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Autore: mairileni    02/02/2014    7 recensioni
Contiamo alla rovescia.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Ciao a tutte! 
 
È mezzanotte in questo preciso momento e ho appena rovesciato il posacenere sul letto. Cosa c'entra? Niente. 
Capitolo due! Un po' cortino, mi è uscito così...
Vi ringrazio tanto per le recensioni (LBE, Nick_, e Linnea <3), e ringrazio anche le silenziose, le visite sono state tantissime! EDIT DI UN'ORA PIÙ TARDI: Sono così stupida che ho confuso un recensore di un'altra storia ancora (ma quante storie ho in corso? Boh, è che mi faccio prendere e ne pubblico cento alla volta) con un recensore di questa, e si tratta di Nick_. Nick_, scusami, non lo faccio apposta, è che sono davvero stupida. Sei la dolcezza e recensisci sempre. E io sono proprio stupida, mi confondo come gli anziani. Perdonami. Grazie grazie grazie del sostegno, cara, se ancora mi commenti le storie anche dopo episodi come questi, evidentemente in Paradiso finirai in camera doppia con Giobbe, che per la sua pazienza penso sia stato sistemato proprio lì. Scusamiscusamiscusami! Il capitolo è per te!
 
Ora corro ( era un'iperbole: io odio correre, al massimo cammino a passo sostenuto) a sistemare un'altra storiella che ho in corso e vi lascio con la speranza che vi piaccia anche questo capitolo ^_^
 
Buona lettura e grazie ancora,
 
 
pwo_
 
 
 
 
 
 
 
 
 
CHI AMATE
 
 
 
«Pronto? Sì, ciao Helena. Sì, perfetto. Allora passo a prendere te e Cody alleee... dieci? Ti va bene alle dieci? Ottimo. A domani.»
 
 
 
 
 
 
1
 
 
 
Nonostante suo figlio avesse appena deciso di cambiare scuola, Brian si sentiva stranamente tranquillo. Non che esistesse qualche motivo ragionevole per non esserlo, certo — e comunque, pure a quel grado di calma, Brian era certamente più agitato di Cody stesso. La discussione avuta con lui riguardo alla scuola da scegliere non era stata particolarmente lunga o elaborata («Questa?», «No», «Quest'altra?», «Sì»). Brian si era trovato d'accordo, Helena anche, la scuola era abbastanza vicina a dove abitava lei con Cody, («Ti mancheranno i tuoi vecchi compagni di scuola?», «No»), e tutto si era risolto per il meglio.
    Nel corridoio risuonavano, a intervalli regolari e in sincrono, i passi di Brian e quelli di Helena. A intervalli più brevi e irregolari, invece, risuonavano i passettini di Cody, che trotterellava in mezzo a loro. Helena si assicurava di avere tutto in borsa.
 
    «La carta d'identità?»
    «Ce l'ho io, Helena.»
    «E i soldi? Ah, eccoli... e il telefono?»
    «Helena, stai calma, abbiamo tutto.»
 
Lei lanciò un'ultima occhiata dentro alla borsa e infine risolse che sarebbe stato opportuno tranquillizzarsi.
 
    «E poi», continuò Brian, «e poi il preside della scuola, alla giornata aperta, mi è sembrato uno divertente, sai?»
 
 
 
 
 
 
2
 
 
 
Brian era sicuro di non essersi mai annoiato tanto. 
    Il preside parlava ininterrottamente da almeno venti minuti, spostando alternativamente lo sguardo tra i suoi occhi e quelli di Helena, quando Brian era convinto che non ci fosse nulla da dire di quella scuola — nulla — che non potesse essere spiegato in meno di un minuto e mezzo. Una volta che sai dove sono la tua classe e i bagni, la scuola è praticamente tua, no? Be', il preside Doyle non era dello stesso avviso.
    Brian calcolò l'intervallo di tempo che scandiva il ritmato muoversi delle pupille del preside. Cinque... sei... sette! Il calcolo era stato preciso. Evidentemente quell'uomo era un automa. Il preside portò lo sguardo su Helena, mentre Brian, non visto, estrasse il telefono dalla tasca. Le undici e cinquantadue. Dio, ma era normale?! Avevano portato lì Cody alle undici, a quell'ora Brian sarebbe già dovuto essere a casa a prepararsi il pranzo! A dormire! Ad ascoltare la radio, o comunque a svolgere qualsiasi attività non fosse ascoltare l'infinita enumerazione dei premi ottenuti dalla squadra di badminton della Perton School — dal 1946 in avanti, importante precisare.
    Il signor Doyle era radioso. Felice, raccontava altre interessantissime avventure degli Aquilotti del Volano, sissignore!, la squadra di badminton più forte di tutta Londra, sissignore!, e nessuno mai batterà gli Aquilotti nel Volano, nossignore!, perché come gli Aquilotti — sissignore! — non c'è proprio nessuno.
 
    «... e il pubblico non pensava certo che fosse ancora possibile vincere, giunti a quel punto! Eppure, i nostri Aquilotti...»
 
Che due coglioni.
    Brian decise che poteva essere abbastanza. Scambiò con Helena un'occhiata d'intesa (e appunto s'intesero alla perfezione), dopodiché si alzò in piedi.
 
    «È stato un piacere parlare con lei, signor Doyle. Purtroppo, però, io e mia moglie» (evitò l'“ex”) «abbiamo un impegno lavorativo a cui non possiamo assolutamente mancare.»
    Gli tese una mano, e l'uomo gliela strinse con aria benevola. «Non si preoccupi, lo capisco benissimo. Cody starà meravigliosamente, con noi, ne sono certo. A quest'ora si sarà già fatto un sacco di amici.»
 
Helena (che mai aveva amato Brian quanto nel momento in cui questi aveva posto fine a quella tortura) disse frettolosamente qualcosa riguardo a quanto si trovava d'accordo. 
    Mentre lei raccattava cappotto, borsa e quant'altro, Brian contemplò la copia de La tentazione di Sant'Antonio di Salvador Dalì affissa al muro dietro le spalle del signor Doyle. Fintanto che erano stati seduti davanti alla maledetta scrivania del preside aveva invidiato quel Sant'Antonio più di ogni altro uomo al mondo. Sant'Antonio!, in procinto di essere calpestato da quel cavallo gigantesco! Sì, quanto aveva desiderato Brian essere come lui, mentre ascoltava il signor Doyle, di essere travolto da un cavallo, due, cento! Sarebbe stata morte felice, giusta — «Prendimi, cavallo! Prendi me!» —, e Brian non avrebbe più dovuto ascoltare le cronache della stagione di badminton degli Aquilotti, “nossignore!”, come avrebbe detto il signor Doyle. E allora lì, in punto di morte, avrebbe gridato a quell'uomo qualcosa come: «Il suo “nossignore” se lo ficchi su per il culo!» — boato della platea — dopodiché sarebbe crollato, esanime, acclamato da un pubblico profondamente commosso — «Bravo! Bravo! Bis!»
    ... ecco, se fosse andata così la liberazione dal signor Doyle sarebbe stata molto più spettacolare e raffinata, ma, ora come ora, anche alzarsi e fingere gran fretta andava più che bene.
    Grazie a Dio era finita. Brian rivolse un cenno del capo in direzione del preside mentre teneva aperta la porta per lasciar uscire Helena per prima e infine se ne andarono — Brian e Helena, non Helena e il preside.
    Fecero tre passi di numero nel silenzio più totale e poi scoppiarono a ridere. Convulsamente, come due bambinetti dell'asilo alla parola “cacca”. A Brian rotolavano addirittura alcune lacrime sulle guance, Helena dovette usare una mano per appoggiarsi al muro e l'altra per tenersi la pancia. Rimasero lì per qualche minuto, a cercare di fermarsi e a ridere ancora più forte quando i loro sguardi si incontravano.
 
    «E quando», cercò di dire lei, quasi strozzandosi, «e quando ha iniziato a parlare del badmin...» Non completò la frase e si piegò nuovamente in due, Brian con lei.
    Le loro voci stridule rimbombarono nel corridoio della nuova scuola di Cody, e facevano tanto chiasso che a un certo punto due commesse comunicarono loro che i signori dovevano lasciare l'edificio o ridere più piano, molto spiacenti.
 
 
 
 
 
 
3
 
 
 
La crisi di risa era passata. Brian e Helena fecero colazione — ore: dodici e dieci — nel bar di fronte alla scuola, ridacchiarono parlando del più e del meno. Lei sarebbe andata a recuperare Cody all'uscita.
 
    «Come va con la tua psicologa, Brian?», chiese poi.
    «Mh», si sentì rispondere, «non è eclatante, ma ogni tanto dà una mano.»
 
Lei annuì, gli posò le mani sulle sue in un gesto amichevole. Sorrise, trasparente. 
 
    «Sai che c'è, Brian?»
    «Cosa?»
    «Sono fiera di noi. Di come la stiamo gestendo con nostro figlio, di come l'abbiamo gestita con il divorzio, di come so che continueremo a gestire tutto.»
    Brian sorrise a sua volta. Le avrebbe risposto volentieri che lui non solo apprezzava il loro rapporto, lo adorava proprio. Che lo faceva sentire leggero, libero, senza fargli rinunciare a suo figlio. Che adorava la loro amiciza uomo-donna che assomigliava sempre di più a un'amicizia uomo-uomo, che adorava i loro discorsi volgari («Chi ti scopi, ultimamente, Brian?», «Pincopallino», «Oh, lo conosco, è un gran pezzo di figo!»). Ma si limitò a un sommesso: «Anch'io».
    «E poi», fece lei, accompagnando la frase con un colpetto sulle mani di Brian, «non ti ringrazierò mai abbastanza per una cosa.»
    «Per cosa?»

Lei abbassò la testa, come malinconica.

    «Helena?»
    «Per esserti preso quei vasi cinesi, Brian.»
 
Brian si strozzò con l'acqua, perché era scoppiato ridere, ancora, per la seconda volta in quella mattinata.
 
    «Tu non hai idea!, Brian», continuò lei, con artificiosa solennità nella voce, «tu non hai idea del calvario che è stato per me il nostro divorzio, e tutto perché avevo il terrore che tu, nella divisione della roba, mi rifilassi quei vasi cinesi.»
 
Brian rideva di cuore, senza riuscire a fermarsi.
 
    «Quindi... grazie, Brian. Io non so a cosa stessimo pensando quando li abbiamo comprati, ma al solo pensiero di averceli di nuovo in casa io... grazie, Brian. Davvero.»
 
 
 
 
 
 
4
 
 
 
Anna Beckett si era messa in tiro.
    Non era da lei — o almeno, non così tanto —, quindi Brian pensò malignamente che doveva avere qualche appuntamento galante subito dopo la loro seduta. E nonostante tra i due il quarantenne con problemi di cuore sdraiato sulla chaise longue fosse lui, a Brian ispirò compassione.
 
    «Allora Brian, come stai? Che cosa hai fatto stamattina?»
    «Sto», rispose Brian. «Stamattina io e Helena abbiamo accompagnato Cody nella sua nuova scuola. È stato divertente, lui mi è sembrato tranquillo. Il preside, poi, era tutto un programma.»
    «Ha deciso Cody di cambiare scuola? Da solo?»
 
Brian si sentì un po' offeso. Chi doveva averlo deciso, Michael Boublé? Non era certo uno di quei padri despoti che decidevano per la vita dei figli, insomma! Comunque si limitò a rispondere di sì.
 
    «Allora Brian», riprese lei, «eravamo rimasti a...» (sollevò una pagina del blocco, diede una rapida scorsa agli appunti e infine la lasciò ricadere) «... alla tua prima uscita con Matthew. Che è successo dopo?»
 
Brian finse di raccogliere i pensieri per ricordare, ma si ricordava benissimo, e se ora aveva aggrottato le sopracciglia con aria assorta era solo per non sembrare (troppo) patetico.
 
    «Mmmh... ci siamo rivisti...» (due giorni dopo) «... un paio di giorni dopo, credo. Io e gli altri eravamo in studio, in quel periodo stavamo registrando le canzoni per il nuovo album. Si è presentato nell'anticamera davanti alla sala che saranno state le...» (undici e venticinque) «... undici, o mezzogiorno, non lo ricordo con precisione. Io chiaramente a quel punto ho fatto fermare tutto e gli sono andato incontro, mentre lui, bel bello, se ne stava lì a flirtare con una mia...
 
 
 
 
 
 
5
 
 
 
... chitarra, Brian. Sul serio, è fantastica. L'hai scelta tu?»
 
Matt accarezzava la Flying V che si era appoggiato sul grembo, comodamente seduto sul divanetto crema davanti alla sala. Passò il dito lungo il profilo del corpo della chitarra, dito che fermò al vertice della parte concava. Brian vide in quel gesto un esplicito richiamo sessuale.
 
    «Bellamy, chi ti ha fatto entrare?!», ruggì.
    Matthew cercò qualcuno intorno a sé, dopodiché con un dito indicò uno dei ragazzi che lavoravano lì e disse: «Lui», sereno.
   
Il colpevole, un ragazzino scheletrico, lungo lungo, poco più che ventenne, stava seguendo la scena con aria terrorizzata già da un po'. Brian lo tranquillizzò dicendogli di non preoccuparsi e, dopo aver pazientemente contato fino a cinque, chiese a lui e al resto del team di lasciarli soli. Dalla stanza insonorizzata emersero Steve e Stefan.
 
    «Oh, gli altri Placebo. Ciao!», salutò Matt.
    «Ciao!», rispose entusiasta quello che Matt identificava come Il Placebo Biondo
 
Stefan (Il Placebo Alto) si limitò a un freddo cenno della testa. 
    Non ci fu bisogno che Brian chiedesse loro di andarsene che già si erano eclissati, e, quando la porta si chiuse, Matt allargò un sorriso che sarebbe potuto essere più grande solo se lo si fosse tirato dagli angoli della bocca per fissarlo con un nodino dietro la testa.
 
    «Bellamy, posa quella chitarra.»
 
Stranamente, Matt ubbidì. Adagiò con cura lo strumento accanto a sé e portò le mani sulle ginocchia.
 
    «Ascoltami», riprese Brian, «dimmi solo cosa devo fare per liberarmi di te. Dimmelo, lo farò. Se necessario, affiggerò sulle pareti di ogni edificio che frequento la tua faccia con la scritta: “Io devo restare fuori”, Bellamy, basta che sparisci.»
    Matt ridacchiò. «Come stai, Brian?»
    «Di merda, grazie. Ora vai?»
    «Cosa c'è che non va?», si interessò Matt.
    «Che ti riguardi, solo tu. Per il resto fatti i cazzi tuoi.»
    «Ne parliamo a pranzo?» Guardò l'ora sul suo telefono. «Sono le undici e mezza, tra poco si mangia. Posso aspettarti fuori e...»
    «Bellamy, ascolta. Sul serio, esci di qui, o sarò costretto a chiamare la sicurezza. Non farmelo fare.»
 
Matt lo fissò per qualche secondo come se non avesse capito, poi si portò le labbra dentro alla bocca e annuì, e — oddio, si sta alzando! Ha capito!
 
    «Volevo solo venirti a trovare», obiettò, ma si diresse comunque verso l'uscita.
    «Non mi fai pena, Bellamy.»
 
 
 
 
 
 
6
 
 
 
    «E ti ha aspettato fuori, dopo aver fatto... irruzione nel tuo studio?», chiese Anna.
    «No. Però poco dopo ho scoperto che era riuscito a ottenere il mio numero di cellulare. E indovina un po' chi gliel'aveva dato? No, indovina!»
    Anna soffocò una risatina. «Steve.»
    «Steve! Ti rendi conto?! Io l'ho sempre detto che è stupido. Buono come il pane, eh, per l'amor di Dio, ma stupido. Molto più tardi, Matt mi ha raccontato che quel giorno, quando è uscito dallo studio e lo ha incontrato sul pianerottolo, gli è bastato chiedergli in prestito il telefono con la scusa di dover controllare un indirizzo con il GPS e questo cretino cosa ha fatto? Glielo ha prestato, logico! E da lì è stato un attimo, controllare la sua rubrica!» Fece una breve pausa per riprendere fiato. «Ma il bello non è quello. Il bello è che quando Matt se n'era andato già da un po' e io ho recuperato la chitarra per rimetterla a posto, l'ho girata un pochino e ho visto che...
 
 
 
 
 
 
7
    
 
 
... c'era un foglietto giallo attaccato dietro al manico. Brian lo staccò lentamente. Era un post-it, di quelli che lui stesso aveva usato tante volte, a scuola.
    Il messaggio era stato scritto con una grafia orribile, ma abbastanza chiara.
 
Tanto lo so che mi cacci. 
Però almeno chiamami!
7528979013
                                 Matt.
 
 
 
 
 
 
8
 
 
 
Lo sapevi che il cervello non smette mai di pensare, neanche per un istante, quando si è in vita? Ho letto ieri un articolo a riguardo. Ho pensato che stare con te aiuta a non pensare. Anzi, costringe a non pensare. È come ubriacarsi, e perdonami se non sono romantico. È come ubriacarsi e poi ricordarsi tutto. 
    Sto mettendo in ordine la casa, ma in realtà non c’è molta confusione, da quando te ne sei andato. Di sicuro adesso la sedia di camera mia si vede, perché non è più coperta dalla montagna che formavano i tuoi vestiti — me la ricordavo più scura, quella sedia. Altre cose sono cambiate. Ad esempio, l’altro giorno in bagno sono inciampato e ho sfondato il tavolino. Che cazzo ridi? Era il tavolino a essere fragile, non certo io a essere pesante. Quindi, ecco, se torni, il bicchiere con le cose per lavarsi i denti l’ho messo sulla mensola, hai presente, quella a sinistra. 
    So che sto parlando di tutto meno di ciò di cui dovrei parlare, cioè del perché è andata a finire così. Suppongo anche che in questo momento magari tu te la stia spassando con Kate, o stia dormendo, o qualcos’altro, suppongo che per te la vita stia andando avanti alla grande.
    Una volta stavo con un tizio che si chiamava Mark. In un certo senso tu me lo ricordi. O meglio, lui mi ricorda te. Sì, ti assomigliava, nel senso che era un po’ un coglione — in senso buono, lo sai che ho un debole per i coglioni. Ahah. Oh, Cristo, sto diventando come te. Be’, dicevo, ti assomigliava, mi portava in giro, mi viziava, rideva quando da ridere non c’era proprio nulla, e diceva che le mie canzoni facevano schifo, ma intanto ne aveva più di dieci sul telefono, proprio come te. Ebbene sì, ti ho guardato il telefono, con l’unica differenza che tu non ne hai più di dieci, tu ne hai più di venti. Ah, come rido. Comunque, Mark era davvero come te, però l’ho lasciato, perché mi trattava come una donna. Tu non l’hai mai fatto — magari un pochino, ma nella giusta misura, insomma, matita e fondotinta, chi prendo in giro? Quando cercavo di esser serio, mi prendeva in giro, o diceva solo “ah-ah, capisco”, ridendo. Lo odiavo talmente tanto, Matt, non te lo immagini nemmeno. E allora una sera gli ho detto che per me finiva lì, e non ho rimpianti. Lui mi aveva risposto che senza di me non poteva vivere, però io l’ho lasciato, e non mi pare sia morto.
    Ecco, ora mi si è consumata quasi del tutto la punta della matita. Se tu avessi avuto la decenza di trovarti qui con me, allora avremmo avuto un breve dialogo che sarebbe andato più o meno così:
    IO: Matt!
    TU: Oh.
    IO: Mi faresti la punta a questa matita, per cortesia?
    TU: Ti pesa il culo ad andare a prendere il temperamatite da solo?
    IO: Sì.
    TU: (Sbuffo) E va bene.
Però non può andare così, perché tu non ci sei, e quindi sai cosa? Avevo una gran voglia di scriverti mille altre righe, ma dato che la matita si sta consumando e dato che sì, mi pesa il culo ad andare a temperarla, questa lettera te la becchi più corta.
    Così impari.








 
 
 
     
 
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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