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Autore: HamletRedDiablo    03/02/2014    5 recensioni
L’equilibrio della Confederazione Siderale era garantito da tempi immemori dall’Asse, il primogenito della famiglia Vaticana Vargas; l’Asse era il cardine su cui ruotava tutto l’universo conosciuto.
Ma due gemelli avrebbero fatto precipitare anche il cielo, pur di ricongiungersi con il consanguineo.
«Saresti davvero disposto a tradire la tua famiglia?»
«Voglio liberare mio fratello dal Palazzo. Non mi importa del resto.»
«E faresti qualunque cosa?»
«Qualunque cosa.»
Una mano abbronzata sventolò sotto il suo naso, in una precisa offerta.
«Sei pronto a unirti alla mia ciurma?»

Coppie: GerIta, Spamano, RoChu, PruCan (altre si uniranno in seguito)
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Germania/Ludwig, Nord Italia/Feliciano Vargas, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo Diciassette: Heracles

 

Il giovane orfano fece in modo che il sovrano non dovesse mai rimpiangere la sua decisione.

Raggiunse il castello la settimana successiva, con un fagotto contenente i suoi pochi averi.

Si era concesso qualche giorno per separarsi dal suo migliore amico: lui e Heracles erano scappati al mare, e si erano divertiti con le onde, la sabbia e la pesca.

«Così te ne andrai nella capitale» ansò Heracles, quando si stesero sulla spiaggia assolata dopo una lunga immersione. «È molto lontana da qui?»

«Circa tre giorni a piedi, uno a cavallo» calcolò rapido Kiku.

«Non ci vedremo più?»

«Troverò un sistema.»

Heracles sorrise, socchiudendo gli occhi nella luce abbagliante del sole. Kiku trovava sempre una via di uscita; era riuscito perfino a tirarli fuori dall’orfanotrofio.

Il ragazzo rabbrividì, nonostante la temperatura mite. I calci del maestro gli avevano lasciato dei lividi scuri sulla pancia, e il labbro spaccato era ancora gonfio e gli pizzicava ogni volta che si immergeva nell’acqua salata del mare. Ma era libero, e lo doveva solo a Kiku, che non aveva avuto paura di sporcarsi le mani per salvarlo.

Stava perfino per essere adottato dal fabbro del villaggio, che si era impietosito ascoltando la sua storia. Pareva assurdo che, fino a pochi giorni prima, il suo futuro finisse con il tramontare del sole: non era mai sicuro che sarebbe sopravvissuto fino all’alba.

«Sono orgoglioso di te» gongolò Heracles. «Lavorerai nel Palazzo Imperiale… sarà fantastico.»

Kiku aspirò le labbra nella bocca, per assaggiare il sale marino lì imprigionato.

Aveva temuto che Heracles lo avrebbe guardato come gli altri loro compagni: erano contenti di essere stati salvati, ma avevano visto la sua furia mentre spaccava il cranio del tutore. Avevano paura di lui, anche se volevano essergli grati. Heracles era troppo candido o troppo stupido per spaventarsi: il suo comportamento non era cambiato minimamente, come se Kiku li avesse liberati con uno slancio eroico e non con un omicidio.

Lo avrebbe fatto diventare ancora più orgoglioso di lui, e avrebbe fatto in modo che potessero continuare a sentirsi.

Una volta raggiunto il castello, chiese a Yao se esistesse un modo per comunicare con una persona che non sapesse né leggere né scrivere, e il Figlio del Cielo gli aveva proposto un usignolo meccanico, in grado di registrare messaggi vocali e riprodurli all’interessato, una volta impostata la destinazione. Ma quell’oggetto aveva un prezzo: Kiku avrebbe dovuto superare l’esame per entrare nell’accademia militare.

Il ragazzo soddisfò quella richiesta la settimana successiva, e l’usignolo partì per raggiungere Heracles. Tornò indietro quattro giorni dopo con la risposta dell’amico, e ripartì il giorno successivo con la replica di Kiku.

Trovava sempre tempo per registrare un messaggio per Heracles, nonostante la vita nell’accademia fosse molto impegnativa.

Appena arrivato, gli avevano rasato i capelli fino alla radice, e Kiku era stato contento di quel taglio drastico: era stato un ottimo rimedio per i pidocchi, congiunto alla lozione che il Figlio del Cielo gli aveva fatto avere.

I maestri avevano notato in lui un’enorme determinazione, e uno spiccato talento per le spade: le lame stesse sembravano sforzarsi per armonizzarsi alle sue inesperte movenze, goffe come quelle di tutti i novellini. La posizione delle gambe poteva essere scorretta o il movimento troppo veloce, ma vi era una sintonia particolare tra quel giovane e le spade, come se cercassero insieme il modo migliore di scivolare nell’aria. All’interno dell’accademia, fu il primo a impadronirsi di una destrezza sufficiente per accedere al secondo livello degli allenamenti. Quella promozione fu approvata anche dai medici militari responsabili della salute degli allievi: gli arti scheletrici del giovane si erano finalmente gonfiati in una parvenza di muscolo e carne, e gli allenamenti successivi, abbinati a una giusta dieta, avrebbero certamente irrobustito il suo fisico.

Kiku si sottopose agli addestramenti più duri, con una dedizione tale da risultare sconcertante: sembrava che il giovane mettesse in ogni colpo la sua stessa vita, tanto era concentrato nel far vibrare la spada.

«Hai mai pensato di concorrere per la carica di Samurai?» gli domandò un giorno il suo maestro di spada.

Kiku si passò un panno bagnato sul volto: non era decoroso parlare con i propri superiori con il viso congestionato.

«Non ci ho mai pensato, signore» asserì il giovane, neutro. «Non appartengo a un rango sociale sufficientemente elevato.»

«Ma ti esprimi molto bene, per essere un orfano.»

«I kami mi hanno fornito due buone orecchie, signore, e una memoria abbastanza capiente.»

«E una retorica invidiabile, per una persona che non ha mai aperto un libro» il maestro rinfoderò la spada e considerò: «Sarebbe difficile diventare Samurai, ma non impossibile. Dovresti superare un esame di cultura generale. Solo le persone colte possono stare al cospetto del Figlio del Cielo.»

«E dovrei sfidare e sconfiggere i guerrieri più forti del Sistema Asean» aggiunse Kiku.

«Ma questo non sarebbe un problema. Raramente ho visto un talento smisurato come il tuo» l’insegnante gli si piazzò davanti, e pretese l’attenzione dei suoi occhi neri: «Posso trovarti un maestro che ti aiuti con gli studi culturali. E posso trovare un nobile che ti faccia da garante per permetterti di accedere alle selezioni.»

Kiku si sedette sul terreno sabbioso dell’arena in ginocchio, con la schiena perfettamente dritta e la katana stretta in pugno, perpendicolare al suo fianco. Il maestro lo osservò mentre il giovane chiudeva gli occhi, sprofondando nelle sue meditazioni. Sembrava una delle statue di bronzo raffiguranti i Samurai delle leggende; quel ragazzo sarebbe sicuramente entrato nella mitologia dei guerrieri.

Kiku sollevò il suo sguardo d’ebano dopo qualche secondo, si rialzò in piedi e scandì, marziale:

«Sono pronto ad accettare questa prova, signore.»

Il maestro sorrise e si sminuì, alzando una mano come per frenare il ragazzo:

«Oh, ma non sarò io a occuparmi della tua istruzione. Qualcun altro si è già offerto per questo ruolo.»

Come evocata dalle sue parole, una figura impaludata di rosso si materializzò nel rettangolo grezzo dello stipite.

Riconobbe istantaneamente quei lineamenti regali, anche se erano passati mesi dall’ultima volta che li aveva ammirati di persona. Non riconobbe invece il ragazzino che trotterellava festante di fianco al nobile, vestito con uno strano abito bianco e blu.

«Ti presento i tuoi garanti e i tuoi istruttori» li introdusse il maestro, con un gesto cerimonioso.

Per quanto Kiku vantasse un volto di granito, non riuscì ad arginare del tutto la sua commozione. Era convinto che il sovrano lo avesse salvato per capriccio, e che si fosse scordato di lui dopo averlo lasciato in accademia. Lui non avrebbe mai dimenticato la gentilezza del regnante, che lo aveva strappato alla morte, ma sapeva che per il Figlio del Cielo lui sarebbe rimasto insignificante come la ghiaia che calpestava nel suo giardino. Un simile interessamento era qualcosa che un povero orfano non avrebbe mai potuto sperare, nemmeno in cento anni. Era la prima volta, in tutta la sua vita, che Kiku si sentiva indispensabile e accettato, come se avesse trovato il posto in cui cucire il suo piccolo ricamo nell’immenso arazzo del Sistema Asean.

Si inginocchiò, porgendo la spada al sovrano e chinando la testa, in modo da celare i suoi occhi lucidi.

«Mio signore» recitò, come da cerimoniale. «La mia forza e le mie armi sono al vostro servizio.»

Yao sollevò la spada dalle sue mani e la strinse al petto. Accettando quella lama, aveva formalmente riconosciuto quel giovane come guerriero reale.

«Alza il viso, Kiku» lo invitò con garbo il regnante, restituendogli la spada. «Non è possibile studiare a capo chino.»

«Concedetemi qualche istante. Vi prego.»

Il Figlio del Cielo e il Portavoce del Sole si scambiarono un’occhiata complice: l’orgoglioso guerriero non voleva mostrare le sue lacrime. Finsero entrambi di non aver intuito il motivo dell’esitazione del giovane, e attesero che il ragazzo sollevasse spontaneamente il capo.

«Abbiamo molto da insegnarti, Kiku» lo spronò Yao, regalandogli uno dei suoi sorrisi che strappavano la luce al sole.

 

***

 

Heracles si era divertito un mondo ad ascoltare i resoconti di Kiku su quel periodo.

Pensava che i nobili fossero rigidi come le statue d’oro dei loro palazzi. Rise di gusto mentre l’usignolo gli raccontava con la voce di Kiku come Young Soo fosse esuberante: a dispetto del suo titolo altisonante, quel ragazzino era una forza della natura irrefrenabile, che rimbalzava da una parte all’altra della stanza snocciolando precetti ed eseguendo numeri di magia. Young Soo si occupava della sua istruzione militare, evocando mostri con cui Kiku combatteva per abituarsi a lottare in ogni situazione e contro ogni avversario. Aveva sconfitto dragoni, golem e costrutti d’argilla; talvolta, Young Soo gli lanciava degli incantesimi durante il combattimento, per abituarlo a prestare attenzione anche a eventuali avversari secondari.

La prima volta che lo aveva fatto, Kiku si era infuriato a morte: non aveva urlato, ma il suo volto era diventato livido in una rabbia silenziosa. Quello era stato l’unico momento in cui anche Young Soo aveva parlato con serietà.

«Se diventerai Samurai, sarai incaricato della sicurezza del sovrano. E i tuoi nemici non osserveranno i turni, per combattere: ti arriveranno tutti addosso in un solo momento. E devo assicurarmi che tu non permetterai a nessuno di loro, per nessun motivo, di far del male al fratellone.»

La furia di Kiku si era spenta in comprensione. Il ruolo che mirava a ricoprire non era un gioco: se non fosse riuscito a proteggere il Figlio del Cielo, Chugoku avrebbe rischiato il tracollo, e il Sistema Asean con lui.

Raddrizzò le spalle e si inchinò con il capo.

«Sono pronto a riprendere l’allenamento» aveva annunciato.

Kiku aveva impiegato qualche settimana per accettare il carattere turbolento di Young Soo. Parlare con lui era come costruire un fuoco di artificio: bastava la minima disattenzione per farlo scoppiare.

Il Portavoce del Sole era più morigerato durante le lezioni di Yao, in cui entrambi venivano istruiti nella scrittura, nella lettura e nei classici del loro popolo. Nemmeno Young Soo aveva avuto mai frequentato una scuola.

Yao era un ottimo insegnante: aveva la capacità di stimolare interesse per la materia spiegata, e la pazienza necessaria a rispondere a tutte le loro domande e correggere tutti i loro errori.

Si prendeva cura di loro, li istruiva e gli voleva bene: Kiku sapeva che quelle caratteristiche erano proprie di un padre. Non aveva esperienza di rapporti familiari, ma lui, il Figlio del Cielo e il Portavoce del Sole sembravano proprio un bizzarro nido domestico: Yao era il padre di entrambi e Young Soo il suo inarrestabile fratello maggiore.

Il Figlio del Cielo si complimentò quando i loro progressi furono visibili: riuscivano a leggere fluidamente, a scrivere sbagliando pochissimi tratti negli ideogrammi e a rispondere a domande di cultura generale.

Heracles lo incoraggiava a dare del suo meglio, dopo avergli riassunto le sue giornate nell’officina.

Kiku ascoltava quelle favole della buonanotte dopo essersi fatto il bagno serale, steso nel letto con le luci spente, in modo che solo la voce di Heracles riempisse la stanza.

Si chiedeva se anche il suo amico provasse quella punta di nostalgia, nel sentire i suoi racconti. Erano stati abituati a condividere la stessa porzione di mondo, per quanto piccola e infame. Era così strano non riuscire ad associare una faccia alle persone di cui Heracles gli raccontava, a non avere una mappa mentale dei luoghi in cui viveva.

Una volta che gli esami fossero finiti, avrebbe chiesto a Yao il permesso di recarsi in visita al paese dove l’amico abitava.

Ruotò lo sguardo verso la finestra, mentre progettava il suo viaggio verso il sud del paese. Si rialzò sulla branda, osservando sconcertato il cielo. Era nero, completamente nero, senza nemmeno uno spillo di luna. Non ci avrebbe fatto caso, se non avesse letto in tanti trattati militari come i comandanti si orientassero di notte grazie alle stelle. Aveva chiesto a Yao cosa fosse una “stella” e il Figlio del Cielo gli aveva risposto che era una goccia di sole incastrata nel cielo notturno.

Ma la volta celeste era scura come un pezzo di carbone. Non si era mai soffermato su quel fatto, all’orfanotrofio: al termine della giornata di lavoro, crollavano tutti in pochi secondi sui loro pagliericci. Non avrebbero avuto nemmeno il tempo di guardare il cielo; e poi, nessuno di loro sapeva dell’esistenza delle “stelle”.

«Da quando il cielo di Chugoku è diventato così nero?» chiese il giorno dopo a lezione.

Young Soo aveva appoggiato il libro che stava leggendo per rivolgere uno sguardo preoccupato a Yao, quasi temesse che potesse cominciare a sanguinare da un momento all’altro: sapeva che per il fratellone sarebbe stato tremendamente doloroso rivivere i ricordi di uno dei suoi avi. Nonostante ciò, il Figlio del Cielo rispose con ineffabile compostezza a quella domanda:

«Circa quattrocento anni fa, la flotta della Compagnia di Britannia cercò di conquistare le nostre terre. Per alcuni anni, Chugoku fu una loro colonia. Riuscimmo a riconquistare il nostro pianeta e la nostra libertà, ma il prezzo fu il sacrificio di innumerevoli vite. Da allora, Chugoku e i pianeti maggiori del Sistema Asean hanno eretto uno schermo magico per dirottare gli attacchi nemici. Ovviamente, è stato creato in modo da non impedire ai raggi solari del Palazzo di Quarzo di filtrare, o il pianeta sarebbe avvizzito in pochi giorni. Tuttavia, la luce delle stelle e della luna fu considerata un orpello inutile.»

Yao appoggiò i suoi occhi scuri sul lussureggiante giardino imperiale, al di là della finestra.

«Abbiamo pagato la nostra libertà con il sangue, e abbiamo ottenuto la sicurezza sacrificando la luna e le stelle.»

Il Figlio del Cielo li fissò di nuovo con la sua espressione più affabile e gli ricordò, indulgente:

«Abbiamo interrotto la lezione. Riprendiamo.»

Young Soo e Kiku annuirono, ma a nessuno dei due era sfuggita l’amarezza con cui il sovrano aveva ricordato quegli avvenimenti. Sacrificare la luce per la sicurezza non era una scelta priva di ripensamenti.

Young Soo scribacchiò qualcosa su un foglio di carta, che gli passò furtivamente poco dopo.

Kiku lo aprì dietro il libro e lesse: “Riportiamo le stelle a Chugoku?”.

Il guerriero asserì, e il Portavoce sorrise. Una nuova alleanza era appena nata.

 

***

 

Young Soo evocò un enorme drago di fiamme, che volò in cielo con un ruggito e deflagrò in un gigantesco fuoco d’artificio.

«Per il nostro Kiku, che oggi ha passato l’esame di cultura generale!» esultò, battendo una sonora pacca sulle spalle d’acciaio del guerriero.

«È presto per congratularsi» minimizzò il soldato. «Non sono ancora diventato Samurai.»

«Ma ogni passo è una vittoria» celebrò Yao, alzando la piccola tazza di sakè. «E, come tale, va festeggiato.»

Young Soo riempì il bicchierino di Kiku, versandogli metà della bottiglia sulle mani per la troppa baldanza.

«Hai recuperato in pochi mesi interi anni di studio» si congratulò il Portavoce del Sole. «Sii fiero di te stesso!»

Il guerriero avrebbe voluto replicare che la strada da percorrere era ancora lunga, ma nessuno dei due sembrava disposto ad ascoltarlo: Young Soo era troppo impegnato a riempirgli il bicchiere, e Yao era intenzionato a festeggiare, sebbene in modo più serafico.

Kiku, il soldato d’acciaio, scoprì di tollerare assai poco l’alcol: il primo sorso gli incendiò la gola, e rischiò quasi di sputarlo addosso al Figlio del Cielo. Strabuzzò gli occhi e gonfiò le guance, prima di ingoiare la malefica boccata.

«Abbiamo trovato il tuo punto debole» sorrise angelico Yao, sorbendo il suo sakè.

Un frastuono terribile sopraggiunse dall’entrata principale, interrompendo il loro festeggiamento. Kiku fece loro cenno di non muoversi, sguainò la katana e corse al massimo della sua velocità verso i cancelli del palazzo. Si bloccò di botto non appena vide il responsabile di tutta quella confusione. Le guardie stavano trattenendo uno spaesato ragazzo di campagna, che reggeva tra le mani un lungo fagotto avvolto da stracci e cordoncini.

I lineamenti squadrati e l’espressione smarrita erano inconfondibili: il suo amico non era cambiato, in quegli anni.

«Heracles?» lo chiamò, calmo a dispetto del marasma tutto intorno.

Le sentinelle si voltarono verso Kiku, e domandarono:

«Lo conoscete?»

Il giovane rinfoderò la spada per dare il buon esempio alle guardie, che a loro volta abbassarono le armi.

«Sì. Non farà del male a nessuno. Lasciatelo entrare» garantì.

Heracles si fece largo con titubanza tra i vigilanti, come se temesse di essere infilzato da un momento all’altro. Sapeva che Kiku era una specie di leggenda nel Palazzo Imperiale, ma non riusciva a scrollarsi di dosso il loro primo, traumatico imprinting con l’autorità: all’orfanotrofio, nessuno avrebbe ascoltato le preghiere di un bambino abbandonato.

Heracles si affrettò a raggiungerlo, e Kiku lo condusse velocemente verso la sua stanza: il suo amico non era abituato al fasto del Palazzo Imperiale, e camminava come se le mura stesse giudicassero le sue azioni. Il suo volto si rilassò non appena furono da soli in camera, nascosti agli occhi inquisitori del Palazzo.

«Non mi avevi detto che saresti venuto a trovarmi» lo salutò Kiku, sedendosi a terra.

Heracles lo imitò, impacciato. Il suo amico si era evoluto enormemente, negli ultimi anni. Non era più un orfano sporco e analfabeta: era diventato un guerriero colto, che concorreva per il titolo di Samurai, e che si muoveva con naturalezza nel lusso della corte imperiale. Al contrario, lui pareva un sasso gettato tra le pietre preziose.

«Volevo farti una sorpresa» spiegò flemmatico. «Era come avevi detto tu: tre giorni a piedi.»

Kiku gli regalò quel suo sorriso particolare, che non curvava le labbra ma illuminava gli occhi.

«Te ne ricordavi?» le sue sopracciglia di pece si incontrarono in un interrogativo, fissando il suo bizzarro bagaglio. «Cos’è quello?»

Heracles spacchettò veloce il suo dono. Gonfiò il petto con orgoglio quando la luce colò senza impedimenti sulla lama perfettamente affilata.

Kiku poggiò gli occhi sulla spada più bella che avesse mai visto. L’amico la tenne in equilibrio sul polso, per fargli ammirare il bilanciamento impeccabile tra elsa e lama.

Il guerriero allungò le mani quasi con reverenza, e il giovane fabbro gli permise di afferrare quella meraviglia di acciaio. Kiku contemplò la lucida perfezione della lama, la cura maniacale negli intarsi dell’elsa, raffigurante un dragone, e il prezioso rubino incastrato tra le fauci del rettile.

Si rialzò in piedi per farla roteare in una serie di figure: la lama quasi cantò, serpeggiando nell’aria come fosse dotata di vita propria.

Heracles ammirò le movenze dell’amico. Era davvero maturato, da quando giocavano ai guerrieri con dei bastoncini ritorti: sembrava quasi che lo spazio stesso si trasformasse per assecondare le sue figure di combattimento.

«Hai fatto un lavoro encomiabile» si congratulò Kiku. Heracles rifiutò la spada che l’amico stava tentando di restituirgli e dichiarò:

«È il mio regalo per te. Hai superato un esame tremendo.»

Kiku lo osservò, confuso.

«L’esito dell’esame è stato rivelato solo oggi. Non potevi saperlo, tre giorni fa» contestò.

«Non conoscevo l’esito dell’esame, ma conosco te. Sapevo che ce l’avresti fatta» dichiarò sicuro l’altro.

Il guerriero portò nuovamente i suoi occhi di ossidiana sulla spada: quel capolavoro di officina era suo. Il suo amico l’aveva creato appositamente per lui.

«Quanto hai impiegato a forgiarla?» domandò, senza alzare gli occhi dalla lama.

Heracles impiegò qualche istante per capire cosa l’amico gli avesse chiesto: la sua istruzione non era progredita più di tanto, nell’officina del fabbro, e faticava a capire i vocaboli forbiti dell’amico. Era decisamente passato molto tempo dall’ultima volta in cui si erano visti.

«Un mese, più o meno» quantificò velocemente.

Trenta giorni in cui il suo amico si era alzato con il progetto della spada in mente, vi aveva lavorato tutto il tempo e si era addormentato con la speranza di perfezionarla il giorno successivo.

La fatica del giovane fabbro sembrò trafiggerlo da quella lama perfetta. Lui non aveva fatto niente di altrettanto grandioso, per ricambiarlo.

«Grazie» fu tutto ciò che la sua bocca filtrò dal groviglio di sentimenti che gli attanagliavano il petto.

Heracles sorrise, lieto che gli anni trascorsi nel Palazzo non avessero cancellato l’imbarazzo timido di Kiku, che spuntava quando doveva ringraziare per qualcosa.

Fece per alzarsi, ma una mano indurita dagli allenamenti lo bloccò.

«Allevi ancora i gatti?» chiese Kiku.

«Sì…»

«Quanti?»

«Quattro.»

«Di che colore sono?»

Lo trattenne con le dita e con le domande, finché il suo amico non si rimise a sedere e cominciarono a parlare come ai vecchi tempi, quando scorrazzavano nel giardino dell’orfanotrofio.

Erano cambiate molte cose, in quegli anni, ma non la loro amicizia. E la assaporarono appieno quel pomeriggio, quando finalmente poterono vedere le reazioni dell’altro alle proprie parole senza limitarsi a immaginarle.

Heracles fu molto felice di scoprire che Kiku arrossiva ancora, quando si facevano supposizioni sulla sua bellezza nuda.

 

***

 

«Kiku non si vede più» si lamentò Young Soo. «Chissà cos’è successo all’entrata…»

«Oh, io sono convinto che sia stato un incontro piacevole» insinuò con eleganza Yao, prima di terminare il suo bicchiere di sakè.

 

***

 

Il Figlio del Cielo non fece commenti diretti sulla sua assenza ai festeggiamenti. Lo colpì a tradimento con una frecciatina casuale qualche giorno dopo, durante una lezione di storia.

«Dovrò far circolare un ritratto del tuo amico tra le guardie. Così non lo attaccheranno, la prossima volta che verrà a trovarti. O, forse, preferirai fargli visita tu stesso.»

Young Soo li aveva fissati alternativamente al di sopra del libro di storia, senza capire a chi si riferissero. Kiku fu sul punto di alzarsi, tanta fu la veemenza con cui esclamò:

«Io non intendevo mancare di rispetto…»

Yao alzò una mano, quieto, invitandolo a sedersi di nuovo.

«Non hai mancato di rispetto a nessuno. Anzi, trovo che sia meraviglioso che la vostra amicizia sia così forte a distanza di anni. Il tempo ha la fastidiosa abitudine di sciupare le cose» un’ombra di tristezza passò in quegli occhi secolari, e un battito di palpebre la spazzò via. «Solo, chiedigli di annunciarsi, la prossima volta: il Palazzo non può essere messo in allarme per una visita confidenziale.»

«Sarà fatto» garantì Kiku.

«Molto bene» approvò Yao. «Riprendiamo la lezione.»

Young Soo non aveva ancora capito quale fosse l’oggetto della discussione, ma tornò sulle pagine fitte di date senza fare storie.

Il Figlio del Cielo non diede voce al suo successivo pensiero: Kiku si infiammava molto, quando si parlava del suo amico. La cosa lo rendeva molto felice: per lui, che era stato benedetto dall’astro del fuoco, era sempre un piacere vedere le fiamme divampare in quelle iridi nere.

Le giornate successive trascorsero in sintonia con il programma stilato: allenamenti e scontri si susseguirono rapidamente, portando Kiku alle selezioni finali per la carica di Samurai.

Yao e Young Soo non potevano esprimere simpatie personali, mentre assistevano agli scontri dalla balconata imperiale, ma gioivano intimamente ogni volta che il loro lottatore preferito atterrava il suo avversario, e l’arbitro lo dichiarava vincitore. I festeggiamenti si svolgevano a sera tra le mura riservate delle loro stanze, dove nessun occhio esterno avrebbe potuto interferire. Young Soo era sempre il più chiassoso, nonché il più goloso di sakè. Kiku spediva l’usignolo a Heracles con il resoconto della battaglia solo dopo che i fumi dell’alcol avevano abbandonato la sua lingua: non voleva che l’amico lo prendesse in giro per i suoi discorsi sbiascicati dalla sbornia.

La notizia giunse mentre il medico di corte stava ricucendo un taglio sulla spalla del giovane combattente. Aveva appena finito di fasciare la ferita suturata, quando Yao entrò nella stanza.

La sua andatura non era cambiata, sempre elegante e ben bilanciata, ma il fuoco del sovrano era stato smorzato da una colata di cenere. Kiku si sentì quasi minacciato da quell’aurea funerea.

Il dottore abbandonò la stanza dopo essersi inchinato al sovrano, che si avvicinò al suo protetto.

Kiku si appoggiò la giacca militare sulle spalle, per non ricevere il suo regnante a torso nudo. Il soldato analizzò la tristezza che incupiva il volto del sovrano, la lieve incurvatura della schiena e la cautela con cui si muoveva, quasi temesse di spezzare l’aria; sommò tutti quei dettagli e trasse la sua conclusione. C’era solo un motivo per cui il regnante avrebbe potuto avere tante riserve nei suoi confronti.

«È successo qualcosa a Heracles?» domandò.

Yao si congratulò interiormente per la perspicacia del guerriero: sarebbe diventato un ottimo Samurai, se fosse riuscito a superare anche le ultime prove.

«È arrivato un messaggero adesso…» Kiku non gli diede modo di terminare il suo commiato; l’arguzia del soldato anticipò ogni sua premura.

«Se hanno inviato addirittura un ambasciatore, deve essere successo qualcosa di molto grave. È morto?»

Il corpo, la voce e il viso di Kiku rimasero immobili, marmorei. I suoi occhi si fecero piatti, come se i sentimenti fossero stati risucchiati all’interno. Kiku stava ritirando ogni possibile emozione per non esporla al mondo esterno; era il suo sistema difensivo da sempre.

Yao lo sapeva, ma si sentì intimamente ferito da quella levata di scudi: non credeva che il suo figlioccio lo ritenesse così poco degno di fiducia.

«Nessuno sa come sia successo» rivelò il Figlio del Cielo, con il massimo tatto possibile. «Lo ha trovato il fabbro, riverso a terra. Non ha ferite o contusioni sul corpo, non sono state trovate tracce di veleno. Kiku…»

«Se parto ora, sarò di ritorno in una settimana» il giovane infilò la giacca e la richiuse velocemente, per poi riappropriarsi della sua spada e avviarsi verso l’uscita. «Tra otto giorni avrò il prossimo scontro. Farò in tempo» e scomparve nel corridoio.

Poche ore dopo, il guerriero abbandonò il Palazzo a dorso di cavallo.

Young Soo entrò in punta di piedi nella stanza di Yao; il Figlio del Sole era adagiato sul suo trono, abbracciato dalla penombra del tramonto.

«Come è andata?» domandò, accucciandosi ai piedi del sovrano, con i gomiti appoggiati sullo scranno. Yao gli accarezzò la testa pettinandogli all’indietro la frangia, e riassunse:

«Non ha pianto, non ha urlato. È corso al villaggio per assistere ai funerali.»

«Kiku è proprio forte, se non ha nemmeno pianto» considerò Young Soo. Le dita del Figlio del Cielo si fermarono sulla sua testa, raggelate.

«No. È l’opposto» Yao ritirò la mano all’interno dell’ampia manica. «È così fragile che non può permettere alle lacrime di scorrere: una diga corrosa può andare in pezzi, se consente a una goccia d’acqua di passare tra le sue crepe.»

Il Portavoce del Sole scattò in piedi, allarmato.

«Non voglio che Kiku vada in pezzi!» esclamò. «Cosa possiamo fare?»

Il Figlio del Cielo raccolse le pieghe di seta del suo abito in grembo. La sua risposta fu un’unica parola.

«Aspettare.»

 

***

 

Kiku tornò allo scadere del settimo giorno, come promesso.

Attraversò l’entrata principale silenzioso come uno spettro. Si imbatté in Young Soo al primo angolo del corridoio.

«Kiku…» balbettò il Portavoce del Sole.

Il guerriero scrutò adamantino il piccolo mago mentre questo boccheggiava e gesticolava, senza riuscire a emettere suono; gli occhi del Portavoce si riempirono di lacrime, che ruppero gli argini poco dopo. Prima che Kiku potesse dire o fare qualunque cosa, Young Soo gli gettò le braccia al collo e gli bagnò la giacca con il suo pianto.

«Non andare in pezzi, …» fu tutto quello che il soldato riuscì a comprendere dal suo farfugliare. Il guerriero gli batté alcune pacche sulle spalle per tranquillizzarlo e, una volta che si fu calmato, si discostò da lui per poi imboccare il corridoio che conduceva alla sua stanza.

«Le dighe crepate si riparano» gli gridò dietro Young Soo, asciugando le ultime lacrime sulle maniche troppo lunghe. «E si riparano meglio insieme!»

Kiku non si fermò al richiamo del Portavoce del Sole. Temeva che, se si fosse voltato, tutte le barriere che aveva eretto per contenere il suo dolore sarebbero crollate. Non aveva previsto che un avversario molto più ostico del ragazzo di Kankoku lo stesse aspettando nella sua stanza.

«Bentornato» lo salutò Yao, finemente seduto sul bordo del suo letto.

Kiku rimase per un attimo congelato sulla soglia della camera. Raggiunse il letto a passi marziali, e si mise a sedere su di esso in una posa rigida, fissando la porta e non il Figlio del Cielo.

I loro respiri scandirono lo scorrere di alcuni minuti, prima che Yao esordisse, con voce vellutata:

«Soffrire non è un disonore, Kiku. Nemmeno le lacrime lo sono. Significano che non sei così egoista da pensare solo a te stesso.»

Il guerriero rimase immobile e muto come una statua di terracotta. Yao proseguì, morbido:

«Il lutto è un cancro: se non lo asporti in modo appropriato, si diffonderà in tutto il corpo. A volte, il bisturi migliore è l’orecchio di un compagno.»

Kiku non rispose nemmeno a quell’appello. Il Figlio del Cielo abbassò il capo, sebbene gli fosse difficile accettare il silenzio dell’altro. Lui avrebbe affidato la vita a Kiku, e lo feriva profondamente pensare che lui non gli avrebbe consegnato nemmeno una confidenza.

Stava per abbandonare la camera quando le parole del guerriero lo trafissero in mezzo alle spalle.

La testa era chinata e le mani strette tra di loro, e le parole si trascinarono faticosamente fuori dalle sue labbra contratte.

«Quando sono arrivato là…» cominciò. «… non ho riconosciuto nulla. Ero abituato a conoscere tutti i posti in cui Heracles stava. All’orfanotrofio, il nostro mondo era piccolo; quella città era immensa e…» Kiku scrollò la testa, ma tenne lo sguardo piantato a terra. «Sono arrivato dove si teneva il funerale. Il fabbro mi ha guardato e mi ha chiesto: “Lo conoscevi?”»

Quelle parole caddero come macigni nel silenzio improvviso. Yao si avvicinò di nuovo a lui, mentre il soldato confessava:

«All’orfanotrofio tutti sapevano che eravamo amici. Nessuno mi avrebbe chiesto se lo conoscevo. In quel momento ho capito quanto fossimo stati lontani in questi anni.»

Il Figlio del Cielo raccolse le pieghe del suo abito con una mano per inginocchiarsi di fronte a lui.

«Rimpiangi di aver scelto la via della spada?» domandò garbato Yao.

Kiku scosse la testa. Le mani del Figlio del Cielo si appoggiarono delicate sui suoi capelli corvini, come avrebbero fatto quelle di un padre.

«Spesso la vita ci mette davanti a dei bivi. Chiedersi troppo insistentemente cosa avremmo ottenuto se avessimo imboccato la via opposta può distruggerci.»

Kiku negò nuovamente con il capo. Gli occorse qualche secondo per riuscire ad articolare:

«Non rimpiango la mia scelta. Ma avrei voluto avere tempo di ripagare la sua gentilezza.»

Si sottrasse alle carezze del Figlio del Cielo, sempre a occhi bassi, ed estrasse da sotto il letto un fagotto di stracci e cordoncini. Yao si stupì enormemente quando una stupenda spada emerse da quell’involto di tessuto grezzo.

«Te l’ha regalata lui?» chiese, apprezzando la mirabile fattura dell’arma.

«L’ha creata lui.»

Yao schiuse le labbra in una moderata sorpresa: l’amicizia profonda che li legava era impressa in ogni centimetro di quel ferro magnifico.

«E tu non gli hai regalato nulla in cambio?»

Il Figlio del Cielo trasse le sue conclusioni dal silenzio di piombo che colò su di lui. Il sovrano poggiò di nuovo le sue mani setose sulla testa del giovane, in ginocchio davanti a lui.

«Sai, Kiku, credo che le cose che pesano di più, tra noi e i morti, siano le occasioni perdute. Tu non rimpiangi la tua scelta. Ma sono rimaste tante cose che avresti voluto dire e fare, e la morte ti ha strappato l’opportunità di metterle in pratica.»

«È una situazione senza rimedio.»

«Sbagliato. Il rimedio esiste. Dentro di noi.»

Yao accarezzò con più dolcezza quei capelli morbidi, e continuò:

«Tu ora stai guardando solo alle cose che non hai potuto fare. Ma pensa a quello che hai fatto: lo hai liberato, Kiku. Se non ci fossi stato tu, sarebbe morto sotto la sferza del suo maestro. Tu lo hai salvato…»

«È morto ugualmente.»

«È il destino dei mortali, è inevitabile. Ma è morto da uomo libero. E quella libertà gliel’hai donata tu. Quindi non pensare di non essere riuscito a ricambiare: questa spada meravigliosa è stata il suo modo di ringraziarti per il regalo inestimabile che gli hai fatto.»

Lo sguardo di Kiku continuò a evitare quello di Yao, e il Figlio del Cielo appoggiò le dita sulle sue, strette a pugno.

«Te l’ho detto. Soffrire non è un disonore.»

Finalmente, le spalle del guerriero si sciolsero nei singhiozzi trattenuti per tutti quei giorni. Le maniche del Figlio del Cielo si stesero sulla sua schiena curva, mentre il sovrano lo stringeva in un abbraccio paterno.

Heracles non avrebbe mai più rincorso i gatti, non avrebbe più forgiato spade, non avrebbe più gettato tutto il Palazzo nello scompiglio per una gita non annunciata. Non riusciva ad accettare che il suo migliore amico se ne fosse andato in un modo tanto assurdo. Doveva fare qualcosa per ricordarlo e strapparlo a quella morte così insensata.

Si staccò dal Figlio del Cielo con gli occhi ancora gonfi di lacrime, afferrò la spada e la fece scintillare nella luce del crepuscolo.

«Diventerò il Samurai» la sua voce era intrisa di pianto, ma tremendamente ferma. «Heracles mi condurrà alla vittoria.»

Yao accettò la sua decisione con condiscendenza, e confermò:

«È un bel nome per una spada» il Figlio del Cielo condusse la sua arma verso il basso, e lo accolse di nuovo tra le sue braccia. «Ma adesso non è tempo di combattere. Adesso devi sfogarti.»

Le mani forti del guerriero si strinsero sulle sue spalle sottili, mentre le sue lacrime gli bagnavano il petto.

Young Soo si trattenne dal bussare alla porta, sentendo i singhiozzi di Kiku all’interno. Non aveva voluto condividere il suo dolore con lui, ma lo aveva fatto con il fratellone.

Si allontanò, scalpicciando festoso nei corridoi.

Il Portavoce era una persona troppo semplice per offendersi per una cosa del genere: era semplicemente felice che quel suo fratello dalla testa dura fosse riuscito a piangere, alla fine.

 

***

 

Heracles svettò vittoriosa nel cielo il giorno successivo.

Kiku si candidò ufficialmente alla sfida finale per la carica di Samurai.

 

 

 

Ed eccoci qui con il capitolo su Kiku<3

Ma la sua storia non è finita: ci sarà ancora qualche capitolo (due, all’incirca) sul passato degli orientali, e poi si tornerà al presente e al piano per riportare Yao sul suo trono u.u E, nei prossimi capitoli, verrà ripreso il discorso sulle stelle, quindi tenetelo a mente 8D

E tra poco… un certo eroe di nostra conoscenza farà la sua apparizione XD Anche se questa volta sarà senza hamburger e bibitoni xD

Grazie per seguire questa storia<3<3<3

Ci rivediamo il diciassette!

Red<3

   
 
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