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Autore: Hyrim    01/02/2014    2 recensioni
Il famosissimo romanzo di Alessandro Manzoni portato in scena come spettacolo di beneficenza da attori provenienti da tutto il mondo... Ovviamente le rispettive nazioni saranno lì, pronte a vegliare su tutto, pronti a risolvere qualsiasi problema...
Ma se il problema fosse proprio il mancato arrivo della compagnia?
Come faranno a mandare avanti la serata?
Beh, molto semplice: copione alla mano, un bel respiro e pronti ad affidarsi alle loro capacità interpretative e alla giusta direzione di Germania!
L'unico problema è... conoscono la storia? O ancor peggio, conoscono le parti degli altri compagni?
Riusciranno a salvare la serata seguendo il copione o improvviseranno?
Avanti! Lo spettacolo deve continuare!
Genere: Comico, Commedia, Parodia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Quando Inghilterrà voltò l’angolo erano ormai tutte le nazioni certe che stesse per avvenire un esplosione, un’esplosione gigantesca, che avrebbe spazzato via l’intero palco lanciando frammenti di sopracciglia bruciacchiate sul pubblico ad effetto neve.
Invece ciò che accadde fu nettamente diverso.
Arthur puntò glio occhi su Alfred, che sembrarono prender fuoco nel momento stesso, mentre l’Americano aveva un’espressione più… Come dire… Orripilata., all’apice del disgusto.
Restarono lì, in silenzio, a fissarsi.
Inghilterra stringeva ossessivamente i pugni, tremante. Sembrava che stesse per avventarsi sull’americano da un momento all’altro ne non fosse stato per quel…
“crack”.
Una semplice penna spezzata a metà da Germania affacciato da dietro le quinte.
Lo sguardo del Tedesco era chiaro: “manda a monte questa cosa ed il prossimo sarà il tuo collo”.
Convincente, davvero convincente.
Inghilterra non sapeva più re uccidere qualcuno o mettersi a piangere, quanto ad America… beh, era tristemente sprofondato nella certezza che il suo debutto da Hero non sarebbe di certo andato come si era immaginato.

Al veder la faccia mutata di Renzo ed il suo portamento inquieto la giovane donna non riuscì a nascondere un presentimento di terrore. - What’s up?? – Chiese immediatamente.
- Lucia! – Rispose (non senza una certa fatica, il nostro povero Americano) – Per oggi tutto è a monte; e Dio sa quando potremo esser marito e moglie! –
- W-What!? – Disse Lucia tuto smarr--ehm, tuttA smarritA.
Renzo le raccontò bene tutti gli avvenimenti di quella mattina, ed ella ascoltava con angoscia. Quando però udì il nome di Don Rodrigo… _ A-Ah… - Esclamò arrossendo di colpo e prendendo a tremare – F-Fino a questo punto ha osato arrivare!? –
- Dunque voi sapevate…!? – Disse renzo.
- Purtroppo! – Rispose Lucia; - Ma non potevo di certo aspettarmi che arrivasse fino a questo punto!! -
- E che cosa sapevate esattamente!? -
- N-Non mi fate parlare! Non fatemi piangere! Corro a chiamar mia madre e a far andar via le altre ragazze: bisogna restare soli. –
Mentre ella andava, Renzo le sussurrò, quasi con voce tradita – Non m’avete detto niente…
- Ah, Renzo! – Rispose Lucia per azzittirlo, e dal tono che aveva usato era chiaro che non gli avesse detto niente proprio perché riteneva fosse più giusto e sicuro così.
Nel frattempo, al piano di sopra, la buona madre, Kiku Agnese Honda, aveva deciso di raggiungere di sua decisione la figlia, curiosa, sì, ma anche in pensiero, con quell’istinto che solo una madre possiede nel saper, in cuor suo, che qualcosa non doveva esser andato per il verso giusto.
Quando ebbe saputo, comprensiva, tornò su, raccontando alle altre giovani ben altra storia. – Il Signor Curato s’è ammalato; ed oggi non si fa nulla. – Ciò detto le salutò tutte in fretta e scese di nuovo, mentre le altre ragazze uscivano, però curiose di far qualche inaspettata visita al Signor Curato, quel poco di tempo di cui si necessitava a verificare il vero in quelle parole.
- Un febbrone! – Si era affacciata la complice Ungheria Perpetua dalla finestra, e calmati quegli animi, aveva serrato la dimora nuovamente.
Lucia entrò nella stanza al piano terra, mentre Renzo stava angosciosamente informando Agnese, la quale /angosciosamente/ lo ascoltava. Tutte e due si voltarono verso il ragazzo, e da cui si aspettavano qualche chiarimento in più. Sul volto di entrambe si poteva vedere quanto fossero rimaste tristi e scosse della notizia.
L’attenzione poi, volse e si concentrò tutta su Lucia.
- A tua madre non dir niente di una cosa simile, eh!? – La rimproverò poi, Kiku Agnese.
- Ora vi dirò tutto. -  Rispose tristemente la giovine.
- Parlate, parlate, su !! – la spronò senza nasconder una certa ansia Renzo.
- Bloody hel!! C-cioè, volevo dire… Santissima Vergine!! - esclamò Lucia: - chi avrebbe creduto che le cose potessero arrivare a questo segno! - E, con voce rotta dal pianto, raccontò come, pochi giorni prima, mentre tornava dalla filanda, ed era rimasta indietro dalle sue compagne, le era passato innanzi don Rodrigo, in compagnia d'un altro signore; che il primo aveva cercato di trattenerla con chiacchiere, com'ella diceva, non punto belle; ma essa, senza dargli retta, aveva affrettato il passo, e raggiunte le compagne; e intanto aveva sentito quell'altro signore rider forte, e don Rodrigo dire: scommettiamo. Il giorno dopo, coloro s'eran trovati ancora sulla strada; ma Lucia era nel mezzo delle compagne, con gli occhi bassi; e l'altro signore sghignazzava, e don Rodrigo diceva: vedremo, vedremo. - Per grazia del cielo, - continuò Lucia, - quel giorno era l'ultimo della filanda. Io raccontai subito...-
- A chi hai raccontato? - domandò Agnese, andando incontro, non senza un po' di sdegno, al nome del confidente preferito.-
- Al padre Cristoforo, in confessione, mom. , - rispose Lucia, con un accento soave di scusa. - Gli raccontai tutto, l'ultima volta che siamo andate insieme alla chiesa del convento –
Al nome riverito del padre Cristoforo, lo sdegno d'Agnese si raddolcì. - Hai fatto bene, - disse, - ma perché non raccontar tutto anche a tua madre? -
Lucia aveva avute due buone ragioni: l'una, di non contristare né spaventare la buona donna, per cosa alla quale essa non avrebbe potuto trovar rimedio; l'altra, di non metter a rischio di viaggiar per molte bocche una storia che voleva essere gelosamente sepolta. In più, pensava la fanciulla, tutto sarebbe morto lì in vista delle sue prossime nozze.
E che t'ha detto il padre? - domandò Agnese.
- M'ha detto che cercassi d'affrettar le nozze il più che potessi, e intanto stessi rinchiusa; che pregassi bene il Signore; e che sperava che colui, non vedendomi, non si curerebbe più di me. E fu allora che mi sforzai, - proseguì, rivolgendosi di nuovo a Renzo, senza alzargli però gli occhi in viso, e arrossendo tutta, - fu allora che feci la sfacciata, e che vi pregai io che procuraste di far presto, e di concludere prima del tempo che s'era stabilito. Chi sa cosa avrete pensato di me! Ma io facevo per bene, ed ero stata consigliata, e tenevo per certo... e questa mattina, ero tanto lontana da pensare... – E qui Lucia scoppiò a piangere, timida, spaventata. Agnese tentava di consolarla, Renzo era fuori di se dalla rabbia nei confronti di colui che aveva ridotto così la sua amata.
- Ah birbone! Ah dannato! Ah assassino! – Il ragazzo aveva cominciato a far nervosamente avanti e indietro per la stanza, stringendo talvolta anche il coltello che portava assicurato al fianco, a scopo soltanto decorativo, tecnicamente.
- Oh che imbroglio, per amor di Dio! - esclamava Agnese.
Il giovine si fermò d'improvviso davanti a Lucia che piangeva; la guardò con un atto di tenerezza mesta e rabbiosa, e disse: - Questa è l'ultima che fa quell'assassino. -
Ah! no, Renzo, per amor del cielo! – Rispose subito Lucia. - No, no, per amor del cielo! Il Signore c'è anche per i poveri; e come volete che ci aiuti, se facciam del male!?  Voi avete un mestiere, e io so lavorare: andiamo tanto lontano, dove lui non potrà più trovarci! –
Andarsene? Per un secondo America sembrò pensarci. Il mondo è grande. Ancor più grande se si è in due infondo… Ma c’era un pensiero che continuava a tormentarlo. Un pensiero… un dubbio morale.in realtà. - Ah Lucia! e poi? Non siamo ancora marito e moglie! Il curato vorrà farci la fede di stato libero? Un uomo come quello? Se fossimo maritati, oh allora potremmo…-
- Sentite, figliuoli; date retta a me, - disse, dopo qualche momento, Agnese. - Io son venuta al mondo prima di voi; e il mondo lo conosco un poco. Non bisogna poi spaventarsi tanto: il diavolo non è brutto quanto si dipinge. A noi poverelli le matasse paiono più imbrogliate, perché non sappiam trovarne il bandolo; ma alle volte un parere, una parolina d'un uomo che abbia studiato... so ben io quel che voglio dire. Fate a mio modo, Renzo; andate a Lecco; cercate del dottor Azzecca-garbugli, raccontategli... Ma non lo chiamate così, per amor del cielo: è un soprannome. Bisogna dire il signor dottor... Come si chiama, ora? Oh to'! non lo so il nome vero: lo chiamano tutti a quel modo. Basta, cercate di quel ragazzo alto, asciutto, con i capelli color della luna, con gli occhi color rubino e i lineamenti di tutti spigoli,  che va a parer un’aquila. -.
-Un’aquila, eh…?  Lo conosco di vista. - disse Renzo.
- Bene, perché proprio come un’aquila egli sa guardar lontano, e scorger la fine di un labirinto dall’alto prima di chiunque altro!
Ho visto io più di una persona inguaiata come un pulcino nella stoppa, eppure dopo essere stato un'ora a quattr'occhi col dottor Azzecca-Garbugli (badate bene di non chiamarlo così!), l'ho visto, ridersene dei problemi ormai appartenenti al passato.
Portate con voi quei tre capponi a cui dovevo tirare il collo, per il banchetto di domenica, e portateglieli; perché non bisogna mai andare a mani vuote da quel ragazzo. Raccontategli tutto l'accaduto; e vedrete che vi dirà, su due piedi, una soluzione che a noi non verrebbe in testa, a pensarci un anno! –
Renzo sembrò d’accordo, Lucia approvò, e Kiku Agnese Honda, tutta superba di aver trovato quella bella situazione accompagnò con fare materno il giovane alla porta, augurandogli ogni bene.


 
 
 
 
Un applauso aveva appena decretato il rapido cambio scena, ed ognuno dietro le quinte si stava preparando al prossimo turno.
Era la quarta volta che Prussia tentava di accaparrarsi uno specchio, ma evidentemente non stava ricevendo risultati. Fu in quel momento che vide con la coda dell’occhio l’Ungherese che passava. Si voltò di colpo verso di lei  la chiamò, sperando tornasse indietro. – Yo, Ungarn! Mi servi un attimo! -
- Cosa? Chi mi chiama? Prussia? Dove sei? – chiese lei, impreparata, mentre tornava sui suoi passi.
- Son qui, mia dolce Giulietta! –  L’aveva accolta, all’Ungherese, l’albino, esercitandosi in un inchino esageratamente teatrale non appena ella era uscita di scena.
- Credo tu abbia decisamente sbagliato opera, Gilbert. – gli aveva risposto lei, incredibilmente quasi sorridendogli.
- Oh, vi chiedo scusa, Milady. Dimenticavo quanto potesse essere ristretto l’umorismo Ungherese.
Dovrai sempre smorzarmi in questo modo le battute!? Nein, dillo, sai… Almeno mi ci preparo…-
- Che vuoi, Gilbert!? – Tagliò corto la ragazza.
- Uh… - Il Prussiano alzò le chiare sopracciglia, colto di sorpresa, per poi indicarsi il colletto del costume di scena – Sta messo bene? Frakreich tiene occupati tutti gli specchi possibili ed immaginabili.-
L’Ungherese gli si avvicinò, alzandosi in punta di piedi per sistemarglielo come si dovrebbe  - No che non sta bene. E’ completamente rigirato. Ma chi te l’ha messo!? –
- Me lo sono messo… da solo… A dire il vero. – Ammise lui, non capendo cosa ci fosse di così tanto male alla fin fine.
- Ecco, appunto. Aspetta… Te lo sistemo io. –
Al Prussiano rimase che restare immobile a lasciar fare, con un sommesso sospiro. Non aveva mosso la testa di un millimetro, ma con la coda dell’occhio fissava i capelli castani di quest’ultima, come assorto. Lui era parecchio più alto, e d il fatto che ella avesse dovuto stendersi per raggiungerlo era finito soltanto per avvicinarsi a lui, avvicinarsi abbastanza dal circondarlo col proprio odore, o profumo, come avrebbe potuto pensare più lui. Sbatté le palpebre, un paio di volte. Le proprie ciglia le erano così vicine quasi da sfiorarle le ciocche brune quando chiudeva gli occhi, ma nonostante questo finì soltanto per avvicinarsi di più, semiparalizzato, tutti i muscoli in tensione….
- Fatto.- Fu la voce dell’Ungherese a riportarlo di colpo alla realtà.
- O-Oh… Danke… - rispose lui, tentando di mostrarsi composto. –Ah… Senti, Liz, pensavo ad una cosa... Non è che poi, noi due… dopo lo spettacolo..._
- Elizaveta!? Avevi detto che il mio copione era qui! Beh, non c’è qui!! Ma è mai possibile!? -
- Scusa, Gilbert. Non ti stavo sentendo... Che hai detto? - Ungheria sospirò – Vengo ad aiutarti, Roderich. Stai tranquillo. –  Rivolse uno veloce sguardo di saluto al Prussiano – Devo andare. Buona fortuna in scena, testone. – Si incamminò in direzione dell’Austriaco, la voce che aveva interrotto la frase di Gilbert a metà, lasciando l’albino lì da solo, come un fesso.
- Sì, testone... Testa di cazzo. – Si auto corresse da solo lui, rendendosi conto dell’occasione irripetibile che aveva appena bruciato.
Distrattamente si portò una mano ad allargarsi la scollatura dell’abito: il colletto era sistemato alla perfezione.
  
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