’occhiataccia, ma non servì a nulla. Testarda e orgogliosa, ecco com’era Kate Beckett. Non voleva mostrarsi debole a degli estranei nonostante quegli stessi estranei l’avessero più o meno rimessa in sesto semicosciente il giorno prima. Rick sbuffò, ma alla fine la aiutò con attenzione a mettersi in posizione seduta. A operazione conclusa, Beckett aveva una mano stretta al fianco, era impallidita e aveva il respiro mozzato per il dolore e lo sforzo, ma almeno era più tranquilla.
Proprio in quel momento entrarono nel salone Lanie e Javier con Leandro in braccio, seguiti subito dietro da Ryan. Come se si fossero dati appuntamento, dal corridoio dall’altra parte della stanza arrivarono anche Jenny e la Gates. Castle sentì Kate irrigidirsi per un attimo. La comparsa di tutte quegli individui doveva averla disorientata e messa in agitazione. I suoi occhi schizzavano veloci da una persona all’altra, come a cercare di capire chi potesse rappresentare di più una minaccia.
“Loro sono i miei amici.” le disse Rick dolcemente, posandole una mano sul ginocchio per tranquillizzarla. Il solo che fatto che parlasse ancora in inglese sembrò calmarla un poco. Poi iniziò a indicarle i presenti. “Lei è Jenny, la moglie di Ryan. Victoria Gates è la loro cameriera. Loro invece sono Javier Esposito, sua moglie Lanie e il loro figlio Leandro.” Poi presentò Kate. “Lei invece è Kate Beckett.”
“La famosa Kate.” commentò Jenny con un sorriso facendo voltare Beckett verso di lei, curiosa. “Rick ci ha parlato molto di te.”
“Diciamo pure che negli ultimi tempi ha parlato solo di te, tesoro.” dichiarò Lanie ridacchiando. Kate tornò a guardare Castle perplessa, ma con un vago sorrisetto sulle labbra. Rick alzò le spalle come a volersi scusare, ma intanto arrossì.
“Certo che Castle ci aveva detto che eri bella, ma non credevo così tanto!” commentò Esposito divertito, un attimo prima di beccarsi una gomitata sullo stomaco da Lanie. “Ehi!!” esclamò offeso aggiustandosi meglio Leandro tra le braccia. “Guarda che ho tuo figlio in braccio!”
“Allora mi riserverò di parlarti dopo a quattr’occhi di questa affermazione.” replicò Lanie con un tono tranquillo che fece deglutire Javier spaventato.
“Tu sei la fidanzata di zio Rick?” chiese all’improvviso Leandro con tutta l’ingenuità di un bambino. Castle e Beckett diventarono subito completamente rossi, mentre gli altri scoppiavano a ridere.
“Rick, ci hai parlato così tanto di te che ormai pure Leo ha questa impressione!” dichiarò Ryan ridacchiando.
“Uhm… esattamente…” mormorò Kate, ancora rossa in volto, a Rick. “Quanto gli hai parlato di me?”
“Ehm… un pochino?” rispose lui piuttosto insicuro. Possibile che avesse parlato di Beckett così tanto?? Ripensò alle ultime cene, pranzi e visite che aveva fatto a casa Ryan da quando aveva conosciuto Kate. E capì, sconcertato, di averne parlato davvero troppo. Sicuramente poi le chiacchiere maliziose dei genitori di Leandro e dei Ryan avevano fatto il resto sulle idee del bambino. “Devo aver accennato a te più del previsto…” aggiunse imbarazzato sottovoce, lo sguardo basso, più a sé stesso che alla donna davanti a lui. Lanciò un’occhiata sottecchi a Kate e notò che si stava mordendo il labbro inferiore cercando di non ridere.
In un attimo però il suo sorriso si trasformò in una smorfia dolorosa e si piegò in due su sé stessa. Prima che Castle potesse andare in suo soccorso, Lanie era già accanto a lei.
“Devo controllare la ferita.” disse con aria seria, da medico esperto. “Ieri in cantina purtroppo avevo pochi attrezzi per rimetterti in sesto, ma ora vediamo di rimediare.” Kate aggrottò le sopracciglia.
“In cantina?” chiese confusa con voce appena ansante.
“Jenny, Gates, potreste darmi una mano?” chiamò Lanie senza curarsi minimamente della domanda di Beckett. Le due donne annuirono subito. “Mi servirebbe acqua calda, ago, filo e dei panni puliti per coprire il taglio.”
“Vado a prenderli.” replicò la cameriera, quindi si avviò a passo sicuro in cucina.
“Jenny mi spiace chiedertelo,” continuò Lanie “Ma dovresti prestare dei vestiti a Kate, visto che questi sono sporchi di sangue. Possibilmente qualcosa di un po’ largo, di te incinta, in modo che non le comprima i fianchi.”
“Non c’è problema, dammi un minuto.” rispose Jenny prima si voltarsi e sparire verso le scale per il secondo piano dov’era la camera sua e di Kevin.
“Castle, dammi una mano anche tu.” lo richiamò Lanie. Rick scattò in piedi, nonostante avesse ancora dolore a ogni singolo muscolo. Decisamente mai più pavimento.
“Che devo fare?” chiese.
“Aiutami a portarla di là.” gli disse indicando con un cenno la loro stanza segreta. “Devo stenderla e spogliarla e non mi sembra il caso di farlo nel salone. Anche se sono certa che non ti dispiacerebbe del tutto la cosa, vero?” aggiunse alla fine maliziosa e divertita. Il colonnello fece finta di non aver sentito, ma il lieve rossore sulle sue guance lo tradì. Non dando corda a Lanie, Castle pensò per un momento a come spostare Kate. Alla fine, l’unica soluzione che gli venne in mente, e che prevedesse per lei il minimo sforzo, fu prenderla in braccio. Cosa che, sicuramente, Beckett non avrebbe particolarmente gradito.
Senza neanche fermarsi per chiedere alla donna se le andava bene il suo metodo di trasporto, per paura di un rifiuto, semplicemente la affiancò e le mise un braccio dietro la schiena e uno sotto le ginocchia. Quindi la sollevò prima che lei potesse protestare.
“CASTLE!!” esclamò sconvolta Kate attaccandosi, per istinto di sopravvivenza, al suo collo.
“Cosa?” chiese Rick tranquillo, con un sorrisetto stampato in faccia. Da quella posizione poteva sentire ogni curva del fianco di Beckett contro di lui, la sua morbidezza, il suo calore, il suo profumo… Dopo un attimo scosse la testa e si impose di pensare solo al mettere un piede dopo l’altro per portare la donna nella camera prima di spiacevoli… inconvenienti.
“Mettimi giù!” esclamò Beckett con lo stesso tono di un ordine mentre Rick la trasportava lentamente verso la stanza. “So camminare da sola!” Rick avrebbe voluto ridacchiare, ma aveva paura di rischiare un pugno in faccia. Sì, Kate sapeva camminare da sola, ma, tralasciando il fatto che fosse ferita, il colonnello stava notando benissimo che alla fin fine lei non si stava poi muovendo tanto tra le sue braccia. Anzi gli sembrava pure piuttosto rilassata. Ma forse era solo uno scherzo della sua immaginazione.
“Certo, ma meglio evitare di spargere sangue ovunque non ti pare?” replicò Castle, ancora divertito, entrando nella stanza di traverso per non far sbattere da nessuna parte Kate. Quindi, mentre lei ancora borbottava tra le sue braccia, si avvicinò al letto e la adagiò delicatamente sul materasso. Beckett non pesava molto ed era facilmente trasportabile, ma già in qualche modo quel peso e quel calore aggiuntivo mancavano a Rick.
Quando Kate si distese, un’altra piccola smorfia le comparve in volto. Il colonnello le spostò una ciocca di capelli dal volto e istintivamente passò la punta delle sue dita sul volto di lei. La sfiorò soltanto, seguendo leggero le curve della fronte, degli zigomi, della guancia e dell’angolo della bocca fino al mento. Beckett alzò gli occhi su di lui con sguardo quasi curioso. Alcune parole viaggiarono per la mente di Castle mentre i loro occhi erano incrociati: adorabile, bellissima, stupenda, straordinaria. Prima che potesse dirgliene anche solo una però, sentì Lanie entrare con Jenny e la Gates a seguito.
“Ti lascio in buone mani.” le sussurrò con un mezzo sorriso. ripetendole ciò che le aveva già detto quando l’aveva lasciata nella cantina. Spostare la mano dal viso di Kate, così liscio e delicato, fu un’impresa più difficile del previsto, ma ci riuscì prima che una delle altre donne nella stanza lo notasse. “Se hai bisogno, sono nel salone. Non devi fare altro che chiamarmi, ok?” Beckett lo osservò per qualche secondo senza dire nulla, quindi annuì e gli sorrise appena.
“Castle, fuori ora!” esclamò Lanie dandogli qualche colpetto sulla schiena per spingerlo via. “La tua ragazza ha bisogno di essere medicata e non posso farlo se stai qui!”
“Lei non è la mia ragazz…!” esclamò contrariato Rick, ma prima che potesse avere il tempo di concludere la frase, Lanie l’aveva già cacciato del tutto fuori, chiudendo poi a chiave la porta alle sue spalle.

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Xiao! :D
Ok sarò breve, vista l'ora imporponibile a cui sto pubblicando! XD Qualcuna di voi (una a caso che mi parla di nutellicidio) mi aveva minacciato perchè i nostri eroi non facessero una brutta fine... beh, come vedi per ora stanno più o meno bene! :D Più o meno... e la guerra mica è finita... XD
Ah comunque piccola nota storica: il bombardamento c'è stato davvero, la notte tra il 18 e il 19 novembre 1943 a Berlino da parte degli aerei inglesi... nel caso voleste qualche info in più, vi basta cercare "Battaglia aerea di Berlino"! ;)
Bho detto questo, spero vi sia piaciuto il capitolo! :) Ancora e sempre grazie mie consumenti Katia e Sofia (anche se Sniper mi sa che ha capito che stiamo fuori di testa e ci abbandona in chat... XD) <3
A mercoledì prossimo! ;)
Lanie
  
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