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Autore: Brooke Davis24    31/01/2014    0 recensioni
Crossover. Una strana maledizione è piombata sugli abitanti della Foresta Incantata nelle sembianze di una bellissima giovane donna, il cui nome è Malefica. Ma Malefica non è sempre stata tale! Diversi anni prima, era conosciuta come Emma, la figlia del re promessa in sposa al giovane figlio di un altro sovrano. E sarà proprio questo giovane, Killian Jones, a tentare l'assurda impresa di riportare in vita Emma e scacciare via lo spettro che l'ha trasformata nel mostro che tutti temono.
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emma Swan, Killian Jones/Capitan Uncino
Note: Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Due sole precisazioni: a)la scena che vedrete a metà capitolo è in parte ispirata al trailer del film della Disney su Malefica, b)l'ho inserita come dedica personale alla mia lettrice più affezionata, Marika. Non dire che non ti accontento! ;]
Buona lettura!


Capitolo II
La morte è un istante


Un vento freddo fischiava contro le mura di marmo del castello, insinuandosi tra le fessure e danzando per stanze e corridoi. Killian, nel delirio cui la sua mente era in preda, non faceva alcuna fatica ad immaginare le folate di vento, impegnate in un romantico valzer, stringersi, sorridersi, percorrere l’intera pista da ballo e, infine, al termine della musica, farsi un rispettoso inchino, come la buona educazione comandava. Ma i suoi pensieri correvano troppo veloci, sospinti dall’inedia di quegli ultimi giorni e dall’aria del palazzo che stava intossicando i suoi sensi, rendendogli cara persino l’idea di farsi del male.
L’ultima volta che aveva visto Emma era stata esattamente l’ultima volta che aveva messo qualcosa sotto i denti e, al contempo, l’ultima volta che le sue riflessioni erano rimaste lucide. Non un rumore di passi aveva annunciato che qualcuno fosse disposto a prendersi cura di lui, non il suono delle stoviglie, neppure il corvo aveva fatto capolino in quelle zone del castello che davano su uno strapiombo ai lati della montagna ove l’edificio era sito. Era quello il prezzo che avrebbe dovuto pagare per la sua testardaggine? Ed era quello il trattamento che ella gli avrebbe riservato? L’indifferenza? 
Mettendosi a sedere contro la parete, guardò oltre la piccola finestra ricavata nel marmo e, benché ci fosse poco da ammirare, anelò alla libertà, perfino ai rami rinsecchiti degli alberi, alle sporadiche lepri che, con le costole sporgenti, sopravvivevano alla bell’e meglio. Era tutto quello che Malefica aveva lasciato loro, era tutto quello che Emma aveva lasciato loro. Sospirando, ignorò i crampi allo stomaco dettati dalla fame e quasi credette di essere in preda ad un’allucinazione, quando la porta di quella che aveva presto compreso essere una cella si schiuse dinanzi ai suoi occhi, magicamente, mostrando un piatto di cibo fumante appena al di là dell’uscio. Con la stessa bramosia di un avvoltoio al cospetto di una carcassa, si avventò su di esso e divorò quel poco che gli era stato concesso, facendone buona riserva. Quando ebbe finito, tuttavia, realizzò qualcosa che la fame gli aveva impedito di vedere sino ad allora: qualunque fossero i suoi intenti, Emma lo aveva attirato fuori dal luogo della sua prigionia con lo scopo di non ricacciarvelo immediatamente dopo e Killian non poté fare a meno di chiedersi cosa significasse tutto ciò, cosa si aspettava che facesse.
Alzandosi sulle gambe malferme, l’uomo si resse alla parete delle scale per far fronte ai capogiri e dovette ripete l’operazione più di una volta, mentre proseguiva lungo i gradini che, tre giorni prima, non gli erano parsi tanto numerosi. Era pienamente consapevole del fatto che, se Emma avesse avuto intenzione di ucciderlo, date le sue precarie condizioni, avrebbe potuto farlo senza incontrare alcuna resistenza, godendosi perfino il momento; quando ebbe raggiunto la sommità delle scale e realizzò che la stessa, immota quiete della cui compagnia aveva goduto vigeva nelle restanti parti del palazzo, tuttavia, il sospetto che quelle non fossero le intenzioni della giovane non soltanto s’insinuò nella sua mente ma, se possibile, divenne più concreto di quanto non si fosse aspettato. Ed ebbe conferma alle sue perplessità pervenne presso il salone d’ingresso ove l’aveva rivista per la prima volta dopo tanti anni, perché trovò il portone schiuso e, in prossimità di esso, la sacca e le armi che aveva portato con sé in quella missione suicida.
Attraversata l’immensa stanza e giunto al portone d’entrata, Killian comprese cosa ella stesse tentando di dirgli: voleva che se ne andasse, che tornasse alla propria vita e, soprattutto, che la lasciasse alla sua senza tentare d’interferirvi in qualunque modo.
*
Una silente inquietudine vigeva per la Foresta Incantata e chiunque vi si fosse avventurato avrebbe percepito quella sensazione provenire dagli angoli più disparati, come non si trattasse del mero riflesso della disperazione degli abitanti del luogo ma, piuttosto, vi fosse un’attiva partecipazione emotiva dell’ambiente. Lo scricchiolio dei rami, disturbati dagli aliti di vento gelido, era soltanto una delle avvisaglie di quel malessere: per chi avesse conosciuto, visto e vissuto quel luogo prima della devastazione che Malefica aveva portato con sé, lo sgomento sarebbe stata soltanto la prima delle reazioni possibili, seguita da una serie di sensazioni appartenenti al medesimo raggio emozionale.
Era quasi impossibile, perciò, credere che tutto ciò che risultava spaventoso ai più fosse fonte di un’indicibile felicità per la sua artefice. Malefica non traeva godimento dalla mera percezione della sofferenza altrui; Malefica amava ciò che il suo sguardo riusciva a sfiorare della foresta e riteneva di non aver mai visto un paesaggio tanto meraviglioso in tutta la sua vita, come se i suoi occhi osservassero il mondo alla rovescia e trovassero lodevole quanto era deprecabile, eccelso ciò che era fonte di miseria, gradevole ciò che risultava insopportabile ai sensi.
Passeggiando tra gli arbusti morenti, la giovane sorrise, nelle orecchie il solo suono causato dal battito delle ali del suo corvo, e, in quella che sarebbe apparsa la più crudele parodia della sofferenza altrui, fece una giravolta, cominciando a danzare un valzer immaginario; e il vento parve seguirla, spirando in direzioni diverse a seconda dei passi di lei. Chinandosi appena, oltrepassò l’arco creato da una serie di rovi, stando ben attenta a non ferirsi, e, quando l’ebbe fatto, qualcosa parve attrarre la sua attenzione perché, accostandosi ad una roccia, la stessa insana fiamma di entusiasmo, che l’aveva animata il giorno in cui l’incauto visitatore si era avventurato fino al suo palazzo, accese i suoi occhi e qualcosa bruciò nel suo animo, facendole ardere il petto di un entusiasmo privo di inibizioni.
Di fronte a lei, a qualche metro di distanza dal margine ultimo che segnava lo stacco tra la foresta e il paese più vicino, si trovava una bambina dell’età di non più di nove anni; Malefica la osservò correre a destra e a manca, quello che sembrava un coniglio di peluche stretto tra le braccia, e la udì ridere di cuore. Com’era possibile che, nel bel mezzo di tanta devastazione, quella singolare creatura trovasse la voglia di sorridere? Com’era possibile, si chiese, che tutta quell’oscurità non fosse in grado di tangerla? La bocca schiusa in un’espressione di muto stupore, la giovane vestita in nero compì qualche passo in direzione della bambina, forte dell’oscurità che la nascondeva. Inaspettatamente, però, forzato dal peso del suo corpo, un ramo scricchiolò al passaggio di Malefica, attirando l’attenzione della piccola dalla capigliatura dorata che, stringendo a sé il pupazzo, aguzzò la vista nel tentativo di scorgere distintamente la sagoma oltre il margine della foresta.
«Chi è là?» domandò, nella voce un tremore dettato tanto dalla paura quanto dalla curiosità. Malefica avanzò ancora finché non ebbe raggiunto la ruvida corteccia di un albero secolare; leggera, la sua mano si posò su di essa e, nel chiarore lunare, i suoi occhi neri brillarono un po’, facendo sobbalzare la piccola interlocutrice. «Io so chi sei.»
«Davvero?» chiese, sulle sue labbra sospesa l’eccitazione che le avrebbe dato scorgere il panico sul volto angelico della bambina.
«Sì… Tutti sanno chi sei!» azzardò e, guardandosi attorno, rimase sorpresa dall’oscurità che improvvisamente sembrava aver avvolto il paesaggio tutt’intorno a lei. «Mostrati! Non avere paura, non ti farò del male…»
«Oh.» 
Una risata roca corse dalle profondità della gola fino alle labbra della più grande delle due, irradiandosi nell’etere, e la piccola parve finalmente comprendere la portata degli ammonimenti che le erano stati fatti sulla creatura che dominava la foresta, sul pericolo che avrebbe corso chiunque si fosse avventurato troppo in là rispetto ai confini del paesino per andare incontro a fato certo. Eppure non mosse un solo passo indietro e, anzi, il suo corpo parve tendersi in avanti, come volesse raggiungere l’essere da cui tutti l’avevano messa in guardia e potersi vantare di averla vista ed esserne uscita illesa.
«A quel punto, saresti tu ad avere paura.» fece e, con passo deciso, venne allo scoperto. La luce argentea della luna investì completamente la sua figura di donna, strappando un sospiro di sorpresa e, al contempo, di sollievo alla bambina, come se avesse temuto di poter vedere una creatura bitorzoluta, dalle fattezze spiacevoli.
«Sei molto bella.» le confessò la piccola, sorridendole con fare incoraggiante e raccogliendo, infine, il coraggio per fare un passo verso Malefica. Ella le sorrise, dolce e accattivante come soltanto lei sapeva essere, e allungò una mano all’indirizzo dell’altra, invitandola a farsi più vicina ancora e a fidarsi di lei. «Mi farai del male?»
«Perché dovrei?» le domandò, inclinando leggermente il capo come se una simile prospettiva non fosse neppure in grado di figurare tra le ipotesi papabili, e sorrise più ampiamente, chinandosi sulle ginocchia per raggiungere l’altezza dell’altra. «Ti va di conoscere qualcuno?» fece e gli occhi della bambina si accesero di quell’eccitazione che soltanto il candore avrebbe potuto rendere effettiva in una simile circostanza.
«Chi?»
«Vieni, mio diletto!» disse e, allungando la mano destra quel tanto che bastava a creare un solido appoggio, attese che il corvo si depositasse dove di dovere. Quando accadde, la meraviglia che apparve sul viso della piccola fece divampare l’incendio che aveva già trovato spazio nell’animo di Malefica e i suoi occhi, neri come mai lo erano stati, parvero bruciare ogni porzione dell’innocenza dell’altra come a volersene nutrire; e, mentre la piccola porgeva incautamente le dita nel tentativo di toccare il volatile, lasciando cadere in terra il pupazzo che fino a poco prima le era stato tanto caro, la stessa, pesante aria che aveva intossicato l’avventuriero cominciò a pesare sulle spalle minute della fanciulletta.
«Fermatevi!» urlò una voce dal margine della foresta e l’atmosfera mutò improvvisamente. La bambina, come risvegliatasi da uno stato di improvvisa confusione, indietreggiò e cominciò a correre più forte che poté. Una ruga solcò la fronte di Malefica a dimostrarne il fastidio, ma, quando si fu voltata all’indirizzo dell’uomo, la sua espressione era serena come sempre.
«Killian Jones!»
«Volevate ucciderla?» le domandò, avanzando con passo deciso, ma dovette arrestarsi, quando scorse la disapprovazione in quegli occhi e l’oblio in essi parve volerlo annegare nell’oscurità più assoluta.
«La vostra domanda non è questa.» lo corresse e l’uomo parve perplesso. «Quello che volete sapere è perché non abbia ucciso voi, per quale ragione vi abbia concesso la libertà.» disse e sorrise, dando una lieve spinta verso l’alto con la mano per permettere al corvo di volare via. C’era qualcosa di teatrale in lei, qualcosa di infinitamente spaventoso e di altrettanto incantevole nel modo in cui si muoveva e viveva, come se ogni suo gesto fosse connesso a quello precedente e a quello successivo a composizione di un dramma vivente in cui tutto, all’infuori di lei, era una mera comparsa, un mero suppellettile.
«Perché tutto questo?» chiese lui, indicando con un gesto delle braccia il panorama a lui circostante e la desolazione che lo dominava.  «Perché non ucciderci tutti?»
Ella lo guardò e sospirò, quasi delusa dall’incapacità di comprendere l’elementare ragione alla base del suo agire, e fece per oltrepassarlo quando, in uno slancio di coraggio che nemmeno lui seppe giustificare, Killian allungò il braccio verso di lei fino ad afferrarle il polso. Non fu in grado di spiegarsi l’effettiva motivazione di tanto stupore, ma fu un sollievo rendersi conto che ella era una donna come tante altre e che, come queste, la sua pelle era morbida, di seta. A lungo non ebbe il coraggio di alzare lo sguardo per incontrare quello di Malefica, benché potesse nitidamente percepire la fermezza degli occhi dell’altra su di sé, e, quando lo fece, il suo cuore mancò un battito perché, in un illusorio anfratto della sua mente, ebbe l’impressione di scorgere l’Emma che aveva temuto perduta per sempre. «Perché?»
«Non è la morte a darmi gioia, Killian Jones. La morte è un istante e un istante di felicità in una vita intera non è nulla o quasi.» s’interruppe ed egli osservò la bocca di Malefica piegarsi nel sorriso più semplice che si potesse chiedere all’autrice di un simile scempio. «Ma la sofferenza… Oh, la sofferenza può essere eterna e più crudele persino della morte!» gli disse e parve leggergli dentro, perché le parole che ebbe a pronunciare subito dopo lo scossero e confusero. «Come l’amore che provate per la vostra Emma, signore. Non è terrificante, forse, il modo in cui l’amate e il modo in cui quest’amore vi privi del raziocinio fino ad avervi spinto al mio castello, ove nessuno aveva mai osato avventurarsi?» Egli schiuse le labbra come intendesse dire qualcosa, ma ella non glielo permise e, liberandosi dolcemente dalla presa dell’altro, proseguì. «E, se vi dicessi che ho mentito, che nel mio castello risiede davvero la donna che cercate, che la vostra cella era a pochi gradini di distanza dalla sua, non sarebbe terrificante se, in nome di quello stesso amore, sacrificaste la vostra vita per vederla libera? Perché so cosa state per chiedermi, ve lo leggo negli occhi.» Tacque un istante, mentre le fiamme del piacere lambivano quegli occhi perduti in cui non era ravvisabile alcuna distinzione tra l'iride e la pupilla. Per un attimo, si sentì perduto a sua volta. «E, sì, potrei liberarla, ma non è la vostra morte che voglio.» D’un tratto, si fece più vicina, così vicina che, se solo si fosse sporto un poco verso di lei, le loro bocche si sarebbero toccate. «Quello che desidero avere in cambio della sua libertà è la vostra servitù, perché, in questo modo, renderò miserabili entrambi e della vostra miseria potrò nutrirmi.»
Gli occhi di lei non abbandonarono per un istante la presa su quelli blu dell’uomo, che, paralizzato da quelle parole, non fu in grado di muoversi neppure quando avrebbe voluto, quando tutto il suo corpo avrebbe preferito liquefarsi piuttosto che accettare un rinnovato contatto con la giovane. Inclinando il capo verso sinistra, Malefica alzò la mano finché non ebbe raggiunto l’altezza del viso di Killian e, quando fu in prossimità della sua mascella, esitò qualche secondo, prima di sfiorarla col dorso delle dita più delicata di un soffio di vento. E fu con la stessa leggiadria che ella scomparve, avvolta in una nuvola violacea che di lei non lasciò nulla, se non l’eco delle sue parole e il sapore di disperazione in esse contenuto. Emma era davvero sua prigioniera?
 
  
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