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Autore: TheSlayer    31/01/2014    2 recensioni
Kimberly Fletcher ha vent'anni, viene da Londra ed è una ragazza cinica. Non crede nell'amore e odia le manifestazioni d'affetto pubbliche. Ha una sorella gemella, Cassie, che è il suo totale opposto. Insieme stanno per intraprendere una nuova avventura: trasferirsi a New York City per un anno. Cassie frequenterà un corso per diventare Wedding and Event Planner, mentre Kim farà uno stage con la sua fotografa preferita, la famosa Sophia Warden. E la donna avrà solo due regole per quel lavoro: "segui le mie istruzioni e non uscire mai con uno dei miei clienti".
Cosa succederà quando Kim incontrerà Harry, affascinante membro di una boy band famosa, nonché cliente di Sophia?
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 2 – The First Crush
 
“C’è fila anche per prendere un dannatissimo taxi?” Domandai con impazienza. Cassie ed io avevamo recuperato i nostri bagagli ed eravamo finalmente uscite dall’aeroporto. O quasi. La fila di persone che aspettavano un taxi era così lunga da cominciare all’interno della struttura.
“Non arriverò mai in tempo!” Mormorai. Avevo già perso quasi due ore tra controlli all’immigrazione e recupero valigie. Non sarei mai riuscita ad andare a Soho in poco più di mezz’ora. Avevo letto su Internet che dall’aeroporto JFK a quel quartiere, in auto, ci si metteva sempre più o meno un’ora. Sarei arrivata in ritardo il primo giorno di stage.
 
Scoprii che Internet aveva ragione e che, durante l’ora di punta, ci si metteva anche di più. Nonostante l’ansia, però, non riuscii a non godermi lo spettacolo. Le strade larghissime, le auto giganti (in America le vendite di SUV andavano benissimo, apparentemente), le limousine (ne avevo viste almeno dieci solo nei primi cinque minuti. Erano tutti così ricchi?), le strade a più piani (com’era possibile? Noi eravamo su quella più in alto, ma vedevo almeno altre due strade intrecciarsi sotto di noi) e poi l’attraversamento del ponte al tramonto. Lo skyline di Manhattan s’innalzava fiero davanti a noi, il sole che si stava abbassando colpiva i palazzi, rendendoli quasi arancioni. Quando vidi le luci dell’Empire State Building mi voltai per non far vedere a Cassie un paio di lacrime rotolare sul mio viso. Avevano ragione tutti. New York toglieva il fiato. Era qualcosa da vedere assolutamente almeno una volta nella vita.
Cassie si offrì di portare al nostro nuovo appartamento a Lower Manhattan anche i miei bagagli, così diedi l’indirizzo dello studio di Sophia Warden al taxista e gli dissi di fermarsi prima lì. Poi avrebbe portato la mia gemella a casa.
 
“Kimberly Fletcher.” Dissi alla reception quando finalmente arrivai allo studio. “Sono qui per lo stage con Sophia Warden, mi sta aspettando.”
La donna dietro la scrivania, una ragazza di più o meno venticinque anni con i capelli scuri tagliati a caschetto, mi sorrise.
“Per fortuna sei arrivata. Sophia sta impazzendo oggi. Vai, troverai il suo studio in fondo al corridoio a destra. E’ dentro con alcuni clienti, ma prima cominci a lavorare e meglio sarà per tutti.” Aggiunse, roteando gli occhi al cielo. Poi mi rivolse un sorriso e mi indicò la porta giusta con un dito.
“D’accordo, grazie.” Risposi. Guardai il corridoio davanti a me. Le pareti erano tappezzate di foto, tutte scattate da Sophia Warden. Era specializzata in ritratti e i suoi lavori apparivano nelle pubblicità di trucchi, nei giornali di moda e sui cartelloni pubblicitari di tutto il mondo. Era brava, era una fotografa che sapeva quello che stava facendo. La ammiravo tantissimo e non vedevo l’ora di conoscerla di persona.
 
Finii di lavorare alle otto di sera, con sette ore e mezza di volo alle spalle e poco, pochissimo tempo passato a riposare. Sull’aereo avevo fatto fatica a dormire e la notte prima di partire, complice l’ansia per la nuova avventura, mi ero addormentata dopo ore passate a fissare la valigia sul pavimento di fronte al mio letto.
L’appartamento che avevamo affittato Cassie ed io era a sole due fermate di metro (linee N, Q o R, dovevo assolutamente ricordarlo per il futuro) dallo studio di Sophia e, nonostante i mezzi pubblici di New York fossero molto più complicati di quelli di Londra, riuscii ad arrivare a casa (quasi) senza problemi. Quasi, perché dovette aiutarmi una signora anziana a passare la tessera della metro alla velocità giusta per fare aprire le porte. Io avevo continuato a strisciarla troppo velocemente o troppo lentamente e dietro di me si era formata una lunga fila di pendolari incazzati.
Guardai il palazzo da fuori, un edificio a sei piani di mattoni abbastanza scuri sull’angolo tra la Sedicesima e la Terza. Cassie ed io abitavamo all’appartamento quarantacinque, cioè il quinto al quarto piano. Anche se non ero mai stata fisicamente in quel posto, l’avevo visto tanto su Google Maps, quando cercavo di studiare a memoria quello che c’era nei dintorni per avere punti di riferimento. Mi fece sentire istintivamente a casa.
Mi avvicinai alla porta d’ingresso e studiai il citofono. Dovevo comporre il numero e poi il tasto verde. Funzionava un po’ come un telefono.
“Sì?” Rispose una voce femminile che non conoscevo.
“Sono Kim, la nuova coinquilina.”
“Oh, Kim! Sali, sali pure!” Esclamò la ragazza, pigiando il tasto sul citofono e aprendo il portone d’ingresso.
Arrivai al quarto piano grazie a un vecchio ascensore dall’aria poco rassicurante. Nonostante tutto, però, mi piaceva, perché era tipico e faceva parte del fascino di New York.
“Appartamento quarantacinque…” Mormorai davanti alla porta di legno massiccio scuro. Prima che potessi bussare, una ragazza mi aprì e mi sorrise.
“Wow, mi sembra quasi di vedere doppio!” Esclamò poi, spostando lo sguardo da me a Cassie, che era appena comparsa dietro di lei. “Vieni, entra! Benvenuta!” Disse, spostandosi per farmi passare.
Cassie ed io eravamo gemelle monozigote, ovvero eravamo identiche. Quando eravamo bambine venivamo spesso pettinate e vestite uguali, quindi era impossibile distinguerci. Crescendo, poi, entrambe avevamo sviluppato le nostre personalità e avevamo cominciato a vestirci in modo diverso, a truccarci e a pettinarci in modi differenti. Cassie aveva mantenuto i capelli del suo castano chiaro naturale e li teneva lunghi più o meno fino a metà schiena. Amava i boccoli e gli accessori romantici. Era una vera e propria patita dei cerchietti.
Io, invece, li avevo scuriti un po’. Mi piaceva il contrasto che si creava tra i capelli piuttosto scuri e la mia pelle perennemente pallida. Da brava inglese, evitavo il sole come la peste.
I nostri occhi erano assolutamente identici. Li avevamo entrambe verde scuro, quasi castani. Però li truccavamo in modo diverso. Cassie preferiva un look più naturale, mentre io amavo l’eyeliner e il mascara nero.
“Ecco l’altra gemella!” Disse un’altra ragazza, raggiungendoci. Per permetterci un appartamento (minuscolo) a Manhattan, Cassie ed io avevamo accettato il compromesso di condividerlo con altre due ragazze. L’affitto era abbastanza alto e le dimensioni erano ridotte, ma era Manhattan. Era quello che avevamo sognato per anni. Si trattava di un piccolo salotto con angolo cottura – quello che mi aveva fatto perdere la testa per quel posto era stato il fatto che avesse le pareti con i mattoni a vista – e poi avevamo due stanze da letto (entrambe con due letti da una piazza e mezza) e due piccoli bagni. Però era in una bella posizione e non mi dispiaceva conoscere nuove persone. Le due ragazze, Elle e Piper, sembravano simpatiche e dopo vari scambi di e-mail avevamo deciso di vivere insieme.
“Piacere di conoscervi, ragazze. Sono Kim.” Dissi, allungando la mano prima verso una e poi verso l’altra.
“Elle, piacere mio.” Replicò quella che mi aveva aperto. Dalle e-mail che ci eravamo scambiate avevo scoperto che veniva dal Michigan e si era trasferita a New York per diventare una giornalista. Infatti era riuscita a trovare un posto come stagista alla redazione di Seventeen Magazine ed era la persona più felice del mondo.
E in realtà era la proprietaria dell’appartamento. Era stato un regalo che le avevano fatto i genitori per permetterle di vivere nella città dei suoi sogni. E lei, conoscendo la reputazione di New York – e dei New Yorkers – aveva deciso di trovare delle coinquiline. Non voleva vivere da sola, sperava di trovare coinquiline che sarebbero diventate sue amiche e con cui avrebbe potuto condividere la sua nuova vita.
Elle era bellissima e sembrava che non si sforzasse nemmeno per sembrare perfetta. Aveva i capelli castani, lunghi e mossi – spettinati, ma sembrava quasi che fossero stati sistemati così apposta – e gli occhi azzurri. Sopracciglia definite, zigomi perfetti, naso piccolo e dritto e labbra carnose. E, come se la bellezza del suo viso non fosse abbastanza, aveva anche un corpo perfetto. Avrebbe potuto fare la modella, se la sua carriera come giornalista non avesse preso la piega che voleva. Stava indossando una maglietta a mezze maniche e un paio di pantaloni della tuta di Victoria’s Secret e sembrava che fosse appena uscita dal loro catalogo.
“Piper.” Disse l’altra ragazza. Lei aveva i capelli corti, un caschetto appena sotto le orecchie, rossi e gli occhi verdi. Il suo naso era cosparso di piccole lentiggini e gli occhi contornati da un paio di enormi occhiali da vista neri. Era un po’ più bassa di Elle e aveva un fisico molto asciutto, quasi senza forme. Indossava una maglietta della Eureka Springs High School, la scuola che aveva frequentato in Arkansas. Mi aveva raccontato di essersi trasferita a New York per studiare scienze. Voleva diventare una ricercatrice, voleva aiutare il mondo trovando cure alle malattie ancora poco conosciute. Studiare era tutta la sua vita, era letteralmente quello che le faceva venire il buonumore la mattina quando si svegliava.
“Forza, vieni a sederti! Sarai stanca morta.” Mi invitò Elle, mostrandomi i due divani arancioni al centro della zona giorno.
“Hai mangiato?” Mi domandò la mia gemella, sedendosi di fianco a me. Scossi la testa e solo in quel momento mi accorsi di quanta fame avevo. Da quanto tempo non mangiavo? Il cibo dell’aereo (se si poteva chiamare in quel modo, sembrava quasi plastica) non mi aveva soddisfatta e non avevo trovato nulla durante il servizio fotografico con Sophia.
“Aspetta, ti preparo un sandwich.” Si offrì Piper, raggiungendo l’angolo cucina. “Qualche allergia o qualcosa che odi?” Domandò.
“No, non ho allergie e in questo momento credo che mangerei anche un pezzo di legno, quindi va bene qualsiasi cosa.” Risposi. “Grazie mille!” Aggiunsi poi. La ragazza sorrise e aprì il frigorifero.
Cassie, Elle ed io avevamo tutte vent’anni. Piper, invece, ne aveva diciannove e frequentava la NYU, la New York University.
“Com’è andata con Sophia Warden? E’ isterica come si dice in giro?” Domandò Elle dopo qualche minuto, abbassando la voce come se la diretta interessata potesse sentirci mentre spettegolavamo su di lei.
“No, in realtà mi è sembrata a posto. Beh, ha fatto una scenata alla manager della band che stava fotografando, ma per il resto mi è sembrata okay.” Raccontai.
“Band?” Domandò immediatamente Piper, porgendomi il sandwich che mi aveva preparato. “Chi erano? Era qualcuno di famoso? Beh, per forza. Devono essere famosi per essere fotografati dalla Warden.”
“Grazie.” Dissi, mangiandone subito un boccone. Era un semplice tramezzino con tacchino arrosto, pomodoro, insalata e maionese - una cosa che avevo mangiato come minimo mille volte - ma per me era buonissimo. Il mio stomaco emise un piccolo ruggito e scoppiammo tutte a ridere. “Erano i Fall Out Boy, comunque.” Risposi prima di addentare di nuovo il panino.
“Pete Wentz è un figo allucinante.” Commentò Elle.
“Mmh, no, non mi piacciono i ragazzi che si truccano.” Disse la mia gemella, scuotendo la testa.
“Beh, secondo me è carino. Però io preferisco Patrick, il cantante. Ho un debole per quelli che sembrano un po’ nerd.” Disse Piper. “Tu che ne pensi? Come sono dal vivo? Come in foto?” Mi domandò poi.
Alzai le spalle e scossi la testa.
“Mi credete se vi dico che non li ho praticamente nemmeno visti in faccia? Tra la stanchezza e le ottantaduemila cose che mi ha fatto fare Sophia… no, credo di averli visti di sfuggita solo quando sono entrata nello studio.” Risposi. “Però no, né Pete e né Patrick sono il mio tipo ideale di uomo.” Aggiunsi.
Poi, per qualche motivo a me oscuro, la mia mente si soffermò sul viso del primo ragazzo per cui avessi mai preso una cotta.
 
Avevo dodici anni, giorno più o giorno meno, e Cassie ed io frequentavamo la seconda media. Eravamo state affidate al signore e la signora Carter, una coppia sposata di mezza età con un figlio naturale che aveva un paio d’anni in più di noi e l’assistente sociale ci aveva detto che eravamo state fortunate. Era raro che una coppia volesse due gemelle già grandi. Quelle come noi, di solito, rimanevano nel sistema fino a diciotto anni e poi venivano lasciate completamente sole, in mezzo a una strada, senza una famiglia, senza un lavoro e senza soldi. Inoltre la storia della nostra famiglia non veniva accettata da tutti e tanti potenziali genitori adottivi storcevano il naso quando leggevano che nostra madre era in carcere e l’identità di nostro padre era sconosciuta. Non l’avevamo scelto noi, ovviamente, ma le cose stavano così.
Cassie ed io avevamo passioni diverse, così ci eravamo iscritte a corsi diversi. In quello di musica avevo conosciuto Daniel, un ragazzino della mia età con i capelli biondi e gli occhi azzurri. Portava un paio di occhiali rettangolari con la montatura molto sottile e non stava un attimo fermo. Eravamo finiti in gruppo insieme per la prima presentazione dell’anno e dovevamo suonare una canzone di John Williams conosciutissima: la colonna sonora di Harry Potter.
Daniel mi aveva sorriso, poi aveva detto qualcosa a Parker, il suo migliore amico, e mi aveva fatta ridere. Aveva fatto una battuta molto inappropriata su Harry Potter e così, in cinque minuti, aveva conquistato il mio cuore.
Una volta finito il corso di musica avevamo deciso entrambi di iscriverci a quello di teatro. Quell’anno il tema dello spettacolo era l’antica Grecia e avremmo dovuto recitare insieme. In due scene diverse, ma non mi importava. Quello che per me contava era che durante le prove potevo passare tantissimo tempo con lui. Ogni pomeriggio ci trovavamo dopo la scuola e scherzavamo insieme, parlavamo e ogni volta che i suoi occhi incrociavano i miei mi sentivo come se stessi volando.
I nostri compagni di classe sapevano della mia cotta per lui. In effetti tutti lo sapevano, perché l’avevo confessato a una mia amica e lei l’aveva ovviamente detto a tutti. Compreso lui. Però fingeva di non saperlo e continuava ad essere mio amico. E il fatto che non mi avesse mai chiesto di uscire, forse, avrebbe dovuto essere un indizio piuttosto importante per farmi capire che non era interessato a me. Non in quel senso, almeno.
Qualche settimana prima dello spettacolo qualcuno aveva messo in giro delle voci: Daniel e Maggie, la ragazza più popolare del nostro anno, erano diventati una coppia. Lei era conosciuta da tutti perché alla tenera età di dodici anni era già andata a letto con uno dei ragazzi del terzo anno e Daniel, ovviamente, voleva essere il primo della nostra classe ad avere quell’esperienza.
Non avevo voluto credere ai pettegolezzi, perché lui continuava a parlare con me durante le prove, ero sicura che provasse le stesse cose che sentivo anch’io. Poi, durante una festa di compleanno di una nostra compagna, li avevo visti baciarsi e mi si era spezzato il cuore. Improvvisamente mi ero sentita come se qualcuno mi avesse buttato dell’acqua gelida in faccia e mi ero immobilizzata davanti a quella scena. Ci era voluto qualche minuto per capire fino in fondo quello che stavo guardando. Daniel stava baciando Maggie. Le voci erano vere.
Quel giorno ero scappata dalla festa, ero tornata a casa, mi ero chiusa nella camera che condividevo con Cassie e avevo pianto fino a non avere più lacrime.
 
“Beh, io ci farei un pensierino su Pete Wentz.” La voce di Elle e le risate di Cassie e Piper mi riportarono alla realtà. Scossi impercettibilmente la testa e sospirai. Avrei dovuto capirlo a dodici anni che non avrei dovuto perdere tempo con gli uomini. Tanto erano tutti uguali.

 


Eccoci al secondo appuntamento con The Butterfly Effect! Oggi conosciamo meglio la nostra Kim, scopriamo qualcosa sulla sua prima cotta, Daniel. Inoltre vengono introdotte anche Piper ed Elle, le due nuove coinquiline delle gemelle.
In questo capitolo non succede molto, ma visto che ho presentato vari personaggi ho pensato che fosse meglio lasciare le cose così, altrimenti ci sarebbe stato troppo caos. Nel prossimo, che posterò venerdì, leggeremo qualcosa sullo stage di Kim dalla fotografa e, soprattutto, verranno introdotti i ragazzi! Cosa pensate che succederà?
Lascio a voi i commenti e torno a scrivere!
Un bacione e grazie a tutte le persone che hanno letto lo scorso capitolo, a chi ha aggiunto la mia storia tra le preferite, ricordate e seguite e alle ragazze che hanno recensito (sapete che vi adoro <3)

Alla prossima!

 

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