Capitolo
Diciassette: Heracles
Il
giovane orfano fece in modo che il sovrano non dovesse
mai rimpiangere la sua decisione.
Raggiunse
il castello la settimana successiva, con un
fagotto contenente i suoi pochi averi.
Si
era concesso qualche giorno per separarsi dal suo
migliore amico: lui e Heracles erano scappati al mare, e si erano
divertiti con
le onde, la sabbia e la pesca.
«Così
te ne andrai nella capitale» ansò Heracles, quando
si
stesero sulla spiaggia assolata dopo una lunga immersione.
«È molto lontana da
qui?»
«Circa
tre giorni a piedi, uno a cavallo» calcolò rapido
Kiku.
«Non
ci vedremo più?»
«Troverò
un sistema.»
Heracles
sorrise, socchiudendo gli occhi nella luce
abbagliante del sole. Kiku trovava sempre una via di uscita; era
riuscito
perfino a tirarli fuori dall’orfanotrofio.
Il
ragazzo rabbrividì, nonostante la temperatura mite. I
calci del maestro gli avevano lasciato dei lividi scuri sulla pancia, e
il
labbro spaccato era ancora gonfio e gli pizzicava ogni volta che si
immergeva
nell’acqua salata del mare. Ma era libero, e lo doveva solo a
Kiku, che non
aveva avuto paura di sporcarsi le mani per salvarlo.
Stava
perfino per essere adottato dal fabbro del villaggio,
che si era impietosito ascoltando la sua storia. Pareva assurdo che,
fino a
pochi giorni prima, il suo futuro finisse con il tramontare del sole:
non era
mai sicuro che sarebbe sopravvissuto fino all’alba.
«Sono
orgoglioso di te» gongolò Heracles.
«Lavorerai nel
Palazzo Imperiale… sarà fantastico.»
Kiku
aspirò le labbra nella bocca, per assaggiare il sale marino
lì imprigionato.
Aveva
temuto che Heracles lo avrebbe guardato come gli altri
loro compagni: erano contenti di essere stati salvati, ma avevano visto
la sua
furia mentre spaccava il cranio del tutore. Avevano paura di lui, anche
se
volevano essergli grati. Heracles era troppo candido o troppo stupido
per
spaventarsi: il suo comportamento non era cambiato minimamente, come se
Kiku li
avesse liberati con uno slancio eroico e non con un omicidio.
Lo
avrebbe fatto diventare ancora più orgoglioso di lui, e
avrebbe fatto in modo che potessero continuare a sentirsi.
Una
volta raggiunto il castello, chiese a Yao se esistesse
un modo per comunicare con una persona che non sapesse né
leggere né scrivere,
e il Figlio del Cielo gli aveva proposto un usignolo meccanico, in
grado di
registrare messaggi vocali e riprodurli all’interessato, una
volta impostata la
destinazione. Ma quell’oggetto aveva un prezzo: Kiku avrebbe
dovuto superare l’esame
per entrare nell’accademia militare.
Il
ragazzo soddisfò quella richiesta la settimana
successiva, e l’usignolo partì per raggiungere
Heracles. Tornò indietro quattro
giorni dopo con la risposta dell’amico, e ripartì
il giorno successivo con la
replica di Kiku.
Trovava
sempre tempo per registrare un messaggio per
Heracles, nonostante la vita nell’accademia fosse molto
impegnativa.
Appena
arrivato, gli avevano rasato i capelli fino alla
radice, e Kiku era stato contento di quel taglio drastico: era stato un
ottimo rimedio
per i pidocchi, congiunto alla lozione che il Figlio del Cielo gli
aveva fatto
avere.
I
maestri avevano notato in lui un’enorme determinazione, e
uno spiccato talento per le spade: le lame stesse sembravano sforzarsi
per
armonizzarsi alle sue inesperte movenze, goffe come quelle di tutti i
novellini. La posizione delle gambe poteva essere scorretta o il
movimento
troppo veloce, ma vi era una sintonia particolare tra quel giovane e le
spade,
come se cercassero insieme il modo migliore di scivolare
nell’aria. All’interno
dell’accademia, fu il primo a impadronirsi di una destrezza
sufficiente per
accedere al secondo livello degli allenamenti. Quella promozione fu
approvata
anche dai medici militari responsabili della salute degli allievi: gli
arti
scheletrici del giovane si erano finalmente gonfiati in una parvenza di
muscolo
e carne, e gli allenamenti successivi, abbinati a una giusta dieta,
avrebbero
certamente irrobustito il suo fisico.
Kiku
si sottopose agli addestramenti più duri, con una
dedizione tale da risultare sconcertante: sembrava che il giovane
mettesse in
ogni colpo la sua stessa vita, tanto era concentrato nel far vibrare la
spada.
«Hai
mai pensato di concorrere per la carica di Samurai?»
gli domandò un giorno il suo maestro di spada.
Kiku
si passò un panno bagnato sul volto: non era decoroso
parlare con i propri superiori con il viso congestionato.
«Non
ci ho mai pensato, signore» asserì il giovane,
neutro. «Non
appartengo a un rango sociale sufficientemente elevato.»
«Ma
ti esprimi molto bene, per essere un orfano.»
«I
kami mi hanno
fornito due buone orecchie, signore, e una memoria abbastanza
capiente.»
«E
una retorica invidiabile, per una persona che non ha mai
aperto un libro» il maestro rinfoderò la spada e
considerò: «Sarebbe difficile
diventare Samurai, ma non impossibile. Dovresti superare un esame di
cultura
generale. Solo le persone colte possono stare al cospetto del Figlio
del Cielo.»
«E
dovrei sfidare e sconfiggere i guerrieri più forti del
Sistema Asean» aggiunse Kiku.
«Ma
questo non sarebbe un problema. Raramente ho visto un
talento smisurato come il tuo» l’insegnante gli si
piazzò davanti, e pretese
l’attenzione dei suoi occhi neri: «Posso trovarti
un maestro che ti aiuti con
gli studi culturali. E posso trovare un nobile che ti faccia da garante
per
permetterti di accedere alle selezioni.»
Kiku
si sedette sul terreno sabbioso dell’arena in
ginocchio, con la schiena perfettamente dritta e la katana
stretta in pugno, perpendicolare al suo fianco. Il maestro
lo osservò mentre il giovane chiudeva gli occhi,
sprofondando nelle sue
meditazioni. Sembrava una delle statue di bronzo raffiguranti i Samurai
delle
leggende; quel ragazzo sarebbe sicuramente entrato nella mitologia dei
guerrieri.
Kiku
sollevò il suo sguardo d’ebano dopo qualche
secondo, si
rialzò in piedi e scandì, marziale:
«Sono
pronto ad accettare questa prova, signore.»
Il
maestro sorrise e si sminuì, alzando una mano come per
frenare il ragazzo:
«Oh,
ma non sarò io a occuparmi della tua istruzione.
Qualcun altro si è già offerto per questo
ruolo.»
Come
evocata dalle sue parole, una figura impaludata di
rosso si materializzò nel rettangolo grezzo dello stipite.
Riconobbe
istantaneamente quei lineamenti regali, anche se
erano passati mesi dall’ultima volta che li aveva ammirati di
persona. Non
riconobbe invece il ragazzino che trotterellava festante di fianco al
nobile, vestito
con uno strano abito bianco e blu.
«Ti
presento i tuoi garanti e i tuoi istruttori» li introdusse
il maestro, con un gesto cerimonioso.
Per
quanto Kiku vantasse un volto di granito, non riuscì ad
arginare del tutto la sua commozione. Era convinto che il sovrano lo
avesse
salvato per capriccio, e che si fosse scordato di lui dopo averlo
lasciato in
accademia. Lui non avrebbe mai dimenticato la gentilezza del regnante,
che lo
aveva strappato alla morte, ma sapeva che per il Figlio del Cielo lui
sarebbe
rimasto insignificante come la ghiaia che calpestava nel suo giardino.
Un
simile interessamento era qualcosa che un povero orfano non avrebbe mai
potuto
sperare, nemmeno in cento anni. Era la prima volta, in tutta la sua
vita, che Kiku
si sentiva indispensabile e accettato, come se avesse trovato il posto
in cui
cucire il suo piccolo ricamo nell’immenso arazzo del Sistema
Asean.
Si
inginocchiò, porgendo la spada al sovrano e chinando la
testa, in modo da celare i suoi occhi lucidi.
«Mio
signore» recitò, come da cerimoniale.
«La mia forza e
le mie armi sono al vostro servizio.»
Yao
sollevò la spada dalle sue mani e la strinse al petto.
Accettando quella lama, aveva formalmente riconosciuto quel giovane
come
guerriero reale.
«Alza
il viso, Kiku» lo invitò con garbo il regnante,
restituendogli la spada. «Non è possibile studiare
a capo chino.»
«Concedetemi
qualche istante. Vi prego.»
Il
Figlio del Cielo e il Portavoce del Sole si scambiarono
un’occhiata complice: l’orgoglioso guerriero non
voleva mostrare le sue
lacrime. Finsero entrambi di non aver intuito il motivo
dell’esitazione del
giovane, e attesero che il ragazzo sollevasse spontaneamente il capo.
«Abbiamo
molto da insegnarti, Kiku» lo spronò Yao,
regalandogli uno dei suoi sorrisi che strappavano la luce al sole.
***
Heracles
si era divertito un mondo ad ascoltare i resoconti
di Kiku su quel periodo.
Pensava
che i nobili fossero rigidi come le statue d’oro dei
loro palazzi. Rise di gusto mentre l’usignolo gli raccontava
con la voce di
Kiku come Young Soo fosse esuberante: a dispetto del suo titolo
altisonante,
quel ragazzino era una forza della natura irrefrenabile, che rimbalzava
da una
parte all’altra della stanza snocciolando precetti ed
eseguendo numeri di
magia. Young Soo si occupava della sua istruzione militare, evocando
mostri con
cui Kiku combatteva per abituarsi a lottare in ogni situazione e contro
ogni
avversario. Aveva sconfitto dragoni, golem e costrutti
d’argilla; talvolta,
Young Soo gli lanciava degli incantesimi durante il combattimento, per
abituarlo
a prestare attenzione anche a eventuali avversari secondari.
La
prima volta che lo aveva fatto, Kiku si era infuriato a
morte: non aveva urlato, ma il suo volto era diventato livido in una
rabbia
silenziosa. Quello era stato l’unico momento in cui anche
Young Soo aveva
parlato con serietà.
«Se
diventerai Samurai, sarai incaricato della sicurezza del
sovrano. E i tuoi nemici non osserveranno i turni, per combattere: ti
arriveranno tutti addosso in un solo momento. E devo assicurarmi che tu
non
permetterai a nessuno di loro, per nessun motivo, di far del male al
fratellone.»
La
furia di Kiku si era spenta in comprensione. Il ruolo che
mirava a ricoprire non era un gioco: se non fosse riuscito a proteggere
il
Figlio del Cielo, Chugoku avrebbe rischiato il tracollo, e il Sistema
Asean con
lui.
Raddrizzò
le spalle e si inchinò con il capo.
«Sono
pronto a riprendere l’allenamento» aveva annunciato.
Kiku
aveva impiegato qualche settimana per accettare il
carattere turbolento di Young Soo. Parlare con lui era come costruire
un fuoco
di artificio: bastava la minima disattenzione per farlo scoppiare.
Il
Portavoce del Sole era più morigerato durante le lezioni
di Yao, in cui entrambi venivano istruiti nella scrittura, nella
lettura e nei
classici del loro popolo. Nemmeno Young Soo aveva avuto mai frequentato
una
scuola.
Yao
era un ottimo insegnante: aveva la capacità di stimolare
interesse per la materia spiegata, e la pazienza necessaria a
rispondere a tutte
le loro domande e correggere tutti i loro errori.
Si
prendeva cura di loro, li istruiva e gli voleva bene:
Kiku sapeva che quelle caratteristiche erano proprie di un padre. Non
aveva
esperienza di rapporti familiari, ma lui, il Figlio del Cielo e il
Portavoce
del Sole sembravano proprio un bizzarro nido domestico: Yao era il
padre di
entrambi e Young Soo il suo inarrestabile fratello maggiore.
Il
Figlio del Cielo si complimentò quando i loro progressi
furono visibili: riuscivano a leggere fluidamente, a scrivere
sbagliando
pochissimi tratti negli ideogrammi e a rispondere a domande di cultura
generale.
Heracles
lo incoraggiava a dare del suo meglio, dopo avergli
riassunto le sue giornate nell’officina.
Kiku
ascoltava quelle favole della buonanotte dopo essersi
fatto il bagno serale, steso nel letto con le luci spente, in modo che
solo la
voce di Heracles riempisse la stanza.
Si
chiedeva se anche il suo amico provasse quella punta di
nostalgia, nel sentire i suoi racconti. Erano stati abituati a
condividere la
stessa porzione di mondo, per quanto piccola e infame. Era
così strano non
riuscire ad associare una faccia alle persone di cui Heracles gli
raccontava, a
non avere una mappa mentale dei luoghi in cui viveva.
Una
volta che gli esami fossero finiti, avrebbe chiesto a
Yao il permesso di recarsi in visita al paese dove l’amico
abitava.
Ruotò
lo sguardo verso la finestra, mentre progettava il suo
viaggio verso il sud del paese. Si rialzò sulla branda,
osservando sconcertato il
cielo. Era nero, completamente nero, senza nemmeno uno spillo di luna.
Non ci
avrebbe fatto caso, se non avesse letto in tanti trattati militari come
i
comandanti si orientassero di notte grazie alle stelle. Aveva chiesto a
Yao
cosa fosse una “stella” e il Figlio del Cielo gli
aveva risposto che era una
goccia di sole incastrata nel cielo notturno.
Ma
la volta celeste era scura come un pezzo di carbone. Non
si era mai soffermato su quel fatto, all’orfanotrofio: al
termine della
giornata di lavoro, crollavano tutti in pochi secondi sui loro
pagliericci. Non
avrebbero avuto nemmeno il tempo di guardare il cielo; e poi, nessuno
di loro
sapeva dell’esistenza delle “stelle”.
«Da
quando il cielo di Chugoku è diventato così
nero?»
chiese il giorno dopo a lezione.
Young
Soo aveva appoggiato il libro che stava leggendo per
rivolgere uno sguardo preoccupato a Yao, quasi temesse che potesse
cominciare a
sanguinare da un momento all’altro: sapeva che per il
fratellone sarebbe stato
tremendamente doloroso rivivere i ricordi di uno dei suoi avi.
Nonostante ciò,
il Figlio del Cielo rispose con ineffabile compostezza a quella domanda:
«Circa
quattrocento anni fa, la flotta della Compagnia di
Britannia cercò di conquistare le nostre terre. Per alcuni
anni, Chugoku fu una
loro colonia. Riuscimmo a riconquistare il nostro pianeta e la nostra
libertà,
ma il prezzo fu il sacrificio di innumerevoli vite. Da allora, Chugoku
e i
pianeti maggiori del Sistema Asean hanno eretto uno schermo magico per
dirottare gli attacchi nemici. Ovviamente, è stato creato in
modo da non
impedire ai raggi solari del Palazzo di Quarzo di filtrare, o il
pianeta
sarebbe avvizzito in pochi giorni. Tuttavia, la luce delle stelle e
della luna
fu considerata un orpello inutile.»
Yao
appoggiò i suoi occhi scuri sul lussureggiante giardino
imperiale, al di là della finestra.
«Abbiamo
pagato la nostra libertà con il sangue, e abbiamo
ottenuto la sicurezza sacrificando la luna e le stelle.»
Il
Figlio del Cielo li fissò di nuovo con la sua espressione
più affabile e gli ricordò, indulgente:
«Abbiamo
interrotto la lezione. Riprendiamo.»
Young
Soo e Kiku annuirono, ma a nessuno dei due era
sfuggita l’amarezza con cui il sovrano aveva ricordato quegli
avvenimenti.
Sacrificare la luce per la sicurezza non era una scelta priva di
ripensamenti.
Young
Soo scribacchiò qualcosa su un foglio di carta, che
gli passò furtivamente poco dopo.
Kiku
lo aprì dietro il libro e lesse: “Riportiamo le
stelle
a Chugoku?”.
Il
guerriero asserì, e il Portavoce sorrise. Una nuova
alleanza era appena nata.
***
Young
Soo evocò un enorme drago di fiamme, che volò in
cielo
con un ruggito e deflagrò in un gigantesco fuoco
d’artificio.
«Per
il nostro Kiku, che oggi ha passato l’esame di cultura
generale!» esultò, battendo una sonora pacca sulle
spalle d’acciaio del
guerriero.
«È
presto per congratularsi» minimizzò il soldato.
«Non sono
ancora diventato Samurai.»
«Ma
ogni passo è una vittoria» celebrò Yao,
alzando la
piccola tazza di sakè.
«E, come tale,
va festeggiato.»
Young
Soo riempì il bicchierino di Kiku, versandogli
metà
della bottiglia sulle mani per la troppa baldanza.
«Hai
recuperato in pochi mesi interi anni di studio» si
congratulò il Portavoce del Sole. «Sii fiero di te
stesso!»
Il
guerriero avrebbe voluto replicare che la strada da
percorrere era ancora lunga, ma nessuno dei due sembrava disposto ad
ascoltarlo: Young Soo era troppo impegnato a riempirgli il bicchiere, e
Yao era
intenzionato a festeggiare, sebbene in modo più serafico.
Kiku,
il soldato d’acciaio, scoprì di tollerare assai
poco
l’alcol: il primo sorso gli incendiò la gola, e
rischiò quasi di sputarlo
addosso al Figlio del Cielo. Strabuzzò gli occhi e
gonfiò le guance, prima di
ingoiare la malefica boccata.
«Abbiamo
trovato il tuo punto debole» sorrise angelico Yao,
sorbendo il suo sakè.
Un
frastuono terribile sopraggiunse dall’entrata principale,
interrompendo il loro festeggiamento. Kiku fece loro cenno di non
muoversi,
sguainò la katana e
corse al massimo
della sua velocità verso i cancelli del palazzo. Si
bloccò di botto non appena
vide il responsabile di tutta quella confusione. Le guardie stavano
trattenendo
uno spaesato ragazzo di campagna, che reggeva tra le mani un lungo
fagotto
avvolto da stracci e cordoncini.
I
lineamenti squadrati e l’espressione smarrita erano
inconfondibili: il suo amico non era cambiato, in quegli anni.
«Heracles?»
lo chiamò, calmo a dispetto del marasma tutto
intorno.
Le
sentinelle si voltarono verso Kiku, e domandarono:
«Lo
conoscete?»
Il
giovane rinfoderò la spada per dare il buon esempio alle
guardie, che a loro volta abbassarono le armi.
«Sì.
Non farà del male a nessuno. Lasciatelo entrare»
garantì.
Heracles
si fece largo con titubanza tra i vigilanti, come
se temesse di essere infilzato da un momento all’altro.
Sapeva che Kiku era una
specie di leggenda nel Palazzo Imperiale, ma non riusciva a scrollarsi
di dosso
il loro primo, traumatico imprinting con
l’autorità: all’orfanotrofio, nessuno
avrebbe ascoltato le preghiere di un bambino abbandonato.
Heracles
si affrettò a raggiungerlo, e Kiku lo condusse velocemente
verso la sua stanza: il suo amico non era abituato al fasto del Palazzo
Imperiale, e camminava come se le mura stesse giudicassero le sue
azioni. Il
suo volto si rilassò non appena furono da soli in camera,
nascosti agli occhi
inquisitori del Palazzo.
«Non
mi avevi detto che saresti venuto a trovarmi» lo
salutò
Kiku, sedendosi a terra.
Heracles
lo imitò, impacciato. Il suo amico si era evoluto
enormemente, negli ultimi anni. Non era più un orfano sporco
e analfabeta: era
diventato un guerriero colto, che concorreva per il titolo di Samurai,
e che si
muoveva con naturalezza nel lusso della corte imperiale. Al contrario,
lui pareva
un sasso gettato tra le pietre preziose.
«Volevo
farti una sorpresa» spiegò flemmatico.
«Era come
avevi detto tu: tre giorni a piedi.»
Kiku
gli regalò quel suo sorriso particolare, che non
curvava le labbra ma illuminava gli occhi.
«Te
ne ricordavi?» le sue sopracciglia di pece si
incontrarono in un interrogativo, fissando il suo bizzarro bagaglio.
«Cos’è
quello?»
Heracles
spacchettò veloce il suo dono. Gonfiò il petto
con
orgoglio quando la luce colò senza impedimenti sulla lama
perfettamente
affilata.
Kiku
poggiò gli occhi sulla spada più bella che avesse
mai
visto. L’amico la tenne in equilibrio sul polso, per fargli
ammirare il
bilanciamento impeccabile tra elsa e lama.
Il
guerriero allungò le mani quasi con reverenza, e il
giovane fabbro gli permise di afferrare quella meraviglia di acciaio.
Kiku
contemplò la lucida perfezione della lama, la cura maniacale
negli intarsi
dell’elsa, raffigurante un dragone, e il prezioso rubino
incastrato tra le
fauci del rettile.
Si
rialzò in piedi per farla roteare in una serie di figure:
la lama quasi cantò, serpeggiando nell’aria come
fosse dotata di vita propria.
Heracles
ammirò le movenze dell’amico. Era davvero
maturato,
da quando giocavano ai guerrieri con dei bastoncini ritorti: sembrava
quasi che
lo spazio stesso si trasformasse per assecondare le sue figure di
combattimento.
«Hai
fatto un lavoro encomiabile» si congratulò Kiku.
Heracles rifiutò la spada che l’amico stava
tentando di restituirgli e
dichiarò:
«È
il mio regalo per te. Hai superato un esame tremendo.»
Kiku
lo osservò, confuso.
«L’esito
dell’esame è stato rivelato solo oggi. Non potevi
saperlo, tre giorni fa» contestò.
«Non
conoscevo l’esito dell’esame, ma conosco te. Sapevo
che
ce l’avresti fatta» dichiarò sicuro
l’altro.
Il
guerriero portò nuovamente i suoi occhi di ossidiana
sulla spada: quel capolavoro di officina era suo. Il suo amico
l’aveva creato
appositamente per lui.
«Quanto
hai impiegato a forgiarla?» domandò, senza alzare
gli occhi dalla lama.
Heracles
impiegò qualche istante per capire cosa l’amico
gli
avesse chiesto: la sua istruzione non era progredita più di
tanto,
nell’officina del fabbro, e faticava a capire i vocaboli
forbiti dell’amico.
Era decisamente passato molto tempo dall’ultima volta in cui
si erano visti.
«Un
mese, più o meno» quantificò
velocemente.
Trenta
giorni in cui il suo amico si era alzato con il
progetto della spada in mente, vi aveva lavorato tutto il tempo e si
era
addormentato con la speranza di perfezionarla il giorno successivo.
La
fatica del giovane fabbro sembrò trafiggerlo da quella
lama perfetta. Lui non aveva fatto niente di altrettanto grandioso, per
ricambiarlo.
«Grazie»
fu tutto ciò che la sua bocca filtrò dal
groviglio
di sentimenti che gli attanagliavano il petto.
Heracles
sorrise, lieto che gli anni trascorsi nel Palazzo
non avessero cancellato l’imbarazzo timido di Kiku, che
spuntava quando doveva
ringraziare per qualcosa.
Fece
per alzarsi, ma una mano indurita dagli allenamenti lo
bloccò.
«Allevi
ancora i gatti?» chiese Kiku.
«Sì…»
«Quanti?»
«Quattro.»
«Di
che colore sono?»
Lo
trattenne con le dita e con le domande, finché il suo
amico non si rimise a sedere e cominciarono a parlare come ai vecchi
tempi,
quando scorrazzavano nel giardino dell’orfanotrofio.
Erano
cambiate molte cose, in quegli anni, ma non la loro
amicizia. E la assaporarono appieno quel pomeriggio, quando finalmente
poterono
vedere le reazioni dell’altro alle proprie parole senza
limitarsi a
immaginarle.
Heracles
fu molto felice di scoprire che Kiku arrossiva
ancora, quando si facevano supposizioni sulla sua bellezza nuda.
***
«Kiku
non si vede più» si lamentò Young Soo.
«Chissà cos’è
successo all’entrata…»
«Oh,
io sono convinto che sia stato un incontro piacevole»
insinuò con eleganza Yao,
prima di terminare il suo bicchiere di sakè.
***
Il
Figlio del Cielo non fece commenti diretti sulla sua
assenza ai festeggiamenti. Lo colpì a tradimento con una
frecciatina casuale
qualche giorno dopo, durante una lezione di storia.
«Dovrò
far circolare un ritratto del tuo amico tra le guardie.
Così non lo attaccheranno, la prossima volta che
verrà a trovarti. O, forse,
preferirai fargli visita tu stesso.»
Young
Soo li aveva fissati alternativamente al di sopra del
libro di storia, senza capire a chi si riferissero. Kiku fu sul punto
di alzarsi,
tanta fu la veemenza con cui esclamò:
«Io
non intendevo mancare di rispetto…»
Yao
alzò una mano, quieto, invitandolo a sedersi di nuovo.
«Non
hai mancato di rispetto a nessuno. Anzi, trovo che sia
meraviglioso che la vostra amicizia sia così forte a
distanza di anni. Il tempo
ha la fastidiosa abitudine di sciupare le cose»
un’ombra di tristezza passò in
quegli occhi secolari, e un battito di palpebre la spazzò
via. «Solo, chiedigli
di annunciarsi, la prossima volta: il Palazzo non può essere
messo in allarme
per una visita confidenziale.»
«Sarà
fatto» garantì Kiku.
«Molto
bene» approvò Yao. «Riprendiamo la
lezione.»
Young
Soo non aveva ancora capito quale fosse l’oggetto
della discussione, ma tornò sulle pagine fitte di date senza
fare storie.
Il
Figlio del Cielo non diede voce al suo successivo
pensiero: Kiku si infiammava molto, quando si parlava del suo amico. La
cosa lo
rendeva molto felice: per lui, che era stato benedetto
dall’astro del fuoco,
era sempre un piacere vedere le fiamme divampare in quelle iridi nere.
Le
giornate successive trascorsero in sintonia con il
programma stilato: allenamenti e scontri si susseguirono rapidamente,
portando
Kiku alle selezioni finali per la carica di Samurai.
Yao
e Young Soo non potevano esprimere simpatie personali,
mentre assistevano agli scontri dalla balconata imperiale, ma gioivano
intimamente ogni volta che il loro lottatore preferito atterrava il suo
avversario, e l’arbitro lo dichiarava vincitore. I
festeggiamenti si svolgevano
a sera tra le mura riservate delle loro stanze, dove nessun occhio
esterno
avrebbe potuto interferire. Young Soo era sempre il più
chiassoso, nonché il
più goloso di sakè.
Kiku spediva
l’usignolo a Heracles con il resoconto della battaglia solo
dopo che i fumi
dell’alcol avevano abbandonato la sua lingua: non voleva che
l’amico lo
prendesse in giro per i suoi discorsi sbiascicati dalla sbornia.
La
notizia giunse mentre il medico di corte stava ricucendo
un taglio sulla spalla del giovane combattente. Aveva appena finito di
fasciare
la ferita suturata, quando Yao entrò nella stanza.
La
sua andatura non era cambiata, sempre elegante e ben
bilanciata, ma il fuoco del sovrano era stato smorzato da una colata di
cenere.
Kiku si sentì quasi minacciato da quell’aurea
funerea.
Il
dottore abbandonò la stanza dopo essersi inchinato al
sovrano, che si avvicinò al suo protetto.
Kiku
si appoggiò la giacca militare sulle spalle, per non
ricevere il suo regnante a torso nudo. Il soldato analizzò
la tristezza che
incupiva il volto del sovrano, la lieve incurvatura della schiena e la
cautela
con cui si muoveva, quasi temesse di spezzare l’aria;
sommò tutti quei dettagli
e trasse la sua conclusione. C’era solo un motivo per cui il
regnante avrebbe
potuto avere tante riserve nei suoi confronti.
«È
successo qualcosa a Heracles?» domandò.
Yao
si congratulò interiormente per la perspicacia del
guerriero: sarebbe diventato un ottimo Samurai, se fosse riuscito a
superare
anche le ultime prove.
«È
arrivato un messaggero adesso…» Kiku non gli diede
modo
di terminare il suo commiato; l’arguzia del soldato
anticipò ogni sua premura.
«Se
hanno inviato addirittura un ambasciatore, deve essere
successo qualcosa di molto grave. È morto?»
Il
corpo, la voce e il viso di Kiku rimasero immobili, marmorei.
I suoi occhi si fecero piatti, come se i sentimenti fossero stati
risucchiati
all’interno. Kiku stava ritirando ogni possibile emozione per
non esporla al
mondo esterno; era il suo sistema difensivo da sempre.
Yao
lo sapeva, ma si sentì intimamente ferito da quella
levata di scudi: non credeva che il suo figlioccio lo ritenesse
così poco degno
di fiducia.
«Nessuno
sa come sia successo» rivelò il Figlio del Cielo,
con il massimo tatto possibile. «Lo ha trovato il fabbro,
riverso a terra. Non
ha ferite o contusioni sul corpo, non sono state trovate tracce di
veleno.
Kiku…»
«Se
parto ora, sarò di ritorno in una settimana» il
giovane
infilò la giacca e la richiuse velocemente, per poi
riappropriarsi della sua
spada e avviarsi verso l’uscita. «Tra otto giorni
avrò il prossimo scontro.
Farò in tempo» e scomparve nel corridoio.
Poche
ore dopo, il guerriero abbandonò il Palazzo a dorso di
cavallo.
Young
Soo entrò in punta di piedi nella stanza di Yao; il
Figlio del Sole era adagiato sul suo trono, abbracciato dalla penombra
del
tramonto.
«Come
è andata?» domandò, accucciandosi ai
piedi del
sovrano, con i gomiti appoggiati sullo scranno. Yao gli
accarezzò la testa
pettinandogli all’indietro la frangia, e riassunse:
«Non
ha pianto, non ha urlato. È corso al villaggio per
assistere ai funerali.»
«Kiku
è proprio forte, se non ha nemmeno pianto»
considerò
Young Soo. Le dita del Figlio del Cielo si fermarono sulla sua testa,
raggelate.
«No.
È l’opposto» Yao ritirò la
mano all’interno dell’ampia
manica. «È così fragile che non
può permettere alle lacrime di scorrere: una
diga corrosa può andare in pezzi, se consente a una goccia
d’acqua di passare
tra le sue crepe.»
Il
Portavoce del Sole scattò in piedi, allarmato.
«Non
voglio che Kiku vada in pezzi!» esclamò.
«Cosa possiamo
fare?»
Il
Figlio del Cielo raccolse le pieghe di seta del suo abito
in grembo. La sua risposta fu un’unica parola.
«Aspettare.»
***
Kiku
tornò allo scadere del settimo giorno, come promesso.
Attraversò
l’entrata principale silenzioso come uno spettro.
Si imbatté in Young Soo al primo angolo del corridoio.
«Kiku…»
balbettò il Portavoce del Sole.
Il
guerriero scrutò adamantino il piccolo mago mentre questo
boccheggiava e gesticolava, senza riuscire a emettere suono; gli occhi
del
Portavoce si riempirono di lacrime, che ruppero gli argini poco dopo.
Prima che
Kiku potesse dire o fare qualunque cosa, Young Soo gli gettò
le braccia al
collo e gli bagnò la giacca con il suo pianto.
«Non
andare in pezzi, …» fu tutto quello che il soldato
riuscì a comprendere dal suo farfugliare. Il guerriero gli
batté alcune pacche
sulle spalle per tranquillizzarlo e, una volta che si fu calmato, si
discostò
da lui per poi imboccare il corridoio che conduceva alla sua stanza.
«Le
dighe crepate si riparano» gli gridò dietro Young
Soo,
asciugando le ultime lacrime sulle maniche troppo lunghe. «E
si riparano meglio
insieme!»
Kiku
non si fermò al richiamo del Portavoce del Sole. Temeva
che, se si fosse voltato, tutte le barriere che aveva eretto per
contenere il
suo dolore sarebbero crollate. Non aveva previsto che un avversario
molto più
ostico del ragazzo di Kankoku lo stesse aspettando nella sua stanza.
«Bentornato»
lo salutò Yao, finemente seduto sul bordo del
suo letto.
Kiku
rimase per un attimo congelato sulla soglia della
camera. Raggiunse il letto a passi marziali, e si mise a sedere su di
esso in
una posa rigida, fissando la porta e non il Figlio del Cielo.
I
loro respiri scandirono lo scorrere di alcuni minuti,
prima che Yao esordisse, con voce vellutata:
«Soffrire
non è un disonore, Kiku. Nemmeno le lacrime lo
sono. Significano che non sei così egoista da pensare solo a
te stesso.»
Il
guerriero rimase immobile e muto come una statua di
terracotta. Yao proseguì, morbido:
«Il
lutto è un cancro: se non lo asporti in modo
appropriato, si diffonderà in tutto il corpo. A volte, il
bisturi migliore è
l’orecchio di un compagno.»
Kiku
non rispose nemmeno a quell’appello. Il Figlio del
Cielo abbassò il capo, sebbene gli fosse difficile accettare
il silenzio
dell’altro. Lui avrebbe affidato la vita a Kiku, e lo feriva
profondamente
pensare che lui non gli avrebbe consegnato nemmeno una confidenza.
Stava
per abbandonare la camera quando le parole del
guerriero lo trafissero in mezzo alle spalle.
La
testa era chinata e le mani strette tra di loro, e le
parole si trascinarono faticosamente fuori dalle sue labbra contratte.
«Quando
sono arrivato là…» cominciò.
«… non ho riconosciuto
nulla. Ero abituato a conoscere tutti i posti in cui Heracles stava.
All’orfanotrofio, il nostro mondo era piccolo; quella
città era immensa e…»
Kiku scrollò la testa, ma tenne lo sguardo piantato a terra.
«Sono arrivato
dove si teneva il funerale. Il fabbro mi ha guardato e mi ha chiesto:
“Lo
conoscevi?”»
Quelle
parole caddero come macigni nel silenzio improvviso. Yao
si avvicinò di nuovo a lui, mentre il soldato confessava:
«All’orfanotrofio
tutti sapevano che eravamo amici. Nessuno
mi avrebbe chiesto se lo conoscevo. In quel momento ho capito quanto
fossimo
stati lontani in questi anni.»
Il
Figlio del Cielo raccolse le pieghe del suo abito con una
mano per inginocchiarsi di fronte a lui.
«Rimpiangi
di aver scelto la via della spada?» domandò
garbato Yao.
Kiku
scosse la testa. Le mani del Figlio del Cielo si
appoggiarono delicate sui suoi capelli corvini, come avrebbero fatto
quelle di
un padre.
«Spesso
la vita ci mette davanti a dei bivi. Chiedersi
troppo insistentemente cosa avremmo ottenuto se avessimo imboccato la
via
opposta può distruggerci.»
Kiku
negò nuovamente con il capo. Gli occorse qualche
secondo per riuscire ad articolare:
«Non
rimpiango la mia scelta. Ma avrei voluto avere tempo di
ripagare la sua gentilezza.»
Si
sottrasse alle carezze del Figlio del Cielo, sempre a
occhi bassi, ed estrasse da sotto il letto un fagotto di stracci e
cordoncini.
Yao si stupì enormemente quando una stupenda spada emerse da
quell’involto di
tessuto grezzo.
«Te
l’ha regalata lui?» chiese, apprezzando la mirabile
fattura dell’arma.
«L’ha
creata lui.»
Yao
schiuse le labbra in una moderata sorpresa: l’amicizia
profonda che li legava era impressa in ogni centimetro di quel ferro
magnifico.
«E
tu non gli hai regalato nulla in cambio?»
Il
Figlio del Cielo trasse le sue conclusioni dal silenzio
di piombo che colò su di lui. Il sovrano poggiò
di nuovo le sue mani setose
sulla testa del giovane, in ginocchio davanti a lui.
«Sai,
Kiku, credo che le cose che pesano di più, tra noi e i
morti, siano le occasioni perdute. Tu non rimpiangi la tua scelta. Ma
sono
rimaste tante cose che avresti voluto dire e fare, e la morte ti ha
strappato
l’opportunità di metterle in pratica.»
«È
una situazione senza rimedio.»
«Sbagliato.
Il rimedio esiste. Dentro di noi.»
Yao
accarezzò con più dolcezza quei capelli morbidi,
e
continuò:
«Tu
ora stai guardando solo alle cose che non hai potuto
fare. Ma pensa a quello che hai fatto: lo hai liberato, Kiku. Se non ci
fossi
stato tu, sarebbe morto sotto la sferza del suo maestro. Tu lo hai
salvato…»
«È
morto ugualmente.»
«È
il destino dei mortali, è inevitabile. Ma è morto
da uomo
libero. E quella libertà
gliel’hai
donata tu. Quindi non pensare di non essere riuscito a ricambiare:
questa spada
meravigliosa è stata il suo modo di ringraziarti per il
regalo inestimabile che
gli hai fatto.»
Lo
sguardo di Kiku continuò a evitare quello di Yao, e il
Figlio del Cielo appoggiò le dita sulle sue, strette a pugno.
«Te
l’ho detto. Soffrire non è un disonore.»
Finalmente,
le spalle del guerriero si sciolsero nei
singhiozzi trattenuti per tutti quei giorni. Le maniche del Figlio del
Cielo si
stesero sulla sua schiena curva, mentre il sovrano lo stringeva in un
abbraccio
paterno.
Heracles
non avrebbe mai più rincorso i gatti, non avrebbe
più forgiato spade, non avrebbe più gettato tutto
il Palazzo nello scompiglio
per una gita non annunciata. Non riusciva ad accettare che il suo
migliore amico
se ne fosse andato in un modo tanto assurdo. Doveva fare qualcosa per
ricordarlo e strapparlo a quella morte così insensata.
Si
staccò dal Figlio del Cielo con gli occhi ancora gonfi di
lacrime, afferrò la spada e la fece scintillare nella luce
del crepuscolo.
«Diventerò
il Samurai» la sua voce era intrisa di pianto, ma
tremendamente ferma. «Heracles mi condurrà alla
vittoria.»
Yao
accettò la sua decisione con condiscendenza, e
confermò:
«È
un bel nome per una spada» il Figlio del Cielo condusse
la sua arma verso il basso, e lo accolse di nuovo tra le sue braccia.
«Ma
adesso non è tempo di combattere. Adesso devi
sfogarti.»
Le
mani forti del guerriero si strinsero sulle sue spalle
sottili, mentre le sue lacrime gli bagnavano il petto.
Young
Soo si trattenne dal bussare alla porta, sentendo i
singhiozzi di Kiku all’interno. Non aveva voluto condividere
il suo dolore con
lui, ma lo aveva fatto con il fratellone.
Si
allontanò, scalpicciando festoso nei corridoi.
Il
Portavoce era una persona troppo semplice per offendersi
per una cosa del genere: era semplicemente felice che quel suo fratello
dalla
testa dura fosse riuscito a piangere, alla fine.
***
Heracles
svettò vittoriosa nel cielo il giorno successivo.
Kiku
si candidò ufficialmente alla sfida finale per la
carica di Samurai.
Ed
eccoci qui
con il capitolo su Kiku<3
Ma
la sua storia
non è finita: ci sarà ancora qualche capitolo
(due, all’incirca) sul passato
degli orientali, e poi si tornerà al presente e al piano per
riportare Yao sul
suo trono u.u E, nei prossimi capitoli, verrà ripreso il
discorso sulle stelle,
quindi tenetelo a mente 8D
E
tra poco… un
certo eroe di nostra conoscenza farà la sua apparizione XD
Anche se questa
volta sarà senza hamburger e bibitoni xD
Grazie
per
seguire questa storia<3<3<3
Ci
rivediamo il
diciassette!
Red<3