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Autore: RLandH    02/02/2014    0 recensioni
Affannati, con le narici impregnate dalla morte e li abiti di uno dei due insudiciati dal sangue dell’assassinata, avevano ben poche altre scelte se non dirigersi dal loro beta in seconda. Prima ancora che riuscissero ad avvicinarsi alla casa, Scott McCall aveva percepito la loro presenza. L’avevano trovato sveglio, seduto alla finestra con li occhi luminosi nella notte. “Cos’è successo?” aveva urlato, sentendo l’odore di morte impregnare entrambi i ragazzi ed il sangue sui vestiti di Isaac, la sua voce era preoccupata. I due ragazzi erano saliti fino alla finestra e si erano introdotti nella camera dell’altro licantropo. “Cos’è successo?” aveva domandato ancora. “E’ morta una donna” aveva detto con freddezza Jackson, “Non siamo stati noi. Ma qualcun altro” aveva tenuto a precisare l’altro licantropo. Poi avevano raccontato tutto, per filo e per segno.
Quattro mesi dopo l'arrivo degli Alfa questi ultimi hanno stretto un assedio attorno alla città e Derek si è lanciato contro di loro in una guerra di trincea, ma quando qualcos'altro entra nella città: Le cose sono destinata a cambiare, a peggiorare.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Allison Argent, Isaac Lahey, Lydia Martin, Scott McCall, Stiles Stilinski
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Le Belve

All’inizio avevo abbandonato questa ff, ma aver cominciato a vedere la 3B ti TeenWolf mi ha fatto tornare voglia di scriverla. (Che ne pensate della 3B, di Stiles soprattutto? Davvero la sua storyline mi prende più di tutte le altre!)

Quindi eccovi quattordici pagine di delirio umano!

E be, ringrazio tutte quelle persone che leggono/preferiscono/seguono/ ricordano. Vi amo tutti senza eccezione alcuna.

Ci tengo a dire, prima di leggere questo capitolo, è che per quanto io ami il personaggio di Derek, ammettiamolo le cose non possono MAI andarli bene. (Si si, Derek riappare, finalmente! Per reclamare il suo ruolo di protagonista).

Bene, non ho ancora un attore per Nick D: E ne posso dare un viso a tutti quelli che fanno una fugace apparizione in questo, se al momento della riunione dei clan, non capite nulla perché c’è troppa gente, non preoccupatevi non sono importanti, l’ho fatto per un divertimento personale e spremermi le meningi per dei motti decenti. Ovviamente il motto Argent è ancora quello delle prime due stagioni, non avevo voglia di cambiarlo, senza doverlo motivare bene. Però quello dei Silver ci assomiglia un poco :D

 

Sancha shippa Sterek!

 

Buona Lettura, RLandH.

 

 

 

Come c’eravamo lasciati?

Melissa in guerra con Nick.

Mike Rivers scomparso.

Del tenero tra Isaac e Deidre(?)

Allison e Donovan che se le danno di santa ragione.

Steve, l’alfa, che si rifugia da Deaton.

Raquelle che fa pressoché la stessa cosa.

Stiles che conosce Luise Sancha.

Lydia all’ospedale.

Jackson che si convince che Merryl sia il male.

 

 

 

 

 

 

Le Belve

Il Lupo nelle Favole

 

Jogging, al suono di quella parola Stiles si chiese perché e continuò a farlo anche mentre si infilava i pantaloni della tuta e gli scaldamuscoli. Perché? Si ripeté mentre riempiva la borraccia di acqua. “Perché?” domando poi quando nel momento di porgersi verso il piattino per recuperare le chiavi della macchina, suo padre lo aveva battuto sul tempo, “Jogging, Stiles? Seriamente?” aveva domandato ironico quello, facendo tintinnare le chiavi, “Passi che tu voglia convincermi di essere omosessuale ma jogging di domenica mattina?” aveva chiesto, il ragazzo non riusciva a capire se suo padre fosse serio e stesse scherzando. Però a mente fredda non aveva torto. Nell’ultimo anno il ragazzo aveva detto a suo padre  più menzogne di quanto non avesse fatto nella sua vita precedente, ma per una volta – nonostante gli sembrasse davvero strano – era sincero: lui stava andando a fare Jogging di domenica mattina.

Sbuffò. “Non scherzo. Vado a correre con Scott” aveva detto, trovando lui stesso quelle parole orribili come un nodo scorsoio in gola. Ma se non fosse andato, il suo amico lo avrebbe probabilmente ucciso, non che avesse tutte le attenuanti per farlo, Stiles si riteneva  decisamente più autorizzato ad attentare alla vita dell’amico, rispetto a Scott, ma lui non era membro del Club-delle-zanne.  Lo sceriffo porse al ragazzo le chiavi, “Voglio ancora fidarmi di te, figliolo” aveva detto ed il ragazzo le aveva afferrato. Fosse stato per lui avrebbe vuotato a suo padre il sacco sui lupi mannari un bel po’ di mesi prima, ma Derek e Peter Hale lo agghiacciavano ancora così tanto che aveva pensato fosse meglio non dargli problemi.

Si mise una felpa, mentre sentiva suo padre ricevere una chiamata, non avrebbe voluto origliare ma lo fece. “Devan Bakers?” aveva commentato confuso, “Il fratello della vittima?” aveva bisbigliato, “Lo avete contattato?” aveva domandato, il ragazzo aveva visto delinearsi un sorriso sulla bocca dello sceriffo. Per il resto aveva annuito tutto il tempo, quando aveva chiuso il telefono aveva trovato Stiles guardarlo; “Non ti riguarda” aveva detto, ma come sua abitudine il ragazzo si prese la briga di ignorare suo padre, “Avete rintracciato il fratello di Emilya Bakers” aveva detto, non era una domanda, ma un’affermazione con cognizione di causa, così alla fine lo sceriffo sospirò ed annuì, “Sarà qui  entro il fine settimana” aveva commentato alla fine, prima di infilarsi la giacca con la stella luccicante sul fianco. Bene, quell’informazione non era che positiva; Forse Devan sapeva perché mai una bestia succhiasangue perseguitasse sua sorella da quasi un decennio e come sapesse la fanciulla sparire così bene.

Scivolò fuori di casa, chiudendosi la felpa sul petto. Jogging, se lo ripeté mentalmente per auto convincersi ancora; “Vai da qualche parte, Batman?” aveva sentito una voce maliziosa il ragazzo, voltandosi verso la voce aveva trovato una ragazza appollaiata sul vialetto, aveva capelli biondi e ricci, quasi elettrici. Erica Reynes.  Si avvicinò a lei, stritolandola in un abbraccio senza neanche preoccuparsi di rispondere a quella domanda, la ragazza si era stretta a sua volta, “Quando sei tornata? Come stai? Che notizie porti? Derek dov’è?” aveva domandato di filato, inciampando più volte sulla lingua. La bionda si era allontanata un attimo, “Ieri notte. Sto bene. Gli alfa hanno arretrato. Derek e ancora al confine e sono contenta che del mio ragazzo non ti importi nulla” aveva risposto lei con un sorriso malizioso, “Be anche di Peter, ma non potrei darti torto” aveva aggiunto. Stiles era arrossito a pena, “Giusto. Come sta Boyd?” aveva domandato poi, “Bene. Ma è al confine. Mi hanno rimandato in dietro perché ero troppo distrutta” aveva bisbigliato lei, tastandosi qualche muscolo del corpo ma regalando un sorriso al ragazzo.

“Sei già passata dai tuoi?” aveva domandato il ragazzo, “No. Però li ho chiamati. Ero passata a cercare Isaac a casa sua, quella delle due zie e alla tana. Ma non l’ho trovato” aveva commentato lei, grattandosi i capelli, “Si, è diventato un latitante da quando è stato accusato di omicidio” aveva detto semplicemente il ragazzo, trovandola una cosa più che normale. Effettivamente a mente lucida non c’era nulla di così anormale. Lui e Scott erano stati denunciati per rapimento, Derek era l’uomo più ricercato di Becon Hills, Isaac era già schedato e Jackson era un serial killer. Regolare. “E’ innocente, vero?” aveva detto allarmata Erica,  “Si, è colpa dei vampiri” aveva spiegato brevemente lui, ma dagli occhi confusi della ragazza, si era costretto a rimanere lì per raccontarle bene tutto. Senza tralasciare nulla – cospirazione di Jackson e sospette vampire in giro per la clinica veterinaria – perché la visione della storia non fosse semplicemente chiara, ma cristallina.

Erica era oltremodo sbigottita, “Quindi Scott è convinto di poter sedurre questa Mary portandola a fare jogging?” aveva domandato la bionda, “Merryl” l’aveva corretta il ragazzo, “E, be, ci sarò anche io” aveva commentato, “nel loro romantica corsa” aveva terminato. La lupa aveva sbattuto gli occhi più volte, forse per convincersi di aver capito bene, ma dal suo sguardo Stiles aveva intuito che non aveva capito a pieno o forse semplicemente non voleva capire. “Dimmi, come ha fatto il nostro caro Scott a conquistare quella sociopatica di Allison con queste strategie?” aveva chiesto la riccia con un sorriso davvero mal tirato sulle labbra, il ragazzo sapeva bene che probabilmente nulla in quella terra avrebbe reso tollerabile alla licantropa la cacciatrice, non dopo che l’aveva cacciata allo strenuo di una belva e legata alla corrente elettrica, “Le migliori menti del mondo stanno ancora indagando sulla questione” aveva risposto lui  con un sorriso divertito. Faceva piacere concedersi una risata di tanto in tanto, specialmente quando grondavano cadaveri  da ogni lato.

La bionda rise cristallina, “Vengo anche io a correre. Almeno potremmo dividerci a coppie” aveva detto lei con un sorriso malizioso, “Non vuoi andare dai tuoi genitori?” aveva detto Stiles, lievemente rosso di imbarazzo. Lui non aveva dimenticato che prima di mettersi con Boyd lei aveva detto che era il suo Batman e che aveva avuto la più patetica cotta del mondo per lui, poteva anche aver mentito e lui non pensava a lei in quel modo, sebbene non potesse negare che fosse sensuale, ma era una cosa che lo metteva ancora leggermente a disaggio. Il sorriso sul volto di Erica era sfiorito, “No, non sono pronta ad inventare una ragionevole scusa su perché sono scappata quattro mesi fa” aveva detto con una certa freddezza. E lui sapeva non avrebbe ceduto. Così si era limitato ad abbracciare la ragazza per darle conforto, “Boyd potrebbe ingelosirsi se ci vedesse. Sai Batman e Catwoman” aveva scherzato lei divertita. Così il ragazzo si era allontanato scoccandoli una pessima occhiata. Però adorava Erica perché non lo considerava il semplice aiutante, ma un eroe a tutti gli effetti; forse lui non era un cacciatore addestrato, un lupo mannaro o un lucertolone, era solo un umano come Matt-sono-un-sociopatico-complessato  aveva ampliamente sottolineato, lasciandolo steso addosso al cupo licantropo Derek. Ma lui voleva essere utile, come quando aveva creato il cerchio magico, adorava giocare con le polveri del veterinario. “Quindi è deciso, vengo con voi, Stiles” aveva detto lei con un sorriso smaliziato che non avrebbe mai accettato un no come risposta.

 

Jogging. Ok, si era una pessima idea. Ma su due piedi non li era venuto in mente nulla di meglio. Stupido e patetico jogging. Lui non provava niente per Merryl, era una cara ragazza abbastanza inquietante in fatto che puzzasse di vampiro, ma non era cattiva. Scott non credeva che si meritasse il piano malefico che Jackson avesse ordito per lei. Così si era seduto già esausto al tavolo da pranzo, con indosso la tuta. Sua madre era in pigiama che faceva le frittelle, ma era nervosa, lo fiutava quel sentimento fastidioso che gli arriva. “Quindi ripetimi, stai per andare a fare Jogging di Domenica mattina con Stiles?” aveva domandato scioccata, “E Merryl Mors” aveva precisato Scott lievemente in imbarazzo, Melissa si era seduta accanto a lui, “Interessa a lui?” aveva domandato con apprensione, il licantropo aveva mosso la testa per negazione, “Interessa a te?” aveva chiesto allora, il licantropo aveva commesso lo stesso gesto, “E’ interessata ad uno di voi?” era arrivata allora ad investigare, “Credo di si” aveva ammesso il ragazzo, cercando di interpretare i comportamenti della ragazza. La madre si era fatta di un inquietante serietà, “A te o a lui?” si era alla fine informata con un sorriso poco amorevole, “Me” aveva confessato alla fine Scott.

I cinque minuti che erano seguiti quella conversazione McCall si sarebbe accertato di cancellarli in un prossimo futuro. Si erano toccati tasti come Allison, il ricordo della mattina che sua madre li aveva beccati a dormire insieme sul divano al fatto che quella notte non si fossero limitati a fare quello, Scott aveva implorato non sapeva quale dio perché sua madre non volesse sapere dove e si accontentasse di supposizioni – assolutamente sbagliate – ed era stato per misericordia ascoltato. Poi Melissa si era fermata a parlare della volta che aveva trovato la scatola da dodici preservativi con uno solo rimasto. E così suo figlio aveva deciso che necessitava di una pala per sotterrarsi. “Non vuoi parlare veramente di questo?” aveva domandato il ragazzo disperato, la donna non aveva battuto ciglio, “Scherzi? Sarà imbarazzante Scott, ma è la conversazione più normale che abbiamo fatto negli ultimi mesi” aveva detto la donna, tagliuzzando le frittelle. Scott aveva annuito. Era vero, la sua povera mamma aveva subito molti stress da lui negli ultimi quattro mesi, per il fatto che dopo averle fatto attraversare la pubertà le aveva costretta ad attraversare anche la mutazione in licantropo. Ed una Kamina l’aveva quasi strangolata ed un alfa assassino era uscito con lei, ora cominciavano una schiera di morti ovunque e sua madre sembrava vicina ad un collasso nervoso. E si quella era la conversazione più decente ed umana che avevano avuto.

“Starò attento” aveva detto alla madre, “Scott non parlo solo di quello” aveva detto la madre, “Ma tu sei pazzo di Allison, cosa vuoi da quest’altra ragazza?” aveva domandato, “Alle donne non piace essere illuse o usate” l’aveva ammonito. Il ragazzo era divenuto rosso di imbarazzo, si chiedeva come fosse possibile che sua madre sapesse leggerli così nella mente. “Ti prometto che io non lo farò” aveva detto alla fine, prendendoli le mani, “Anche perché ti ho cresciuto io. E …” non continuò quella frase, deglutì pesantemente e senza che dicesse nulla, Scott seppe che era di suo padre che si stava parlando. Melissa lo considerava un fannullone e lui non aveva un’idea diversa di lui, dopo il divorzio era andato via, senza invogliarsi molto ad avere il figlio tra i piedi, che alla fine aveva passato con lui alcune estati dopo il divorzio, le prime vacanze erano durate sei settimana, andava anche l’inverno ed in alcuni finesettimana strategici, in seguito i periodi si erano fatti ancora più radi che erano un paio d’annetti che il ragazzo conversava solo al telefono con suo padre.

“Bene. Quindi ho intenzione di non essere un idiota colossale” aveva commentato Scott con un sorriso bonario, mentre apriva il frigorifero per ricercare qualcosa da bere da mandare giù insieme alle frittelle, “Bene, c’è un’altra cosa di cui dovremmo parlare” aveva detto la donna con un sorriso forzato. Il licantropo aveva chiuso lo sportello del frigorifero con un po’ troppa veemenza che aveva pensato di romperlo, “Sto per rimpiangere il discorso sul sesso ed i comportamenti con le ragazze?” aveva domandato lui, leggermente a disaggio, “Si” aveva detto sua madre. C’era solo un altro argomento che metteva sua madre in così seria agitazione, “A scuola ho la media della C. Tranne a chimica dove ho D meno. Ma la mia media è sufficiente” aveva immediatamente detto. L’anno prima aveva passato il secondo per un miracolo, quest’anno non aveva intenzione di sfidare la fortuna ancora ed aveva cominciato a ricercare tra un problema e l’altro di ricavarsi un po’ di tempo per studiare. “Scott, non è questo” aveva mormorato sua madre. A quel punto aveva capito che le cose erano ancora più serie.

Melissa aveva mangiato un altro po’ di frittelle, “Tuo padre” aveva esclamato la donna, “Dovremmo chiamarlo” aveva aggiunto. Scott non era brillante, ma capiva quanto seria doveva essere sua madre per voler chiamare il suo ex-marito di sua sponte, “Per far che cosa?” aveva domandato ingenuamente lui, “Dirgli quella cosa” aveva detto lei. E non era stato necessario specificare di cosa stesse parlando. Aveva senso quello che sua madre stava dicendo, era giusto che suo padre sapesse che la sua progenie aveva messo un po’ più pelo del previsto e si fosse unito al club-delle-zanne. Solo come potevano dire ad una persona quasi pari ad un fantasma che era diventato un licantropo? Dove avrebbe trovato il coraggio e la forza? Scott pensò all’uomo che quando aveva otto anni lo portava a giocare a Baseball al parco. Era una cosa solo loro. Era anche quello il motivo per cui teneva la mazza vicino al letto, non solo per difendersi, ora non ne aveva più bisogno. Ma era un ricordo dolce. A quei tempi non era ancora così amico di Stiles, era avvenuto solo dopo con suo padre andato via e la madre dell’altro venuta a mancare che i due ragazzini tristi al lato della classe erano divenuti amici.

Scott aveva annuito, “Si è giusto” bisbigliò, passandosi una mano tra i capelli, sentì sua madre tendersi ancora di più, “Lo chiamerò oggi. Lì dirò tutto” aveva enunciato con una voce rigida, tutto di lei era di granito, “Chiedili di venire” aveva richiesto il licantropo, Melissa aveva sollevato gli occhi incupita, “Come?” aveva bisbigliato, “Voglio dirglielo io” aveva detto il ragazzo con convinzione. Era una sua responsabilità non voleva dare a sua madre altre grane come chiamare il suo ex marito e dirli < < Sorpresa nostro figlio è un licantropo > > ; doveva essere lui a liberarsi di quel fardello. Prima che potessero dire altro, il campanello era suonato.  Merryl Mors era sulla soglia con una tuta stretta ed una maglia a maniche corte, gli indisciplinati capelli scuri erano raccolti in una coda ed aveva le cuffiette alle orecchie. Il suo sorriso splendeva sotto il sole, una dentatura normale, e gli occhi carbone sotto la luce sembravano un castano più dolce e chiaro, creando una netta distinzione tra la pupilla e l’iride. Al collo scintillava una collana con una piastrella. “Oggi sono carica” aveva detto frizzante la ragazzina di secondo anno con una voce che esprimeva tutto il suo ardore. Sembrava strano pensarlo, ma non era male, era carina.

 

Allison Argent era cotta. Non nel senso che era innamorata persa di qualcuno. No, che aveva raggiunto l’esaurimento nervoso. Di nero corvino camminava lungo l’erba del cimitero, crisantemi stretti tra le dita. Erano tre giorni che non c’era stata traccia di Michael Rivers, probabilmente a quell’ora doveva essere rintanato in qualche buco ad aspettare che tramontasse il sole così da potersene andare in giro per vicoli angusti a disseminare cadaveri per le strade. Si arrestò davanti alla lapide di sua madre, posando i fiori su di essi. Forse dopo sarebbe dovuta passare anche da Zia Kate e da Matt, forse.  Era impazzita l’anno prima quando sua madre era morta, aveva giurato che avrebbe ucciso il licantropo che l’aveva morsa, ma alla fine non l’aveva fatto, perché era debole e perché amava troppo uno di essi.

Si sedé sull’erba senza curarsi di sporcarsi i leggins, “Dimmi Mamma che devo fare? Mike è scomparso, Lydia è all’ospedale e Scott e sempre troppo distante” aveva domandato con un infinita tristezza. Sentiva l’aria mancarli nel petto, svuotarla completamente. C’erano momenti in cui una ragazza aveva bisogno di aggrapparsi a sua madre e piangerle addosso ed aspettarsi parole di conforto; Victoria Argent non era mai stata una persona particolarmente materna, ma l’amava più della sua stessa vita, l’amava come solo una madre sapeva fare, forse non le avrebbe accarezzato la testa e non l’avrebbe consolata, ma quasi certamente avrebbe detto la cosa giusta.

E rimase lì in un muto silenzio, fino a che non sentì dei passi alle sue spalle. Si voltò. Donovan era in piedi dietro di lei, “Come mi hai trovato?” aveva domandato lei, “Tuo padre ha detto che vieni tutte le domeniche mattina qui” aveva sussurrato lui, sedendosi accanto ad Allison. La ragazza non aveva mai detto a suo padre dove andava, ma era la sua principessa e non si stupiva che lui lo sapesse. “I miei lividi stanno sparendo, i tuoi?” aveva domandato Silver indicandosi la faccia, Argent aveva annuito, “I tuoi anche. Sei un mollusco Donovan” aveva detto arcigna la ragazza. Gli unici ematomi che la deturpavano erano quelli lasciati da Steve il Licantropo. “La tua gentilezza mi uccide, Argent” aveva detto il ragazzo sarcastico, tirandole una guancia. Quel ragazzo era oltremodo fastidioso e per Allison era stata antipatia a pelle, ma era vero che cominciava a starle simpatico, particolarmente quando aveva sparato una freccia luminosa contro Evan.

“Io mi sono comportata male con te, Donovan, dal primo momento” aveva detto lei, posandoli la testa sulla spalla. Il ragazzo aveva ridacchiato, “No, non lo sei stata. Ma io non sono stato meglio” aveva detto il ragazzo, passandole una mano tra i capelli scuri. Si sentiva quasi patetica e smarrita. Lei non voleva essere forte e smetterla di rifugiarsi tra le braccia delle persone, ma era fatta così, amava il contatto umano e stretta tra un paio di braccia si sentiva più sicura, anche se erano quelle fragili del ragazzo. Sarebbe stata più sicura se fossero  state quelle di Scott, ma doveva imparare a cavarsela da sola, così sospirò profondamente, prima di intrecciare le sue dita tra i capelli ricci del ragazzo, “Andiamo da Rivers. Ha bisogno di sostegno” aveva detto, alzandosi ed allungando le mani verso di lui, “Particolarmente del suo migliore amico” aveva aggiunto e Silver era scattato a molla. Era più alto di lei, aveva i capelli ricci, sotto il sole tiepido dell’autunno sembravano quasi castano chiaro, gli occhi erano poi lucidi e luminosi, aveva un’aria quasi seriosa, ma anche vagamente divertita, sembrava strano che due personalità del genere potessero coesistere così bene, forse lo chiamavano Giovane-Chris per questo i cacciatori più anziani, per il fatto che coesistessero quelle due espressione. Forse.

 

Merryl non aveva incassato bene l’idea: io, tu e Stiles, ma l’aveva mandata giù, come aveva  notato Scott. Dai suoi sorriso dolci e a tratti nervosi. Aspettavano fuori al pianerottolo, sotto il porticato bianco. Era una domenica calda considerando l’Autunno che era giunto alle porte. Il suo migliore amico era arrivato con la sua solita macchina, ma oltre a lui era sceso dal mezzo anche un altro passeggero. Prima che potesse chiudere lo sportello, le narici del licantropo erano piene di un odore famigliare, “Chi è la bionda?” aveva domandato Merryl, ma Scott non le aveva dato risposte, era sceso di fretta dagli scalini del pergolato; prima che capisse cosa gli fosse successo, aveva già stretto tra le sue braccia la ragazza, una figura pallida, occhi bruni e vigorosi capelli ricci dal colore del sole estivo, Erica Ryens. Era tornata da loro, come una fenice risorgeva dalla ceneri. “Scotty, potrei fraintendere” aveva detto lei con quella sua vena di inconfondibile malizia, lo aveva abbracciato di rimando, ma aveva fatto scorrere una mano dal suo petto fin quasi il cavallo dei pantaloni, ma lui l’aveva fermata in tempo, “Sei fidanzata” era stato il suo aspro commento, “Il lupo perde il pelo ma non il vizio” era stata la sua risposta. L’aveva scansato poi, per osservare la ricciolina dai capelli neri, aveva storto il naso quando l’aveva vista ma non aveva fatto commenti di alcun genere, probabilmente Stiles le aveva dovuto dire tutto ciò che c’era da sapere.

Merryl aveva studiato Erica, il suo cuore era aritmetico ed anche il nervosismo era a fior di pelle, “Erica Reynes e tu devi essere Merryl Mors” aveva detto con una voce squisita la lupa, “Il tuo viso era tra i ragazzi scomparsi” era stata la risposta della bruna, il labbro inferiore le tremò, l’altra aveva ridacchiato; “Follie adolescenti” aveva giustificato, con la sua risata cristallina. “Viene a fare Jogging con noi” aveva commentato Stiles, “L’ho trovata fuori la porta di casa mia” aveva aggiunto lui con un sorriso leggermente a disaggio, “Vestita così?” era stato il commento della riccia bruna, notando che l’altra non era esattamente in abiti sportivi,  “Non preoccuparti” aveva bisbigliato lei, facendo l’occhiolino.

Venti minuti dopo stavano correndo tutti e quattro per i boschi di Beacon Hills. Erica era svelta a correre, ma rallentava spesso per aspettare Stiles che era così lento, Merryl era in forza e cercava di starli dietro, lui era più lento dell’altra licantropa, ma non aveva nessuno da aspettare. I boschi non lo spaventavano per niente, invece la ragazza che puzzava di cera e morte tra una boccata d’aria e l’altra continuava a citare che fosse pericoloso, probabilmente. Tre giorni prima era scomparso un ragazzo. Scott aveva deglutito pesantemente, Mike Rivers il cacciatore durante una ricognizione non era stato più trovato, lui ed Allison erano stati attaccati, ma mentre i compagni avevano salvato la cacciatrice da Evan il vampiro, al posto di uno dei gemelli avevano ritrovato una pozza di sangue. Ancora fresco. Era stata la sua ex-ragazza a raccontarle la storia, il suo viso era livido e maculato da lividi scuri, gli occhi bruni erano lucidi; quell’espressione, quell’ennesima sparizione, Lydia in convalescenza, si era sommato tutto fino ad implodere nella sua coscienza. Così aveva deciso di ascoltare Jackson.

“Tra Stiles ed Erica cosa c’è?” aveva domandato Merryl con ingenua curiosità, “Sono amici” aveva detto lui. Forse c’era stato qualcosa prima, ma non ne era certo, lui non era bravo a capire queste cose. Stiles aveva detto che la ragazza li aveva confidato di aver avuta una cotta per lui, ma tra loro non c’era nulla, nulla che avesse a che fare con i corpi o i feromoni almeno; quello lo poteva capire, lo respirava. “Lei flirta, ma lo fa anche con te” stava dicendo la ragazza, affiancandolo nella corsa, il ragazzo aveva diminuito la velocità apposta, “Quello è nella natura di Erica. Ma ama solo Boyd” aveva risposto lui, la bionda non era propriamente promiscua, ma sapeva che aveva avuto una mezza relazione con Derek.

La ragazza aveva annuito, sembrava più serena una volta che aveva udito quelle parole. “A te invece, interessa qualcuno?” aveva domandato Merryl con un sorriso amorevole. Che rispondere? Mentire o dire la verità? Mandare alle ortiche i piani malefici di Jackson o deludere sua madre? Merryl che aveva una cotta per lui o Allison che lui amava? La seconda, avrebbe vinto su tutto e tutti, sempre. “Una” rispose, prima di aumentare la velocità e distaccarsi. Era stato generico e come tale la ragazza di secondo anno avrebbe interpretato quello che voleva; sent’ lontano qualche metro con una voce di scherno Erica invogliare Stiles a muovere quelle gambe. Sentì la bruna annaspare alle sue spalle cercando di inseguirlo per la strada, era pericolosamente vicina ad una cunetta che si affacciava al fiumiciattolo che passava sia per il bosco che per la città, in un punto lontano ma in quello stesso torrente Gerard aveva annegato Matt. Il pensiero li mise i brividi.

Un crack. Un arbusto, un qualcosa si era rotto.  Era stato alle sue spalle, si era voltato per vedere Merryl rotolare per la cunetta fino al letto del fiume, cadendo con un sonoro urlo. Si lanciò al suo inseguimento, la ragazza si era arrestata molto prima dell’acqua, ma la gamba si era incastrata in una radice. Ma non c’era sangue. La raggiunse, “Come stai? Ti fa male?” aveva cominciato a domandare ritmicamente ed apprensivamente, Erica e Stiles li avevano visti dalla collineta e provavano a scendere senza scivolare, ma la ragazza non gli rispose. Non era ferita o priva di sensi, solo pallida, con la faccia sporca di terra, ma esangue, gli occhi sbarrati e le labbra tremavano, era come se le avessero succhiato via la voce. Tremante indicò qualcosa che era oltre le spalle di Scott, prima che potesse voltarsi vide l’espressione di orrore tingersi sul volto di Erica e quella indescrivibile sul volto di Stiles, sembrava stesse per vomitare. Si voltò e pochi secondi dopo rimpianse di averlo fatto.

C’era qualcosa incastrato alle rive del fiume, tra due radici d’albero che impedivano all’acqua di trascinarlo via fino alla città. Era un corpo, di un bianco disgustoso come il latte cagliato, che cominciava a gonfiarsi di un orrido verdino in una serie di protuberanze. Si avvicinò cauto, sentì Stiles ed Erica alle sua spalle, si voltò per dire all’amico di occuparsi di Merryl, vide il volto di quello incupirsi di più, dove c’era un omicidio c’era anche Stilinski a ficcanasare, ma il quarto membro del loro gruppo era troppo sconvolta e non conosceva Erica. Si avvicinarono di più. Il viso non era riconoscibile, sia per il gofiore che per le ferite; il cadavere era nudo ed attraversato interamente da profondi graffi che avevano lacerato ed artigliato la carne fino all’osso, rendendolo non solo mutilato ma poco più di una poltiglia informe. Oltre ai segni delle unghia – artigli – c’erano quelli dei morsi, profondi segni dimostravano morsi voraci su ogni superfice, vicino al viso tra il collo e la clavicola, la pelle e la carne era stata strappata via con violenza ed anche la trachea era stata squarciata. Erano stati i vampiri, ma come per l’omicidio di Emilya Bakers non era stato un atto di nutrimento, Raquelle aveva detto che quelli uccidevano per fame ma anche più degli umani trovavano la caccia un piacere; ma quella era un esecuzione, più disgustosa di quella che aveva subito la ragazza del bosco. Scott non si sentiva così male da quando un anno prima era inciampato sul mezzo-cadavere di Laura Hale disseminato di morsi cruenti.

 

Il Dottor Deaton osservava quel quadretto con una certa curiosità. Raquelle continuava a portare avanti ed indietro scatole di cibo agli animali nelle gabbie con  le labbra blu curvate in un sorriso, ne aveva lette di cotte e di crude sui vampiri e ne aveva visti – come quelli che ora giravano per Beacon Hills – abbastanza da averli potuti annoverare tutti come mostri a sangue freddo che esseri che un tempo erano stati umani, ma la ragazza dai capelli rossi sembrava così diversa o almeno sapeva fingere bene; per la prima volta il veterinario si trovava in una situazione di incertezza, con capiva quella vampira. Steve era migliorato negli ultimi tre giorni, ma continuava a litigare con le manette di frassino, non riusciva a capacitarsi che del legno riuscisse a limitare in tale modo un alfa, aveva sfoderato anche zanne ed occhi rossi, senza ricevere importanza. Isaac poi era il più strano. Era taciturno e silenzioso, limitandosi a guardare i più frequenti battibecchi tra la succhiasangue e l’altro licantropo.

“Cosa ne vuoi capire tu sanguisuga?” aveva imprecato Steve, cercando di spaccare le manette, “Vedo che hai paura” aveva detto lei con finta innocenza, disegnata sul viso, “Una paura fottuta” aveva precisato, cercando l’approvazione degli altri due. Da Isaach aveva ricevuto un sopprimibile silenzio ed il dottore aveva scelto di non immischiarsi. Ma Deaton sapeva che Raquelle aveva ragione, qualcosa doveva aver spaventato molto il licantropo da abbandonare i suoi compagni, rischiare un passaggio di stato repentino da Alfa ad Omega, qualcosa che doveva pavidarlo tanto da avergli fatto perdere la prudenza, così da finire in uno scontro con i cacciatori. E quel qualcosa lo aveva spinto a correre da lui per medicarsi dall’avvelenamento d’acconito, lì era prigioniero aveva detto Steve quando lui aveva chiesto perché, ma i forze ed era così che aveva detto di preferirsi il licantropo vivo e con qualche parvenza di forza, che ferito e debole alla mercè di qualcosa che a stento l’aveva lasciato vivo. Il punto cosa? Vampiri? Non credeva, i licantropi coscienti della loro storia e delle loro capacità non temevano quegli altri, la prova era la sua irriverenza con Raquelle. Lui era legato e sapeva che se la vampira lo avrebbe provato ad uccidere il Veterinario non avrebbe saputo come fermarla in tempo, eppure lui sembrava quasi divertito da quei litigi.

Cacciatori? Anche quelli erano da escludere, il licantropo non si era fatto problemi ad attaccarli e li avrebbe anche uccisi se uno di loro non avesse avuto frecce avvelenato. Gli altri licantropi erano esclusi; a quel punto sarebbe fuggito via non nel cuore della cittadina. Rimaneva l’occultatore l’idea migliore, sapeva che lui era lì e nessuno poteva nulla contro i maestri dell’occultismo, allora perché tacerlo ad un Custode? L’unica persona con le conoscenza adatte a fronteggiarlo? No, ci doveva essere dell’altro. Sembrava orribile pensarlo, ma probabilmente a camminare in quelle strade c’era qualcosa di ben peggiore di qualche violento vampiro, una creatura capace di spaventare un aggressivo alfa. E no, questo non li piaceva affatto e non era sicuro che i ragazzi potessero gestirla. “Va bene” aveva esordito Steve, “Qualcosa vuole uccidermi” aveva precisato con  rabbia, mista a paura, “A ti fa paura? Un alfa grosso e cattivo come te?” aveva scherzato Raquelle con una risata cristallina che era fiorita sulle labbra, “Labbra blu, tu non hai idea di cosa sia una belva” aveva detto quello con una voce di sghiaccio. Deaton aveva avuto la sua conferma, qualcosa di orribile era in quella città.

 

Melissa entrò il caffè con lo stomaco in subbuglio. Aveva già fatto colazione, ma non poteva rimandare più. O avrebbe dovuto. Non lo sapeva e si sentiva incredibilmente stupida. Si sedé ad un tavolino circolare e sospirò, si disse che era come un cerotto, uno strappo e via; peccato sarebbe stato più complicato e doloroso. Nicholas arrivò pochi minuti dopo, non aveva il suo solito sorriso sardonico, ma sembrava inquietantemente serio. “Grazie ancora per l’altro giorno” aveva bisbigliato lei, quando Nick aveva fermato Allison e Donovan dalla loro lotta nell’ospedale, “Non sei mai stata pratica nelle risse adolescenziali” aveva commentato l’uomo, forzandosi di sorridere. L’infermiera aveva sorriso, ricordava invece quando quel ragazzo fosse pratico in quelle cose, una volta da ragazzi aveva spaccato il naso ad un tizio, ma aveva ricevuto di rimando un pugno che aveva impastato la bocca di sangue, si erano conosciuti quel giorno, Melissa si era diretta verso di lui cercando di aiutarlo. Forse quel giorno aveva pensato di fare l’infermiera.

“Dovevo spiegarti perché ho impiegato così tanto tempo a venire” aveva detto l’uomo con un tono preoccupato. La donna aveva annuito, non pensava che quello avesse mai dovuto giustificare qualcosa, non aveva mai dovuto spiegare a qualcuno quello che faceva, quando erano al quarto anno di scuola era stato una settimana via senza spiegare nulla a nessuno, neanche a lei. “Ho conosciuto una donna, Aliena” aveva spiegato Nick con voce profonda, quello era decisamente l’ultimo argomento che Melissa avrebbe voluto affrontare; tra licantropi e vampiri che inondavano il suo cervello, assolutamente quello non era ciò di cui avrebbe voluto parlare, particolarmente perché i due dovevano trattare altri argomenti. Forzò un sorriso, “Hai rovinato tutto come ogni cosa?” aveva domandato velenosa, “No. Ma per una volta mi ero infilato in una relazione impossibile” aveva spiegato lui con voce profonda, “Per una volta? E’ la nostra cos’era? Una scampagnata per i boschi?” aveva domandato la donna. Un attimo dopo si era pentita di averlo fatto, non aveva voglia di discutere di quello, voleva semplicemente scappare via,  da ogni cosa possibile: dall’uomo, dai vampiri, dalla morte ed anche dai licantropi. Ma non avrebbe mai potuto lasciare Scott.

Nicholas aveva sorriso, “La nostra non era impossibile, era sinceramente folle” aveva risposto l’uomo, “Ma Aliena era più simile a me, lavoravamo insieme” aveva precisato l’uomo. Melissa sentì la pelle accapponarsi; lei frequentava il tirocinio per infermeria quando quello aveva trovato quel suo lavoro e mai nulla li aveva allontanati come il mestiere dell’uomo, tutti i loro problemi e le sue menzogne erano cominciate quel preciso giorno. Nick era sempre così misterioso e spesso mentiva, era il motivo per cui si erano lasciati. “Bene avrebbe dovuto funzionare” aveva detto la donna, se l’uomo non doveva mentire sarebbe stato un bravo ragazzo, “Lo ha fatto. Fino a otto mesi fa” aveva risposto quello, “Poi è scomparsa” aveva bisbigliato, “Senza lasciare traccia” aveva commentato.

L’infermiera aveva sentito il fegato rodersi. Lei non aveva voglia di essere la terapista di quell’uomo, non voleva sentirlo parlare dei suoi problemi di cuore. Anche lei ne aveva, l’ultimo uomo con cui era uscito era misteriosamente scomparso, Peter Hale; “Tragico” aveva sussurrato lei. Voleva andarsene, sentiva il bollore del suo sangue; quello che a lei interessava era esclusivamente risolvere i suoi problemi e sapere che suo figlio fosse al sicuro. Scott era l’unica cosa di cui le interessasse. “Quando mi hai chiamato quattro mesi fa, ero ad un passo da trovarla” aveva commentato Nick, “Ma ho solo scoperto ciò che cercava: un libro” aveva detto l’uomo. Melissa era arrivata ad un punto di non ritorno, “Non mi interessa di lei o di quello che cerca” aveva detto con nervosismo, sollevandosi dalla sedia ed afferrando la giacca. Nick si era alzato con lei con un espressione colpevole sul viso, “Lo so” aveva commentato, “Non ti ho neanche chiesto per quale motivo mi hai chiamato”  aveva commentato, infilandosi l’impermeabile nero. “Ho bisogno di un favore, Nicky” aveva detto la donna, cercando di mantenere i nervi saldi, aveva veramente bisogno di lui e di tutti quei strani segreti che avevano costellato la sua vita, “Se ti aiuterò, tu mi darai una mano a trovare quel libro. E’ qui, in questa città” aveva commentato quello con un sorriso sornione sul viso. L’infermiera rimase in un muto silenzio, mordendosi le labbra quasi a sangue, qualche istante in un silenzio di tomba, disse: “Non sono qui per mercanteggiare”, l’uomo aveva sorriso, “Mel, il mondo funziona così: Un favore per un favore” aveva enunciato minimamente toccato dal tono isterico della donna, “No se è di mio figlio che si tratta” quasi ruggì lei, premendo sull’aggettivo possessivo. Nick cadde nel silenzio ed anche il suo sorriso si smussò.

 

Stiles aveva spergiurato a suo padre che non c’entravano niente in quella circostanza, erano stati solo tre ragazzi – perché Erica se n’era andata immediatamente prima della polizia – che mentre facevano jogging avevano trovato un cadavere in un fiumiciattolo.  Ma Scott e Merryl erano rimasti in silenzio sulle stesse sedie che avevano occupato quando avevano portato Sam al commissariato. Il ragazzo si voltò verso di lei, “Di qualcosa” aveva detto alla ragazza in tono dolce, quella era quasi esangue e gli occhi bruni erano lucidi dalle lacrime, ma da quando aveva scovato il cadavere non aveva detto mezza parola, dopo minuti di silenzio che erano potuti sembrare eterni lei disse: “Sono stata adottata” senza flessione nella voce. Scott aveva sgranato gli occhi, Merryl era rimasta in un silenzio di tomba dopo, poi aveva continuato, “Non l’avevo mai detto a nessuno” aveva aggiunto, prima di sfilarsi la mano nella maglietta dalla parte del collo prima di tirar fuori una collanina con una piastrina militare, non fece leggere a Scott che c’era scritto, “Si chiamava Edwin ed aveva venticinque anni” aveva commentato lei, “Morto in Afganistan”  aveva aggiunto, poi aveva mostrato la piastra di ferro e Scott aveva mostrato che era stato reciso dove c’era scritto il cognome, “Di mia madre non so nulla invece” aveva sussurrato, prima di raccontarle che suo padre le aveva proposto di cercarla ma lei aveva sempre prontamente rifiutato, “Non sono pronta”  aveva aggiunto, strofinando le dita sul nome di suo padre con preoccupazione. 

Scott le aveva messo un braccio attorno alle spalle e l’aveva stretta, la ragazza si era aggrappata alla sua maglietta ed aveva singhiozzato, prima di cominciare a parlare del corpo che aveva trovato. Era sconvolta, sentiva il suo cuore impazzire per la paura e la confusione, si era limitata a stringerla solamente più forte, lasciando che quella sfogasse le sue lacrime. Stiles si era affacciato poco dopo con un espressione fredda in viso, trovandoli insieme, “Papà dice che dobbiamo aspettare fino a che non arrivino i nostri” aveva sussurrato, prima di comunicare che il cadavere era stato identificato con quello di uno dei ragazzi scomparsi, Merryl si era stretta le mani sulle orecchie per non sentire, il licantropo aveva avuto più forza di volontà, Mike Rivers. Pensò che quella sera dovesse andare da Allison a parlarle.  “Chi mai può fare qualcosa di simile?” aveva gracchiato la ragazza, con gli occhi agghiacciati, Belve succhia-sangue le avrebbe voluto rispondere Scott,  ma nel guardarla negli occhi vide qualcos’altro oltre l’orrore, la confusione.

 

Allison passò il resto della nottata in obitorio con i cacciatori ed i suoi amici,  la mattina dopo non andò a lezione. Rimase a casa sotto le coperte. L’avevano chiamata per la morte del loro amico mentre era a casa di Mike Rivers. Sentiva il ventre stritolarsi. Era un capo pessimo, Mike era morto sotto le sue direttive, in una retata che gestiva lei, proprio mentre il ragazzo faceva coppia con lei in una divisione. Era alle sue spalle, poi lei buttata via e lui morto.  Si raggomitolò bene, con le gambe incrociate,  un cigolio alla finestra. Erano i vampiri? Erano venuti ad ucciderla? La balestra era troppo lontana, si morse il labbro, dopo essersi voltata in cerca di occhi viola luminosi; ma era giorno, non potevano essere loro.  Scott era in piedi davanti a lei, con sguardo apprensivo, lei si limitò a muovere una mano e scoprire il corpo , così che potesse ospitare anche lui sotto le coperte.  Li baciò la clavicola e li succhiò un lobo, ma il ragazzo la tenne ferma e la strinse in una presa ferrea. Lei afferrò con le dita la felpa di lui, le nocche divennero pallide come la neve, pianse affondando il viso nella maglietta.

Rimasero così per ore, attorcigliati a consolarsi. Scott aveva trovato il corpo, ma lei aveva perso un amico. Non seppe tra un singhiozzo ed una carezza quando venne il sonno, solo che la luce era scomparsa quando suo padre venne a svegliarla, aveva le lacrime secche sulle guance ed era sola nel letto, la finestra era aperta e l’aria d’autunno gelava la sua pelle. Chris aveva capito che qualcuno era stato lì, ma non aveva fatto commenti, l’aveva solo spinta a sollevarsi dal letto, “Sai qual è l’unica cosa saggia che mio padre mi ha detto” aveva detto, mentre spingeva Allison a scendere almeno per la cena, “Che se volevamo le cose semplici dovevamo cambiare cognome” aveva enunciato. Vero. Tremendamente vero. Essere una Argent le aveva strappato via un anno di scuola, le proprie origini, le proprie certezze e la sua famiglia, insoddisfatto quel cognome continuava a mietere lei pezzo a pezzo. Un giorno sarebbe stata un cumolo informe di male sentimenti. Forse doveva andare in terapia anche lei, per smettere di essere così disgustosamente fragile, ma cosa avrebbe detto : Sono pazza perché caccio creature mitologiche? Dopo la tristezza, la sentiva nelle sue vene, fluiva la rabbia. Lei era Dottor Jeckyl e Mister Hyde. Ma lei voleva semplicemente essere Allison Argent e godersi i suoi diciotto anni.

Vesper era nella sua cucina che metteva su il tè, il suo alto marito dai capelli pallidi e gli occhi chiari era sullo stipite della porta, Benjamine Silver l’aveva salutata con un cenno della mano, in soggiorno il loro primo figlio era in piedi vicino al camino, la sorella più piccola continuava ad infilarsi i capelli scuri dietro un orecchio,  Jordan che aveva un espressione seriosa al posto del suo sorriso sbarazzino. C’erano i Goldskull, tutti e cinque, il Patriarca, i suoi due figli maschi, la moglie di uno di questo e l’ultima figlia che era rimasta: Deidre. La loro spregiudicatezza lì rendeva da sempre abili cacciatori ma anche facili prede così da essere sempre decimati. C’era il Vecchio, curvato su una sedia ed ingobbito, un tempo era stato un forte uomo ed un caro amico di suo nonno Gerard, c’era l’anziana Sibelle con i suoi occhi pallidi che non erano in grado di vedere, i suoi tre figli maschi con la genie al seguito,  anche i Plata c’erano, suo zio Germon con gli occhi gelidi come quelli di sua madre ed i capelli scuri, sua zia Penelope, la cugina di sua madre, con suo marito Farwell e i suoi due figli, l’ultimo era l’altro fratello minore di Victoria Argent, Calvin Plata e con sua figlia, una ragazza snella dai capelli rossicci e gli occhi verdi.  Il Vecchio disse che i Rivers indossavano il lutto e che quindi non sarebbero arrivati, gli altri Argent sarebbero giunti nel cuore della notte, quando sarebbero riusciti ad andare via dall’Alaska, Allison sapeva a chi si riferiva, il fratello di suo nonno ed il resto della sua famiglia.

“Per il funerale di Michael dovremmo aspettare che la polizia abbia finito con il cadavere” aveva detto il primo genito dei Goldskull, accarezzando i capelli biondi di sua figlia, si somigliavano nella loro faccia dura, eppure Deidre sembrava sul punto di scoppiare a piangere, le sue mani tremavano.  Chris circondò le spalle di sua figlia con un braccio, “Allison questa è la tua prima riunione dei Clan” aveva detto con un certo orgoglio misto a paura. Lei aveva annuito. Quando aveva cominciato l’addestramento non aveva idea di ciò che l’avrebbe attesa, ma quando aveva raggiunto il battesimo del sangue la notte che non era sorta la luna, le avevano spiegato che quando i Clan si sarebbero riuniti nella casa dei condottieri sarebbe stato per Ordinare i nuovi Cacciatori.

Si sedé con suo padre, vicino alla vecchia Sibelle, la donna si era voltata verso di lui, oltre al bianco fragile ed acquoso della sclera si distingueva una sola iride senza puppilla, pallida come il ghiaccio, occhi che sembrano non poterti vedere, ma capaci di guardarti. Le aveva battuto una delle vecchie mani ossute sulle spalle, “Quando eri piccola aveva una risata dolcissima” aveva detto quella con una voce profonda,  lei aveva abbassato le spalle e morso le labbra. Si un tempo aveva una risata bella, un tempo aveva qualcosa per cui ridere.            Il Vecchio si sollevò, tirandosi su a stento, “Non sono solo più Lupi a minacciare l’esistenza degli uomini” aveva esordito, nonostante fosse vecchio la sua voce era forte come lo era stata quella di Gerard Argent. Poi aveva ordinato che qualcuno portasse loro il vecchio codice, un libro rivestito di cuoio,  sopra c’era uno stemma d’argento di un lupo, sfogliando le pagine le aveva trovato giallastre, riempite di inchiostro seppia scritte in un antico francese. “Il codice fu scritto tempo dopo la prima caccia, perché la morale non venisse perduta” aveva esordito quello, “Noi non siamo solo cacciatori, noi siamo protettori. Noi agiamo seguendo le regole” aveva terminato.  Allison aveva ascoltato ogni parola su quanto il condice fosse uno dei libri più importanti per i cacciatori, assieme al Bestiario che era di secoli più vecchi e che l’ultima copia era stata perduta assieme al Disertore Gerard Argent.

Donovan fu fatto alzare, era nervoso ed cereo,  aveva piantato la sua mano sul cuoio del libro, “La Casata dei Silver si formò come ramo cadetto degli Argent  ai tempi delle conquiste. Da un ragazzo che a dieci anni si era trovato solo dopo che le belve avevano ucciso la sua famiglia” aveva esordito. Le sue dite premetterò sul codice, “Per gli Innocenti e per difenderli, questo è il nostro motto” aveva detto scandendo le parole con sacralità, “Io Donovan Argent rispondo all’appello per far della caccia della Bệte la mia esistenza”, poi si sedé di nuovo, provò sua sorella ad alzarsi ma fu tenuta seduta. Deidre Goldskull si alzò e con la medesima formula recitò il suo giuramento, raccontò della sua famiglia e pronunciò il suo motto: Ciò che non ci uccide, ci fortifica.  Si alzarono i figlia della cugina di sua madre, non erano Plata, ma un’altra famiglia Pacur, la loro storia era pressoché misera ed il loro motto era così ambiguo : Ogni innocente ha la sua colpa. Eppure nessuno li era parso in quel momento più adatto.  Sua cugina era stata la più ferrea, un racconto su come dalla spagna fossero arrivati, di come la loro storia risalisse quella della Bestia di Geuvadan, quando cacciavano bestie per la provenza e di come il loro nome si fosse perso nelle leggende dei canti dei Cavalieri. “La disciplina ed il rispetto è la nostra forza ed il nostro potere” aveva recitato, senza che la sua voce avesse alcuna influenza, nella sua mente Allison aveva sentito l’eco di quella di sua madre. Disciplina e Rispetto. Si sua madre aveva il primo, eppure l’amore le aveva offuscato il secondo. Perso uno dei due si perdeva sia la forza che il potere.

Quattro cacciatori della stirpe della Cieca si erano alzati, nessuno era più piccolo di quattordici anni e nessuno più grande di diciassette,  avevano lineamenti differenti, che zigomi bombati che facce lunghe, nasi affilati, altri a papata, orecchie a sventola, capelli ricci, lisci, eppure sembravano somigliarsi tutti. La cacciatrice ascoltò a stento le parole che usciro dalle loro bocche, orribilmente pronunciate in simbiosi da sembrare una cantilena orribile, “Quando la notte non ci sarà la luce, saremo noi la fiamma” avevano pronunciato.  Ogni frase delle famiglie dei cacciatori erano così particolari e così slegate alla caccia, da lasciare la ragazza quasi stordita e confusa, poi aveva capito, mentre quel libro veniva direzionato verso di lei, che loro non si limitavano ad uccidere lupi assassini, loro custodivano un segreto ed erano l’ultimo appiglio all’umanità quando le tenebre ed i suoi mortali figli sgusciavano per saziare la loro sete di sangue. Si alzò, aveva le gambe molli, premette la mano sul cuoio caldo, le dita sfiorarono l’argento gelido, due tepori così contrastanti. Pronunciò anche lei il giuramento e la storia, “Noi cacciamo solo ciò che caccia noi” disse. Perché era vero. Erano le parole scritte nel codice, nessuno che non meritasse di morire doveva essere ucciso.  Così era stata educata e così era intenzionata ad agire.

 

Scott si sedé sulla sedia, tra Isaac e Jackson, al lato più estremo c’era un furente licantropo che cercava di liberarsi di un paio di manette di frassino e il Dottor Deaton, Erica era seduta sul tavolo operatorio, Stiles non c’era. Raquelle stava trafficando con una lavagnetta ed un pennarello, mentre imprecava a mezza bocca il fatto che non potesse andare fuori a sgranchirsi le gambe, era calato il sole e sorta la luna pallida, il suo mondo aveva avuto inizio, come una bella di notte era sbocciata al pallido chiarore della signora della notte. Si era voltata verso di loro, “Qualcuno di voi ha mai visto dal tramonto all’alba?” aveva domandato in modo innocente, Isaac aveva alzato la mano, così la ragazza aveva sorriso cinguettante, “Bene, croci ed acqua santa li tiene lontani, ma per ucciderli serve frassino, sono forti quanto viene detto in quel film, ma non così molli” aveva precisato, “Abbiamo una pellaccia dura” aveva aggiunto, con una punta d’orgoglio. “Non possiamo entrare in una casa privata se non invitati. Quindi attenzione a chi date la vostra fiducia” aveva aggiunto, trovando quell’informazione di vitale importanza. Scott annui, doveva guardare chi si fermava sulla soglia ed aspettava per entrare. Aveva scribacchiato delle parole su una lavagna in modo circolare, erano scritte in una grafia strana: pagšu ṣiyyim et-ʾiyyim w-saʿir ʿal-rēʿhu yiqra ʾakšam hirgiʿah lilit u-maṣʾah lah manoḫ.  “Interessante questione” aveva ironizzato Jackson, con il nervosismo a fior di pelle. Ma Raquelle non si era fatta scoraggiare da quella cattiveria, “Nove anni fa ho conosciuto uno shamano wodoo. Un tipo interessante” aveva cominciato a dire, grattandosi le escoriazioni sulle braccia,  questo Scott l’aveva percepito non aveva migliorato l’umore del licantropo dagli occhi azzurri ne di quello degli altri.

La vampira li aveva invitati a capire cosa fossero, Deaton lo sapeva, il giovane lupo ne era certo, ma era stato l’alfa esule a parlare,  “Sono le parole di Lilith vero?” aveva domandato, quella aveva ricevuto la conferma, prima di specificare che da giovane neanche lei sapesse queste cose.  Poi aveva letto: “Gatti selvatici si incontreranno con iene, i satiri si chiameranno l'un l'altro; vi farà sosta anche Lilith e vi troveranno tranquilla dimora” spiegando la traduzione, con un sorriso malizioso sulle labbra,  aveva pigiato il dito pallido sul nome della creatura, “Ora chi o cosa sia questa belva, non importa a nessuno” aveva  precisato la vampira, i denti affilati erano luccicati sotto le labbra. Scott percepì il desiderio di Jackson di lanciarsi alla gola della ragazza, ma si tranne, quando lei si avvicinò a loro, aveva un passo felpato e quasi del tutto scivoloso, come se non facesse rumore, “Questa frase, esattamente come è scrittà lì” aveva detto indicando la lavagna, “Lo troverete marchiato a fuoco o tatuato un inchiostro sul corpo di qualcuno in questa città” aveva elargito lei, “Trovate il marchio, trovate il corpo, trovate il vampiro” aveva concluso Raquelle sfregandosi le mani.

Loro rimasero in silenzio per un certo numero di secondi, “Perché?” domando Erica, “Perché ogni Vampiro con del sale in zucca che  voglia crearsi una corte ha uno schiavo umano” aveva detto lei, piegando le labbra in un sorriso sornione, “Tu?” aveva domandato Isaac, “Io non voglio una corte ne fanne parte. Preferisco la solitudine” aveva detto senza increspare il suo sorriso. Scott non poteva sapere se mentisse, non aveva battito del cuore ne respiro irregolare, era come un corpo morto, sembrava anche che le sue emozioni marcissero con il tempo e quelle era certo non potesse profumarle, “Il loro nome è famigli. Possono essere assoggettati, stregati o volontari” aveva aggiunto, “Potrebbero essere stregoni o spiriti, umani o alchimisti” aveva terminato. Chiunque poteva essere il famiglio di quei vampiri, chiunque. Jackson si voltò verso di lui, occhi azzurri che lo perforavano. Chiunque. Chiunque puzzasse di cenere e morte come un vampiro ma che potesse camminare alla luce del sole.

Merryl Mors sembrava il chiunque adatto.

 

Genin Stilinski era sotto le coperte nel suo letto, quando sentì la finestra cigolare. Derek. Scott. Pensò, ma solo una splendida donna longilinea come una pantera era entrata dalla finestra, ma i suoi occhi non brillavano azzurri o gialli e nemmeno violetti. Luise Sucha, pensò o forse lo disse, la ragazza fu a pochi passi da lui, con le ginocchia sul letto ed una mano sulla sua guancia, “Tranquillo Stiles, non sono qui per ucciderti” aveva sussurrato suadente, lui era fuggito via dalle coperte ma non dalla presa della ragazza che si era dimostrata di ferro,  “Cosa sei?” aveva strillato lui, “Ne una succhiasangue ne un sacco di pulci” aveva rivelato lei, “Sono qualcosa di più antico e mistico” aveva aggiunto, prima di riferirsi al forte odore di magia sui suoi palmi,  ma non aveva lasciato la presa neanche per un istante. “Che vuoi?” aveva detto, con un tono di voce pacato, avrebbe urlato, ma se l’avesse fatto aveva paura che suo padre l’avesse sentito e che oltre lui avrebbe ucciso anche lui.

San sorrise come le sue labbra fossero miele pura, ma la sua bellezza sembra offuscata dalla fatica, occhiaie violacee erano disegnate assieme a pesanti solchi sotto gli occhi, il viso era più incavato dell’ultima volta e la pelle pareva quasi pallida, nonostante la carnagione latina. “Io cerco Frank” aveva detto con un nervosismo quasi isterico, “Chi è Frank?” aveva detto spaventato Stiles, la ragazza aveva infilato una mano in una tasca, una vecchia foto stropicciata in cui c’erano due ragazzi, una era Luise ma l’altro era … Steve Truscott?  “Tu sai chi è” aveva squittito lei, leccandosi le labbra. “L’alfa fuggiasco” era stata la sua tremante risposta, prima di presentarlo con il nome con cui lo aveva conosciuto, il sorriso sul viso esotico della ragazza se possibile si era aperto ancora di più, denti di perla erano comparsi, “Come ho fatto a non pensarci? Ha usato il cognome di sua madre da nubile ed il nome di suo padre” aveva detto, abbracciando in modo affettuoso il ragazzo. Sembrava conoscerlo bene.

“Mi ucciderai ora?” aveva domandato il ragazzo con una voce isterica, “No” era stata la sua risposta, prima di annusarlo bene, “Sei certamente un bocconcino invitante, ma mi hai aiutato” aveva detto, passandoli una mano nulla nuca, li aveva arpionato le labbra con le sue, ma non era un bacio era un morso, perché lui aveva sentito nelle sua bocca l’acre sapore del sangue, “E sei davvero buono” aveva aggiunto, prima di scivolare via dal letto. Non c’era stata tensione sessuale, ok forse un po’, ma non amorosa, era più del genere di un bambino affamato del terzo mondo davanti un hotdog. E Stiles era cibo.  “Non sono sola” aveva detto, fiutando nell’aria l’odore, “Chi c’è?” aveva detto esangue, “Un grosso lupo, ma non è il mio, ne uno dei suoi amici” aveva aggiunto, avvicinandosi alla finestra, “Forse è il tuo” aveva detto maliziosa, sui denti e le labbra scintillava un denso liquido rosso, il suo sangue. Il ragazzo deglutì. Lui non aveva un lupo, era amico di un branco ma non ne possedeva uno.

Luise si arrampicò sulla finestra, “Fammi un favore, Stiles, non invitare sconosciuti in casa, potrebbero rivelarsi delle vere sanguisughe” aveva aggiunto, lasciandosi dalla finestra, il ragazzo l’aveva inseguita, vedendola scappare per la strada a piedi, sembrava svelta ma non veloce. Si guardò intorno, cercò il lupo, ma non trovò nulla. Chiuse la finestra. Ora sapeva che una qualche creatura mangia-uomini andava a destra e manca per Beacon Hills cercando un licantropo alfa fuggiasco che aveva cambiato nome, giusto per aggiungerlo alla lista di strane creature che girovagavano di quei tempi. San non aveva fauci orripilanti, aveva bei denti di perla, ma si chiese se anche lei dovesse essere annoverata nei membri del Club delle Zanne, probabilmente si, visto il fatto che li aveva staccato mezzo labbro in un bacio. Fu orripilante rendersi conto che escludendo il gioco della bottiglia a tredici anni e sette minuti in paradiso a quattordici fosse stata la prima volta che baciava qualcuno ed era stata una bestia antropofaga che voleva saggiare la sua carne. La vita faceva ufficialmente schifo. E si sentì egoista per essere vivo quando giusto la mattina prima aveva trovato un morto.

 

La ragazza che puzzava di pesce scappò veloce, volgendo di tanto in tango gli occhi alle sue spalle. Doveva aver fiutato il suo odore, non doveva essere stato molto attento e li sembrava così stupido che avesse rischiato di farsi scoprire da chi sa cosa per assicurarsi che qualcuno non uccidesse quell’umano esagitato, ma Peter aveva detto che quasi certamente Stiles sarebbe stata la vittima perfetta e la cosa si era  dimostrata vera, una mangiatrice di carni era in quella stanza con lui, ma non pareva averli nuociuto alcun male, forse la presenza di Dereck, un alfa, l’aveva allarmata o forse c’era altro. Fece un passo indietro per essere di nuovo inghiottito dalle ombre. Era appena tornato a casa, dopo aver passato quattro mesi in trincea ai confini della città, doveva rimettere in sesto il suo branco, assicurarsi che stessero tutti bene e guidarli, anche per togliere a Scott quel fardello, era certo che se lo fosse accollato.

Passi alle sue spalle, si voltò , “Tu sei Dereck Hale, giusto? L’alfa?” aveva sentito chiedersi, un ragazzo sbarbato, dai capelli castani ed un berretto morbido, chiuso in un impermeabile petrolio; era un suo coetaneo ed era umano, tranquillamente e pateticamente umano. Eppure sapeva. Sfoderò le fauci e le unghia, gli occhi dovevano luccicare nel buio di un rosso vermiglio,  “Direi di si” aveva detto quello, con un sorriso sornione. Prima che potesse dire o fare qualcosa, una scarica elettrica lo aveva colpito sulla schiena e si era protratto per tutto il corpo fino a costringerlo a cadere a terra contorcendosi per il dolore,  non poteva essere solo l’elettricità, il bastone che aveva fatto da conduttore doveva essere d’argento o riempito di acconito. “Ragazzo passami la siringa” disse una figura scura, quello che doveva averlo colpito alle spalle, l’altro ubbidì “certo mastro” aveva detto. “Ci serve sangue di licantropo, migliore se di alfa,  eccezionale se nato con il gene” aveva detto quell’altro, infilandoli la siringa nel braccio  del ragazzo.

Dolore. Dolore. Dolore.

“Chi siete?” aveva ringhiato l’uomo-lupo, ancora preda dell’agonia, il maestro aveva ridacchiato, una risata già sentita,  “Noi siamo il meglio che l’umanità a da offrire nella sua semplicità” aveva detto l’allievo con una voce schietta. Derek richiamò alla memoria gli anni di scuola, quando era stato uno studente al liceo di Beacon Hills, cercò di ricordare quella voce, ma queste cambiano negli anni, i timbri ma non le inflessioni, forse c’era un volto ma era confuso. Sentiva dolore. Maledetto ed orribile. Il più grande chiarì ogni cosa:

“Occultatori, uomo lupo, è ciò che siamo”

 

 

 



   
 
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